Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 46223 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 46223 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 29/10/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da COGNOME NOMECOGNOME nato a Reggio Calabria il 9/06/1980 COGNOME NOMECOGNOME nato a Siracusa il 29/03/1993
avverso la sentenza del 12/10/2023 della Corte di appello di Reggio Calabria visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi; udito l’Avv. NOME COGNOME in sostituzione dell’Avv. NOME COGNOME difensore di NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento dei motivi di ricorso; uditi gli Avv. NOME COGNOME e NOME COGNOME difensori di NOME COGNOME che hanno concluso chiedono l’accoglimento dei motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza del 12 ottobre 2023 la Corte di appello di Reggio Calabria, in parziale riforma della sentenza del Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Reggio Calabria del 12 luglio 2022 emessa all’esito di giudizio abbreviato, ha riqualificato il reato ascritto ad NOME COGNOME ai sensi dell’art 416-bis commi 1,3,4,5 e 8 cod. pen., escludendo il ruolo di capo e organizzatore, e lo ha condannato alla pena di anni dieci, mesi quattro di reclusione, mentre nei confronti di NOME COGNOME riconosciute a quest’ultimo le circostanze attenuanti
generiche equivalenti all’aggravante di cui all’art. 628, comma 3, n. 3, cod. pen., ha rideterminato la pena in quella di anni tre, mesi dieci e giorni venti di reclusione ed euro 1.000,00 di multa.
Al solo COGNOME è contestato al capo A) il delitto di cui all’art. 416-bis cod. proc. pen. relativo all’associazione denominata ‘ndrangheta operante nel territorio di Reggio Calabria, con il ruolo di anello di congiunzione tra le articolazioni COGNOME e COGNOME.
Ad entrambi gli imputati sono, poi, ascritte le imputazioni di cui al capo B), per il delitto di cui agli artt. 110, 56, 629, comma 2, cod. pen. con le aggravanti degli artt. 628, comma 3, n.3 e 416-bis.1 cod.pen., al capo C), per il delitto di cui agli artt. 110, 424, 61 nn.1 e 5, 416-bis.1 cod. pen., ed infine, al capo D), per il delitto di cui agli artt. 110, cod. pen. 2, 4, e 7 della legge 2 ottobre 1967, n. 895.
All’esito del giudizio di primo grado i predetti sono stati assolti dal capo D) ed hanno riportato le seguenti condanne per i capi A, B), C):
COGNOME NOME, la pena di anni sedici di reclusione;
COGNOME NOME, la pena di anni cinque e mesi otto di reclusione.
La Corte di appello ha confermato l’impianto accusatorio del primo giudice, ma ha ritenuto carente la prova del ruolo direttivo e organizzativo in origine contestato al COGNOME, ritenendo provata la sola messa a disposizione a favore dell’associazione, quale partecipe delle cosche COGNOMECOGNOME e COGNOME, valorizzando le dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia e le risultanze di intercettazioni che hanno messo in luce il suo inserimento nell’organizzazione criminale, per aver partecipato a riunioni con esponenti di vertice dell’associazione per assumere decisioni in tema di assegnazione di importanti lavori di edilizia e nel traffico di stupefacenti, traendone vantaggi per la propria attività di impresa, gestendo una pasticceria che grazie all’appoggio mafioso riforniva numerosi bar della città, in un regime di alterata concorrenza con le altre imprese del settore.
Espressione di tale qualità mafiosa è stata considerata la vicenda che ha riguardato il tentativo di estorsione di cui al capo B), posto in essere con il danneggiamento della serranda della tabaccheria di proprietà di NOME COGNOME, esercizio commerciale che il COGNOME intendeva acquistare e che era stato già oggetto di un preliminare di vendita a favore del pronnissario acquirente, NOME COGNOME.
NOME COGNOME, in questa vicenda, si sarebbe servito del contributo del suo dipendente NOME COGNOME che avrebbe appiccato il fuoco cospargendo di liquido infiammabile la serranda della tabaccheria, con conseguente pericolo di incendio (capo C).
Avverso la suddetta sentenza hanno proposto ricorso per cassazione gli imputati in epigrafe indicati, denunciando, a mezzo dei rispettivi difensori, i motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all’art. 173, disp. att. cod. proc. pen.
2.1. COGNOME NOME (ricorso Avv. D. COGNOME)
Con il primo motivo deduce violazione della legge processuale in merito alla diversa qualificazione giuridica del fatto contestato, derubricato dalla fattispecie di cui al comma 2 prevista per il ruolo di capo e organizzatore a quella del comma 1 dell’art. 416-bis cod. pen. del ruolo di partecipe.
Si assume che tale diversa qualificazione non preceduta da un contraddittorio lede il diritto di difesa alla stregua dell’art. 6, paragrafo 4 della dirett 2012/13/UE sotto il profilo del diritto all’informazione dovuta all’imputato sul titolo di reato al quale si riferisce l’accusa.
A tale proposito si osserva che con la c.d. riforma Cartabia è stata prevista, con l’introduzione del comma 1-sexies dell’art. 611 cod. proc. pen., la necessità del previo contraddittorio nel giudizio di legittimità, sicchè non vi è ragione che la stessa disciplina non si applichi anche al giudizio di merito.
