Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 43822 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 43822 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 17/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato il 15/05/1985
avverso la sentenza del 28/03/2024 della CORTE APPELLO di ROMA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
letta la requisitoria del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto l’annullamento con rinvio, limitatamente all’art. 131-bis cod. pen.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Roma ha confermato la sentenza del Tribunale della medesima città in composizione monocratica del 09/05/2022, che aveva riconosciuto NOME COGNOME colpevole dei delitti di cui agli artt. 494 cod. pen. e 5 comma 8-bis d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 – perché, dopo aver chiesto alla Prefettura il nulla osta al ricongiungimento familiare, riceveva dal gestore di fatto di una agenzia di servizi un falso contratto di locazione, sul quale era apposta la firma dell’ignara NOME COGNOME nonché una falsa ricevuta protocollo, una falsa attestazione di pagamento e una falsa attestazione di idoneità alloggiativa, tutte falsamente timbrate e firmate dai competenti funzionari comunali e produceva poi il tutto all’impiegato addetto alla Prefettura di Roma – e per l’effetto, concesse le circostanze attenuanti generiche, Io aveva condannato alla pena di mesi dieci di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali, concedendogli il beneficio della sospensione condizionale della pena.
Ricorre per cassazione NOME COGNOME a mezzo dell’avv. NOME COGNOME deducendo cinque motivi, che vengono di seguito riassunti entro i limiti strettamente necessari per la motivazione,
2.1. Con il primo motivo, viene denunciata la carenza di motivazione dell’impugnata sentenza, essenzialmente sotto il profilo della mancata considerazione di elementi a discarico, pure emersi, con specifico riferimento alla possibilità di ricostruire diversamente i fatti per i quali è processo.
In ipotesi difensiva, la creazione in autonomia di una serie così imponente di documenti appare opera assai complessa, ben difficile da porre in essere da parte del solo imputato. Il coimputato poi assolto era invece ben più qualificato, per il compimento di tali operazioni, proprio in ragione della attività imprenditoriale svolta; il punto cruciale, rimasto non appurato, dell’intera vicenda è dunque quello inerente all’effettiva consapevolezza delle ascritte falsità, in capo all’imputato e, quindi, della sussistenza del necessario elemento soggettivo. Era stata anche domandata l’applicazione dell’istituto di cui all’art. 131-bis cod. pen., così come si era prospettata la configurabilità di una mera ipotesi di tentativo.
2.2. Con il secondo motivo, ci si duole della omessa rinnovazione dell’istruttoria e della mancata assunzione di prove decisive, con particolare riferimento alla auspicata audizione, oltre che dell’imputato appellante, anche dell’originario coimputato NOME COGNOME
2.3. Con il terzo motivo, viene denunciata la illogicità della motivazione e connessa violazione dell’art. 192, comma 2, cod. proc. pen., dovendosi
propendere per una alternativa ricostruzione degli accadimenti, in linea con quanto sostenuto dal prevenuto.
2.4. Con il quarto motivo, ci si duole della carenza di motivazione in ordine al mancato proscioglimento ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen.
2.5. Con il quinto motivo, si aggredisce il trattamento sanzionatorio contenuto nell’impugnata pronuncia.
Il Procuratore generale ha chiesto l’annullamento della sentenza impugnata limitatamente alla causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen., con rinvio per nuovo giudizio. La motivazione della sentenza impugnata è, sul punto, inesistente; non può neanche ritenersi che il giudice si sia anche solo implicitamente espresso, in ordine alla richiesta formulata.
L’avv. NOME COGNOME in difesa dell’imputato, ha presentato memoria, a mezzo della quale si è integralmente riportato ai motivi contenuti nell’atto di impugnazione, sottolineando l’omessa motivazione in relazione all’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato, limitatamente alla mancanza di motivazione in ordine all’auspicata applicazione dell’istituto di cui all’art. 131-bis cod. pen.; l’impugnazione è da rigettare, invece, quanto alle residue doglianze.
