Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 23208 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 23208 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 22/05/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME, nato a Roma il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 15/02/2023 della Corte d’appello di Roma letti gli atti, il ricorso e la sentenza impugnata; udita la relazione del consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del pubblico ministero in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso per il rigetto del ricorso; lette le conclusioni del difensore AVV_NOTAIO, che ha chiesto l’accoglimento
del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Il difensore di COGNOME NOME ricorre avverso la sentenza indicata in epigrafe con la quale la Corte di appello di Roma ha confermato quella emessa il 14 settembre 2018 dal Tribunale di Roma, che aveva affermato la responsabilità dell’imputato per il reato di evasione.
Ne chiede l’annullamento per due motivi.
1.1. Con il primo motivo denuncia vizi di motivazione in relazione all’elemento soggettivo del reato per mancata valutazione degli elementi indicati nei motivi nuovi nei quali si evidenziava l’assenza di volontà di sottrarsi alla detenzione, stante il ritardo di 40 minuti nel rientro presso l’abitazione dovuto ad un errore di valutazione dei tempi necessari a raggiungerla. Si sostiene che la condotta negligente, sussumibile nella colpa cosciente, non è sorretta dalla volontà di sottrarsi all’esecuzione della misura, ma contraddittoriamente la Corte di appello, pur riconducendo la condotta nell’ambito dell’imprudenza, ha ritenuto sussistente il dolo e non ha motivato sulla riconducibilità della condotta nell’ipotesi di mera trasgressione delle prescrizioni ex art. 276 cod. proc. pen., collocandosi la condotta nella fascia oraria autorizzata dal Tribunale di Sorveglianza.
1.2. Con il secondo motivo denuncia la violazione dell’art. 131-bis cod. pen. per avere la Corte di appello ritenuto ostativi i precedenti penali dell’imputato, non dichiarato delinquente abituale e gravato da precedenti risalenti.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato limitatamente al secondo motivo, inammissibile nel resto.
1.1. È inammissibile il primo motivo, in quanto diretto a prospettare una lettura alternativa del fatto e ad inquadrare diversamente la condotta del COGNOME, riconducendo il ritardato rientro nell’abitazione, dapprima, ad un caso di forza maggiore e, successivamente, ad un errore di valutazione sui tempi necessari a raggiungerla a causa del traffico intenso e della ricerca di un parcheggio. Già tale impostazione consente di rilevare che le censure difensive hanno inizialmente investito l’elemento oggettivo del reato per poi virare su quello soggettivo, ma entrambe le prospettazioni riduttive risultano motivatamente respinte in sentenza.
La Corte di appello ha correttamente escluso l’applicabilità al condannato che espia la pena in regime di detenzione domiciliare dell’art. 30 ordinamento penitenziario, espressamente invocato nell’atto di appello- al pari dell’art. 47sexies, comma 2, ordinamento penitenziario-, e, alla luce dell’accertato ritardo nel rientro nel luogo di detenzione, ha valorizzato il mancato rispetto delle prescrizioni, nonostante gli ampi margini di movimento consentiti al ricorrente e la possibilità di organizzarsi per tempo.
I giudici di merito hanno fatto corretta applicazione dei principi affermati da questa Corte secondo i quali integra il reato di evasione la violazione delle prescrizioni previste per il regime della detenzione domiciliare, in quanto ad
essa non è applicabile il regime previsto per la semilibertà, che prevede un periodo di “assenza tollerata”, quantificato in dodici ore, entro il quale l sanzione prevista in caso di ritardato rientro in istituto non è di natura penale, ma solo disciplinare (Sez. 6, n. 48547 del 21/10/2009, Pitorri, Rv. 245533). Si è inoltre, precisato che risponde del reato di evasione, e non della semplice trasgressione delle prescrizioni ex art. 276 cod. proc. pen., il sottoposto agli arresti domiciliari che rientri a casa dal lavoro con un breve ritardo rispetto all’orario consentito (Sez. 6, orci. n. 51855 del 19/10/2017, Tassinari, Rv. 271361) e ciò in ragione della equiparazione della misura detentiva domiciliare alla custodia in carcere, sicché le limitazioni di spazio, movimento e relazioni tipiche di detta misura sono riprodotte in caso di detenzione domiciliare e qualunque forma di sottrazione o elusione della misura integra il reato di evasione, anche se l’agente non abbia inteso sottrarsi in via definitiva alla misura. Ne deriva che la non corretta esecuzione della misura, sorretta dalla consapevolezza di fruire di margini di movimento e libertà che sarebbero preclusi nel caso di detenzione in carcere comporta che l’allontanamento dal domicilio o il farvi rientro al di fuori dell’orario consentito non può essere equiparato ad una mera violazione delle prescrizioni attinenti agli obblighi imposti con la misura domiciliare, dal momento che la permanenza del soggetto nel suo domicilio costituisce l’obbligo essenziale del sottoposto alla misura e non una semplice imposizione inerente ad esso.
Diversamente, è fondato il secondo motivo, risultando erronea nonché carente la motivazione che ha escluso la particolare tenuità del fatto, ritenendo ostativa l’abitualità della condotta, desunta dai precedenti penali dell’imputato, neppure indicati né esaminati al fine di evidenziarne l’identica indole.
Ribadito che, come stabilito da questa Corte (Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016, Tushaj, Rv. 266591), il presupposto ostativo alla configurabilità della causa di non punibilità prevista dall’art. 131-bis cod. pen. del comportamento abituale ricorre quando l’autore, anche successivamente al reato per cui si procede, ha commesso almeno due illeciti, oltre quello preso in esame, l’accertamento può estendersi sia ad illeciti non oggetto di condanna irrevocabile o ancora in fase di accertamento, sia a comportamenti successivi. Si è, infatti, ritenuto che il comportamento abituale ricorre quando l’autore, anche successivamente al reato per cui si procede, abbia commesso almeno altri due reati della stessa indole, incidentalmente accertabili da parte del giudice procedente. Occorre, cioè, che sia riscontrabile una serialità o ripetitività dell condotte tale da indicare l’abitualità del comportamento dell’imputato ostativa all’applicazione della causa di non punibilità, ma tale valutazione è del tutto assente nel caso di specie, essendosi la Corte di appello limitata a ritenere
ostativi i precedenti penali, benché relativi a reati estinti per prescrizione, senz verificare se in concreto i reati presentino caratteri fondamentali comuni.
Ne deriva che il mero richiamo ai precedenti penali non è sufficiente a giustificare il mancato riconoscimento dell’esimente, in quanto i precedenti penali possono assumere valenza ostativa solo ove l’imputato risulti essere stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza, oppure abbia commesso più reati della stessa indole (Sez. 6, n. 605 del 03/12/2019, dep. 2020, Alberto, Rv. 278095).
Per le ragioni esposte la sentenza impugnata va annullata limitatamente alla causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen. con rinvio ad alt sezione della Corte di appello di Roma per nuovo giudizio sul punto.
P. Q. M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Roma.
Così deciso, 22 maggio 2024