2.2. Con il secondo motivo deduce vizio della motivazione e violazione di legge in ordine agli elementi costitutivi della fattispecie di cui al comma 1 dell’art. 416-bis cod. pen., per l’assenza di elementi di fatto dimostrativi di una partecipazione a fronte della genericità delle accuse riferite ad un ruolo direttivo che non può essere degradato a quello di partecipe, stante la diversità in fatto delle due fattispecie, non assimilabili tra loro.
Si rimarca la genericità delle accuse per l’indeterminatezza del periodo di partecipazione, della precisa indicazione della cosca di riferimento (COGNOME–COGNOME o in alternativa a quella COGNOME).
In assenza di riferimenti specifici, la motivazione impugnata si incentra sulla vicenda della tentata estorsione che riconduce all’associazione mafiosa, sebbene il COGNOME per compierla non si sia avvalso di un affiliato della cosca mafiosa ma di un suo dipendente, risultato estraneo all’associazione, oltre che incensurato, né risulta che vi sia stata una evocazione di un interesse dell’associazione ad acquisire la tabaccheria, per il carattere prettamente personale dell’interesse del COGNOME ad acquistarla, offrendo peraltro un prezzo più alto di quello del compromesso.
Manca la prova di un contributo offerto all’associazione o di una utilità dalla stessa ricevuta, essendo stata correttamente esclusa dal Giudice di appello la finalità di agevolazione dell’associazione mafiosa ritenuta dal primo Giudice.
Si affronta, poi, il tema della “sponsorizzazione mafiosa” della ditta di dolciumi di Morabito e si censura la illogicità della motivazione per avere sminuito la rilevanza delle indagini difensive con l’assunzione di numerosi esercenti del settore
– circa una dozzina – che hanno negato di avere subito costrizioni nelle forniture di dolciumi da parte della ditta COGNOME, da loro scelta solo per la convenienza e qualità dei prodotti. Per altro verso si evidenzia come la Corte abbia ritenuto che tale settore non fosse l’unico rilevante, per poi valorizzare le generiche dichiarazioni rese sul punto dai pentiti, ed escludere in modo contraddittorio l’aggravante dell’art. 416, comma 6, cod. pen.
Si censura la rilevanza probatoria e credibilità riconosciute alle confidenziali dichiarazioni assunte dagli operanti di P.G. da COGNOME NOME e COGNOME NOME benchè contraddette dai verbali delle sommarie informazioni testimoniali dai predetti rese, la credibilità del collaboratore NOME COGNOME rispetto alla sua fonte diretta, l’altro collaboratore di giustizia, NOME COGNOME che ha negato di conoscere COGNOME per fatti criminali.
Si censura la rilevanza attribuita alle dichiarazioni degli altri collaboratori di giustizia, COGNOME e COGNOME che hanno attribuito al COGNOME un ruolo di vertice, negato dalla Corte di appello, senza fare riferimenti a fatti concreti cui avrebbe preso parte come associato il COGNOME, peraltro facendo riferimento ad un periodo risalente agli anni 2000 senza che altri collaboratori abbiano prima del 2020 riferito nulla di rilevante a carico del COGNOME, individuato solo ora come partecipe di un associazione mafiosa oggetto di accurate investigazioni da molti anni.
2.3. Con il terzo motivo denuncia vizio della motivazione in relazione al reato di tentata estorsione, per la esclusa qualificazione ai sensi dell’art. 610 cod. pen. in mancanza del danno patrimoniale arrecato alla persona offesa NOME NOMECOGNOME atteso che la finalità della minaccia era solo quella di indurre il NOME a vendere al Morabito, disposto a pagare anche un prezzo più alto per acquistare la tabaccheria, con la conseguente compronnissione solo della libertà negoziale della persona offesa ma senza alcun danno patrimoniale.
2.4. Con il quarto motivo denuncia violazione dell’art. 424 cod.pen. in relazione alla mancata qualificazione del reato a titolo di mero danneggiamento, in assenza di una situazione da cui potesse derivare un pericolo di incendio, in quanto dalle risultanze in atti emerge che il liquido è stato gettato solo sulla serranda esterna senza possibilità che penetrasse all’interno dell’esercizio commerciale, considerato l’interesse a preservarlo per poterlo acquistare, con conseguente improcedibilità per difetto di querela, atteso che la procedibilità di ufficio correlata all’aggravante dell’art. 416-bis. 1, ultimo comma, cod.pen. è stata introdotta con la legge n. 60 del 24 maggio 2023, non ancora in vigore al tempo del fatto.
2.5. Con il quinto motivo denuncia assenza grafica di motivazione in riferimento alle circostanze attenuanti generiche, che sono state riconosciute al D’Anna.
2.6. Con il sesto motivo denuncia il vizio di motivazione sulle ragioni del diniego dell’invocata applicazione della circostanza attenuante di cui all’art. 62, n.6, cod.pen. sul rilievo che la somma di euro 2.200, versata da COGNOME alla persona offesa che ha rinunciato alla costituzione di parte civile, è stata ritenuta in modo incongruo non adeguata al danno che andava limitato al solo danneggiamento della saracinesca.
