Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 34072 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3   Num. 34072  Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 21/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME‘ NOME, nato a Castellanza (Va) il DATA_NASCITA;
avverso la sentenza n. 5906 della Corte di appello di Milano del 12 novembre 2024;
letti gli atti di causa, la sentenza impugnata e il ricorso introduttivo;
sentita la relazione fatta dal AVV_NOTAIO COGNOME;
sentito il PM, in persona del AVV_NOTAIO, il quale ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
sentito, altresì, per il ricorrente l’AVV_NOTAIO, del foro di Como, che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 12 novembre 2024 la Corte di appello di Milano ha solo parzialmente confermato la sentenza del Tribunale di Como del 16 ottobre 2023 con la quale NOME era stato, per un verso, ritenuto responsabile del reato di cui all’art. 10 del dlgs n. 74 del 2000 per avere, nella qualità di legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE, occultato o distrutto una serie di fatture emesse negli anni 2013 e 2014 delle quali è, invece, obbligatoria la conservazione, mentre, per altro verso, lo stesso era stato assolto, con la formula della insussistenza del fatto, il relazione alla violazione dell’art. 8 del medesimo decreto legislativo per avere emesso, negli stessi anni, fatture relative ad operazioni inesistenti onde consentire a terzi l’evasione fiscale.
Nel riformare la sentenza di primo grado la Corte territoriale, secondo quanto riportato in dispositivo, riqualificava, con riferimento a n. 21 fatture, le quali risultavano essere state modificate nel loro importo, il reato contestato in quello di violazione dell’art. 3 del dlgs n. 74 del 2000, assolvendo in relazione ad esso il NOME per non essere il fatto previsto dalla legge come reato, atteso che la sommatoria delle fatture in questione non superava la soglia di punibilità per esso previsto, mentre per il resto confermava la sentenza di primo grado, lasciando altresì invariata la pena inflitta al prevenuto, nella misura di anni 1 di reclusione, corredata dai doppi benefici, non suscettibile di essere ridotta stante la sua già preesistente commisurazione nel minimo edittale e nella applicazione a corredo di essa delle circostanze attenuanti generiche già nella massima misura possibile.
Avverso la sentenza in questione ha presentato ricorso per cassazione, tramite proprio difensore fiduciario il NOME, affidando le proprie doglianze a quattro motivi di ricorso.
Un primo motivo attiene alla contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata avendo la Corte di appello escluso la responsabilità del prevenuto rispetto alla maggioranza delle condotte delittuose a lui attribuite, ma avendo poi motivato la conferma della condanna in relazione a solo sei altre fatture argomentando la propria decisione in funzione della attività svolta dall’imputato nella realizzazione delle condotte in ordine alle quali, però, lo stesso è stato assolto.
Il secondo motivo attiene alla violazione di legge ed al vizio di motivazione, atteso che la conferma della condanna è giustificata non in
relazione ad una condotta di distruzione ovvero di occultamento delle sei fatture in ordine alle quali la sentenza di primo grado è stata confermata ma in ragione della loro mancata esibizione agli organi accertatori, condotta che differisce rispetto a quella normativamente descritta nella disposizione precettiva che si assume essere stata violata.
Il terzo motivo riguarda la ritenuta violazione di legge in cui sarebbe incorsa !a Corte di appello nel confermare la sentenza di primo grado pur in mancanza della dimostrazione della sussistenza dell’elemento soggettivo, costituito dal dolo specifico, caratteristico del reato oggetto di contestazione.
Infine con il quarto motivo è lamentata la contraddittorietà della motivazione della sentenza, posto che in essa, da una parte si segnala che constatata la particolare tenuità del fatto residuo accertato ” la Corte di conseguenza proscioglie(ndo) l’appellante ai sensi dell’art. 131-bis cod. pen.”, mentre in una successiva parte della decisione esclude siffatta circostanza, attesi che la inscrizione della condotta contestata in una serie di altre condotte connotate da una elevata decettività fraudolenta, sebbene non punibile in quanto sotto soglia, e la commissione di altre condotte censurabili sotto il profilo amministrativo, non consente di ritenere la particolare tenuità dell’offesa arrecata dall’imputato al bene protetto dalla norma da lui violata. 
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso solo parzialmente fondato va, pertanto, accolto per quanto di ragione.
