Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 10483 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 10483 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 29/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a ESTE il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 15/05/2023 della CORTE APPELLO di VENEZIA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; letta la requisitoria del Procuratore generale, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
letta la memoria del difensore, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso ( -,.’
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di appello di Venezia, con la sentenza indicata in epigrafe, ha confermato la pronuncia con la quale il 29/09/2020 il Tribunale di Rovigo aveva dichiarato COGNOME NOME responsabile del reato previsto dall’art. 187, comma 8, in relazione all’art. 186, comma 7, d. Igs. 30 aprile 1992, n. 285 perché, còlto alla guida dell’autovettura Seat Ibiza in condizioni di alterazione fisica e psichica correlata all’uso di sostanze stupefacenti, evidenziata da occhi lucidi e arrossati e guida incerta, aveva rifiutato di sottoporsi ad accertamenti clinico-tossicologici finalizzati alla verifica dell’uso di sostanze. In Giacciano con NOME il 29 novembre 2017.
2. Avverso tale sentenza NOME COGNOME propone ricorso deducendo, con il primo motivo, vizio di motivazione ed error in iudicando nell’applicazione dell’art. 157 cod. pen.; violazione dell’art. 2, comma 4, cod. pen., 25, comma 2, Cost., 7 CEDU e 49 Cdfue. Secondo la difesa, il giudice di merito ha errato nel ritenere che il reato, commesso il 29 novembre 2017, non fosse prescritto, applicando il regime transitorio introdotto dalla c.d. legge Orlando e computando nel termine prescrizionale un periodo di sospensione di 18 mesi. La legge Cartabia ha introdotto l’art. 344 bis cod. proc. pen. che, attraverso una norma processuale, ha nuovamente modificato i termini di prescrizione. Applicando la nuova disposizione all’impugnazione proposta dal ricorrente, se ne sarebbe dovuta dichiarare l’improcedibilità, essendo decorso il termine biennale tra la sentenza di primo grado e la definizione del giudizio di appello. La nuova disciplina, risultando più favorevole, si sarebbe dovuta applicare retroattivamente ai sensi dell’art. 2, comma 4, cod. pen. pronunciando l’improcedibilità dell’azione penale; altrimenti, si assume, se la legge Cartabia si dovesse considerare meno favorevole, si sarebbe dovuto dichiarare prescritto il reato, non potendosi applicare un regime intermedio, altrimenti dovendo rimettere gli atti alla Corte Costituzionale per la violazione dell’art. 25, comma 2, Cost. e dell’art. 49 Cdfue.
2.1. Con il secondo motivo deduce vizio di motivazione ed error in procedendo per violazione dell’art. 114 disp. att. cod. proc. pen., 178 lett. c), 62 e 191 cod. proc. pen. La difesa contesta quanto affermato dalla Corte territoriale secondo la quale i testi di polizia giudiziaria sono attendibili e l’avviso di c all’art. 114 disp. att. cod. proc. pen. non necessita di forma scritta e comunque non sarebbe dovuto quando è contestato il rifiuto A; sottoporsi al test alcolimetrico. Dai verbali redatti dalla polizia giudiziaria non emerge in alcun modo che tale avviso sia stato dato ma i giudici di merito hanno ritenuto
superata la pacifica mancanza formale dell’avviso mediante la deposizione orale resa in dibattimento da due testi di polizia giudiziaria. Con riguardo alla superfluità di tale passaggio procedurale, la difesa sostiene che l’avviso di farsi assistere da un difensore abbia una sua ragion d’essere solo se viene dato nel momento della richiesta dell’autorità di sottoporsi agli accertamenti, dunque precede logicamente e cronologicamente l’eventuale rifiuto del soggetto che riceve la richiesta.
2.2. Con il terzo motivo deduce vizio di motivazione in relazione agli artt. 192, comma 1, e 546 lett. e) cod. proc. pen. Secondo la difesa la sentenza è carente di motivazione sul punto dell’attendibilità dei testi di polizia giudiziaria merito alla circostanza di avere dato l’avviso di cui all’art. 114 disp. att. cod proc. pen.
2.4. Con il quinto motivo deduce errore di diritto in punto di riconoscimento della circostanza di cui all’art. 62 bis cod. pen. La difesa si duole del fatto che i giudici di merito abbiano negato l’applicazione della circostanza attenuante in parola sull’erroneo presupposto che l’imputato fosse gravato da plurimi precedenti penali (nove episodi) sebbene l’imputato abbia patteggiato un unico , reato ben oltre cinque anni prima, a meno di non interpretare contra reum l’istituto della continuazione.
