Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 26802 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 26802 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 18/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a Barcellona Pozzo di Gotto il 15/10/1958
avverso l’ordinanza del Tribunale di Messina del 23/12/2024
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo dichiararsi il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
GLYPH Con l’ordinanza in epigrafe indicata, il Tribunale di Messina, adito in sede di riesame da COGNOME, ha confermato l’ordinanza con cui il Giudice per le indagini preliminari dello stesso Tribunale ha applicato nei confronti del detto la misura della custodia cautelare in carcere per i reati di partecipazione ad
associazione a delinquere di stampo mafioso e trasferimento fraudolento di valori.
Si ipotizza, nella imputazione provvisoriamente elevata, che COGNOME:
abbia partecipato alla famiglia mafiosa dei barcellonesi, articolazione di cosa nostra siciliana, operando quale longa manus del capoclan NOME COGNOME dall’agosto del 2020 al febbraio del 2022;
abbia fittiziamente attribuito a NOME COGNOME la titolarità della omonima ditta individuale, per l’esecuzione dei lavori di efficientamento energetico e superbonus 110 – settore imprenditoriali-nel cui ambito la consorteria mafiosa si sarebbe infiltrata lucrando indebiti compensi, sia mediante la artificiosa maggiorazione di costi e spese, sia attraverso una disinvolta gestione dei subappalti i cui affidatari riconoscevano ai sodali ulteriori utilità economiche, con condotta aggravata ex art. 416bis.1 cod, pen . al fine di agevolare il predetto sodalizio.
COGNOME Avverso il provvedimento indicato ha proposto ricorso l’indagato, con atto del difensore di fiducia, in cui sono dedotti tre motivi.
2.1 Con il primo motivo si denunciano vizi di motivazione e violazione di legge in relazione all’art. 416-bis cod. pen., quanto alla gravità indiziaria del reato di partecipazione ad associazione mafiosa.
Erroneamente il Tribunale del riesame ha ritenuto che l’esecuzione dei lavori edili di efficientamento energetico con il “superbonus 110”, da parte della impresa facente capo al figlio del ricorrente, fosse diretta a finanziare il sodalizio mafioso.
Come si evince dal contenuto delle intercettazioni del 3 e 23 gennaio 2025, tale attività il ricorrente svolgeva quale longa manus del capomafia NOME COGNOME ma i relativi proventi erano destinati esclusivamente a quest’ultimo.
L’attività di reperimento degli immobili e delle imprese cui subappaltare i lavori di efficientamento energetico e “superbonus”, cui il ricorrente era dedito, quale procacciatore, prescinde, invero, dall’utilizzo del metodo mafioso.
Non sono acquisiti elementi indiziari da cui evincere che il ricorrente abbia arrecato un contributo concreto, non occasionale e causalmente rilevante alla operatività della associazione mafiosa.
Egli non è mai stato compenetrato nella organizzazione mafiosa, avendo agito nell’interesse di un singolo esponente di essa.
2.2. Con il secondo motivo si deducono vizi di motivazione e violazione di legge in relazione all’art. 512-bis cod. pen. e 416-bis.1 cod. pen.
Difetta la gravità indiziaria del reato di trasferimento fraudolento di valori.
Non sono acquisiti elementi dimostrativi della provenienza dal soggetto interponente e, in tesi accusatoria, intenzionato ad eludere l’applicazione di misura di prevenzione, delle risorse economiche impiegate per l’acquisto di singoli beni oggetto di trasferimento fraudolento. Trattandosi di attività di impresa riferibile a persone giuridiche, sarebbe stato necessario individuare la fonte delle risorse destinate all’acquisto di quote societarie o di quelle impiegate per i conferimenti. o(i’t..1 -NryeA. é é-44;9mA
Nella specie, risulta dall’attivitareereetwM che il ricorrente ha solo contratto un finanziamento per l’esigenza di adeguare la ditta del figlio al fine di poter svolgere, tramite questa, lavori di efficientamento energetico.
2.3. Con il terzo motivo si deducono violazione di legge in relazione agli articoli 273, 274, e 275 cod. proc. pen. e vizi di motivazione.
Difetta la prova della attualità delle esigenze cautelari.
Il Tribunale non ha considerato il tempo trascorso dai fatti in assenza di ulteriori condotte dell’indagato sintomatiche di pericolosità; le condotte ascritte a Pantè si collocano tra l’agosto del 2020 e il febbraio del 2022 e da tale epoca non risultano ulteriori operazioni sospette o collegamenti negoziali fra le imprese coinvolte ed esponenti del sodalizio mafioso capeggiato dal COGNOME.
