Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 11124 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 11124 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 18/01/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti nell’interesse di COGNOME NOME, nato a Vibo Valentia il DATA_NASCITA, contro la sentenza della Corte di Appello di Torino del 17.11.2022;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore Generale NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
udito l’AVV_NOTAIO, in difesa di NOME COGNOME, che ha concluso insistendo per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 22.3.2018, il GIP del Tribunale di Torino, all’esito del giudizio abbreviato, aveva dichiarato NOME COGNOME responsabile del delitto di cui all’art. 416-bis cod. pen. con riferimento alla sua partecipazione alla associazione a delinquere denominata ‘RAGIONE_SOCIALE e, ricondotto il fatto nella ipotesi contemplata al primo comma e riconosciute le circostanze attenuanti generiche stimate equivalenti a quella di cui al comma quarto dell’art. 416-bis cod. pen, ed alla contestata recidiva, applicata la diminuente per la scelta del rito, lo aveva condannato alla pena finale di anni 7 di reclusione applicando le pene accessorie conseguenti; aveva inoltre giudicato il COGNOME responsabile del delitto di cui al capo 2) della rubrica e, esclusa la pur contestata aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen., ritenute le circostanze attenuanti generiche stimate equivalenti alla contestata recidiva, lo aveva condannato alla pena di anni 2 di reclusione; il GIP aveva invece assolto il COGNOME dal delitto i cui al capo 3), per non aver commesso il fatto;
la Corte d’appello di Torino, con sentenza dell’8.7.2019, aveva assolto il ricorrente dal delitto di cui all’art. 416-bis cod. pen., confermato nel resto la prima sentenza sicché, con le circostanze attenuanti generiche equivalenti alla recidiva e la riduzione per il rito, lo aveva condannato alla pena di anni due di reclusione per il reato di cui agli artt. 110 cod. pen., 12-quinquies DL n. 306/1992 relativamente alla condotta di intestazione fittizia, a COGNOME NOME, del RAGIONE_SOCIALE;
avverso la predetta sentenza avevano proposto ricorso per cassazione sia il Procuratore Generale presso la Corte d’appello di Torino che l’imputato, a mezzo del suo difensore: il Procuratore Generale aveva articolato tre motivi di censura nei confronti della assoluzione del ricorrente dal delitto di cui al capo 1) della rubrica; la difesa, dal canto suo, aveva articolato due motivi nei confronti sulla condanna per il delitto di cui capo 2);
con sentenza del 27.10.2020, la VI Sezione di questa Corte aveva accolto entrambi i ricorsi ed aveva di conseguenza annullato la sentenza impugnata e rinviato ad altra Sezione della medesima Corte d’appello di Torino per nuovo giudizio su entrambi i punti;
la Corte d’appello di Torino, giudicando in sede di rinvio, ed in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha escluso la contestata recidiva e l’aggravante di cui al quarto comma dell’art. 416-bis cod. pen., contestati sul capo 1) della rubrica per cui ha invece confermato la condanna; ha dichiarato inoltre non doversi procedere nei confronti dell’odierno ricorrente quanto al delitto di cui al capo 2) perché estinto per intervenuta prescrizione ed ha di conseguenza rideterminato la pena per il delitto di cui al capo 1) in anni 4, mesi 5 e giorni 10 d
reclusione eliminando la pana accessoria della interdizione legale e sostituendo quella della interdizione perpetua con quella della interdizione temporanea dai pubblici uffici;
ricorre per cassazione il COGNOME a mezzo del difensore di fiducia che deduce:
6.1 quanto all’ordinanza della Corte d’appello del 5.4.2022: violazione di legge processuale con riguardo al principio del “diritto di difendersi provando”: ricorda che la Corte di Cassazione aveva accolto vuoi il ricorso del PG che quello della difesa a riprova della necessità di un complessivo approfondimento della vicenda ragion per cui la difesa aveva chiesto l’esame dei collaboratori COGNOME e COGNOME, istanza respinta dalla Corte che ha ritenuto tali prove non decisive; segnala che, illogicamente, la Corte aveva invece ammesso la prova relativa alla esclusione della aggravante della disponibilità di armi, finendo per infliggere una pena la cui sostanziale tenuità appare emblematica della finalità esclusiva, perseguita dai giudici, di validare il costrutto accusatorio relativo all riconducibilità del ricorrente al RAGIONE_SOCIALE di stampo ‘ndranghetistico; sottoline la decisività dell’apporto dichiarativo del COGNOME era stata ravvisata dalla stessa Corte di cassazione nella sentenza rescindente;
6.2 violazione di legge penale sostanziale quanto al disposto di cui all’art. 416-bis cod. pen.: rileva, in primo luogo, come il vizio emerga dalla indeterminatezza dell’arco temporale indicato come rilevante ai fini della appartenenza e che viene fatto decorrere dalle riunioni di cui avrebbe parlato il collaboratore COGNOME mentre la imputazione fa riferimento ad un periodo compreso tra il maggio 2014 ed il 14.1.2016; aggiunge che la Corte territoriale ha accennato alla assoluzione del ricorrente “in riferimento alla RAGIONE_SOCIALE“, avendo proprio la sentenza rescindente evidenziato come tale decisione rappresentasse uno spartiacque rispetto alla responsabilità del COGNOME quanto al delitto qui ascrittogli e per i quali le dichiarazioni del COGNOME e del COGNOME non sarebbero rilevanti a fronte, invece, di quelle del COGNOME perché riferite ad un periodo successive al giudicato assolutorio; segnala la improprietà del richiamo alle dichiarazioni dell’COGNOME, riferite ad un periodo diverso rispetto a quello contestato, spiegando che proprio la duplicità delle imputazioni evidenzierebbe la debolezza di quella RAGIONE_SOCIALE dal momento che il COGNOME avrebbe fatto parte della famiglia omonima da epoca imprecisata e sino al 2014 e, poi, dal 2014 al 2016, della RAGIONE_SOCIALE COGNOME, circostanza che ha portato la Corte territoriale ad far riferimento ad un indefinito “RAGIONE_SOCIALE“; rileva la genericità e, anzi, la valenza sostanzialmente liberatoria della considerazione secondo cui il ricorrente avrebbe “legami” con la struttura operativa facente capo al RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE; denunzia
quindi la contraddittorietà della impostazione accusatoria con l’esito, sia pur provvisorio, del processo Carminius e, in particolare, la illogicità di una affiliazione del COGNOME alla famiglia COGNOME risultando nel contempo egli partecipe di un’altra costa operante sul medesimo territorio; evidenzia la improprietà del richiamo alla presenza del ricorrente sul territorio ed ai traffici di sostanze stupefacenti, dai quali, peraltro, egli è stato assolto con doppia conforme di merito, con conseguente snaturamento della fattispecie incriminatrice; sottolinea, ancora, come la sentenza di annullamento avesse ravvisato l’esigenza di individuare una partecipazione stabile, a fronte della quale la Corte territoriale si è limitata a evidenziare puntiformi contatti con appartenenti al RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE; ribadisce, ancora, la decisività della escussione del COGNOME il quale ha in questa sede riferito in via indiretta in termini totalmente difformi rispetto a quanto aveva fatto di fronte ad altra AG e riportato nella memoria difensiva sul cui contenuto i giudici del rinvio hanno totalmente taciuto;
6.3 violazione di legge sostanziale; richiesta di applicazione della norma di cui all’art. 416-bis cod. pen. nella versione di cui alla legge 125 del 2008: rileva che, al netto degli episodi valorizzati dai giudici di merito, le dichiarazion dell’COGNOME non consentono di individuare episodi collocabili dopo l’agosto del 2015 con conseguente impossibilità di applicare la pena introdotta dalla legge n. 69 del 2015;
la difesa del COGNOME ha trasmesso motivi nuovi ai sensi dell’art. 585, comma quarto, cod. proc. pen.:
7.1 approfondimento del primo motivo del ricorso: ribadisce come, con memoria depositata presso la Corte di appello di Torino, fosse stata sollecitata la audizione del collaborante COGNOME le cui dichiarazioni erano state giudicate decisive quale riscontro di quelle rese dall’COGNOME, corroborando la richiesta con la produzione dei verbali concernenti le propalazioni del medesimo nel processo “RAGIONE_SOCIALE“; sottolinea che, nel giudizio di rinvio, il ricorrente, di fronte nuove dichiarazioni del COGNOME, aveva diritto ad esaminare il collaborante in contraddittorio e che la rinnovazione della istruttoria dibattimentale si imponeva proprio per la novità delle dichiarazioni solo successivamente rese dal COGNOME di fronte al Tribunale di Vibo Valentia in un processo strettamente collegato a quello che ci occupa in quanto incentrato sulla esistenza della RAGIONE_SOCIALE COGNOME che, secondo la ricostruzione della pubblica accusa, avrebbe avuto una propaggine in Carmagnola ed a cui sarebbero riferibili le armi di cui il COGNOME aveva la disponibilità;
7.2 approfondimento del secondo motivo del ricorso: segnala il mutamento nella versione fornita dal COGNOME nel processo di Vibo Valentia che smentisce
quella contenuta nel verbale richiamato dalla sentenza impugnata evidenziando, inoltre, l’oscillazione tra una appartenenza “generale” alla ‘RAGIONE_SOCIALE (non contestata in questa sede) ed una appartenenza del COGNOME al “RAGIONE_SOCIALE“; segnala che, nella sentenza impugnata, i giudici hanno cercato di minimizzare il contributo del COGNOME enfatizzando, invece, riscontri di altra natura; rileva, peraltro, che, a carico del COGNOME, sono stati celebrati due distinti processi, tenuti artatamente separati, uno dei quali relativo alla sua partecipazione alla propaggine di Carmagnola della RAGIONE_SOCIALE COGNOME sino al 2014 e, poi, quello di cui si discute, per le condotte asseritamente tenute dal 2014 sino al gennaio del 2016, con la conseguenza per cui il COGNOME avrebbe partecipato a due associazioni diverse operanti nel medesimo territorio; sottolinea, ancora, che il tema era stato sollevato nell’ultima memoria prodotta di fronte alla Corte d’appello in cui la difesa aveva eccepito l’inammissibilità della “precisazione” dell’accusa operata dal PM a ridosso della discussione; osserva che la partecipazione del COGNOME alla RAGIONE_SOCIALE COGNOME era stata giustificata dall’attivismo del ricorrente nel traffico deg stupefacenti smentita, tuttavia, dall’esito liberatorio consacrato dalla VI Sezione di questa Corte con la sentenza 54051 del 2021 e, quindi, nell’assoluzione pronunciata in sede di rinvio dalla Corte d’appello di Torino con sentenza dell’8.7.2019; rileva come la sentenza qui impugnata abbia tuttavia tentato di recuperare il dato fattuale attribuendo al COGNOME un ruolo di supervisione, rinsaldamento e consolidamento della struttura RAGIONE_SOCIALE che non trova alcun riscontro oltre ad essere in contrasto con l’esito assolutorio; ribadisce che, al netto delle dichiarazioni del COGNOME, quelle dell’COGNOME finiscono per essere riscontrate esclusivamente dalle frequentazioni tra il ricorrente ed i COGNOME, genericamente illecite, con la conseguente ribadita necessità di escussione del COGNOME; Corte di Cassazione – copia non ufficiale
7.3 approfondimento del terzo motivo del ricorso: rileva che le dichiarazioni rese dal COGNOME, e non utilizzate dalla Corte territoriale, comportano la necessità di individuare correttamente la legge applicabile al caso di specie tenuto conto che le armi sequestrate al COGNOME nel 2016 non sarebbero riferibili al clan RAGIONE_SOCIALE per cui la partecipazione dovrebbe limitarsi al 2014, con la frequentazione dei COGNOME nell’anno 2014.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è, complessivamente, infondato.
Con sentenza dell’8.7.2019, la Corte d’appello di Torino, in riforma della sentenza del GIP del Tribunale del capoluogo RAGIONE_SOCIALE, aveva assolto NOME
COGNOME dal delitto di cui all’art. 416-bis cod. pen. “per avere fatto part dell’associazione RAGIONE_SOCIALE denominata RAGIONE_SOCIALE .RAGIONE_SOCIALE. rivestendo in essa quantomeno il grado di camorrista …”.