Il Procuratore generale, con requisitoria scritta, ha concluso per il rigetto del ricorso.
Il difensore del ricorrente ha depositato memoria con motivi che sviluppano le doglianze contenute nel ricorso, nonché note conclusionali, insistendo per l’accoglimento dell’impugnazione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
del quale il corso della prescrizione cessa definitivamente con la pronuncia della sentenza di primo grado. La stessa legge ha introdotto, solo per i reati commessi a far data dal 1 gennaio 2020 (ai sensi dell’art.2 comma 3), con l’art. 344 bis cod. proc. pen., l’improcedibilità dell’azione penale in caso di mancata definizione del giudizio di appello e di cassazione entro il termine, rispettivamente, di due anni e di un anno, decorrenti dal novantesimo giorno successivo alla scadenza del termine previsto dall’art.544 cod. proc. pen., eventualmente prorogato ai sensi dell’art. 154 disp. att. cod. proc. pen.; termini prorogabili con ordinanza nei casi previsti dall’art. 344 bis, comma 4, cod. proc. pen. Con riferimento alla diversa disciplina della prescrizione dettata dalla c.d. legge Orlando e dalla c.d. legge Bonafede, ha precisato la citata Sez. 4, n. 39170/2023, non si è verificato il fenomeno della successione delle leggi penali nel tempo, regolamentato dall’art. 2 cod. pen., posto che le leggi che si sono succedute contengono la previsione della loro applicabilità ai reati commessi a decorrere da una certa data. Con riferimento alla richiesta della difesa di sollevare la questione di legittimità costituzionale del sistema, tale questione, con riguardo all’applicabilit dell’istituto dell’improcedibilità (peraltro, di carattere processuale) è stata g ritenuta manifestamente infondata. In particolare, in relazione all’art. 344 bis cod. proc. pen. per contrasto con gli artt. 3, 25 e 111 Cost., nella parte in cui limita ai procedimenti relativi ai reati commessi a far data dal primo gennaio 2020 l’improcedibilità delle impugnazioni per superamento del termine di durata massima del giudizio di legittimità. Si è, a tal proposito, ritenuto che l limitazione cronologica dell’applicazione di tale causa di improcedibilità, alla quale consegue la non punibilità delle condotte, sia frutto di una scelta discrezionale del legislatore, giustificata dalla diversità delle situazioni, coerent con la riforma introdotta dalla legge 9 gennaio 2019, n. 3, in materia di sospensione del termine di prescrizione nei giudizi di impugnazione, egualmente applicabile ai soli reati commessi a decorrere della suddetta data, essendo ragionevole la graduale introduzione dell’istituto per consentire un’adeguata organizzazione degli uffici giudiziari (Sez. 3, n. 1567 del 14/12/2021, dep. 2022, Tana, Rv. 282408). Un fenomeno di successione di leggi penali nel tempo si è, invece, verificato con riferimento all’abrogazione, a opera dell’art.2 comma 1 lett. a), d.lgs. n. 150 del 2022 (c.d. riforma Cartabia) dell’art. 159, comma 2, cod. pen., così come introdotto dalla c.d. legge Orlando, e alla speculare introduzione dell’art. 161 bis cod. pen., che fa cessare il corso della prescrizione definitivamente con la pronuncia della sentenza di primo grado. Più favorevole deve ritenersi la disciplina della legge Orlando che, comunque, prevedeva, anche dopo la pronuncia della sentenza di primo grado e di grado di appello, il decorrere del termine di prescrizione, sia pure con periodi di sospensione. Ne Corte di Cassazione – copia non ufficiale
consegue la coesistenza di diversi regimi di prescrizione, applicabili in ragione della data del commesso reato e in particolare, come già chiarito in precedenti pronunce:
-per i reati commessi fino al 2 agosto 2017, si applica la disciplina della prescrizione dettata dagli artt. 157 e ss. cod. pen., così come riformulati dalla legge 5 dicembre 2005 n. 251 (c.d. legge ex Cirielli);
per i reati commessi a far data dal 3 agosto 2017 e fino al 31 dicembre 2020, si applica la disciplina della prescrizione come prevista dalla legge 23 giugno 2017 n. 103 (c.d. legge Orlando), con i periodi di sospensione previsti dall’art. 159, comma 2, cod. pen. nel testo introdotto da tale legge;
per i reati commessi a far data dal 1 gennaio 2020, si applica in primo grado la disciplina della prescrizione come dettata dagli artt. 157 e ss. cod. proc. pen, senza conteggiare la sospensione della prescrizione di cui all’art. 159, comma 2, cod. pen., essendo stata tale norma abrogata dall’art. 2, comma 1, lett. a), legge n.134/2021 e sostituita con l’art. 161 bis cod. pen. (c.d. riforma Cartabia), e nei gradi successivi la disciplina della improcedibilità, introdott appunto da tale legge. Conseguentemente, il reato per il quale si procede non è prescritto. Trattandosi di fattispecie commessa il 29 novembre 2017, quindi nel periodo ricompreso tra il 3 agosto 2017 e il 31 dicembre 2020, come correttamente ritenuto dal giudice d’appello, si applica la disciplina della prescrizione prevista dalla legge n.103/2017 (c.d. legge Orlando), con i periodi di sospensione previsti dall’art. 159, comma 2, cod. pen., nel testo introdotto da detta legge, in concreto computabili per il tempo massimo di un anno e sei mesi.