2.7. Con il settimo motivo denuncia vizio di motivazione sulle ragioni del riconoscimento dell’aggravante dell’associazione armata sulla base dei rilievi che il COGNOME è l’unico imputato in questo processo del reato associativo, è estraneo alle vicende chi hanno riguardato il clan COGNOME e il suo interesse per l’acquisizione di armi è frutto di mere congetture.
2.8. Con l’ottavo motivo denuncia vizio di motivazione in relazione all’aggravante dell’art. 628, comma 3, n. 3, cod.pen. quale conseguenza della sua estraneità all’associazione mafiosa.
2.9. COGNOME Con il nono motivo denuncia il vizio di motivazione in relazione alle ragioni per cui è stata ritenuta l’aggravante del metodo mafioso di cui all’art. 416bis. 1 cod. pen.
La Corte incorre in un evidente errore di diritto nel ritenere che l’appartenenza del COGNOME all’associazione e la sua riconoscibilità come tale siano sufficienti per integrare l’aggravante del metodo mafioso, che richiede invece una manifestazione esplicita e percepibile dell’azione mafiosa.
2.10. Con il decimo motivo denuncia vizio di motivazione in relazione al trattamento sanzionatorio per la determinazione degli aumenti di pena applicata per i capi B) e C), in ragione dell’applicazione delle due circostanze aggravanti ad effetto speciale e del criterio moderatore dell’art. 63, comma 4, cod.pen. e della esclusione dell’aggravante mafiosa nella sua declinazione soggettiva
2.11. Con l’undicesimo motivo denuncia violazione di legge per avere la Corte applicato la confisca obbligatoria di cui all’art.416-bis, comma 7, cod. pen. in difetto di impugnazione del pubblico ministero in luogo di quella facoltativa applicata dal Giudice di primo grado ed in assenza di motivazione sulla sussistenza dei presupposti della correlazione della ditta di Morabito con i reati per i quali è intervenuta condanna, in assenza di elementi che consentano di ritenere mafiosa la sua azienda.
COGNOME Antonio (ricorso avv. E. COGNOME).
3.1. Con il primo motivo deduce illogicità della motivazione e violazione di legge in assenza di reati specifici riferibili al COGNOME, che siano stati posti in essere per avvantaggiare l’associazione mafiosa, e viceversa per l’assenza di vantaggi tratti dal COGNOME dall’associazione sulla base dei seguenti punti: 1) l’attività di
impresa di COGNOME è lecita e non connessa con reati di mafia; 2) le informazioni assunte nel corso delle indagini difensive dimostrano che nessuna distribuzione di prodotti dolciari è stata accompagnata da minacce; 3) nessun riscontro è stato acquisito circa un coinvolgimento del COGNOME nel traffico degli stupefacenti e nel settore edile.
3.2. Con il secondo motivo deduce l’illogicità della motivazione e violazione di legge in relazione alla riqualificazione della fattispecie associativa dal ruolo di capo a quello di partecipe, in assenza di riferimenti a condotte di reato cui abbia preso parte l’imputato, una volta escluso il suo ruolo di vertice.
3.3. Con il terzo motivo deduce illogicità della motivazione e violazione di legge per la valutazione dei verbali riferiti alle dichiarazioni confidenziali rese dai due COGNOME, padre e figlio, nonché rispetto alle vicende della revoca delle forniture della ditta COGNOME da parte di NOME COGNOME considerato un affiliato all’associazione mafiosa.
3.4. Con il quarto motivo deduce l’illogicità della motivazione e violazione di legge nella valutazione delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, prive di riscontro: 1) sulla partecipazione di COGNOME a lavori in campo edile, né circa un suo coinvolgimento nell’apertura dei supermercati MD, e quindi delle ragioni della sua presenza in occasione dell’incontro con NOME COGNOME, sulla vicenda COGNOME; 2) sulle armi e sulla moto rubata di cui ha riferito COGNOME; 3) nell’assenza di riscontri ad un suo coinvolgimento nel traffico di stupefacenti cui hanno in modo generico fatto cenno COGNOME e solo de relato COGNOME NOME, quest’ultimo smentito dalla sua fonte diretta NOME COGNOME; 4) l’assenza di elementi a suo carico emersi nel corso di oltre un decennio durante le indagini che hanno coinvolto il clan COGNOME-Ficara; 5) circa l’affermazione di COGNOME NOME che indica COGNOME come uomo di vertice, braccio destro di NOME COGNOME, e riferisce dell’appoggio alla latitanza di Ficara NOME e lo individua come partecipe alle riunioni di ‘ndrangheta per l’assegnazione dei lavori più importanti.
3.5. Con il quinto motivo denuncia l’illogicità della motivazione e violazione di legge circa la “vicenda COGNOME” in cui la conversazione oltre che per l’incerta identificazione di “Totò” con il COGNOME, non assume alcuna valenza di riscontro.
3.6. Con il sesto motivo denuncia l’illogicità della motivazione e violazione di legge della sentenza impugnata per avere dato rilevanza a conversazioni che sono state ritenute non probanti dal primo Giudice che ha assolto il COGNOME dal capo D), relativo alle armi, e per avere attribuito una valenza mafiosa ad una vicenda estorsiva che assume connotati di delinquenza comune, essendo contraddittorio che un esponete mafioso di vertice dovesse assoldare un proprio dipendente per convincere la persona offesa a preferirlo nella vendita.