Il primo, il terzo e il quarto motivo – sebbene articolati in una duplicità di profili di censura – presentano una evidente matrice comune e ben si prestano, quindi, a una agevole trattazione unitaria. Come esposto in parte narrativa, tali doglianze si compendiano nelle argomentazioni di seguito sintetizzate:
vi sarebbe una carenza di motivazione dell’impugnata sentenza, per non esser stati considerati gli elementi a discarico (l’argomento è di carattere logicodeduttivo e si sostanzia nella considerazione che – essendo la falsificazione ascritta molto complicata – l’avrebbe potuto porre in essere più facilmente l’originario coimputato poi assolto, svolgendo quest’ultimo proprio tale attività in forma imprenditoriale);
si sostiene che NOME COGNOME comunque, non avesse consapevolezza delle contestate falsità;
si domanda espressamente una ricostruzione degli accadimenti in linea con quanto sostenuto dal prevenuto;
– si afferma non esservi motivazione, quanto al mancato proscioglimento ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen.
2.1. Tali censure afferiscono tutte alla motivazione della sentenza impugnata criticando – anche in maniera espressa e diretta – i criteri utilizzati e le conclusioni cui sono pervenuti i giudici di merito, nella valutazione delle prove. Giova allora precisare, ai fini del corretto inquadramento del perimetro decisionale che connota il giudizio di legittimità, le seguenti coordinate teoriche.
2.1.1. In tema di sindacato del vizio della motivazione ex art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., si deve rammentare come, nell’apprezzamento delle fonti di prova, il compito del giudice di legittimità non consista nel sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito; la Corte di cassazione ha il diverso compito, infatti, di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti e se abbiano esattamente applicato le regole della logica, nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni, a preferenza di altre (Sez. U, n. 930 del 13/12/1995, Clarke, rv 203428; Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, La Gumina, rv 269217; Sez. 6, n. 47204, del 7/10/2015, COGNOME, rv. 265482; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, De Vita, rv 235507;).
Dall’affermazione di questo principio, ormai costante nel panorama giurisprudenziale, discende un necessario corollario: esula dai poteri della Corte di cassazione, nell’ambito del controllo della motivazione del provvedimento impugnato, la formulazione di una nuova e diversa valutazione, in ordine agli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, giacché tale attività è riservata esclusivamente al giudice di merito, potendo riguardare il giudizio di legittimità solo la verifica dell’iter argomentativo seguito da tale giudice, accertando se quest’ultimo abbia, o meno, dato conto adeguatamente delle ragioni che lo hanno condotto ad emettere la decisione .
Quanto al tema della manifesta illogicità della motivazione, va osservato che il relativo controllo viene esercitato, in via esclusiva, sul fronte della coordinazione delle proposizioni e dei passaggi, attraverso i quali si sviluppa il tessuto argomentativo del provvedimento impugnato; non sussiste possibilità, per il giudice di legittimità, di verificare se i risultati dell’interpretazione delle p siano effettivamente corrispondenti alle acquisizioni probatorie, come risultanti dagli atti del processo; sicché, nella verifica della eventuale fondatezza del motivo di ricorso ex art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., il compito della Corte di cassazione non si sostanzia nell’accertare la plausibilità e l’intrinseca adeguatezza dei risultati dell’interpretazione delle prove, coessenziale al giudizio di merito, bensì nel dovere – radicalmente differente – di stabilire se i giudici di merito:
abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione;
abbiano dato esauriente risposta alle deduzioni delle parti;
nell’interpretazione delle prove, abbiano esattamente applicato le regole della logica, nonché le massime di comune esperienza e i criteri legali dettati in tema di valutazione delle prove, in modo da fornire una giustificazione razionale, circa la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre.
Ne consegue che, ai fini della denuncia del vizio in esame, è indispensabile dimostrare che il testo del provvedimento sia manifestamente carente di motivazione e/o di logica, per cui non può essere ritenuto legittimo l’opporre alla valutazione dei fatti contenuta nel provvedimento impugnato una diversa ricostruzione degli stessi, magari pure altrettanto logica, dato che in quest’ultima ipotesi verrebbe inevitabilmente invasa l’area degli apprezzamenti riservati al giudice di merito. Il controllo di legittimità operato dalla Corte di cassazione, infatti, non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti, né deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se tale giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento (Sez. 4, n. 4842 del 2/12/2003, Elia, rv 229368).
