Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 29608 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 29608 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 23/07/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a PALERMO il 22/04/1990
avverso l’ordinanza del 06/03/2025 del TRIBUNALE di PALERMO Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette la requisitoria e le conclusioni del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 6 marzo 2025 il Tribunale di Palermo, Sezione per il riesame, rigettava l’istanza ex art. 309 cod. proc. pen. proposta nell’interesse di NOME COGNOME sottoposto a custodia cautelare in carcere a seguito di ordinanza emessa dal G.i.p. del Tribunale di Palermo in data 14 febbraio 2025, in relazione al delitto di partecipazione alla associazione mafiosa Cosa Nostra.
A COGNOME viene contestato l’ «avere fatto parte della famiglia mafiosa di NOME COGNOME ricompresa nel mandamento mafioso di NOME Natale San Lorenzo ed avere fra l’altro partecipato a riunioni aventi ad oggetto lo scambio di informazioni e la programmazione delle attività criminali, eseguito le direttive provenienti da COGNOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME nell’ambito del settore di attività del traffico di stupefacenti nonché con riferimento alla riscossione dei contributi economici da parte dei gestori delle piazze di spaccio dello Zen».
Avverso tale ordinanza, a mezzo del difensore di fiducia, propone ricorso per cassazione NOME COGNOME articolando due motivi, enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, secondo quanto disposto dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
Il primo motivo denuncia vizio di motivazione in relazione all’art. 273 cod. proc. pen. quanto all’imputazione associativa.
Lamenta il ricorrente che il Tribunale del riesame non avrebbe valutato le doglianze difensive mosse quanto alla gravità indiziaria, in merito alla inadeguatezza delle conversazioni intercettate, intervenute fra terzi e non coinvolgenti il ricorrente, in ordine agli incontri che COGNOME avrebbe avuto con COGNOME NOME e COGNOME.
Per altro tali censure non troverebbero risposta neanche nel l’ordinanza genetica, nella parte dedicata al ricorrente, da fol. 218 a fol. 223, risolvendosi i presunti incontri in una video chiamata con un saluto fugace dell’indagato e nella presenza casuale dello stesso presso un ristorante in Sferracavallo, ove l’arrivo di Stagno ed altri risulterebbe successivo a quello dell ‘ indagato e il tempo di permanenza nel locale limitato, senza che via stata captazione delle conversazioni.
A tali obiezioni non risponderebbe il Tribunale del riesame, mentre la gravità indiziaria risulterebbe inficiata dalla circostanza che l’indagato, indicato come possibile corriere per la droga, avrebbe rifiutato tale incarico avendo paura di volare in aereo. Inoltre, gli inquirenti avrebbero trascurato che il padre NOME abita con NOME ed è sottoposto alla misura di prevenzione, senza che mai fosse stato trasgredito il relativo regime.
Né il solo rapporto parentale può integrare la gravità indiziaria quanto alla partecipazione all’associazione mafiosa.
Difetterebbe poi la commissione di reati fine da parte dell’indagato , non potendo essere significative della partecipazione le mere frequentazioni. Anche le conversazioni intercettate e richiamate dal Tribunale del riesame non risulterebbero adeguate a integrare la gravità indiziaria e, inoltre, non consentono di avere certezza quanto alla circostanza che interlocutore si a l’attuale ricorrente.
In sostanza il Tribunale ha ritenuto la gravità indiziaria senza la sussistenza di elementi integranti la partecipazione attiva e dinamica, in assenza di affiliazione.
Il secondo motivo denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alle esigenze cautelari, in assenza di concretezza e attualità delle stesse, essendo decorsi tre anni tra i fatti in contestazione e l’emissione della ordinanza cautelare, con conseguente affievolimento delle esigenze cautelari. Il Tribunale non avrebbe valutato il tempo trascorso e anche il pericolo di inquinamento
probatorio non è adeguatamente comprovato dalla circostanza che l’indagato venne a conoscenza di essere indagato.
Il Pubblico ministero ha concluso chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
il ricorso è complessivamente infondato.