Esaminando i motivi di doglianza secondo l’ordine in cui gli stessi sono stati prospettati dalla ricorrente difesa, osserva il Collegio che il primo di essi è manifestamente infondato.
Il ricorrente, infatti, si lagna del fatto che, essendo stato il Sagù asso già in primo grado da una delle due imputazioni e lui contestate mentre in grado di appello anche la seconda imputazione è stata sensibilmente ridimensionata, risulterebbe contraddittoria ed illogica la conferma della sentenza di condanna per i fatti residui, la cui sussistenza è stata, invece, confermata in sede di merito.
Si tratta di argomento quanto meno fallace, posto che la integrazione del reato oggetto di affermazione della penale responsabilità – si tratta della fattispecie delittuosa di cui all’art. 10 del dlgs n. 74 del 2000 – non presuppone una quantità minima di documentazione, della quale sia
obbligatoria la conservazione, occultata o distrutta, di tal che la eventuale incidenza della condotta contestata anche su un unico documento sarebbe sufficiente ad integrare il reato in contestazione (salve, beninteso, le diverse vMutazioni in ordine alla offensività minima di una condotta di tal guisa, orientate in funzione della singola fattispecie in esame).
Nei termini illustrati il motivo di ricorso è chiaramente inammissibile.
In ordine al motivo successivo di ricorso, con il quale è denunziata la violazione di legge in cui sarebbero incorsi i giudici del merito nel ritenere integrato il reato di cui all’art. 10 del dlgs n. 74 del 2000, sebbene non constasse la prova dell’avvenuta distruzione ovvero dell’avvenuto occultamento delle sei fatture oggetto della contestazione in relazione alla quale il NOME è stato condannato, osserva il Collegio che è condotta idonea ad integrare il reato, sotto il profilo dell’avvenuto occultamento della documentazione contabile della quale è obbligatoria la conservazione, la semplice mancata volontaria ostensione di essa ai soggetti preposti alla esecuzione delle verifiche fiscali, non occorrendo, evidentemente, che siffatta documentazione sia stata oggetto un effettivo di nascondimento, ma essendo sufficiente che la stessa non sia stata volontariamente rammostrata, una volta richiesta, agli organi accertatori, essendo rimasta questa, in tale modo, occultata a costoro; nessun rilievo ha la circostanza che siffatta documentazione sia stata, tuttavia, acquisita dagli organi accertatori aliunde, posto che già la necessità di ricorrere a tale succedanea fonte informativa ha determinato un disservizio operativo agli organi accertatori tale da determinare il verificarsi dell’evento da cui dipende la sussistenza del reato (cfr.: Corte di cassazione, Sezione III penale, 26 settembre 2018, n. 41683, rv 274862-02, secondo la quale l’impossibilità di ricostruire il reddito od il volume d’affari derivante dalla distruzione o dall’occultamento di documenti contabili, elemento costitutivo del reato di cui all’art. 10 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 non deve essere intesa in senso assoluto, sussistendo anche quando è necessario procedere all’acquisizione della documentazione mancante presso terzi o aliunde).
Con riferimento al successivo terzo motivo di impugnazione, riguardante la ritenuta violazione di legge in ordine alla sussistenza dell’elemento soggettivo proprio del reato in contestazione ovvero alla contraddittorietà della motivazione della affermazione della penale responsabilità, rileva il Collegio che, diversamente da quanto sostenuto dalla parte ricorrente, la motivazione della Corte di appello non può dirsi contraddittoria in quanto in
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essa vendono valorizzate, ai fini della rilevazione dell’elemento soggettivo del dolo specifico, talune condotte penalmente irrilevanti; invero, la effettiva sussistenza di esse, ancorché le medesime non siano idonee ad integrare gli estremi dell’illecito penale, ben può essere indice, stante la loro sintomaticità (si tratta, è bene ricordarlo, di condotte non atte ad integrare gli estremi del reato non perché astrattamente lecite ma perché non tali da avere comportato il superamento della soglia di punibilità criminale), della direzione della volontà caratterizzante altre, diverse, condotte aventi, invece, esse sì rilevanza penale.
Fondato è, infine, il tcp -Tigt3 motivo di impugnazione, riguardante, in relazione alla violazione di legge eiga contraddittorietà della motivazione, la mancata applicazione al caso della ipotesi di non punibilità scaturente dall’art. 131-bis cod. pen.
