Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 37921 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 37921 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 19/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a VILLARICCA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 18/12/2024 della CORTE APPELLO di ROMA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 18/12/2024, la Corte di appello di Roma, in parziale riforma della pronuncia di primo grado del Tribunale di Rieti, rideterminava la pena infl a COGNOME in C 2.000,00 di ammenda per il reato di cui all’art. 5 dell Legge 30 aprile 1962, n. 283, confermando nel resto la declaratoria responsabilità. All’imputato era stato contestato di aver detenuto per la ven in qualità di legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE, prodotti alimentari in c stato di conservazione all’interno dell’esercizio commerciale “ARCOBALENO”.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per tassazione l’imputato, mezzo del difensore di fiducia, denunciando, con un unico motivo di impugnazione, la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) c.p.p., in relazione all’art. 131 La difesa sostiene che la Corte territoriale avrebbe erroneamente nega l’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del
nonostante la sussistenza di tutti i presupposti di legge. Si argomenta che, in assenza di accertamenti tecnici di laboratorio, non vi sarebbe prova del cattivo stato di conservazione degli alimenti, che la quantità degli stessi era esigua e che le testimonianze a discarico avrebbero chiarito la natura meramente temporanea e occasionale delle irregolarità contestate. Si contesta, inoltre, la riconducibilità della responsabilità al legale rappresentante, oberato dalla gestione di plurimi locali, e si invoca la possibilità per la Corte di cassazione di applicare direttamente la causa di non punibilità, richiamando a tal fine alcune pronunce di legittimità.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è manifestamente infondato e, pertanto, inammissibile.
L’unico motivo di ricorso, pur formalmente rubricato come violazione di legge in relazione all’art. 131-bis c.p., si risolve, nella sua sostanza, in una richiesta rivalutazione del compendio probatorio e del giudizio di merito, operazione preclusa in sede di legittimità.
È principio consolidato nella giurisprudenza di questa Suprema Corte che la valutazione circa la sussistenza in concreto dei presupposti per l’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto è rimessa al giudice di merito, il cui apprezzamento non è sindacabile in sede di legittimità se sorretto da motivazione congrua, immune da vizi logici e rispettosa dei principi di diritto. Il controllo della Corte di cassazione è limitato alla verifica della correttezza del percorso argomentativo adottato dal giudice di merito, senza possibilità di sovrapporre una diversa interpretazione delle risultanze processuali (cfr., ex plurimis, Sez. 6, n. 55107 del 08/11/2018, COGNOME, Rv. 274647 – 01; Sez. 7, Ord. n. 10481 del 19/01/2022, COGNOME, Rv. 283044 – 01).
Nel caso di specie, la Corte territoriale ha fornito una motivazione ampia, coerente e priva di qualsivoglia illogicità manifesta nel rigettare la richiesta d applicazione dell’art. 131-bis c.p.. Il giudice del gravame, lungi dall’omettere la valutazione richiesta, ha esplicitamente esaminato i presupposti della causa di non punibilità, concludendo per la loro insussistenza sulla base di precisi elementi fattuali emersi dall’istruttoria dibattimentale.
In particolare, la sentenza impugnata ha evidenziato come l’offesa non potesse essere qualificata di “minima entità” in ragione di circostanze specifiche e tutt’altro che trascurabili. Si legge nella motivazione che gli accertamenti avevano evidenziato “la presenza di un quantitativo notevole di mozzarelle (circa tre chili e mezzo) e la mancanza di idonei macchinari per la conservazione della carne (peraltro scaduta)”. Da tali elementi, la Corte territoriale ha desunto, con un ragionamento logico e non censurabile, che non si trattasse di “isolate irregolarità
ma che gli errati metodi di conservazione dei cibi fossero usuali all’interno dell’esercizio commerciale”.
Le argomentazioni difensive riproposte nel ricorso – quali l’assenza di analisi di laboratorio, la valenza delle testimonianze a discarico o l’impossibilità per il legale rappresentante di essere onnipresente – costituiscono una mera riproposizione delle censure già vagliate e motivatamente disattese dalla Corte di appello. La Corte territoriale ha infatti chiarito, con motivazione congrua, che la prova del cattivo stato di conservazione può essere desunta anche da un controllo visivo di personale competente e che la responsabilità gestionale e di autocontrollo gravava sull’imputato quale legale rappresentante.
Per le ragioni esposte, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Alla declaratoria di inammissibilità consegue, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende, somma che si ritiene equa in relazione alla natura delle censure proposte.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di C 3.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende
Così deciso il 19/9/2025