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Particolare tenuità del fatto e spaccio: la Cassazione

Un individuo, trovato in possesso di 122 grammi di hashish e materiale per il confezionamento, ha sostenuto che la sostanza fosse per uso personale. La Corte di Cassazione ha rigettato il suo ricorso, confermando la condanna per spaccio. La sentenza chiarisce i criteri per escludere la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, distinguendola dall’ipotesi di reato di lieve entità, basandosi sulla quantità della sostanza e sulle modalità della condotta che suggerivano un’attività non occasionale.

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Pubblicato il 6 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Spaccio e Particolare Tenuità del Fatto: la Cassazione fa Chiarezza

Una recente sentenza della Corte di Cassazione affronta temi cruciali in materia di stupefacenti, delineando i confini tra uso personale e spaccio, e soprattutto distinguendo tra l’ipotesi di reato di ‘lieve entità’ e la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto. Il caso riguarda un uomo trovato con un significativo quantitativo di hashish, che secondo la sua difesa era destinato a una ‘scorta’ personale per le festività, anche a causa delle restrizioni anti-Covid. La Suprema Corte ha però confermato la condanna, offrendo importanti spunti interpretativi.

I fatti di causa

Durante una perquisizione domiciliare, le forze dell’ordine rinvengono nell’abitazione di un uomo circa 122 grammi di hashish, quantità dalla quale sarebbe stato possibile ricavare oltre 500 dosi singole. Oltre alla sostanza, vengono trovati strumenti tipicamente associati all’attività di spaccio: tre taglierini, un bilancino di precisione, un rotolo di cellophane e una somma di 1.340 euro. L’imputato si è sempre difeso sostenendo che la droga fosse per uso esclusivamente personale e che la quantità fosse giustificata dalla volontà di crearsi una scorta per le vacanze natalizie, periodo in cui erano in vigore restrizioni alla circolazione.

Le decisioni di merito e il ricorso in Cassazione

La Corte d’Appello, pur riformando la sentenza di primo grado, aveva riqualificato il reato nella fattispecie di lieve entità prevista dall’art. 73, comma 5, del Testo Unico Stupefacenti, rideterminando la pena. Contro questa decisione, la difesa ha proposto ricorso in Cassazione basato su tre motivi principali:
1. Un vizio di procedura relativo alla notifica dell’udienza d’appello.
2. Un’errata valutazione delle prove, che non avrebbero dimostrato la destinazione allo spaccio della sostanza.
3. La mancata applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall’art. 131-bis del codice penale.

La Decisione della Corte: Focus sulla Particolare Tenuità del Fatto

La Corte di Cassazione ha rigettato integralmente il ricorso, confermando la condanna. Le motivazioni della Corte sono di grande interesse, specialmente riguardo al terzo motivo di ricorso.

La validità della notifica e la prova dello spaccio

In primo luogo, la Corte ha ritenuto infondato il motivo procedurale, affermando che la notifica presso il difensore è legittima quando l’imputato risulta temporaneamente assente al domicilio dichiarato, senza che siano necessarie ulteriori e complesse indagini sulla sua reperibilità.

In secondo luogo, ha confermato che la valutazione dei giudici di merito sulla destinazione allo spaccio era logica e ben motivata. La convergenza di più elementi – il quantitativo ingente (524 dosi), il possesso di strumenti per pesare e confezionare, e l’assenza di un reddito stabile che giustificasse un acquisto così cospicuo – costituiva un quadro indiziario sufficiente a superare la tesi dell’uso personale.

Spaccio di lieve entità non significa automaticamente particolare tenuità del fatto

Il punto centrale della sentenza risiede nella netta distinzione tra la fattispecie attenuata dello spaccio di ‘lieve entità’ (art. 73, comma 5) e la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.). La difesa sosteneva che, avendo la Corte d’Appello riconosciuto la lieve entità, avrebbe dovuto considerare anche la non punibilità.

