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Particolare tenuità del fatto e guida senza patente

Un soggetto condannato per guida senza patente reiterata nel biennio ricorre in Cassazione chiedendo l’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto. La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, stabilendo che la ripetizione della condotta e la presenza di altre violazioni (guida di veicolo sequestrato e senza assicurazione) sono elementi sufficienti a escludere il beneficio, rendendo irrilevante ogni altra valutazione sulla personalità dell’imputato.

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Pubblicato il 28 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Guida senza patente: quando non si applica la particolare tenuità del fatto

La Corte di Cassazione, con una recente sentenza, è tornata a pronunciarsi sui limiti di applicabilità della particolare tenuità del fatto, un istituto giuridico che consente di escludere la punibilità per reati considerati di modesta gravità. Il caso analizzato riguarda un soggetto condannato per guida senza patente con recidiva nel biennio, che si era visto negare il beneficio dai giudici di merito. La decisione offre spunti cruciali per comprendere come la reiterazione di una condotta illecita e la presenza di altre violazioni possano precludere l’accesso a questa causa di non punibilità.

Il caso: la condanna per guida senza patente reiterata

La vicenda processuale ha origine dalla condanna di un individuo, in primo grado e in appello, per il reato previsto dall’art. 116, comma 15, del Codice della Strada. L’imputato era stato sorpreso alla guida di un veicolo senza aver mai conseguito la patente, e la sua condotta assumeva particolare rilievo in quanto commessa con recidiva specifica nel biennio. Nonostante la condanna a una pena (sospesa) di venti giorni di arresto e 2.000 euro di ammenda, l’imputato decideva di rivolgersi alla Corte di Cassazione.

Il ricorso in Cassazione e la questione della particolare tenuità del fatto

Il motivo centrale del ricorso era incentrato sulla violazione dell’art. 131-bis del codice penale. Secondo la difesa, la Corte d’Appello aveva erroneamente negato il riconoscimento della particolare tenuità del fatto. L’argomentazione difensiva evidenziava una presunta contraddizione nella motivazione della sentenza impugnata: da un lato, si negava la tenuità del fatto sulla base di presunti precedenti penali; dall’altro, si concedeva la sospensione condizionale della pena, affermando che l’imputato fosse un soggetto incensurato. Questa illogicità, secondo il ricorrente, avrebbe dovuto portare all’applicazione del beneficio richiesto.

L’inammissibilità del motivo secondo la Suprema Corte

Prima di entrare nel merito, la Cassazione ha rilevato un profilo di inammissibilità del ricorso. I giudici hanno sottolineato come il motivo di appello fosse una mera riproposizione delle censure già presentate e respinte dalla Corte d’Appello, senza un confronto critico con le argomentazioni di quest’ultima. Un ricorso che si limita a ripetere le stesse doglianze, senza attaccare specificamente la logica della decisione impugnata, fallisce il suo scopo e viene considerato inammissibile.

Le motivazioni sulla particolare tenuità del fatto

Nonostante l’inammissibilità, la Corte ha comunque esaminato la fondatezza del motivo, rigettandolo. La valutazione sulla particolare tenuità del fatto, ai sensi dell’art. 131-bis c.p., deve essere condotta sulla base dei criteri dell’art. 133, comma 1, c.p., che includono la gravità del danno e la capacità a delinquere del reo. I giudici di appello avevano correttamente valorizzato, in senso negativo, la circostanza che l’imputato fosse stato nuovamente sorpreso alla guida senza patente, dopo una precedente condanna per i medesimi fatti. Questa reiterazione della condotta illecita è un indice fondamentale che depone contro la tenuità dell’offesa.

Inoltre, la Corte ha smontato la tesi della contraddittorietà della motivazione. Anche a prescindere dalla discussione sui precedenti penali, la decisione di negare il beneficio era ampiamente giustificata da altri elementi dirimenti. L’imputato, infatti, non si era limitato a guidare senza patente, ma lo aveva fatto a bordo di un motociclo già sottoposto a sequestro e fermo amministrativo, e per di più privo della copertura assicurativa RCA. Queste ulteriori violazioni, considerate nel loro insieme, delineano un quadro di disprezzo per le regole che è del tutto incompatibile con il concetto di “particolare tenuità”. Si tratta di una valutazione di merito che, se immune da vizi logici come in questo caso, non può essere sindacata in sede di legittimità.

Le conclusioni

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso e condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali. La sentenza ribadisce un principio fondamentale: la particolare tenuità del fatto non è un beneficio automatico, ma il risultato di una valutazione complessiva della condotta. La recidiva specifica e la commissione di ulteriori violazioni contestuali al reato principale sono elementi di gravità che possono, e in questo caso hanno, legittimamente condotto il giudice a escludere l’applicazione dell’art. 131-bis c.p. La decisione serve da monito: la ripetizione di comportamenti illeciti, anche se singolarmente di modesta entità, dimostra una persistenza nella violazione della legge che osta al riconoscimento di qualsiasi particolare tenuità.

È possibile ottenere il beneficio della particolare tenuità del fatto se si viene sorpresi a guidare senza patente per la seconda volta?
No, la sentenza chiarisce che la reiterazione della stessa condotta (guidare senza patente dopo una precedente condanna per lo stesso reato) è un elemento che può essere ritenuto sufficiente per escludere l’applicabilità del beneficio della particolare tenuità del fatto.

Quali altri elementi ha considerato la Corte per negare la particolare tenuità del fatto?
Oltre alla condotta reiterata, la Corte ha ritenuto dirimenti altre circostanze aggravanti: il fatto che l’imputato stesse guidando un motociclo già sottoposto a sequestro e a fermo amministrativo e che il veicolo fosse privo della copertura assicurativa RCA obbligatoria.

Una presunta contraddizione nella motivazione della sentenza d’appello è sufficiente per ottenerne l’annullamento in Cassazione?
No. In questo caso, la Cassazione ha ritenuto irrilevante la contestata contraddittorietà del provvedimento impugnato, poiché la decisione di escludere il beneficio era comunque solidamente fondata su altre circostanze decisive e logicamente motivate, sufficienti di per sé a giustificare il rigetto della richiesta.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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