2.1.2. Va da ultimo ancora osservato che la denunzia di minime incongruenze argomentative, oltre che l’omessa esposizione di elementi di valutazione, che il ricorrente ritenga tali da determinare una diversa decisione (ma che non siano inequivocabilmente muniti di un chiaro carattere di decisività) non possono dar luogo all’annullamento della sentenza, posto che non costituisce vizio della motivazione qualunque omissione valutativa che riguardi singoli dati estrapolati dal contesto. Al contrario, è solo l’esame del complesso probatorio entro il quale ogni elemento sia contestualizzato – che consente di verificare la consistenza e la decisività degli elementi medesimi, oppure la loro ininfluenza, ai fini della compattezza logica dell’impianto argomentativo della motivazione (Sez. 1, n. 46566 del 21/2/2017, M., rv 271227; Sez. 2, 9242 del 8/2/2013, Reggio, rv 254988).
2.2. Tanto premesso, può rilevarsi come la Corte territoriale – in risposta alle specifiche deduzioni difensive – abbia precisato come lo stesso sviluppo fenomenico, nonché la situazione di contesto in sé considerata, non possano che essere reputate evocative della sussistenza del necessario coefficiente psicologico, in capo al Rahman, oltre che dell’esistenza di un suo contributo causale pienamente efficiente, rispetto alla realizzazione dell’evento.
Viene sottolineato nella sentenza impugnata, infatti, come l’imputato stesso abbia presentato la domanda volta all’ottenimento del nulla osta per il ricongiungimento familiare e la abbia corredata, viepiù, di documenti la cui falsità
è stata pacificamente acclarata. A sostegno della domanda, infatti, figuravano un contratto di locazione falsamente sottoscritto da tal NOME COGNOME (la quale ha poi disconosciuto come propria la firma ivi apposta), oltre che la ulteriore documentazione elencata nel capo di imputazione (già richiamata sopra, in parte narrativa), interamente risultata oggetto di falsificazione.
La Corte distrettuale ha correttamente aggiunto che – non essendo neanche possibile ipotizzare la mancanza di consapevolezza, in capo all’imputato, circa la sussistenza di tali falsità – non consta nemmeno la prospettazione, ad opera dello stesso, di una qualsivoglia ricostruzione fenomenica in qualche modo apprezzabile e pur minimamente plausibile.
Costituisce dato probatorio incontroverso, inoltre, che i comportamenti criminosi contestati a NOME inerissero proprio a condotte di falsificazione materiale dei documenti, concretizzandosi così un’ipotesi di falsità materiale e non di falsità ideologica (quest’ultima non riconducibile sotto l’egida normativa ex art. 5, comma 8-bis, T.U. imm.) Né potrebbe essere diversamente, atteso che, come da ultimo ribadito dalle Sezioni Unite, le attività di contraffazione o di alterazione che determinano una falsità materiale si concretizzano sia quando si confeziona un documento che si caratterizza per la discordanza tra autore reale e autore apparente, con conseguente inganno sull’identità del soggetto che lo ha formato, sia quando un atto viene formato in totale assenza dei presupposti per la sua formazione (Sez. U, n. 35814 del 28/03/2019, Marcis, rv. 276285-01).
2.3. La difesa ha prospettato, infine, la possibilità di configurare il contestato reato esclusivamente nella forma tentata, piuttosto che consumata. Osserva allora il Collegio che all’imputato si contesta – ai sensi dell’art. 5, comma 8-bis, T.U. imm., di avere formato una serie di documenti falsi sotto il profilo materiale, allegandoli all’istanza volta a ottenere il nulla osta al ricongiungimento familiare. Tale condotta è pienamente sussumibile nella fattispecie incriminatrice di cui all’art. 5, comma 8-bis, T.U. imm., a tenore del quale: «Chiunque contraffà o altera un visto di ingresso o reingresso, la comunicazione del rilascio di un’autorizzazione ai viaggi, una proroga del visto, un permesso di soggiorno, un contratto di soggiorno o una carta di soggiorno, ovvero contraffà o altera documenti al fine di determinare il rilascio di un visto di ingresso o di reingresso, di un’autorizzazione ai viaggi, della proroga del visto, di un permesso di soggiorno, di un contratto di soggiorno o di una carta di soggiorno oppure utilizza uno di tali documenti contraffatti o alterati, è punito con la reclusione da uno a sei anni. Se la falsità concerne un atto o parte di un atto che faccia fede fino a querela di falso la reclusione è da tre a dieci anni. La pena è aumentata se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale». Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Ne discende, conclusivamente, che le condotte contestate all’imputato valgono a concretizzare ipotesi di falsificazione materiale consumate, realizzate mediante contraffazione o alterazione di documenti, relative a «un visto di ingresso o reingresso, un permesso di soggiorno, un contratto di soggiorno o una carta di soggiorno »; il tutto impone di escludere che i comportamenti ascritti possano essere ritenuti espressione di un reato arrestatosi allo stadio del tentativo.
