Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 25969 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 25969 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 25/06/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME, nato in Tunisia il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 13/10/2022 della Corte d’appello di Palermo visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO NOME COGNOME, il quale ha concluso chiedendo che la sentenza impugnata venga annullata con rinvio limitatamente alla valutazione della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen. e che il ricorso venga dichiarato inammissibile nel resto;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 13/10/2022, la Corte d’appello di Palermo, in parziale riforma della sentenza del 18/05/2020 del Tribunale di Palermo: a) dichiarava non doversi procedere nei confronti di NOME COGNOME in ordine al reato di porto di oggetti atti a offendere di cui al capo b) dell’imputazione per essere tale reato estinto per prescrizione; b) confermava la condanna dello stesso COGNOME per il reato di ricettazione di un netbook proveniente dal delitto di furto (fatto gi ritenuto dal Tribunale di Palermo come di particolare tenuità); c) esclusa la contestata recidiva, e tenuto conto delle già riconosciute circostanze attenuanti
generiche, rideterminava in quattro mesi di reclusione ed C 100,00 di multa la pena irrogata all’imputato per quest’ultimo reato di ricettazione.
Avverso l’indicata sentenza del 13/10/2022 della Corte d’appello di Palermo, ha proposto ricorso per cassazione, per il tramite del proprio difensore, NOME COGNOME, affidato a tre motivi.
2.1. Con il primo motivo, il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 606 comma 1, lett. e), cod. proc. pen., e con riferimento all’art. 648, secondo comma, cod. pen., la mancanza della motivazione con riguardo, in particolare, all’elemento psicologico del delitto di ricettazione.
Secondo il ricorrente, con l’argomentare che, poiché egli «non dedotto alcunché circa le eventuali, lecite modalità di acquisto del computer né in sede di indagini né in sede processuale», «alla evidenziata reticenza, pertanto, se ne deve inferire la prova dell’elemento subiettivo del delitto» (pag. 2 della sentenza impugnata), la Corte d’appello di Palermo: a) non avrebbe motivato o avrebbe motivato in modo assolutamente inadeguato e, quindi, carente, in ordine al suddetto elemento psicologico del reato, atteso che la conoscenza della provenienza delittuosa del computer non potrebbe «presumersi sulla scorta dell’incapacità di rassegnare delle giustificazioni circa il possesso del bene»; b) avrebbe violato il «principio nemo tenetur se detegere, sancito dall’art. 64 comma 3 c. p. p.».
Il ricorrente rappresenta altresì che «l’onere di rassegnare, da parte del prevenuto, una spiegazione attendibile circa l’origine del possesso, non comporta un’inversione dell’onere probatorio in capo all’imputato, ma la possibilità di operare una presunzione di colpevolezza solo allorquando la spiegazione fornita sia incredibile o quantomeno distonica rispetto alle emergenze processuali».
Il COGNOME sostiene ancora di avere fornito un’attendibile spiegazione in ordine al possesso del computer, segnatamente, quella di averlo «comprato al mercato Ballarò» per il figlio.
2.2. Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., e con riferimento all’art. 192 dello stesso codice e agli artt. 648, secondo comma, e 712 cod. pen., l’erronea applicazione dell’art. 648 cod. pen., in luogo dell’art. 712 cod. pen.
Sulla premessa che i reati di ricettazione (art. 648 cod. pen.) e di acquisto di cose di sospetta provenienza (art. 712 cod. pen.) si distinguono per l’elemento psicologico – che si concreta: nel primo reato, nella certezza, da parte dell’agente, della provenienza delittuosa della cosa; nel secondo reato, nel colposo mancato accertamento di tale provenienza -, il COGNOME sostiene che «gli atti di cui al fascicolo e le dichiarazioni dei testi escussi in udienza» avrebbero fatto emergere soltanto un suo «atteggiamento probabilmente poco accorto», derivante dal fatto
che «avrebbe dovuto essere ravvisato un “semplice sospetto” che il computer poiché usato – fosse provento di attività delittuosa» e che non aveva «adotta le opportune cautele per verificare che effettivamente il venditore fosse legittimo titolare dello stesso».
Il ricorrente rappresenta che tale propria mancanza di avvedutezza originerebbe «dal quadro socio culturale in cui versa l’odierno prevenuto (peraltro straniero e non perfettamente padrone della lingua italiana), oltre che dal contesto ambientale di riferimento (“mercato di Ballarò”) e dalla manc:anza di opportunità di crescita personale, che vige in determinati ambienti».
2.3. Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b) ed e) , cod. proc. pen., e con riferimento all’art. 131-bis cod. pen., la violazione di legge e il vizio della motivazione con riguardo al mancato riconoscimento della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto di cui al suddetto art. 131-bis cod. pen., «sulla scorta dell’analisi univoca de certificato del casellario» (così il ricorso).
Dopo avere brevemente illustrato i presupposti applicativi della menzionata causa di esclusione della punibilità, il COGNOME lamenta che «il convincimento dei Giudici del Gravame si sia appiattito esclusivamente sulla circostanza rilevante dal casellario giudiziale senza approfondire la propria valutazione attraverso l’esplorazione degli indici che si pongono a fondamento dell’istituto».