D’altra parte, il pericolo di reiterazione è scongiurato dalle modifiche normative più recenti. Sono stati rimodulati i bonus edilizi e, con legge 23 maggio 2024, n. 67, è divenuto definitivo il blocco delle cessioni dei crediti d’imposta derivanti dai “bonus” edilizi di cui al d.l. n.29 marzo 2024, n. 39, che ne consentivano l’immediata monetizzazione, senza dovere attendere i tempi del recupero fiscale, ed è, dunque, venuto meno il sistema nel cui meccanismo operativo si innestavano le frodi.
Inoltre, non sarebbe possibile al ricorrente riprendere i rapporti con il capomafia NOME COGNOME in ragione dello stato detentivo di lui.
Disposta la trattazione orale del ricorso su istanza della difesa, all’udienza odierna, il Sostituto Procuratore generale ha concluso nei termini riportati in epigrafe.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato per le ragioni che di seguito si espongono.
Il primo motivo, attinente al difetto di gravità indiziaria del reato d partecipazione mafiosa, è fondato.
( a )
2.1. L’ordinanza impugnata àncora sostanzialmente a due profili la condotta di partecipazione del ricorrente al sodalizio mafioso denominato clan dei barcellonesi: a) la prossimità del ricorrente NOME COGNOME soggetto avente un ruolo apicale in tale gruppo criminale; b) lo svolgimento di un’attività illecita inerente al fraudolento sfruttamento del sistema di interventi edilizi per l’ efficientamento energetico, specialmente il c.d. “superbonus 110”, attività, ad elevata redditività, che era funzionale agli interessi del sodalizio e dallo stesso “autorizzata” sul territorio in cui quel clan mafioso esercitava una indiscussa egemonia.
Nello sviluppo argomentativo della decisione, il Tribunale si diffonde sulla ricostruzione storica della associazione mafiosa denominata clan dei barcellonesi, costola di “cosa nostra” radicata nel territorio di Barcellona Pozzo di Gotto e 8muni limitrofi, nonché sulle operazioni di polizia che ne hanno decapitato gli organi di vertice, per poi focalizzare la fase di riorganizzazione successiva del gruppo, con la costituzione del “triumvirato” composto da NOME COGNOME, NOME COGNOME ed NOME COGNOME i quali avevano progressivamente esteso i propri interessi, tradizionalmente legati alle estorsioni al settore degli interventi d efficientamento energetico per l’edilizia, con particolare riferimento al c.d. “superbonus 110”.
Nella descrizione di tali attività, tuttavia, dopo una analitica valutazione dei rapporti tra i componenti del triumvirato e le loro cointeressenze economiche, con riferimento a NOME COGNOME, il Tribunale si limita ad affermare come agisse quale “longa manus” di NOME COGNOME limitato dalla restrizione cautelare, sottolineando che lo stesso capomafia aveva dichiarato, nei colloqui, che del ricorrente si avvaleva in quanto soggetto “sistemato e pulito”, mentre egli si trovava “vincolato”: da COGNOME il ricorrente sarebbe stato incaricato di reperire, unitamente a NOME COGNOME, le commesse ed avrebbe effettuato sopralluoghi, contattato imprenditori e privati potenziali clienti. Si sarebbe inoltre prestat all’apertura della partita Iva e alla ricezione dei proventi al fine di ammantare di legalità operazioni fraudolente.
In buona sostanza, egli avrebbe svolto una attività di natura imprenditoriale che era stata strumentalizzata a lucrare dal sistema di incentivi legati al c.d. superbonus e le conversazioni richiamate nella ordinanza evidenziano come con il COGNOME e gli altri sodali interessati alla vicenda egli discutesse le strategi illecito arricchimento.
2.2. A fronte di tale percorso argomentativo, deve tuttavia considerarsi che, per indirizzo giurisprudenziale consolidato, con riferimento al reato di cui all’art. 416-bis co.d pen. la mera “contiguità compiacente”, ossia i rapporti di
“vicinanza” o “contiguità” del singolo verso un determinato apparato mafioso o verso i partecipi o i capi del gruppo non costituiscono comportamento sufficiente a integrare la condotta di partecipazione all’organizzazione, ove non sia dimostrato che la vicinanza a soggetti mafiosi si sia tradotta in un vero e proprio contributo, avente effettiva rilevanza causale, alla conservazione o al rafforzamento della consorteria (Sez. 5 n. 12753 del 17/01/2024, Marino; Sez. 6, n. 40746 del 24/06/2016, COGNOME, 268325 – 01; Sez. 1, n. 25799 del8/1/2015, COGNOME, Rv. 2639359)
Le pronunce di questa Corte sul punto si allineano alla impostazione delle Sezioni Unite per cui la condotta di partecipazione ad associazione di tipo mafioso si caratterizza per lo stabile inserimento dell’agente nella struttura organizzativa dell’associazione, idoneo, per le specifiche caratteristiche del caso concreto, ad attestare la sua ‘messa a disposizione’ in favore del sodalizio per il perseguimento dei comuni fini criminosi (Sez. U, n. 36958 del 27/05/2021, COGNOME, Rv. 281889) i
La sentenza COGNOME, in piena adesione a quanto già avevano ritenuto Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, COGNOME, Rv. 231670 – ha dunque ribadito che “la condotta di partecipazione è riferibile a colui che si trovi in rapporto di stabile organica compenetrazione con il tessuto organizzativo del sodalizio, tale da implicare, più che uno “status” di appartenenza, un ruolo dinamico e funzionale, in esplicazione del quale l’interessato “prende parte” al fenomeno associativo, rimanendo a disposizione dell’ente per il perseguimento dei comuni fini criminosi. Nella vicenda in esame l’esistenza di un contributo, così connotato, e consapevolmente prestato dal ricorrente non risulta dalla trama della decisione, in cui sono approfonditi i rapporti tra i componenti del triumvirato, le loro cointeressenze mafiose, ma non anche la confluenza dei proventi più o meno leciti nella cassa comune del clan.