In particolare, la Corte d’appello aveva accolto il primo motivo del gravame proposto nell’interesse del COGNOME contro la sentenza di condanna pronunciata in primo grado e con il quale era stata sottolineata la complessiva inadeguatezza delle dichiarazioni rese dal collaboratore NOME COGNOME, soggetto per più versi non credibile dal punto di vista soggettivo ed il cui narrato, comunque, oltre che del tutto generico quanto alle condotte di partecipazione dell’imputato al RAGIONE_SOCIALE di stampo mafioso, non sarebbe stato confortato da idonei riscontri individualizzanti.
Contro la sentenza di appello era insorto il Procuratore Generale presso la Corte di appello di Torino proponendo ricorso per cassazione affidato a tre motivi: con il primo motivo, aveva denunziato vizio di motivazione e l’omessa valutazione di risultanze processuali consistenti nella partecipazione del COGNOME, in qualità di ‘RAGIONE_SOCIALE con la dote di “camorrista” a due riunioni organizzative della RAGIONE_SOCIALE, nel corso delle quali erano stati celebrati riti per nuove affiliazioni ed era stata assunta la decisione di sospendere un affiliato, e ad una terza riunione RAGIONE_SOCIALE tenutasi per festeggiare l’uscita dal carcere di NOME COGNOME; il PG aveva inoltre dedotto l’omessa valutazione delle dichiarazioni accusatorie rese dai collaboratori di giustizia COGNOME, COGNOME e COGNOME, tutte convergenti circa la partecipazione del ricorrente al RAGIONE_SOCIALE, mentre la Corte d’appello si sarebbe limitata a sostenere che si trattava di apporti dichiarativi riferiti a peri precedenti quello in contestazione; aveva sostenuto che, ove apprezzate unitamente alle dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia COGNOME, relative al periodo di tempo successivo, le citate propalazioni avrebbero invece contribuito a dimostrare la partecipazione del COGNOME al RAGIONE_SOCIALE senza soluzione di continuità, ed offerto i necessari riscontri individualizzanti alle dichiarazion dell’COGNOME, anche là dove quest’ultimo riferisce della partecipazione del COGNOME alla cerimonia rituale nel corso della quale lo stesso dichiarante fu affiliato, peraltro perfettamente coerente con gli ulteriori, numerosi e documentati contatti con esponenti della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, e avrebbe contribuito a dare agli episodi ricostruiti in atti valenza sintomatica del contestato delitto di partecipazione alla ‘RAGIONE_SOCIALE; sempre secondo il PG, la Corte di appello avrebbe altresì omesso di considerare i numerosi contatti tra il COGNOME e COGNOME NOME, figlio del capo-RAGIONE_SOCIALE COGNOME NOME, mediante il ricorso a schede telefoniche dedicate, nonché l’incontro tra COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME del 23/12/2015, nel corso del quale i primi avevano recato al predetto gli auguri e doni per il Natale, a conferma della sua caratura criminale; con il secondo motivo, il PG aveva dedotto l’erronea Corte di Cassazione – copia non ufficiale
applicazione della legge penale e l’omessa valutazione di risultanze processuali consistenti in altrettanti riscontri individualizzanti delle dichiarazioni accusator del chiamante COGNOME sostenendo che erroneamente la sentenza impugnata aveva li aveva ricercati non già rispetto alla chiamata in correità nel delitto partecipazione RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, bensì rispetto alle singole circostanze narrate dal chiamante COGNOME; aveva sottolineato che, ai fini della valutazione della chiamata di correo, il “riscontro individualizzante’ non può essere inteso come necessariamente riferito alle medesime condotte narrate dal dichiarante, potendo riguardare ogni altro profilo idoneo a fondare il giudizio di attendibilità del dichiarazioni e riconducibile al fatto da provare che, in relazione al reato di associazione RAGIONE_SOCIALE, è costituito non dal singolo comportamento dell’accusato, bensì dalla sua appartenenza al RAGIONE_SOCIALE; aveva evidenziato che, tenuto conto di questa corretta impostazione, le dichiarazioni di COGNOME relative alla partecipazione di COGNOME alle riunioni ‘ndranghetiste sarebbero state pienamente riscontrate; con il terzo motivo, la Procura Generale RAGIONE_SOCIALE aveva denunziato l’omessa valutazione di risultanze processuali relative al procedimento penale RG n. 14024/14 in cui COGNOME era accusato del reato di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309/90 per avere acquistato dal RAGIONE_SOCIALE una partita di cocaina ed è stato definitivamente assolto; aveva fatto presente che l’assoluzione del ricorrente non impediva tuttavia di utilizzare tutti gli elementi d prova che avevano collocato il COGNOME, insieme a NOME e NOME COGNOME, nei luoghi e nei tempi del suddetto traffico di stupefacenti.