Al riguardo vale la pena di segnalare, quale primo profilo problematico riveniente dalla sentenza censurata /il fatto che nella stessa motivazione del provvedimento in scrutinio si legge, una volta che la Corte territoriale aveva proceduto alla riqualificazione, per 21 della fatture di cui al capo di imputazione, del reato contestato da violazione dell’art. 10 del dlgs n. 74 del 2000 a violazione dell’art. 3 del medesimo testo normativa, essendo risultato che per esse il NOME aveva provveduto alla ostensione agli organi accertatori, sebbene le medesime presentassero delle alterazioni del loro contenuto.
Il mancato superamento della soglia di punibilità, come altrove accennato, ha, tuttavia, condotto per esse al proscioglimento del ricorrente.
La motivazione della sentenza impugnata, rilevato GLYPH il mancato superamento della soglia di punibilità in relazione alla porzione di imputazione oggetto di riqualificazione ha, per la restante parte / osservato che “la Corte ne constata la particolare tenuità, di conseguenza prosciogliendo l’appellante ai sensi dell’art. 131-bis cod. pen”.
Una tale affermazione non ha, però, trovato seguito né nel resto della motivazione della sentenza, né, peraltro, nel dispositivo di essa, nel quale, invece, la sentenza de! giudice di primo grado – ad eccezione dell’avvenuta derubricazione di parte della condotta e del conseguente proscioglimento in relazione ad essa del prevenuto – viene nel resto confermata.
Ritiene, peraltro, il Collegio di non potere dare, nell’occasione, seguito ‘all’orientamento giurisprudenziale secondo il quale, in caso di contrasto fra
parte motiva della sentenza e dispositivo di essa, deve attribuirsi a quest’ultimo, laddove non si tratti di contestuale redazione dei motivi della decisione e lettura pubblica del dispositivo (Corte di cassazione, Sezione IV penale, 2 dicembre 2019, n. 48766, rv 277876), la prevalenza in quanto è in esso che si manifesta la volontà provvedimentale della Autorità giudiziaria (così, fra le molte: Corte di cassazione, Sezione VI penale, 2 febbraio 2017, n. 7980, rv 269375), posto che le ragioni che la Corte di appello di Milano ha individuato, come si accennava, nella restante parte della motivazione a sostegno della impossibilità di applicare al caso la ipotesi di non punibilità prevista dall’art. 131-bis cod. pen. danno adeguatamente ragione di tale scelta.
Questa, infatti, è stata argomentata dalla Corte ambrosiana, che pure riconosce l’avvenuto occultamento di sole 6 fatture di scarso valore (effettivamente di queste una reca un importo inferiore a 10,00 euri, un’altra a 50,00 euri ed una terza è di poco superiore a 1.000,00 euri), in funzione del fatto che una siffatta condotta si inserirebbe in un articolato comportamento comprensivo di altre condotte, tuttavia penalmente irrilevanti in quanto aventi solo rilievo amministrativo, in relazione alle quali il prevenuto non avrebbe tenuto, post factum, comportamenti virtuosi; aggiunge ancora la Corte lombarda come tali elementi escluderebbero la irrilevanza della offesa in tale modo arrecata al bene interesse tutelato dalla norma in ipotesi violata.
Rileva il Collegio, pur consapevole del considerevole margine di discrezionalità spettante al giudice del merito in siffatta materia, che nella occasione il limite de quo sia stato travalicando, avendo la Corte territoriale valorizzato, ai fini della esclusione della particolare ténuità della offesa arrecata sotto il profilo penalistico all’interesse protetto dalla norma, fatti privi di rilevanza penale.
Invero, la circostanza che, ai fini della valutazione del presupposto ostativo del comportamento abituale, ai sensi dell’art. 131-bis, comma terzo, cod. pen., non va tenuto conto dei reati estinti ai sensi dell’art. 460, comma 5, cod. proc. pen., conseguendo all’estinzione del reato anche l’elisione di ogni effetto penale della condanna (Corte di cassazione, Sezione IV penale, 29 marzo 2021, n. 11732, rv 280705; nello stesso senso anche: Corte di cassazione, Sezione IV penale, 8 aprile 2024, n. 14073, rv 286175) – mentre può tenersi conto dei reati per i quali sia intervenuta la dichiarazione di estinzione per prescrizione in quanto ad essa non consegue la elisione di ogni effetto penale della sentenza a suo tempo dichiarativa della prescrizione
(Corte di cassazione, Sezione III penale, 7 settembre 2022, n. 32857, rv 283486) – deve far concludere che, a maggior ragione, non possa tenersi conto, al fine dianzi indicato, delle condotte che ab origine erano prive di rilevanza penale.