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3.7. Con il settimo, ottavo, nono e decimo motivo deduce l’illogicità della motivazione e violazione di legge in punto di diniego delle circostanze attenuanti generiche, di mancata applicazione dell’attenuante dell’art. 62, n. 6, cod. pen., sulla anomalia di un processo per mafia con un solo imputato, rimasto estraneo ai processi svolti a carico delle cosche COGNOME–COGNOME, COGNOME.
4. GLYPH COGNOME NOME (ricorso avv. COGNOME NOME).
Con un unico motivo denuncia illogicità della motivazione e violazione di legge in relazione all’applicazione dell’aggravante mafiosa ritenuta nella specie del metodo mafioso e già esclusa sotto il diverso profilo della finalità agevolativa dell’associazione.
Si ribadisce che il COGNOME, soggetto del tutto incensurato, ha solo obbedito al COGNOME perché suo datore di lavoro e non perché mafioso, per il timore di perdere il proprio posto di lavoro.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi proposti nell’interesse di COGNOME NOME sono parzialmente fondati con riferimento all’affermazione di responsabilità per il reato associativo di cui al capo A) ed alle statuizioni conseguenti in tema di confisca dei beni in sequestro ed in tema di aggravante dell’art. 628, comma 3, n. 3, cod. pen. riferita al capo B), mentre il ricorso proposto nell’interesse di COGNOME NOME è inammissibile, sebbene per l’effetto estensivo dell’accoglimento parziale del ricorso di COGNOME, anche nei suoi confronti andrà rivista la sussistenza della predetta circostanza aggravante, riferita al capo B).
Più precisamente si ritengono fondati i motivi dal primo al sesto del ricorso proposto dall’Avv. NOME COGNOME cui sostanzialmente corrispondono i motivi secondo, ottavo e undicesimo articolati nel ricorso proposto dall’Avv. NOME COGNOME.
Osserva il Collegio che le dichiarazioni dei collaboratori prese in esame dalla Corte di appello, sebbene facciano tutte riferimento a rapporti di vicinanza del COGNOME ad ambienti mafiosi ed in particolare alle cosche COGNOME–COGNOME e COGNOME, appaiono tuttavia connotate da una assenza di specificità rispetto alla descrizione di comportamenti o fatti concreti, riferibili all’accusato, tali da ritenersi, sul piano logico, significativi di un suo consapevole apporto al perseguimento degli interessi del sodalizio.
Costituisce principio ormai consolidato che la condotta di partecipazione ad associazione di tipo mafioso si caratterizza per lo stabile inserimento dell’agente nella struttura organizzativa dell’associazione, idoneo, per le specifiche caratteristiche del caso concreto, ad attestare la sua ‘messa a disposizione’ in favore del sodalizio per il perseguimento dei comuni fini criminosi (Sez. U, n. 36958 del 27/05/2021, COGNOME, Rv. 281889).
La Corte di appello, non prendendo atto della genericità delle principali fonti dichiarative, ha ritenuto di reinterpretare i fatti più significativi ascritti al COGNOME ovvero quelli relativi alla riferita partecipazione ad alcuni incontri con capicosca, quali elementi indicativi non già di un suo ruolo direttivo ma di quello di mero partecipe, senza però delineare le modalità concrete dell’apporto fornito dal COGNOME agli scopi del sodalizio mafioso, tanto da valorizzare a tale fine i fatti di reato di cui ai capi B) e C), evidentemente inidonei a fornire il riscontro della partecipazione del COGNOME ad una associazione mafiosa.
La tentata estorsione ed il connesso danneggiamento della tabaccheria, per quanto accertato nel giudizio di merito, sono state ritenute condotte di reato dirette a soddisfare un interesse esclusivamente personale del COGNOME, privo di correlazione con gli scopi del sodalizio mafioso (cfr. pag. 74 della sentenza impugnata in punto di esclusione dell’aggravante mafiosa nella sua declinazione soggettiva), prescindendo dalle pur evidenti modalità mafiose della condotta, che non sono ovviamente prerogativa dei soli soggetti appartenenti ad un sodalizio mafioso (ex plurimis, Sez. 6, n. 41772 del 13/06/2017, Vicidomini, Rv. 271103, in tema di configurabilità dell’aggravante del metodo mafioso anche nel caso di reati posti in essere da soggetti estranei al reato associativo).
Con riferimento alla partecipazione agli incontri di vertice riferiti da alcuni collaboratori è necessaria una verifica della attendibilità di tali dichiarazioni anche per approfondire, ove possibile, le ragioni di tali incontri, per comprendere il ruolo svolto dall’imputato, e soprattutto chiarire quale sia stato l’apporto fornito alle decisioni assunte dai capimafia in tali vicende, e per verificare se tali riunioni abbiano trovato riscontro in plurime chiamate di correo convergenti tra loro sui tempi, luoghi, partecipanti e oggetto delle decisioni da prendere.
Ciò soprattutto, in ragione anche del carattere de relato di alcune delle chiamate di correo, e della ravvisata inattendibilità parziale delle dichiarazioni rese dal collaboratore NOME COGNOME fonte diretta di NOME COGNOME che ha smentito quanto da questi riferito sul conto di COGNOME.