Fondata è invece la doglianza, parimenti sussunta nel primo motivo, concernente la omessa motivazione, in ordine all’invocata causa di non punibilità ex art. 131-bis cod. pen. Trattasi di domanda specificamente formulata in sede di gravame, tanto da essere esplicitamente menzionata nell’incipit della sentenza di appello.
3.1. Giova precisare che il sindacato della Corte di cassazione sulla motivazione della decisione assunta in sede di merito, al fine di evitare che il controllo della Corte stessa si eserciti – anziché sui requisiti minimi di esistenza, completezza e logicità del discorso argomentativo svolto di Giudice di merito – sul contenuto intrinseco della decisione, è stato circoscritto dal legislatore alla mancanza, alla contraddittorietà e alla manifesta illogicità della motivazione. Questi vizi devono risultare dal testo del provvedimento impugnato, devono cioè apparire tali nello stesso sviluppo logico del provvedimento, piuttosto che nella diversa prospettiva addotta dal ricorrente.
Il vizio di mancanza di motivazione è costituito non solo dalla totale carenza della parte ‘espositiva, quindi da un vuoto che sia già di tipo grafico, bensì anche dalla assenza di singoli momenti esplicativi, sempre però che questi siano ineliminabili, nel rapporto tra i temi sui quali si deve esercitare il giudizio e contenuto di questo.
3.2. Nella sentenza impugnata si è verificata una mancanza anche grafica di motivazione, in ordine a una richiesta specificamente formulata dalla difesa e anche menzionata dalla Corte territoriale. Né ricorrono gli estremi per ritenere integrata una implicita motivazione reiettiva, contenuta eventualmente nelle valutazioni operate in merito al trattamento sanzionatorio; l’omessa pronuncia su una specifica deduzione, infatti, può anche risultare incensurabile in sede di legittimità, ma esclusivamente qualora le ragioni poste a fondamento della decisione assunta risultino, in maniera adeguata, esplicitate all’interno dell’apparato motivazionale complessivamente considerato (Sez. 4, n. 5396 del 15/11/2022, Lakrafy, rv. 284096; Sez. 5, n. 6746 del 13/12/2018, dep. 2019, COGNOME, rv. 275500; Sez. 1, n. 27825 del 22/05/2013, COGNOME, rv. 256340). Tale
caratteristica della motivazione non è ravvisabile, nel caso di specie, per cui il motivo deve essere accolto.
La difesa lamenta poi – con il secondo motivo, da ritenersi aspecifico e confutativo – la mancata rinnovazione istruttoria; questa si sarebbe dovuta esplicare, stando all’auspicio difensivo, attraverso l’audizione dell’imputato appellante e dell’originario coimputato NOME COGNOME
4.1. Va allora osservato che la completezza e la piena affidabilità logica dei risultati del ragionamento probatorio seguito dalla Corte territoriale giustificano la decisione ora avversata, contraria alla rinnovazione dell’istruzione dibattimentale sul rilievo che – nel giudizio di appello – quest’ultima rappresenta un istituto di carattere eccezionale, fondato sulla presunzione di completezza dell’indagine istruttoria, corroborata dalle acquisizioni operate nel corso del dibattimento di primo grado. Il potere del giudice di secondo grado, di disporre la rinnovazione, è dunque subordinato alla rigorosa condizione che egli ritenga – contro la predetta presunzione – di non essere in grado di decidere in base agli elementi di valutazione e conoscenza già presenti nell’incarto processuale (Sez. U, n. 2780 del 24/01/1996, COGNOME, rv. 203974).