CONSIDERATO IN DIRITTO
I primi due motivi – i quali, per la loro evidente connessione, possono essere esaminati congiuntamente – sono manifestamente infondati.
Secondo il consolidato orientamento della Corte di cassazione, risponde del reato di ricettazione l’imputato che, trovato nella disponibilità di refurtiva qualsiasi natura, in assenza di elementi probatori indicativi della riconducibilità de possesso alla commissione del furto, non fornisca una spiegazione attendibile dell’origine del possesso (Sez. 2, n. 20193 del 19/04/2017, Kebe, Rv. 270120-01, relativa a una fattispecie in cui l’imputato era stato trovato nella disponibilità di telefono cellulare di provenienza furtiva).
Tale sentenza, ribadendo un orientamento che, peraltro, è del tutto consolidato nella giurisprudenza della Corte di cassazione (tra le moltissime, ad esempio: Sez. 2, n. 53017 del 22/11/2016, Alotta, Rv. 268713-01), ha chiarito che la prova dell’elemento soggettivo della ricettazione può essere raggiunta da qualsiasi elemento, anche indiretto, e, quindi, anche dall’omessa o non attendibile indicazione, da parte del soggetto che ne abbia il possesso, della provenienza della cosa ricevuta, ciò che costituisce prova della conoscenza dell’illiceità della stessa provenienza.
La Corte di cassazione ha precisato (Sez. 2, n. 20193 del 19/04/2017, Kebe, cit.; Sez. 2, n. 53017 del 22/11/2016, COGNOME, cit.) che tale orientamento non costituisce una deroga ai principi in materia di onere della prova, e neppure un vulnus alle guarentigie difensive, in quanto è la stessa struttura della fattispecie incriminatrice dell’art. 648 cod. pen. che richiede, ai fini dell’indagine sul consapevolezza della provenienza illecita della res, il necessario accertamento sulle modalità di acquisizione della stessa.
Si deve aggiungere che, sempre secondo la giurisprudenza della Corte di cassazione, nella ricettazione, il dolo può ricorrere anche nella forma eventuale quando l’agente ha consapevolmente accettato il rischio che la cosa acquistata o ricevuta fosse di illecita provenienza, non limitandosi a una semplice mancanza di diligenza nel verificare la provenienza della cosa, che invece connota l’ipotesi contravvenzionale dell’acquisto di cose di sospetta provenienza (Sez. 2, n. 25439 del 21/04/2017, COGNOME, Rv. 270179-01; Sez. 2, n. 41002 del 20/09/2013, COGNOME, Rv. 257237-01; Sez. 2, n. 45256 del 22/11/2007, COGNOME, Rv. 238515-01).
In definitiva, nel delitto di ricettazione è ravvisabile il dolo eventuale quand la situazione fattuale – nella valutazione operata dal giudice di merito in conformità alle regole della logica e dell’esperienza – sia tale da fare ragionevolmente ritenere che non vi sia stata una semplice mancanza di diligenza nel verificare la provenienza della res ma una consapevole accettazione del rischio che la cosa acquistata o ricevuta fosse di illecita provenienza (Sez. 2, n. 3783 del 12/02/1998, COGNOME, Rv. 210447-01).
Rammentati tali principi, si deve osservare come la Corte d’appello di Palermo abbia valutato come il Ben COGNOME, essendo stato trovato nella disponibilità del netbook di provenienza furtiva, non avesse fornito, né in sede di indagini né nel corso del processo, una spiegazione attendibile dell’origine di detta disponibilità, con riferimento alle circostanze dell’acquisto del computer e con particolare riguardo allo specifico luogo in cui esso sarebbe stato posto in vendita, all’identità del venditore e al prezzo pagato, con la conseguenza che l’elemento soggettivo che caratterizzava la fattispecie non si poteva ritenere limitato a una semplice mancanza di diligenza nel verificare la provenienza della cosa, la quale connota l’ipotesi contravvenzionale prevista dall’art. 712 cod. pen., ma si doveva ritenere costituito dal dolo eventuale, cioè dall’accettazione del rischio che il netbook acquistato o ricevuto fosse di provenienza delittuosa, con la conseguente configurabilità del delitto di ricettazione.
Tale motivazione, oltre che essere in linea con le ricordate indicazioni ermeneutiche della Corte di cassazione, ne ha fatto applicazione sulla base di una valutazione di merito delle risultanze processuali che si appalesa come del tutto
conforme alle regole della logica e dell’esperienza, sicché essa si sottrae sen alle censure che sono state avanzate dal ricorrente in questa sede di legitti
Il terzo motivo è fondato.
Ai fini della configurabilità della causa di esclusione della punibil particolare tenuità del fatto, prevista dall’art. 131-bis cod. pen., il giud tenuità richiede una valutazione complessa e congiunta di tutl:e le peculiarità fattispecie concreta, che tenga conto, ai sensi dell’art. 133, primo comma, pen., delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza da esse desumi e dell’entità del danno o del pericolo (Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016, Tus Rv. 266590-01).