Soprattutto, appare poco approfondita anche la vicenda centrale delle modalità con cui il COGNOME avrebbe imposto le forniture dei dolciumi prodotti dalla sua azienda agli esercenti della zona, essendo ugualmente generiche sul punto le dichiarazioni dei collaboratori, che pur facendo riferimento ad un sostegno mafioso
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di cui il COGNOME avrebbe fruito, non sembrano esplicitare la natura dell’accordo mafioso che avrebbe sorretto tale attività di impresa.
Laddove, infatti, manchi la prova della natura mafiosa dell’impresa stessa, ossia la prova che la stessa operi con il reimpiego di proventi derivanti da attività criminose, è necessario verificare se e quali utilità siano state offerte dal COGNOME per il perseguimento degli scopi dell’associazione mafiosa, per poter beneficiare di tale appoggio mafioso.
Non è sufficiente – come argomentato nella motivazione della sentenza impugnata – richiamare il modus operandi che notoriamente contraddistingue l’agire mafioso, essendo necessaria la prova concreta che la ditta intestata al COGNOME abbia effettivamente sviluppato il proprio fatturato grazie a condotte di intimidazione poste in essere per favorirne l’affermazione sul mercato, non potendosi supplire alla carenza di prove con presunzioni e suggestioni prive di riferimenti a fatti specifici e concreti, ove neppure descritti dagli stessi collaboratori di giustizia.
In assenza di più precise indicazioni sulle modalità con cui la c.d. sponsorizzazione mafiosa si sarebbe svolta, appare poco significativa anche la vicenda dei due COGNOME, NOME e NOME (padre e figlio).
Pur prescindendo dalla mancata conferma delle dichiarazioni rese confidenzialmente alla Polizia Giudiziaria, di cui non è in discussione la piena utilizzabilità in sede di giudizio abbreviato (Sez. 2, n. 27642 del 25/05/2021, COGNOME, Rv. 281796), è la singolarità dell’episodio che depotenzia la rilevanza probatoria dell’assunto accusatorio, in assenza della prova di un contesto di generale sopraffazione, che doveva essere descritto innanzitutto dagli stessi collaboratori di giustizia.
Va tenuto conto che anche gli imprenditori che sono costretti ad operare in ambiti territoriali di influenza mafiosa, subendone le conseguenze senza opporsi, non possono ritenersi solo per questo partecipi dell’associazione, se manchino riferimenti specifici alle utilità offerte dalle imprese stesse all’associazione in cambio della protezione mafiosa, quando cioè manchi la prova in un rapporto sinallagmatico di reciproco scambio di favori, potendosi solo in tali casi delineare la figura del concorso esterno in associazione mafiosa.
Va ricordato che integra il reato di concorso esterno in associazione di tipo mafioso la condotta dell’imprenditore “colluso” che, senza essere inserito nella struttura organizzativa del sodalizio criminale, instauri con questo un rapporto di reciproci vantaggi, consistenti nell’imporsi sul territorio in posizione dominante e nel far ottenere all’organizzazione risorse, servizi o utilità, mentre si configura il reato di partecipazione all’associazione nel caso in cui l’imprenditore metta consapevolmente la propria impresa a disposizione del sodalizio, di cui condivide
metodi e obiettivi, onde rafforzarne il potere economico sul territorio di riferimento (Sez. 6, n. 32384 del 27/03/2019, Putrino, Rv. 276474).
A tale riguardo la prova contraria fornita dalla difesa circa la regolarità delle attività di impresa svolte nel settore interessato (basata sulle informazioni testimoniali rese da alcuni commercianti del settore), sebbene ovviamente non decisiva, è stata superata dalla motivazione della sentenza impugnata senza una disamina accurata delle dichiarazioni dei collaboratori, che dovevano essere invece analizzate senza introdurre argomenti logici basati su mere presunzioni, per supplire all’assenza di contenuti dichiarativi più specifici e circostanziati sulla natura del legame che si assume intercorrere tra la ditta di dolciumi del COGNOME e l’associazione mafiosa, anche in assenza di elementi di riscontro di una effettiva gestione in regime di monopolio dell’attività d’impresa svolta dall’imputato nella zona di interesse.
Se è pur vero che anche attività commerciali lecite possono essere lo strumento attraverso le quali l’associazione mafiosa realizza i propri scopi di affermazione in ambito economico, tuttavia per distinguere l’impresa mafiosa dall’impresa che operi in ambiti controllati dal potere mafioso è necessaria la prova rigorosa che l’attività di impresa sia stata messa a disposizione del perseguimento degli scopi del sodalizio e ne segua le direttive oppure che si sia avvalsa del potere mafioso per imporsi sul mercato attraverso condizionamenti che vanno necessariamente specificati e dimostrati.
Va ricordato che lo stesso concetto di appartenenza ad una associazione mafiosa quale presupposto soggettivo dell’applicazione delle misure di prevenzione pur nella sua maggiore estensione non arriva ad includere quelle situazioni di fatto che possano collocarsi in una indefinita area di contiguità o vicinanza al gruppo mafioso, non riconducibili ad un’azione, ancorché isolata, che si caratterizzi per essere funzionale agli scopi associativi (cfr. Sez. U, n. 111 del 30/11/2017, dep. 2018, Gattuso, Rv. 271512).