L’esercizio di tale potere è peraltro affidato al prudente apprezzamento del giudice di appello, restando incensurabile in sede di legittimità, laddove congruamente motivato (Sez. 3, n. 7908 del 29/07/1993, Giuffida, rv. 194487; si veda anche Sez. 1, n. 40705 del 10/01/2018, Capitanio, rv. 274337, che ha così statuito: «La mancata rinnovazione dell’istruzione dibattimentale nel giudizio di appello può costituire violazione dell’art. 606, comma 1, lett. d) cod. proc. pen., solo nel caso di prove sopravvenute o scoperte dopo la sentenza di primo grado»; sulla medesima direttrice interpretativa si sono posizionate Sez. 5, n. 32379 del 12/04/2018, COGNOME, rv. 273577, che ha chiarito come possa essere censurata dinanzi alla Corte di cassazione la mancata rinnovazione in appello dell’istruttoria dibattimentale, solo qualora emerga l’esistenza, nella struttura motivazionale che sorregge la decisione impugnata, di lacune o manifeste illogicità, che siano desumibili dal testo del medesimo provvedimento e che attengano a profili di rilievo dirimente, essendo peraltro necessaria la dimostrazione che tali forme di incoerenza argomentativa sarebbero state verosimilmente scongiurate, laddove si fosse provveduto all’assunzione, ovvero alla riassunzione, delle prove invocate e Sez. 5, n. 34643 del 08/05/2008, COGNOME, rv. 240995).
Costituisce consolidato principio di questa Corte, insomma, ritenere che la omessa rinnovazione dell’istruzione dibattimentale – nel corso del giudizio di secondo grado – possa integrare violazione dell’art. 606, comma primo, lett. d),
cod. proc. pen., esclusivamente in presenza di prove sopravvenute, o scoperte in epoca successiva, rispetto alla sentenza di primo grado, a norma dell’art. 603, comma 2, cod. proc. pen., mentre l’error in procedendo è configurabile, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. d), cod. proc. pen., soltanto nel caso in cui la prova richiesta e non ammessa, posta a confronto con l’apparato motivazionale addotto a sostegno della sentenza impugnata, risulti di valenza decisiva, ossia tale che se fosse stata esperita – avrebbe potuto disarticolare la struttura stessa della decisione e, così, condurre a difformi lumi in fase decisoria.
4.2. Nel caso di specie, la difesa si è limitata a invocare la sopra tratteggiata rinnovazione istruttoria, senza però minimamente indicarne la decisività e senza soffermarsi sulla (pretesa) attitudine delle nuove prove auspicate, a disarticolare la tenuta logica dell’avversata decisione. Il motivo, quindi, non può che essere disatteso.
Il quinto motivo aggredisce il trattamento sanzionatorio, denunciando la sussistenza di una lacuna motivazionale e dolendosi della natura asseritamente troppo severa della pena inflitta, laddove rapportata agli elementi addotti nell’atto di appello, ai precedenti dell’imputato e alla sua condotta.
5.1. Giova allora premettere che, ai fini del controllo di legittimità sul vizio di motivazione, la struttura giustificativa della sentenza di appello si salda con quella di primo grado, per formare un unico complessivo corpo argomentativo, allorquando – come nel caso in esame – i giudici del gravame, esaminando le censure proposte dall’appellante con criteri omogenei a quelli del primo giudice ed operando frequenti riferimenti ai passaggi logico giuridici della prima sentenza, concordino nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento della decisione (Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, COGNOME, rv. 257595).
5.2. Ciò doverosamente ricordato, va detto subito che la sentenza impugnata – in uno con quella del Tribunale, unitamente alla quale costituisce una “doppia conforme” – risulta congruamente motivata, quanto al profilo attinente alla dosimetria della pena. I Giudici di merito, infatti, non hanno affatto omesso di motivare sul punto, avendo preso in considerazione, anche ai fini dell’art. 133 cod. pen., le caratteristiche del fatto e la personalità del soggetto.
Il ricorso, del resto, si connota sul punto in termini di marcata genericità, limitandosi alla mera contestazione della impugnata decisione.
Alla luce delle considerazioni che precedono, si impone l’annullamento della sentenza impugnata limitatamente alla causa di non punibilità ex art. 131bis cod. pen., con rigetto dei motivi ulteriori.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen. e rinvia per nuovo giudizio sul punto ad altra Sezione della Corte di appello di Roma. Rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso in Roma, 17 ottobre 2024.