2. Con sentenza del 27.10.2020 la VI Sezione di questa Corte aveva accolto il ricorso del PG (come, invero, quello del COGNOME con riguardo alla conferma della condanna per il delitto di cui all’art. 512-bis cod. pen.): aveva sostenuto, in particolare, che il ricorso della parte pubblica “… coglie nel segno là dove deduce erronea applicazione di legge penale e travisamento per omissione di plurimi elementi di prova suscettibili di costituire idonei riscontri individualizzanti co riferimento alla valutazione delle dichiarazioni accusatorie del chiamante NOME COGNOME operata dalla Corte territoriale”; più in particolare, ha ribadito che “… ai fini della valutazione della chiamata di correo, il riscontro individualizzante non può essere inteso come necessariamente concernente le medesime condotte narrate dal dichiarante, potendo riguardare ogni altro profilo idoneo a fondare il giudizio di attendibilità delle dichiarazioni e riconducibile al fatt da provare che, in relazione al reato di associazione RAGIONE_SOCIALE, è costituito non dal singolo comportamento dell’accusato, bensì dalla sua appartenenza al RAGIONE_SOCIALE, con stabile e volontaria compenetrazione del soggetto nel suo tessuto organizzativo …”; aveva perciò rilevato che la Corte d’appello si era discostata da
tale corretta impostazione finendo così, erroneamente, per omettere di considerare “… la valenza dimostrativa della chiamata in correità operata dal collaborante NOME COGNOME – del quale peraltro la Corte territoriale ritiene, con motivazione del tutto congrua e immune da vizi logici e giuridici, la piena credibilità soggettiva e l’attendibilità oggettiva del narrato, finanche a fronte d marginali imprecisioni, espressamente e compiutamente considerate (…) riferendo erroneamente la necessità di specifici riscontri individualizzanti alle singole attività attribuite dal propalante all’accusato, consistenti nell partecipazione di COGNOME a tre riunioni tra membri della ‘RAGIONE_SOCIALE appartenenti alla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, e non già alla pure riferita appartenenza del ricorrente a quel RAGIONE_SOCIALE, così come contestata al capo 1″; tanto premesso, i giudici della VI Sezione avevano fatto presente che “… la Corte territoriale omette in primo luogo di valutare, dopo averle richiamate nella parte descrittiva del fatto processuale, le dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia NOME COGNOME, il quale, secondo la sintesi fornita dalla stessa Corte a p. 7 della sentenza impugnata, non si era limitato a riferire, come già avevano fatto nel 2012 e 2013 i collaboranti NOME COGNOME e NOME COGNOME, che il suo compaesano COGNOME faceva parte della RAGIONE_SOCIALE dei COGNOME, per conto della quale vendeva droga, ma aveva altresì dato conto del legame associativo che successivamente COGNOME aveva stabilito a Torino con la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE“; aveva a tal proposito evidenziato che “… si tratta di dichiarazioni accusatorie che, al pari di quelle dell’COGNOME, riguardano condotte di partecipazione all’associazione di tipo mafioso denominata ‘RAGIONE_SOCIALE, ed in particolare all’articolazione RAGIONE_SOCIALE operante prevalentemente in Torino e facente capo a COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, che non rientrano nel perimetro decisorio della sentenza definitiva di assoluzione pronunciata in data 30/6/2016 nei confronti del ricorrente dalla Corte di assise d’appello di Catanzaro in riferimento all’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ed a periodo antecedente a quello qui in contestazione” con la conseguenza per cui “… le dichiarazioni di COGNOME – contrariamente a quelle di COGNOME e COGNOME, concordemente svalutate dai giudici di merito ai fini di cui all’art. 192, comma 3, cod. proc. pen. – riguardano fatti associativi non coperti dal giudicato assolutorio e, come tali, suscettibili di costituire idoneo riscontro individualizzante al narrat di NOME COGNOME“; analoghe considerazioni la sentenza rescindente aveva speso con riguardo alla “… omessa considerazione, anche al fine dell’individuazione di idonei riscontri alla chiamata in correità operata da NOME COGNOME, della valenza individualizzante e sintomatica di partecipazione RAGIONE_SOCIALE dell’accertato (con sentenza definitiva) possesso da parte di COGNOME di un vero e proprio arsenale – comprendente non solo armi da sparo con matricola obliterata, ma addirittura armi da guerra – rinvenuto sotto terra nelle immediate vicinanze della Corte di Cassazione – copia non ufficiale