Il secondo e il terzo motivo di ricorso sono manifestamente infondati. Indipendentemente dal valore probatorio da attribuire alla prova dichiarativa avente a oggetto l’avvertimento alla persona della facoltà di farsi assistere dal difensore, tale questione statacorrettamente ritenuta irrilevante nel caso concreto dal giudice di merito ai fini della validità del procedimento.
2.1. La difesa afferma che, invece, i giudici di merito avrebbero dovuto rilevare la nullità della procedura, alla luce di alcune pronunce della Corte di legittimità che avevano ritenuto applicabile la disposizione di cui sopra anche nell’ipotesi di reato concretata dal rifiuto opposto all’accertamento dello stato di alterazione per assunzione di sostanze stupefacenti.
2.2. Nella sentenza impugnata si è, invece, fatta corretta applicazione della più recente giurisprudenza della Corte di legittimità che, ormai costantemente e con posizione che esclude l’attualità di un contrasto ai sensi dell’art.610, comma 2, cod. proc. pen., nega la sussistenza dell’obbligo di dare avviso al conducente della facoltà di farsi assistere da un difensore ai sensi dell’art.114 disp. att. co
proc. pen. in caso di rifiuto di sottoporsi all’accertamento in quanto la presenza del difensore è considerata funzionale a garantire che l’attuazione di un accertamento tecnico, in quanto non ripetibile, sia condotta nel rispetto dei diritti della persona sottoposta alle indagini (Sez. 4, n.16816 del 14/01/2021, COGNOME, Rv. 281072 – 01; Sez. 4, n. 34355 del 25/11/2020, COGNOME, Rv. 279920 – 01; Sez. 4, n. 29939 del 23/09/2020, COGNOME, Rv. 280028 – 01).
3. Il quarto motivo di ricorso è fondato.
3.1. E’, infatti, carente il ragionamento svolto dai giudici di merito pe negare l’applicabilità della causa di non punibilità prevista dall’art.131 bis cod. pen., valorizzando, da un lato, la vita anteatta connotata da plurime violazioni della legge in materia di stupefacenti e, dall’altro, la condotta «sintomatica di scarsa responsabilità» tenuta nei confronti delle forze dell’ordine dall’imputato che, dopo avere in un primo momento acconsentito al prelievo, vi si è poi opposto una volta giunto in ospedale.
3.2. Il ricorrente svolge alcune considerazioni inerenti ai presupposti fattuali che il giudice di merito avrebbe dovuto valorizzare al fine di riconoscere la sussumibilità del fatto, quale ipotesi di particolare tenuità, nella disciplina detta dall’art.131 bis cod. pen. Si tratta di allegazioni che presuppongono che la Corte di legittimità riesamini se la guida zigzagante dipendesse dallo stato di alterazione da uso di sostanze stupefacenti o da altra causa oppure valorizzi le situazioni fattuali per cui l’imputato non ha creato rischi per la pubblic incolumità e ha cessato l’uso di sostanze sei mesi dopo il fatto, ovvero ne valuti la vita anteatta per desumerne la non abitualità del comportamento contestatogli. Ma non è ammissibile, in fase di legittimità, la censura che sottenda una nuova disamina delle acquisizioni istruttorie, riservata al giudice di merito.