L’ambito applicativo della causa di esclusione della punibilità per partic tenuità del fatto prevista dall’art. 131-bis cod. pen. è, peraltro, lim requisito soggettivo della non abitualità del comportamento («e il comportamen risulta non abituale»).
Il comportamento abituale è definito dal quarto comma dell’art. 131-bis co pen. che, nel tipizzare l’abitualità, fa riferimento, tra l’altro, alla «comm più reati della stessa indole». L’abitualità si concretizza quindi in pr una pluralità di illeciti della stessa indole (dunque, almeno due), diversi da oggetto del procedimento nel quale si pone la questione dell’applicabilità del 131-bis cod. pen. (e che possono essere commessi anche successivamente a quest’ultimo). In breve, il terzo illecito della medesima indole dà legalmente alla “serialità” che osta all’applicazione dell’istituto (Sez. U, n. 1 25/02/2016, Tushaj, Rv. 266591-01; nello stesso senso, successivamente: Sez 6, n. 6551 del 09/01/2020, COGNOME, Rv. 278347-01).
La Corte d’appello di Palermo ha negato il riconoscimento della causa esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto con la motivazion «alla stregua del certificato del casellario giudiziale, risultano precedenti commessi nel 2011 (con sospensione condizionale dell’esecuzione della pena) donde una necessaria valutazione negativa circa la effettiva volontà dell’impu di volersi astenere dal commettere azioni penalmente rilevanti, anche sot profilo del breve periodo di tempo intercorso e nonostante un esito positivo periodo di “messa alla prova”, segno evidente di una peculiare propensione a reiterazione di azioni penalmente rilevanti, nel caso di specie con lo scopo pre di locupletare un profitto di contenuto patrimoniale, ragione per la quale il fatto sub judice non può essere considerato specialmente tenue».
Come emerge dalla lettura di tale motivazione, la Corte d’appello di Paler ha fondato il proprio giudizio esclusivamente sulle risultanze del certifica casellario giudiziale del COGNOME.
A tale proposito, si deve osservare che, come risulta da quanto si è sopra detto, i precedenti penali hanno valenza ostativa rispetto all’applicazione dell’istituto in considerazione soltanto qualora l’imputato risulti essere stat dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza, ovvero abbia commesso più reati della stessa indole (Sez. 6, n. 605 del 03/12/2019, dep. 2020, Alberto, Rv. 278095-01).
Al di fuori di tali ipotesi, l’esistenza di precedenti penali non può giustifica di per sé l’esclusione della causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto atteso che i parametri di valutazione di tale tenuità che sono previsti dal primo comma dell’art. 131-bis cod. pen. (modalità della condotta ed esiguità del danno o del pericolo, da valutare ai sensi dell’art. 133, primo comma, cod. pen.) hanno natura e struttura oggettiva, mentre i precedenti penali attengono al diverso piano della personalità del reo (Sez. 3, n. 35757 del 23/11/2016, dep. 2017, Sacco, Rv. 270948-01).
Ciò chiarito, si deve rilevare come la Corte d’appello di Palermo, nel fondare la propria motivazione esclusivamente sulle risultanze del certificato del casellario giudiziale del COGNOME, non abbia in realtà evidenziato un’effettiva valenza ostativa dei precedenti penali dell’imputato – nei termini che si sono sopra precisati -, atteso che la stessa Corte d’appello ha evidenziato come uno dei due reati che risultavano dal suddetto certificato del casellario fosse estinto per l’esito positiv della messa alla prova, con la conseguenza che, come è stato chiarito dalla Corte di cassazione, tale reato non poteva rilevare ai fini della valutazione del presupposto ostativo del comportamento abituale, giacché all’indicata estinzione del reato consegue l’elisione di ogni effetto penale della condanna (Sez. 2, n. 46064 del 30/11/2021, Ndiaye, Rv. 282270-01).
Difettando, perciò, una valenza ostativa dei precedenti penali del COGNOME, al fine di escludere la particolare tenuità del fatto, la Corte d’appello di Palermo avrebbe dovuto giudicare in ordine a tale eventuale particolare tenuità alla stregua dei parametri, di natura e struttura oggettiva, che sono previsti dal primo comma dell’art. 131-bis cod. pen. (modalità della condotta ed esiguità del danno o del pericolo, da valutare ai sensi dell’art. 133, primo comma, cod. pen.), il che, invece, ha del tutto omesso di fare.
Pertanto, la sentenza impugnata deve essere annullata limitatamente all’applicabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità d fatto di cui all’art. 131-bis cod. pen., con rinvio a un’altra sezione della Cor d’appello di Palermo per un nuovo giudizio su tale punto. Il ricorso deve, invece, essere dichiarato inammissibile nel resto.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente all’applicabilità dell’art. 13 cod. pen. e rinvia per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della d’appello di Palermo. Dichiara inammissibile il ricorso nel resto.
Così deciso il 25/06/2024.