Deve richiamarsi l’orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo il quale la convergenza di plurime dichiarazioni, provenienti da collaboratori di giustizia, che si risolvano nell’affermazione generica dell’appartenenza di un soggetto ad un sodalizio criminoso, possono integrare meri indizi di colpevolezza, privi del requisito della gravità e quindi, come tali, neppure idonei a consentire l’adozione di misura cautelare personale ai sensi dell’art. 273 cod. proc. pen. e che soltanto quando a siffatta indicazione si accompagni la descrizione di specifici comportamenti o fatti, riferibili all’accusato e da ritenersi, sul piano logico, significativi di un suo consapevole apporto al perseguimento degli interessi del sodalizio, allora tali propalazioni potranno validamente assumere la valenza di prova ma sempre in riferimento ad azioni o situazioni concrete la cui descrizione
è necessaria per affermare la rilevanza penale del ruolo svolto e procedere alla corretta qualificazione giuridica di siffatto ruolo (Sez. 6, n. 40520 del 25/10/2011, COGNOME, Rv. 251063).
Va poi ricordato che la chiamata in correità anche se “de relato”, può avere come unico riscontro, ai fini della prova della responsabilità penale dell’accusato, altra o altre chiamate di analogo tenore, purchè siano rispettate, per quello che qui interessa, le seguenti condizioni: a) risulti positivamente effettuata la valutazione della credibilità soggettiva di ciascun dichiarante e dell’attendibilità intrinseca di ogni singola dichiarazione, in base ai criteri della specificità, oltre che della coerenza, della costanza, della spontaneità; b) vi sia la convergenza delle varie chiamate, che devono riscontrarsi reciprocamente in maniera individualizzante, in relazione a circostanze rilevanti del “thema probandum”.
A tale riguardo deve, quindi, essere verificata la convergenza delle dichiarazioni dei collaboratori sugli specifici fatti da essi riferiti come significati dell’appartenenza del COGNOME all’associazione mafiosa, non potendosi ritenere riscontrate dichiarazioni che per la loro genericità non potrebbero neppure essere ritenute idonee a superare il preliminare vaglio dell’attendibilità intrinseca sotto il profilo della doverosa specificità del contenuto delle accuse, soprattutto quando si tratti di fatti eterogenei, slegati tra loro sul piano temporale, riferiti solo da alcun dei chiamanti in correità e che non trovino riscontri di conferma della loro veridicità.
A tale proposito non è certamente sufficiente il generico riferimento ad un coinvolgimento del COGNOME nell’aggiudicazione degli appalti nel settore edile non specificati o nel traffico degli stupefacenti, ove neppure sorretto da plurime concordanti dichiarazioni dei collaboratori, ancora meno se tali dichiarazioni risultino prive di riferimenti a circostanze specifiche utili a delineare gli stessi fatt di reato.
Giova qui rammentare, in conformità a quanto già affermato in precedenti decisioni da questa Corte, che ai fini della prova dell’adesione ad una associazione di stampo mafioso, la condotta di partecipazione è riferibile a colui che si trovi in rapporto di stabile e organica compenetrazione con il tessuto organizzativo del sodalizio, tale da implicare, più che uno “status” di appartenenza, un ruolo dinamico e funzionale, in esplicazione del quale l’interessato “prende parte” al fenomeno associativo, rimanendo a disposizione dell’ente per il perseguimento dei comuni fini criminosi.
Nel caso in esame la partecipazione all’associazione mafiosa è stata apprezzata, invece, con riguardo alla mera attribuzione di uno stato soggettivo di appartenenza, senza riferimenti ad un ruolo dinamico e funzionale desunto da fatti
significativi di una concreta disponibilità offerta alle finalità ed agli scop dell’associazione mafiosa.
La sentenza impugnata deve, pertanto, essere annullata con rinvio in relazione all’affermazione di responsabilità per il reato di cui al capo A), che dovrà essere rivalutata tenendo conto dei criteri di valutazione delle prove e dei principi di diritto sopra delineati.
Ne discende anche l’accoglimento del motivo di ricorso di COGNOME sull’aggravante dell’art. 628, comma 3, n. 3, cod. pen. relativa al capo B) e che produce effetto ai sensi dell’art. 587 cod. proc. pen. nei confronti anche del coimputato NOME COGNOME rispetto al quale la predetta aggravante è stata ritenuta equivalente alle circostanze attenuanti generiche, per la disposta rivalutazione della partecipazione all’associazione di COGNOME che costituisce il presupposto per la sua applicazione nei confronti di entrambi gli imputati del reato di tentata estorsione.
Tutti i residui motivi dei due atti di impugnazione proposti nell’interesse di COGNOME sono in parte inammissibili ed in parte vanno ritenuti assorbiti dovendo essere riesaminati insieme alla rivalutazione dell’affermazione di responsabilità per il reato di cui al capo A.
Quanto alla questione della modifica della qualificazione giuridica del fatto, appare evidente la ragione per la quale solo nel giudizio di legittimità sia stato previsto con la nuova disposizione di cui all’art. 611, comma 2-sexies, cod. proc. pen. l’obbligo di introdurre il contraddittorio laddove la Corte intenda discostarsi dalla qualificazione attribuita al fatto dal giudice di merito.