Più specificamente, la tesi per cui i proventi delle attività di efficientamento energetico e legate al sistema delle cessioni del c.d. “superbonus” svolte dalla impresa dei COGNOME – dunque da una attività imprenditoriale che non ha in sé una intrinseca connotazione mafiosa, benché sia stata, nella specie, strumentalizzata per la realizzazione di frodi – confluissero nella cassa comune, e non invece sui conti personali di NOME COGNOME, si basa sull’assunto implicito, non rispondente ad alcuna massima di esperienza, per cui un esponente del sodalizio non potesse coltivare interessi economici privati e fonti di reddito proprie – che, anzi, proprio il proprio ruolo sovraordinato nell gerarchia, gli consentiva di svolgere senza la necessità di una autorizzazione degli altri vertici. Soprattutto, una destinazione dei profitti alle attività del non risulta dal corredo indiziario valorizzato nella ordinanza, che sembra
sovrapporre ed indebitamente intrecciare elementi ricostruttivi inerenti alle attività del c.d. triumvirato con quelle inerenti le attività del c.d. “superbonus realizzate attraverso l’impresa facente formalmente capo a Pantè.
Nemmeno è spiegato quale consapevolezza avesse il ricorrente della funzionalizzazione dei profitti alla cassa del clan, ciò che costituiva un aspetto determinante della sua intraneità associativa.
Deve al riguardo considerarsi che se in tema di associazione per delinquere di tipo mafioso, ai fini dell’accertamento dell’appartenenza all’associazione ex art. 416 bis cod. pen., ciò che rileva – posta l’esistenza, di fatto, della struttura delinquenziale prevista dalla legge – è l’agire del singol nella specifica prospettiva del perseguimento dello scopo comune, è proprio tale consapevole condivisione del programma associativo che non trova alcun argomento di supporto nella ordinanza impugnata.
Il secondo motivo, inerente alla gravità indiziaria del reato di cui all’art 512-bis cod. pen. è infondato.
L’ordinanza ha ricostruito le vicende relative alla acquisizione da parte di NOME COGNOME di una partecipazione occulta, in misura del 33%, nella società facente capo a NOME COGNOME, figlio di NOME COGNOME: società che aveva contestualmente mutato il proprio oggetto sociale, per riconvertirsi all’attività di edili residenziale.
Le censure al riguardo mosse tendono a sollecitare una alternativa e non consentita ricostruzione del compendio indiziario.
Dal tenore dei colloqui è stato dedotto, con argomentazioni esaustive e coerenti, l’accordo spartitorio intercorso tra i soci ed il ruolo di mero prestanome di NOME COGNOME (figlio del ricorrente).
La decisione impugnata ha motivato senza distonie logiche come il ricorrente si sia prestato a porre in essere operazioni tali da creare la falsa apparenza della esclusiva intestazione al proprio figlio, NOME COGNOME, della impresa individuale avente ad oggetto, dopo la riconversione, l’esercizio di attività edilizia, laddove la gestione preponderante era da ascriversi, a partire dal 2021, al mafioso NOME COGNOME.
La circostanza che COGNOME abbia mantenuto una minima partecipazione all’attività non esclude certo la configurabilità del reato dal momento che, come affermato da Sez. 3, n. 23335 del 28/01/2021, COGNOME, Rv. 281589 – 03, il delitto di cui all’art. 512-bis cod. pen. risulta configurabile anche quando l’ acquisto di fatto delle quote di una società avviene per una parte delle quote del terzo, così che questi, per una frazione delle partecipazioni, rimanga titolare effettivo e per altra frazione divenga soggetto interposto”: ciò in particolare nella ipotesi in cui
l’acquisto di fatto delle quote riguardi una società già operativa e ne lasci immutata la titolarità formale in capo a terzi che così vengono ad acquisire il ruolo di soggetti interposti.
