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Particolare tenuità del fatto: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione ha annullato una condanna per ricettazione, applicando il principio della particolare tenuità del fatto. La decisione si fonda sulla scarsa offensività della condotta, sul comportamento collaborativo dell’imputata (restituzione del bene) e sulla motivazione stereotipata e apparente della Corte d’Appello nel negare tale causa di non punibilità. La sentenza ribadisce l’importanza di una valutazione concreta e non astratta dei presupposti dell’art. 131-bis c.p.

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Pubblicato il 12 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Particolare Tenuità del Fatto: la Cassazione Annulla Condanna per Ricettazione

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 46013 del 2024, torna a pronunciarsi sulla corretta applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall’art. 131-bis del codice penale. Questa decisione è fondamentale perché chiarisce come i giudici debbano valutare in concreto i presupposti di questo istituto, evitando formule generiche e astratte, e valorizzando anche il comportamento tenuto dall’imputato dopo il reato.

I Fatti del Caso

La vicenda processuale ha origine da un’accusa di ricettazione (art. 648 c.p.). In primo grado, il Tribunale aveva riqualificato il reato in appropriazione di cose smarrite (art. 647 c.p.) e aveva assolto l’imputata perché il fatto non era più previsto come reato.

La Procura Generale presso la Corte d’Appello, tuttavia, impugnava la sentenza. La Corte d’Appello riformava la decisione di primo grado, dichiarando la responsabilità penale dell’imputata per il delitto di ricettazione e condannandola alla relativa pena.

Contro questa sentenza di condanna, la difesa proponeva ricorso per cassazione, lamentando un unico ma decisivo motivo: la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione alla mancata applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto.

Il Ricorso e la Valutazione della Particolare Tenuità del Fatto

Il nucleo della difesa si concentrava sulla motivazione della Corte d’Appello, definita “del tutto stereotipata, astratta e, dunque, apparente ed in concreto omessa”. Secondo il ricorrente, i giudici di secondo grado non avevano affatto considerato elementi cruciali che avrebbero potuto giustificare l’applicazione dell’art. 131-bis c.p., quali:

* L’oggettiva modestia e scarsa offensività della condotta.
* La mancanza di abitualità nel commettere reati.
* L’incensuratezza dell’imputata.
* Il comportamento tenuto dopo il fatto, in particolare l’immediata riconsegna del bene durante le indagini.

Anche la Procura Generale presso la Corte di Cassazione concordava con questa linea, chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha ritenuto il ricorso fondato, accogliendolo pienamente. I giudici di legittimità hanno censurato duramente la decisione della Corte d’Appello, confermando che la motivazione fornita per escludere la particolare tenuità del fatto era effettivamente apparente e omessa.

La Corte ha ribadito che il giudizio sulla tenuità dell’offesa deve essere condotto sulla base dei criteri indicati dall’art. 133, comma primo, del codice penale. Non è necessario esaminarli tutti, ma è sufficiente indicare quelli ritenuti rilevanti per il caso specifico.

Un punto cruciale della sentenza riguarda l’importanza della condotta post delictum (successiva al reato). A seguito delle modifiche introdotte dal D.Lgs. n. 150/2022 (la “Riforma Cartabia”), anche il comportamento tenuto dall’imputato dopo la commissione del reato è un elemento che il giudice deve considerare nel giudizio complessivo sulla gravità dell’offesa. La Corte precisa che la restituzione del bene o il risarcimento del danno, pur non potendo da sole trasformare un’offesa grave in una lieve, sono criteri importanti da valorizzare nell’ambito di una valutazione unitaria e complessiva.

Nel caso di specie, la Corte di Cassazione ha ritenuto che non fosse necessaria alcuna ulteriore valutazione di merito, poiché gli elementi per applicare l’art. 131-bis c.p. erano già evidenti dagli atti. Per questo motivo, ha deciso di annullare la sentenza senza rinvio.

Le Conclusioni

La sentenza rappresenta un importante monito per i giudici di merito: la valutazione sulla particolare tenuità del fatto non può essere liquidata con frasi di stile o formule stereotipate. È necessario un esame concreto e specifico del singolo caso, che tenga conto di tutti gli indici previsti dalla legge, inclusa la condotta riparatoria dell’imputato. La decisione finale della Corte, che annulla la condanna e dichiara la non punibilità dell’imputata, dimostra come questo istituto sia uno strumento essenziale per garantire i principi di proporzionalità e sussidiarietà del diritto penale, evitando che condotte di minima offensività portino a una condanna penale.

Quando si può applicare la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto?
Si applica quando l’offesa al bene giuridico è di particolare tenuità e il comportamento dell’autore non è abituale. La valutazione deve basarsi su criteri concreti come le modalità della condotta, la scarsa entità del danno o del pericolo e l’intensità del dolo o della colpa, come indicato dall’art. 133 c.p.

Il comportamento dell’imputato dopo il reato, come la restituzione del bene, ha valore per la tenuità del fatto?
Sì. La sentenza chiarisce che, soprattutto dopo le recenti riforme legislative, la condotta “post delictum” (successiva al reato), come le restituzioni o il risarcimento, è un elemento che il giudice deve considerare nel suo giudizio complessivo per valutare la gravità dell’offesa e l’eventuale applicabilità dell’art. 131-bis c.p.

Cosa succede se un giudice nega la particolare tenuità del fatto con una motivazione generica?
Se la motivazione è “stereotipata, astratta” e non affronta concretamente gli elementi del caso, essa viene considerata “apparente” o “omessa”. Come avvenuto in questo caso, una tale motivazione costituisce un vizio di legge che può portare all’annullamento della sentenza da parte della Corte di Cassazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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