Come è noto la necessità dell’instaurazione del contraddittorio, in relazione all’ipotesi di diversa qualificazione giuridica del fatto, è stata affermata per la prima volta nella giurisprudenza della Corte EDU (Sezione II, sent. 11 dicembre 2007, RAGIONE_SOCIALE, ricorso n. 25575/04) e nella ravvisata violazione dell’art. 6, § 1, 3, CEDU.
La giurisprudenza della Corte di cassazione (cfr, fra le molte, Sez. 2, n. 31935 del 22/06/2021, Rv. 281676-01) da tempo si è attestata sul principio per cui, la violazione è del tutto insussistente quando l’imputato, attraverso l'”iter” del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione (Sez. U, n. 16 del 19/06/1996, Rv. 205619, principio ribadito da Sez. U, n. 36551 del 15/07/2010, Rv. 248051; nello stesso senso Sez. 6, n. 422 del 19/11/2019, dep. 2020, Rv. 278093).
Pertanto, la stessa facoltà di interloquire sulla qualificazione giuridica in sede di ricorso per cassazione rappresenta nell’ottica convenzionale una forma di tutela
del diritto di difendersi sul profilo che investe l’inquadramento giuridico della fattispecie concreta e che trova la sua massima espressione proprio nei poteri di controllo affidati al giudizio di legittimità.
È solo nel giudizio di legittimità, che rappresenta l’ultima istanza di decisione, che si pone la necessità di assicurare il contraddittorio in caso di diversa qualificazione giuridica, essendo in tale prospettiva il potere di attribuire una più grave qualificazione giuridica ai fatti accertati, qualora non esercitato dal giudice di merito, riconosciuto alla Corte di cassazione sempreché le parti siano state rese edotte della possibilità della diversa qualificazione (tra tante, Sez. 4, n. 18793 del 28/03/2019, COGNOME, Rv. 275762).
La disposizione risponde perciò alla necessità di garantire il contraddittorio laddove la Corte di legittimità intenda discostarsi dalla qualificazione attribuita al fatto dal giudice di merito, sul presupposto che non si verificherà alcuna violazione del diritto di difesa dell’imputato soltanto nel caso in cui la difesa sia stata posta nelle condizioni di interloquire in ordine alla nuova imputazione.
D’altra parte, lo svolgimento di questo giudizio conferma la piena tutela che è stata riconosciuta al diritto di difendersi rispetto alla diversa qualificazione giuridica, essendo altro e diverso il caso in cui la modifica non investa la qualificazione giuridica ma la stessa descrizione dei fatti materiali, con conseguente nullità della sentenza per difetto di correlazione tra il fatto contestato e quello giudicato.
Trattasi questo di un diverso profilo che resta evidentemente assorbito dall’accoglimento dei motivi che investono proprio la verifica dei fatti materiali attraverso i quali si sarebbe esplicato il contributo operativo e la sua “messa a disposizione” per gli interessi del sodalizio mafioso.
Va solo precisato che nel caso in cui – all’esito del nuovo giudizio di merito tali fatti risultino sostanzialmente gli stessi di quelli contestati e siano ritenuti ta da integrare una condotta di partecipazione anziché quella di organizzatore o capo, è evidente che nessuna violazione dell’art. 512, cod. proc. pen. sulla correlazione tra sentenza e imputazione contestata potrebbe essere ravvisata.
Proseguendo nella disamina dei motivi di ricorso dell’Avv. COGNOME manifestamente infondato è il terzo motivo in relazione alla invocata riqualificazione del reato di tentata estorsione di cui al capo B) nel reato previsto dall’art. 610 cod. pen.
Il danno patrimoniale è stato correttamente individuato nella finalità della condotta di reato diretta a costringere la persona offesa NOME NOME a recedere dal preliminare già concluso per la vendita del proprio esercizio commerciale, essendo del tutto irrilevante, a fronte di un accordo già concluso ritenuto
economicamente conveniente, la promessa non vincolante del Morabito di pagare un prezzo più alto che avrebbe esposto la parte alle conseguenze negative dell’inadempimento degli obblighi contrattuali assunti, oltre alla perdita dei diritti nascenti dal preliminare con conseguente danno patrimoniale.
Il quarto motivo in relazione alla integrazione della fattispecie prevista dall’art. 424 cod.pen. è inammissibile perché investe la ricostruzione del fatto sotto il profilo dell’assenza del pericolo di incendio che presuppone valutazioni riservate al giudizio di merito e che non sono state dedotte nei motivi di appello.
Il quinto motivo in riferimento al diniego delle circostanze attenuanti generiche è manifestamente infondato, evincendosi dalla motivazione che il diverso trattamento riservato al COGNOME è stato adeguatamente giustificato sulla base della sua condizione di soggetto non solo incensurato ma anche del tutto estraneo al sodalizio mafioso. D’altra parte è evidente che ove in sede di giudizio di rinvio dovesse escludersi la partecipazione del COGNOME all’associazione mafiosa, la rideterminazione della pena per le residue imputazioni deve passare attraverso una nuova valutazione anche di questo punto.
Il sesto motivo relativo al diniego dell’invocata applicazione della circostanza attenuante di cui all’art. 62, n.6, cod. pen. è manifestamente infondato oltre che generico, avendo la Corte di appello spiegato le ragioni della ritenuta irrisorietà della somma offerta a titolo di risarcimento di un danno certamente maggiore subito dalla persona offesa, non limitato al solo danneggiamento della saracinesca.