Deve poi considerarsi che, secondo l’orientamento consolidato di legittimità, il reato in esame è una fattispecie a forma libera per la cui integrazione non è necessario che l’attribuzione della titolarità o della disponibilità della cosa sia inquadrabile nell’ambito di rigorosi schemi civilistici essendo sufficiente la sussistenza di un fittizio conferimento di un’apprezzabile signoria sulla cosa.
Per quanto attiene alla condotta di “attribuzione” la stessa va intesa in modo estremamente ampio, tale da non rinviare soltanto alle forme negoziali tradizionalmente intese, ma a qualsiasi tipologia di atto o meccanismo idoneo a creare un apparente rapporto di signoria tra un determinato soggetto e il bene rispetto al quale permane intatto il potere di colui che effettua l’attribuzione per conto o nell’interesse del quale l’attribuzione è operata.
Come chiarito al riguardo dalle Sezioni Unite di questa Corte (sent. n. 25191 del 27/02/2014 Cc. (dep. 13/06/2014 ) /l’ambito di applicabilità del reato non è limitato alle ipotesi riconducibili a precisi schemi civilistici, ma comprende tutte quelle situazioni in cui il soggetto viene a trovarsi in un rapporto di signoria con i bene e prescinde da un trasferimento in senso tecnico-giuridico, rimandando non ai negozi giuridici tipicamente definiti ovvero a precise forme negoziali, ma piuttosto ad una indeterminata casistica individuabile soltanto attraverso la comune caratteristica del mantenimento dell’effettivo potere sul bene attribuito in capo al soggetto che effettua l’attribuzione, ovvero per conto e nell’ interesse del quale l’attribuzione medesima viene compiuta. Lo spazio di liceità delineato dalla norma in relazione a manovre di occultamento giuridico o di fatto di attività e beni, altrimenti lecite, si connota per il fine perseguito dall’agent individuato alternativamente nella elusione delle disposizioni in materia di misure di prevenzione patrimoniale ovvero nella agevolazione o commissione dei delitti di ricettazione, riciclaggio o reimpiego.
Nel caso che occupa, che le condotte fossero poste in essere al fine di eludere l’applicazione delle disposizioni di legge in materia di prevenzione patrimoniale a carico di COGNOME – secondo il Tribunale del riesame – risulta dal fatto che della esigenza di evitare possibili sequestri erano ben consapevoli i correi, come è dato emergere dal colloquio in cui NOME COGNOME e NOME COGNOME si erano rappresentati l’esigenza di mantenere occulti i loro legami, per evitare possibili misure ablative, il secondo opponendosi all’inserimento nella società di NOME COGNOME (fratello di NOME) al fine di scongiurare la riconduzione della stessa al predetto NOME COGNOME.
Emerge poi con assoluta chiarezza dal compendio indiziario, come ricostruito nella ordinanza del Tribunale, che il ricorrente fosse consapevole della caratura
criminale di NOME COGNOME e a conoscenza delle dinamiche relative alla effettiva gestione della società e, del reato, il dolo specifico, costituito dal fine di eluder
l’applicazione nelle misure di prevenzione patrimoniale, prescinde dall’attuale pendenza di un procedimento di prevenzione patrimoniale così come dalla
concreta possibilità dell’adozione di una misura di prevenzione patrimoniale all’esito del relativo procedimento, essendo integrato anche soltanto se l’autore
ne possa temere l’instaurazione.
Peraltro, in tema di trasferimento fraudolento
4 valori, l’intestatario fittizio del bene non deve essere animato necessariamente dal dolo specifico, che
caratterizza, invece, la condotta dell’interponente, unico soggetto direttamente interessato ad eludere la possibile adozione di misure di prevenzione a suo
carico, essendo sufficiente, invece, la consapevolezza del dolo specifico altrui.
(Sez. 2, n. 16997 del 28/03/2024, Severini, Rv. 286355).
Alla luce di quanto precede, assorbita ogni altra censura, le evidenziate carenze argomentative, in relazione al primo motivo di ricorso, impongono l’annullamento della ordinanza impugnata con integrale rinvio – non apparendo opportuno scindere le due diverse ipotesi criminose – al Tribunale del riesame per nuova valutazione da condurre nel rispetto delle direttrici sopra indicate,
Alla Cancelleria sono demandati gli adempimenti comunicativi di cui all’art. 94, comma 1-ter disp. att. cod. proc. pen.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Messina, competente ai sensi dell’art. 309, co. 7, cod. proc. pen. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 18/04/2025