La Cassazione ha chiarito che si tratta di due istituti strutturalmente e teleologicamente diversi. Il primo identifica un fatto che, pur meno grave, merita comunque una sanzione penale. Il secondo, invece, individua un’offesa talmente esigua da rendere la pena superflua. Per escludere la particolare tenuità, la Corte ha valorizzato le modalità concrete della condotta: il possesso contestuale di droga e di tutto l’occorrente per il confezionamento faceva ipotizzare un’attività di spaccio continuativa e non meramente occasionale. Questa valutazione, secondo i giudici, è sufficiente a ritenere l’offesa non ‘tenue’, a prescindere dal fatto che il reato sia stato qualificato come di ‘lieve entità’.

Le motivazioni

La motivazione della Suprema Corte si fonda su principi consolidati. Per quanto riguarda la destinazione della sostanza, si ribadisce che la prova dello spaccio può essere desunta da un insieme di elementi indiziari (quantità, modalità di conservazione, strumenti, situazione economica dell’imputato) la cui valutazione complessiva è riservata al giudice di merito e non può essere riesaminata in sede di legittimità se la motivazione è logica e coerente.

Sul tema della particolare tenuità del fatto, la sentenza è ancora più netta. I giudici spiegano che il riconoscimento dell’ipotesi lieve di cui al comma 5 dell’art. 73 non implica in alcun modo un giudizio di tenuità ai sensi dell’art. 131-bis c.p. La valutazione per quest’ultimo istituto si basa sulla gravità complessiva dell’offesa, sull’entità del danno o del pericolo e sul carattere non abituale della condotta. Nel caso di specie, le modalità della detenzione (che implicavano la preparazione di dosi e quindi un’organizzazione per la vendita) sono state ritenute indicative di un’offensività superiore alla soglia della ‘tenuità’. Inoltre, la Corte ha specificato che, una volta accertata la gravità concreta del fatto, il giudice non è tenuto a esaminare ulteriori elementi come la condotta successiva al reato, a meno che questa non incida direttamente a ridurre la gravità dell’offesa originaria (ad esempio, con condotte riparatorie).

Le conclusioni

Questa pronuncia della Cassazione offre due importanti indicazioni pratiche. In primo luogo, conferma che la difesa basata sull’uso personale, di fronte a quantitativi significativi e alla presenza di strumenti per il confezionamento, ha scarse possibilità di successo se non supportata da prove concrete della capacità economica dell’imputato e di un effettivo consumo personale. In secondo luogo, e soprattutto, stabilisce un chiaro confine tra il ‘fatto di lieve entità’, che rimane un reato punibile (seppur con una pena minore), e la particolare tenuità del fatto, che è una causa di esclusione della punibilità. La sola qualificazione del reato come ‘lieve’ non è sufficiente per invocare la non punibilità, essendo necessario dimostrare che le modalità concrete della condotta siano state talmente minime da non giustificare l’intervento del diritto penale.

Quando è valida la notifica presso il difensore se l’imputato non viene trovato a casa?
Secondo la Corte, la notifica presso il difensore ai sensi dell’art. 161, comma 4, c.p.p. è legittima anche in caso di temporanea assenza dell’imputato al momento dell’accesso dell’ufficiale notificatore al domicilio dichiarato, senza che sia necessaria un’indagine approfondita per accertarne l’irreperibilità.

Quali elementi distinguono la detenzione per spaccio da quella per uso personale?
La sentenza ribadisce che la distinzione si basa su una valutazione complessiva di più elementi indiziari. Nel caso specifico, sono stati considerati decisivi: il quantitativo della sostanza (sufficiente per 524 dosi), il rinvenimento di strumenti per pesare e confezionare (bilancino, taglierini, cellophane) e l’assenza di fonti di reddito stabili che potessero giustificare l’acquisto per mero uso personale.

Il fatto che un reato di spaccio sia qualificato come ‘di lieve entità’ significa che è anche di ‘particolare tenuità’?
No. La Corte di Cassazione chiarisce che si tratta di due concetti diversi. Il ‘fatto di lieve entità’ (art. 73, comma 5) è una fattispecie di reato meno grave ma comunque punibile. La ‘particolare tenuità del fatto’ (art. 131-bis c.p.) è una causa di non punibilità. Le modalità concrete della condotta, come il possesso di strumenti che indicano un’attività continuativa, possono escludere la tenuità anche se il fatto è stato qualificato come lieve.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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