3.3. E’, tuttavia, corretto ritenere carente il giudizio svolto dalla Cor territoriale. Secondo quanto affermato dalle Sezioni Unite nella sentenza Coccimiglio (Sez. U, n. 13682 del 25/02/2016, Coccimiglio, Rv. 266595), il reato del quale si tratta non punisce una mera, astratta disobbedienza ma un rifiuto connesso a condotte di guida indiziate di essere gravemente irregolari e tipicamente pericolose, il cui accertamento è disciplinato da procedure di cui il sanzionato rifiuto costituisce solitamente la deliberata elusione. Non può, dunque, farsi a meno di esaminare la collaterale contravvenzione di cui all’art.187, comma 1, cod. strada e apprezzare in concreto, alla stregua della manifestazione del reato, e al solo fine della ponderazione in ordine alla gravità dell’illecito, quale sia lo sfondo fattuale nei quale la condotta si inscrive e qua sia, in conseguenza, il concreto possibile impatto pregiudizievole rispetto al bene
tutelato, da individuare, oltre che nell’osservanza del legittimo ordine dell’autorità, anche, in via mediata, nei beni della vita e dell’integrità personale.
3.4. Per tale profilo la motivazione risulta incompleta. Occorre, infatti, ricordare che, secondo quanto affermato dalle Sezioni Unite nella sentenza Tushaj (Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016, Rv. 266590 – 01), l’esiguità del disvalore è frutto di una valutazione congiunta degli indicatori afferenti alla condotta, al danno ed alla colpevolezza, cosicchè la valutazione inerente a uno solo di tali elementi non è da sola sufficiente a escludere o fondare il giudizio di marginalità del fatto.
Ma anche con specifico riguardo al tema dei precedenti penali, va evidenziato che al fine di escludere l’applicabilità della causa di non punibilità prevista dall’art.131 bis cod. pen. non è ammessa la valutazione della vita anteatta dell’imputato in quanto l’art.131 bis, comma 1, cod. pen. si limita a richiamare il primo comma dell’art.133 cod. pen. Se i giudici di appello hanno fatto riferimento ai plurimi precedenti per violazioni alla legge in materia di stupefacenti, se ne deve dunque desumere, in linea con l’impostazione difensiva, che essi abbiano adottato un’interpretazione del sintagma «medesima indole», rilevante in base al combinato disposto dei commi 1 e 4 dell’art.131 bis cod. pen., per desumerne l’elemento ostativo dell’abitualità della condotta. Il Collegio reputa, tuttavia, che tale valutazione non sia sorretta da adeguata espressione motivazionale. Sebbene nella giurisprudenza di legittimità si sia adottata un’interpretazione ampia del predetto sintagma, inclusiva non solo della medesimezza del bene giuridico offeso, ma anche dell’uguaglianza di natura in relazione al bene tutelato e alle modalità esecutive, non è chiarito nella pronuncia quale uguaglianza di natura possa istituirsi tra i reati di detenzione e cessione illecite di stupefacenti e la contravvenzione prevista dall’art.187, comma 8, cod. strada. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Analogo tema della nnedesimezza dell’indole investe l’allegata estinzione ai sensi dell’art.445, comma 2, cod. pen. dei reati unificati dal vincolo della continuazione con sentenza di applicazione della pena, irrevocabile il 27/11/2017, emergente dal certificato del casellario giudiziario, non valutata dai giudici di merito ma ugualmente idonea a incidere, in senso favorevole all’imputato, sul giudizio di abitualità della condotta (Sez. 5, n. 24089 del 05/05/2022, Cupo, Rv. 283222 – 01).
A diversa conclusione deve giungersi con riguardo alla denegata applicazione delle circostanze attenuanti generiche, posto che su tale discrezionale valutazione GLYPH non GLYPH incide GLYPH l’eventuale estinzione GLYPH dei GLYPH reati
precedentemente commessi ai sensi dell’art.445, comma 2, cod. proc. pen. (Sez. 3, n. 23952 del 30/04/2015, COGNOME Pietro, Rv. 263850 – 01), né la circostanza che i plurimi precedenti penali siano stati ritenuti avvinti dal vincolo del continuazione. Per tale profilo, dunque, il quinto motivo di ricorso deve considerarsi infondato.
Conclusivamente, la sentenza deve essere annullata limitatamente all’applicabilità della causa di non punibilità prevista dall’art.131 bis cod. pen., con rinvio per nuovo giudizio su tale punto ad altra sezione della Corte di appello di Venezia. Il ricorso deve essere rigettato nel resto.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente al punto relativo alla causa di non punibilità ex art.131 bis cod. pen., e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte d’appello di Venezia.
Rigetta il ricorso nel resto.
Così deciso il 29 febbraio 2024
GLYPH
Il Consigliere e tensore
Il Presidente