Va premesso come pacifico sia l’orientamento che, a partire da Sezioni Unite n. 11 del 22/3/2000, Audino, Rv. 215828, in tema di misure cautelari personali, a fronte di un ricorso per cassazione per vizio di motivazione del provvedimento emesso dal tribunale del riesame, in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, ne definisce così l’ambito di delibazione. La Corte ha il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità e ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti, rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie (nello stesso senso, Sez. 4, n. 22500 del 03/05/2007, COGNOME, Rv. 237012; Sez. F., n. 47748 del 11/08/2014, COGNOME, Rv. 261400; Sez. 4, n. 26992 del 29/05/2013, COGNOME, Rv. 255460; Sez. 2, Sentenza n. 27866 del 17/06/2019, COGNOME, Rv. 276976).
Va anche evidenziato come questo Collegio aderisca all’orientamento autorevole di Sez. U, Spennato: «Il quadro di gravità indiziaria ai fini cautelari, concetto differente da quello enunciato nell’art. 192, comma 2, cod. proc. pen., che allude alla c.d. prova logica o critica, ha, sotto il profilo gnoseologico, una propria autonomia, non rappresenta altro che l’insieme degli elementi conoscitivi, sia di natura rappresentativa che logica, la cui valenza è strumentale alla decisione de libertate , rimane delimitato dai confini di questa e non si proietta necessariamente nel diverso e futuro contesto dibattimentale relativo al definitivo giudizio di merito» (Sez. U, n. 36267 del 30/05/2006, Spennato, Rv. 234598).
Pertanto, la delibazione attuale è funzionale alla verifica della tenuta logica del provvedimento cautelare di secondo grado, in relazione alla gravità indiziaria nei termini di qualificata probabilità di colpevolezza, nella prospettiva da ultimo evidenziata, ovviamente suscettibile di evoluzioni ricostruttive in sede dibattimentale.
Quanto al primo motivo lo stesso come formulato è complessivamente infondato, oltre che in parte non consentito.
3.1 Va chiarito come, dalla non contestata ricapitolazione – operata dalla ordinanza impugnata – dei motivi di censura mossi in sede di riesame, emerga che il Tribunale palermitano abbia preso in esame tutte le doglianze che ora vengono reiterate a mezzo del presente ricorso.
Difatti, l’ordinanza impugnata procede all’esame delle conversazioni, che, a differenza di quanto lamenta il ricorrente, lo vedono anche protagonista e non solo coinvolto nella narrazione fra terzi, dopo la scarcerazione dei capi della famiglia mafiosa, i germani COGNOME, e dello stesso genitore del ricorrente, NOME COGNOME Paolo. Quest’ultimo era anche stato scarcerato dopo aver scontato la pena per partecipazione alla associazione mafiosa famiglia NOME COGNOME, quale membro del mandamento in questione, nonché per estorsione continuata e danneggiamento, reati aggravati dal metodo mafioso.
Il ‘ riattivarsi ‘ del genitore del ricorrente -nella ricostruzione dell’ordinanza impugnata – vede anche il coinvolgimento del figlio NOME, secondo il Tribunale del riesame, coinvolto personalmente nella raccolta estorsiva del denaro presso le piazze di spaccio, i padiglioni e i mercatini dello Zen.
3.2 Le censure vengono mosse per lo più al quadro indiziario tratto dalla comunicazione fra l’indagato e il capo mafia COGNOME nonché alla partecipazione al vertice presso il ristorante, rispetto alla quale l’indagato prospetta la casualità della sua presenza: da tali elementi il Tribunale, senza vizi logici, trae la circostanza che i sodali, a cominciare dal padre dell’indagato, si fidino di NOME COGNOME, mettendolo al corrente delle dinamiche criminali, delle gerarchie e delle iniziative della famiglia mafiosa, a seguito delle scarcerazioni intervenute.
Seguendo la motivazione -ma con ciò non si confronta in modo specifico il ricorrente -emerge però che anche ulteriori siano le conversazioni che vedono la diretta partecipazione di NOME COGNOME che prima discuteva , nell’ambito del piano di esazione estorsiva nel quartiere Z en, dell’importo mensile da chiedere, salvo poi ricevere l’incarico concreto di procedere alla riscossione, disponendo già l’indagato personalmente dell’elenco delle vittime. L’incarico risultava espletato (fol. 9 della ordinanza impugnata), in quanto COGNOME dava atto che erano iniziate le rimostranze di quanti erano stati contattati per il ‘pizzo’ dal COGNOME. Per altro proprio Mariano, il 9 maggio 2024, e non tre anni prima della emissione della misura cautelare, come invece sostiene il ricorrente, era sollecitato a rendicontare della ‘raccolta’ effettuata.
