Particolare tenuità del fatto e recidiva: quando il beneficio non si applica
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 10342 del 2024, torna a pronunciarsi sui confini applicativi della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto. La decisione chiarisce che la presenza di una recidiva reiterata e un danno effettivo alle finanze dello Stato sono elementi sufficienti a escludere il beneficio, anche se il reato in sé potrebbe apparire di modesta entità.
I Fatti del Caso
Il caso trae origine dal ricorso presentato da un individuo avverso una sentenza della Corte d’Appello che aveva confermato la sua condanna. La difesa del ricorrente lamentava il mancato riconoscimento della causa di non punibilità prevista dall’articolo 131-bis del codice penale, sostenendo la tenuità del fatto commesso. Nello specifico, la condotta illecita consisteva nell’aver goduto per circa un anno di un beneficio economico non dovuto, causando un danno alle finanze pubbliche.
La Corte d’Appello aveva già respinto tale richiesta, valorizzando la recidiva reiterata ed infraquinquennale dell’imputato.
La Decisione della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile. I giudici di legittimità hanno ritenuto che il motivo di ricorso fosse una mera riproposizione di argomenti già correttamente valutati e disattesi nel giudizio di merito. Secondo la Corte, il ricorrente non si è confrontato in modo critico con la motivazione della sentenza d’appello, che è stata giudicata logica, congrua e corretta in punto di diritto.
Di conseguenza, il ricorso è stato respinto e il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria di tremila euro a favore della cassa delle ammende.
Le Motivazioni: la valutazione complessa della particolare tenuità del fatto
Il fulcro della decisione risiede nelle motivazioni con cui la Cassazione ha confermato l’esclusione del beneficio della particolare tenuità del fatto. La Corte ha ribadito che il giudizio sulla tenuità non può essere superficiale, ma richiede una valutazione complessa e congiunta di tutti gli elementi della fattispecie concreta. Come stabilito dalle Sezioni Unite (sent. Tushaj, n. 13681/2016), tale valutazione deve tenere conto dei parametri indicati dall’art. 133, comma 1, del codice penale, ovvero:
1. Le modalità della condotta: Come è stato commesso il reato.
2. Il grado di colpevolezza: L’intensità dell’intenzione o della negligenza.
3. L’entità del danno o del pericolo: Le conseguenze concrete dell’azione.
Nel caso specifico, due elementi sono stati determinanti per negare il beneficio:
* La recidiva: La condizione di recidivo reiterato, sebbene non sia un ostacolo assoluto all’applicazione dell’art. 131-bis, è stata considerata un “sentore della proclività dell’imputato a commettere delitti”. Questa tendenza a delinquere è incompatibile con un giudizio di particolare tenuità del fatto.
* Il disvalore dell’omissione: L’aver percepito indebitamente un beneficio per circa un anno ha prodotto un danno concreto alle finanze dello Stato. Questo “disvalore” dell’azione è stato ritenuto sufficiente a superare la soglia della tenuità.
Conclusioni: le implicazioni pratiche della sentenza
L’ordinanza in esame rafforza un principio fondamentale: la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto non è un automatismo applicabile a tutti i reati di modesta entità. È una valutazione discrezionale del giudice, che deve essere ancorata a un’analisi completa della personalità del reo e delle conseguenze della sua condotta. La presenza di precedenti penali significativi, come la recidiva reiterata, e di un danno apprezzabile per la vittima (in questo caso, lo Stato) sono indicatori che depongono contro la concessione del beneficio. La decisione serve quindi da monito, sottolineando che l’abitualità nel commettere reati e la concretezza del pregiudizio causato sono elementi che pesano in modo decisivo nella valutazione complessiva della gravità del fatto.
La recidiva impedisce sempre l’applicazione della particolare tenuità del fatto?
No, la recidiva non è di per sé un ostacolo assoluto, ma costituisce un forte indizio della proclività dell’imputato a commettere delitti e deve essere valutata insieme agli altri elementi del caso concreto per decidere se concedere o negare il beneficio.
Quali elementi considera il giudice per valutare la particolare tenuità del fatto?
Il giudice deve compiere una valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie, tenendo conto, ai sensi dell’art. 133, co. 1, cod. pen., delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza e dell’entità del danno o del pericolo che ne è derivato.
Perché il ricorso in Cassazione è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché riproduceva profili di censura già adeguatamente esaminati e respinti dalla corte d’appello, senza confrontarsi in modo critico con le argomentazioni logiche e giuridicamente corrette poste a base della decisione impugnata.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 10342 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 10342 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 21/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a MONDRAGONE il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 28/02/2023 della CORTE APPELLO di NAPOLI
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Motivi della decisione
COGNOME NOME ricorre, a mezzo del difensore, avverso la sentenza di cui in epigrafe deducendo violazione di legge e/o vizio motivazionale in relazione al mancato riconoscimento della causa di non punibilità di cui al 131-bis cod. pen.
Chiede, pertanto, annullarsi la sentenza impugnata.
Il motivo in questione non è consentito dalla legge in sede di legittimità perché riproduttivo di profili di censura già adeguatamente vagliati e disattesi con corretti argomenti giuridici dal giudice di merito e non scandito da necessaria critica analisi delle argomentazioni poste a base della decisione impugnata.
Ne deriva che il proposto ricorso va dichiarato inammissibile.
Il ricorrente, in concreto, non si confronta adeguatamente con la motivazione della corte di appello, che appare logica e congrua, nonché corretta in punto di diritto -e pertanto immune da vizi di legittimità.
I giudici del gravame del merito, hanno dato infatti conto che ostava al riconoscimento della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto la recidiva reiterata ed infraquinquennale ritenuta in prime cure in quanto, sebbene non di per sé ostativa, costituisce sentore della proclività dell’imputato a commettere delitti ed va valutata unitamente al disvalore dell’omissione perpetrata dall’imputato, avendo egli goduto per circa un anno di un beneficio non dovuto con conseguente danno alle finanze dello Stato.
La sentenza, dunque, si colloca nell’alveo del dictum delle Sezioni Unite di questa Corte secondo cui il giudizio sulla tenuità richiede una valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie concreta, che tenga conto, ai sensi dell’art. 133, co. 1, cod. pen., delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza da esse desumibile e dell’entità del danno o del pericolo (Sez. Un. n. 13681 del 25/2/2016, Tushaj, Rv. 266590).
Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Così deciso in Roma il 21 febbraio 2024.