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Partecipazione mafiosa: spaccio e ruoli nel clan

La Corte di Cassazione, con la sentenza 23493/2025, ha rigettato il ricorso di un indagato, confermando la misura della custodia in carcere per partecipazione mafiosa. La Corte ha chiarito che il coinvolgimento in attività estorsive, oltre allo spaccio, dimostra un’adesione piena al sodalizio criminale, giustificando un trattamento cautelare più severo rispetto a un coindagato accusato solo di spaccio.

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Pubblicato il 24 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

La Cassazione sulla Partecipazione Mafiosa: Non Basta lo Spaccio per Escluderla

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha affrontato un tema cruciale nella lotta alla criminalità organizzata: la distinzione tra un affiliato a pieno titolo e un semplice partecipe a singole attività illecite del clan. Il caso in esame chiarisce come la valutazione del ruolo di un soggetto all’interno di un’associazione criminale sia fondamentale per determinare la corretta qualificazione giuridica del reato e l’adeguatezza delle misure cautelari. La pronuncia offre spunti essenziali per comprendere i criteri utilizzati dai giudici per accertare la partecipazione mafiosa.

I Fatti del Caso: Un Ricorso contro la Custodia Cautelare

Un giovane indagato, destinatario di un’ordinanza di custodia cautelare in carcere, ha presentato ricorso alla Corte di Cassazione. L’accusa principale era quella di aver preso parte a un’associazione di tipo mafioso, oltre a essere coinvolto in attività di spaccio di sostanze stupefacenti. La difesa sosteneva che il suo ruolo fosse limitato esclusivamente al narcotraffico, dal quale traeva un guadagno personale, e che fosse estraneo alle altre dinamiche associative, come le estorsioni e la gestione delle armi.

A sostegno della sua tesi, il ricorrente evidenziava una presunta disparità di trattamento rispetto a un coindagato, al quale erano stati concessi gli arresti domiciliari. Secondo la difesa, anche quest’ultimo si occupava solo di spaccio, e pertanto le due posizioni avrebbero dovuto essere trattate in modo analogo.

La Valutazione della Piena Partecipazione Mafiosa

La difesa ha tentato di circoscrivere la responsabilità del ricorrente al solo reato di spaccio, argomentando che la sua esclusione da dialoghi ‘riservati’ relativi a estorsioni dimostrava un ruolo marginale e non una piena adesione al sodalizio. Tuttavia, il Tribunale del riesame, la cui decisione è stata poi confermata dalla Cassazione, aveva già respinto questa interpretazione. Le indagini, basate su intercettazioni e riprese video, avevano dimostrato il contrario.

Era emerso che l’indagato, nonostante la giovane età, non solo partecipava allo spaccio organizzato, ma era coinvolto anche nelle estorsioni ai danni di commercianti, manifestava un chiaro animus associandi discutendo del mantenimento dei detenuti e della guida del clan, e condivideva la disponibilità di armi con gli altri affiliati.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato integralmente il ricorso, ritenendolo infondato. I giudici hanno confermato la validità del provvedimento cautelare, sottolineando come la motivazione del Tribunale fosse logica, coerente e priva di vizi.

Le motivazioni

La Corte ha stabilito che la tesi difensiva, secondo cui il ricorrente si sarebbe occupato solo di spaccio, era stata ampiamente smentita dagli accertamenti. Le intercettazioni telefoniche avevano rivelato il suo coinvolgimento diretto anche nelle attività estorsive, elemento che prova una piena e consapevole partecipazione mafiosa. Il suo ruolo non era quello di un mero ‘esecutore’ ma di un membro integrato nel tessuto criminale.

Inoltre, la Cassazione ha smontato il paragone con il coindagato. Quest’ultimo era stato accusato unicamente del reato di spaccio (art. 73 d.P.R. 309/90), senza la contestazione della partecipazione al clan Scalisi o dell’aggravante mafiosa. La diversità delle accuse e dei ruoli giustificava pienamente la differente misura cautelare applicata.

Infine, è stata confermata la sussistenza delle esigenze cautelari. La gravità dei fatti, la spregiudicatezza dimostrata e il profondo inserimento in un’organizzazione armata e radicata nel territorio hanno reso la custodia in carcere l’unica misura adeguata a prevenire il pericolo di reiterazione dei reati.

Le conclusioni

Questa sentenza ribadisce un principio fondamentale: per configurare la partecipazione mafiosa, è necessario valutare la totalità dei comportamenti del soggetto e la sua volontà di aderire al programma criminale dell’associazione. Il solo fatto di dedicarsi prevalentemente a un settore ‘operativo’, come lo spaccio, non esclude l’affiliazione, specialmente quando esistono prove di un coinvolgimento in altre attività tipiche del clan, come le estorsioni. La pronuncia serve anche a ricordare che il principio di parità di trattamento si applica solo a posizioni giuridiche identiche o analoghe, cosa che nel caso di specie non sussisteva.

Essere coinvolto solo nello spaccio di droga esclude la partecipazione mafiosa?
No. Secondo la sentenza, sebbene l’attività principale possa essere lo spaccio, il coinvolgimento anche in altre dinamiche tipiche del clan, come le estorsioni, dimostra una piena adesione al sodalizio criminale e configura il reato di partecipazione mafiosa.

Perché il ricorrente ha ricevuto un trattamento diverso da un altro coindagato?
La differenza di trattamento è stata ritenuta giustificata perché le posizioni processuali erano diverse. Al ricorrente erano contestati sia la partecipazione all’associazione mafiosa sia lo spaccio aggravato, mentre al coindagato era stato addebitato solo il reato di spaccio, senza l’aggravante mafiosa e senza l’accusa di appartenenza al clan.

Quali elementi hanno giustificato il mantenimento della custodia in carcere?
Il mantenimento della misura cautelare più grave è stato giustificato dalla gravità dei fatti, dalla spregiudicatezza dell’indagato nonostante la giovane età, dal suo pieno inserimento in un’organizzazione criminale armata e radicata, e dalla sua partecipazione a varie attività illecite (estorsioni, spaccio, gestione armi), elementi che indicavano un concreto e attuale pericolo di reiterazione dei reati.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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