Pertanto, è evidente la natura parziale delle doglianze, che si limitano a prendere in modo specifico in considerazione solo alcune emergenze di indagine e
non altre, ben più significative, limitandosi a dedurre, senza alcuna puntuale denuncia di travisamento, che l’interlocutore nelle conversazioni non sia il ricorrente. Ma si tratta di una doglianza versata in fatto non proponibile, nelle forme assunte, in questa Sede.
Anche le censure mosse alla interpretazione delle conversazioni, in assenza di puntuali deduzioni di travisamento, si sostanziano in proposte di rivalutazioni alternative delle emergenze di indagine, non consentite in sede di legittimità. Come anche deve rilevarsi che in tema di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, l’interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, la quale, se risulta logica in relazione alle massime di esperienza utilizzate, si sottrae al sindacato di legittimità (Sez. U, Sentenza n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715): infatti, costituisce questione di fatto, rimessa all’esclusiva competenza del giudice di merito, l’interpretazione e la valutazione del contenuto delle conversazioni, il cui apprezzamento non può essere sindacato in sede di legittimità se non nei limiti della manifesta illogicità ed irragionevolezza della motivazione con cui esse sono recepite (Sez. 2, Sentenza n. 50701 del 04/10/2016, COGNOME, Rv. 268389).
In sede di legittimità è possibile prospettare un’interpretazione del significato di un’intercettazione diversa da quella proposta dal giudice di merito solo in presenza di travisamento della prova, ossia nel caso in cui il giudice di merito ne abbia indicato il contenuto in modo difforme da quello reale e la difformità risulti decisiva ed incontestabile (Sez. 3, n. 6722 del 21/11/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 272558 -01; Sez. 5, n. 7465 del 28/11/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 259516 -01; Sez. 2, 17 ottobre 2007, n. 38915, COGNOME, rv 237994). Il che non è nel caso in esame.
Il Tribunale del riesame chiarisce poi la densità e la significatività del contributo dell’indagato al sodalizio, dando risposta alla doglianza che non sarebbe provata la partecipazione dinamica al sodalizio: COGNOME garantisce gli introiti della famiglia, acquisiti a mezzo estorsioni, utili per l’assistenza mutualistica ai detenuti, al finanziamento di nuove imprese illecite, nonché per il pagamento degli ‘stipendi’ per gli affiliati , traendosi da tali elementi l”affectio societatis’, non certamente solo dalla parentela con il padre. Va per altro richiamato anche il principio per cui anche il vincolo di consanguineità e l’ affectio familiae – a proposito del rapporto con il padre NOME, già detenuto e associato – non risultino fattori neutri in sede penale, dovendo ritenersi che in tema di associazione per delinquere, l’esistenza della consorteria criminosa non è esclusa per il fatto che la stessa sia imperniata per lo più intorno a componenti della stessa famiglia, atteso che, al contrario, i rapporti parentali o coniugali, sommandosi al vincolo
associativo, rendono quest’ultimo ancora più pericoloso (Sez. 3, n. 48568 del 25/02/2016, COGNOME Rv. 268184 -01; mass. conf. N. 2772 del 1995 Rv. 201353 – 01, N. 35992 del 2011 Rv. 250773 – 01, N. 49007 del 2014 Rv. 261426 -01).