Parimenti errata è la avvenuta esclusione dell’applicazione dell’art. 131bis cod. pen. in ragione della ritenuta non “irrilevanza” della offesa arrecata al Sagù al bene interesse tutelato dalla norma in ipotesi violata; invero se la offesa fosse effettivamente irrilevante, cioè non percepibile, non saremmo nell’ambito della non punibilità del fatto, ma della sua reale insussistenza, essendo il requisito della offensività uno degli elementi effettivamente costitutivi del reato (in tale senso, nell’ambito della giurisdizione ordinaria e nella accidentata materia di cui al dPR n. 309 del 1990, cfr.: Corte di cassazione., Sezione VI penale, 9 febbraio 2016, n. 5254, rv 265641; Corte di cassazione, Sezione VI penale, 12 dicembre 1996, n. 10689, rv 206578), dovendo, invece, ritenersi applicabile la fattispecie invocata dal ricorrente laddove l’offesa al bene interesse tutelato, pur astrattamente sussistente, sia tuttavia di minima gravità o, comunque, di così lieve entità da non giustificare, quanto al caso concreto, la risposta punitiva dello Stato (in relazione alla diversità dei piani applicativi dell’art. 131-bis cod. pen. e del principio di inoffensività in concreto si veda: Corte di cassazione, Sezione VI penale, 9 febbraio 2016, n. 5252, rv 265642, nella quale è precisato che, nel primo caso il reato deve intendersi perfezionato in tutti i suoi elementi, fra questi compresa l’offensività).
Così come non rilevante ai fini della esclusione della non punibilità del fatto ai sensi dell’art. 131-bis cod. pen. deve ritenersi il fatto che il ricorrente abbia negato “i diritti dell’Erario”, dovendosi escludere che la mancata ammissione della propria colpevolezza possa essere elemento rilevante ai fini dianzi indicati, essendo l’eventuale opposta tesi in contrasto con il principio di civiltà giuridica secondo il quale nemo tenetur se detegere (sulla irrilevanza ai fini del godimento di possibili benefici della condotta dell’imputato, volta a negare la propria responsabilità, si veda, ancora attuale: Corte di cassazione, Sezione VI penale, 23 novembre 1972, n: 7788, rv 122423), mentre, per ciò che attiene al mancato ristoro del danno patito dall’Erario, si rileva che esso, tenuto conto dell’illecito contestato all’imputato – potendo questo realizzarsi anche in assenza di effettiva evasione fiscale (cfr. al riguardo: Corte di cassazione, Sezione III penale, 8 ottobre 2019, n. 41133; rv 277979) neppure risulta essere stato quantificato nel corso del giudizio svolto a carico
del prevenuto, di tal che non può essere a questo addebitato il mancato pagamento di qualcosa che neppure risulta essere stato liquidato.
La sentenza impugnata deve, pertanto, essere annullata limitatamente alla esclusione del beneficio di cui all’art. 131-bis cod. pen., con rinvio per nuova valutazione sul punto ad altra Sezione della Corte di appello di Milano, mentre nel resto la impugnazione del NOME va dichiarata inammissibile.
Conformemente alla giurisprudenza di questa Corte laddove, come nella occasione, ci si trovi di fronte ad un caso di annullamento con rinvio limitato alla verifica della sussistenza dei presupposti per l’applicazione della causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto, il giudice del rinvio non potrà dichiarare l’estinzione del reato per intervenuta prescrizione, maturata successivamente alla sentenza di annullamento parziale (Corte di cassazione, Sezione II penale, 16 maggio 2023, n. 20884, rv 284703). 
PQM
Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla causa di esclusione della punibilità ex art. 131-bis cod, pen. con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Milano.
Dichiara inammissibile il ricorso nel resto.
Così deciso in Roma, il 21 maggio 2025
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