Il settimo motivo è manifestamente infondato oltre che generico atteso che ove si riconosca la partecipazione del COGNOME all’associazione mafiosa di cui si tratta, la sua asserita estraneità alle vicende che hanno riguardato il clan COGNOME sarebbe ovviamente priva di fondamento al fine di escludere la circostanza aggravante del carattere armato dell’associazione stessa per le ragioni esposte nella sentenza di appello (pag. 72 della sentenza).
L’ottavo motivo, come già sopra osservato, risulta fondato essendo il presupposto dell’aggravante dell’art. 628, comma 3, n. 3, cod. pen. oggetto di necessaria rivalutazione in sede di giudizio di rinvio con riguardo ad entrambi gli imputati.
Manifestamente infondato è il nono motivo in relazione all’aggravante del metodo mafioso di cui all’art. 416-bis.1 cod.pen.
Le modalità oggettive del danneggiamento, con l’incendio della serranda del negozio della persona offesa, sono state coerentemente ritenute tipicamente mafiose, considerato il contesto territoriale in cui operano associazioni mafiose storicamente consolidate ed essendo irrilevante la partecipazione effettiva del Morabito all’associazione, poiché anche la mera reputazione di farne parte può concorrere ad integrare l’aggravante del metodo mafioso, essendo necessaria
soltanto la ragionevole percezione, anche solo ipotetica, da parte della persona offesa della provenienza dell’attività delittuosa da un contesto di criminalità organizzata di tipo mafioso (Sez. 2, n. 28061 del 22/05/2024, COGNOME, Rv. 286723).
Manifestamente infondate sono le censure articolate nel decimo motivo in relazione al trattamento sanzionatorio per la determinazione degli aumenti di pena applicati per i capi B) e C), in quanto non si evince affatto dalla sentenza impugnata che siano stati applicati aumenti ulteriori e distinti per le due circostanze aggravanti ad effetto speciale, sicché nessuna violazione del criterio moderatore dell’art. 63, comma 4, cod.pen. può essere ravvisata.
D’altra parte detto motivo risulterebbe assorbito solo nel caso in cui la Corte di merito nel giudizio di rinvio dovesse procedere ad una nuova determinazione della pena per effetto dell’eventuale assoluzione dell’imputato per il reato più grave di cui al capo A).
L’undicesimo motivo relativo alla confisca prevista come obbligatoria ai sensi dell’art. 416-bis, comma 7, cod.pen. in caso di condanna per il reato di cui al capo A), risulta fondato evidentemente nella misura in cui si rende necessaria la valutazione dell’affermazione di responsabilità per il reato che ne costituisce il presupposto, dovendosi verificare la strumentalità dell’azienda confiscata rispetto al perseguimento degli scopi del sodalizio mafioso.
Mentre è manifestamente infondata la doglianza relativa alla mutata natura della confisca da facoltativa ad obbligatoria in difetto di impugnazione del pubblico ministero, trattandosi di una connotazione della confisca che non muta la sostanza del provvedimento ablatorio già emesso dal giudice del primo grado ma incide unicamente sulla giustificazione delle ragioni che ne impongono l’applicazione in caso di condanna e la cui qualificazione giuridica spetta in ogni caso al giudice e non viola il divieto di “reformatio in pejus” (Sez. 3, n. 16576 del 01/03/2023, COGNOME, Rv. 284494).
I residui motivi dal settimo al decimo del ricorso dell’Avv. COGNOME sono per le stesse ragioni inammissibili, investendo la determinazione della pena ed il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e dell’attenuante dell’art. 62, n. 6, cod. pen., fatta salva evidentemente la rivalutazione dei punti che afferiscono alla determinazione della pena ed al riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche nel caso in cui in sede di giudizio di rinvio il Morabito dovesse essere mandato assolto dal reato di cui al capo A).
Il motivo unico di ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME in relazione all’applicazione dell’aggravante mafiosa ravvisata nella specie del
metodo mafioso è inammissibile per genericità, poichè con esso si reiterano le stesse censure sulle quali la Corte di appello ha fornito adeguata risposta, in ragione sia dell’oggettiva modalità mafiosa delle minacce e sia del contesto della vicenda per il riferimento anche alla reputazione del COGNOME quale soggetto contiguo ad ambienti mafiosi, come già evidenziato in sede di disamina del motivo di ricorso proposto nell’interesse di quest’ultimo.
GLYPH Dalla declaratoria di inammissibilità del ricorso di COGNOME Riccardo consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente, oltre che al pagamento delle spese del procedimento, anche a versare una somma che si ritiene congruo determinare in tremila euro.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME NOME limitatamente al capo A) nonché all’aggravante di cui all’art. 628, terzo comma, n.3., cod. pen. contestato al capo B), con rinvio per nuovo giudizio su tali capo e punto ad altra sezione della Corte di appello di Reggio Calabria. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso del COGNOME.
Visto l’art. 624 cod. proc. pen. dichiara la irrevocabilità della sentenza in ordine all’affermazione della penale responsabilità di COGNOME NOME con riferimento al capo C).
Dichiara inammissibile il ricorso di COGNOME NOME che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
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