Anche le frequentazioni, delle quali si rappresenta la insignificanza indiziaria, nel caso in esame non risultano elementi isolati, cosicché assumono rilevanza, in sintonia con il consolidato orientamento per il quale in tema di associazione di tipo mafioso, la mera frequentazione di soggetti affiliati al sodalizio criminale per motivi di parentela, amicizia o rapporti d’affari ovvero la presenza di occasionali o sporadici contatti in occasione di eventi pubblici e in contesti territoriali ristretti non costituiscono elementi di per sé sintomatici dell’appartenenza all’associazione, ma possono essere utilizzati insieme ad altre emergenze (Sez. 2, n. 6272 del 19/01/2017, Corigliano, Rv. 269294 -01, indicava le frequentazioni quali elementi di riscontro da valutare ai sensi dell’art. 192, comma terzo, cod. proc. pen. quando risultino qualificati da abituale o significativa reiterazione e connotati dal necessario carattere individualizzante; conf.: N. 24469 del 2009 Rv. 244382 01, N. 9185 del 2012 Rv. 252281 -01).
La decisione del Tribunale palermitano risulta, quindi, non manifestamente illogica quanto alla gravità indiziaria e corretta quanto alla qualificazione giuridica perché in sintonia con i principi espressi dalle Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, COGNOME, Rv. 231670 -01, per le quali in tema di associazione di tipo mafioso, la condotta di partecipazione è riferibile a colui che si trovi in rapporto di stabile e organica compenetrazione con il tessuto organizzativo del sodalizio, tale da implicare, più che uno “status” di appartenenza, un ruolo dinamico e funzionale, in esplicazione del quale l’interessato “prende parte” al fenomeno associativo, rimanendo a disposizione dell’ente per il perseguimento dei comuni fini criminosi.
D’altro canto, in materia di reati associativi, la commissione dei “reati -fine”, di qualunque tipo essa sia, non è necessaria né ai fini della configurabilità dell’associazione né ai fini della prova della sussistenza della condotta di partecipazione (Sez. 4, n. 11470 del 09/03/2021, COGNOME, Rv. 280703 -02; conf: N. 24194 del 2010 Rv. 247660 – 01, N. 40749 del 2015 Rv. 264826 – 01, N. 9459 del 2016 Rv. 266710 – 01), senza considerare che, comunque, dalle risultanze di indagini emergeva, per quanto ricostruito dal Tribunale del riesame, un ruolo fattivo nella consumazione dei delitti estorsivi da parte dell’indagato.
Ne consegue la natura complessivamente infondata del motivo.
Quanto al secondo motivo di ricorso, dopo aver affermato la sussistenza della doppia presunzione ex lege prevista per il titolo cautelare per il quale si procede, il Tribunale distrettuale conferma la valutazione del G.i.p., fornendo una
motivazione non solo presuntiva ma anche ‘in positivo’ , quanto alla sussistenza delle esigenze di cautela: in ordine al pericolo di recidiva, evidenziando come oltre ai precedenti penali -essendo gravato l’indagato da condanne per rapina e detenzione di stupefacenti a fini di cessione – significative del menzionato rischio di reiterazione siano anche le modalità concrete della condotta partecipativa dell’indagato, che si inserisce in significative attività della cosca da consumare con la forza di intimazione, dimostrando così abilità criminale, secondo l’ordinanza qui impugnata, nell’esercizio del metodo mafioso, anche con condizionamento delle fonti di prova orale. Nè manifestamente illogica è la motivazione impugnata nella parte in cui ritiene sussistente il pericolo concreto e attuale non solo di recidiva ma anche di fuga, fondato sulla conoscenza dell’indagine e dell’esecuzione prossima del provvedimento restrittivo, oggetto di valutazione fra i sodali, alcuni dei quali si predisponevano alla fuga.
In sostanza la motivazione offerta, che supera il dato della presunzione ex lege , risulta corretta e non manifestamente illogica sia in ordine alla sussistenza delle ragioni di cautela, sia in relazione alla unica adeguata misura cautelare, escludendo il Tribunale distrettuale l’adeguatezza della misura domiciliare anche corredata da controllo elettronico.
Anche in questo caso il ricorrente non si confronta in modo specifico con tale motivazione, fondando la censura anche sulla inattualità delle esigenze, richiamando il cd. tempo silente, dato però smentito dal contenuto della ordinanza ove, come visto, si dava atto di una attività criminale ancora in atto il 9 maggio 2024, meno di un anno prima della emissione dell ‘ ordinanza genetica.
Pertanto il ricorso va rigettato, in quanto complessivamente infondato.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 23/07/2025