sua abitazione, rispetto al quale il ricorrente ha offerto una giustificazione tanto minimizzante quanto pretestuosa ed all’evidenza inconferente: essere appassionato di armi”; aveva considerato che “… la mancata valutazione dei sopra descritti elementi di prova nell’ambito del giudizio di conferma delle dichiarazioni di NOME COGNOME richiesto dall’art. 192, comma 3, cod. proc. pen. integra al tempo stesso, ed in modo autonomo, tanto la violazione dei canoni normativi attinenti all’apprezzamento delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, quanto l’eccepito vizio di travisamento della prova per omissione, deducibile in cassazione ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen.” avendo inoltre ritenuto di riaffermare il principio per cui “… nel delitto di associazione RAGIONE_SOCIALE, pur essendo escluso che le frequentazioni possano autonomamente essere poste a fondamento di una affermazione di responsabilità, è possibile che, a fronte di una intrinsecamente valida chiamata di correità, le relazioni qualificate con altri esponenti della stessa organizzazione criminale, tra cui quelle con soggetti posti in posizione verticistica, valgano da riscontro esterno ex art. 192, comma terzo, cod. proc. pen. e siano pertanto idonee ad essere poste a fondamento dell’affermazione di responsabilità per il delitto di associazione RAGIONE_SOCIALE“; di conseguenza, aveva giudicato fondato il ricorso del Pubblico Ministero “… anche ove segnala la valenza dimostrativa e individualizzante dei molteplici, peculiari e documentati contatti intercorsi tra il ricorrente, i capi della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ed altr associati presso la base operativa del RAGIONE_SOCIALE costituita dal RAGIONE_SOCIALE Gran Galà (luogo sorvegliato da apposite vedette, ove è stata documentata la realizzazione di condotte estorsive e il pagamento di debiti usurari rientranti nell’attività del suddetto RAGIONE_SOCIALE criminale) ovvero per il tramite di telefoni cellular esclusivamente dedicati ai contatti tra COGNOME e NOME COGNOME, figlio del capo-RAGIONE_SOCIALE NOME COGNOME ed esso stesso associato in posizione apicale”. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Da ultimo, aveva sottolineato che le censure del PG avevano avuto riguardo “… a un provvedimento che ha sovvertito, quanto al capo 1, la decisione di condanna intervenuta ad esito del giudizio di primo grado e che avrebbe pertanto necessitato una motivazione rafforzata, consistente nella compiuta indicazione delle ragioni per cui le prove fin qui richiamate assumono una valenza dimostrativa diversa rispetto a quella ritenuta dal giudice di primo grado, nonché in un apparato giustificativo che desse conto degli specifici passaggi logici relativi alla disamina degli evocati istituti di diritto sostanziale o processuale, in modo da conferire alla decisione una forza persuasiva superiore”.
Tanto premesso, ritiene il collegio che la decisione della Corte territoriale si sia correttamente uniformata alle indicazioni fornite ed ai rilievi mossi dalla sentenza rescindente.
3.1 L’esame dei motivi di ricorso avverso la sentenza resa in sede rescissoria deve in primo luogo essere operato alla luce del principio secondo cui la Corte di cassazione risolve una questione di diritto anche quando giudica sull’adempimento del dovere di motivazione, sicché il giudice di rinvio, pur conservando la libertà di decisione mediante un’autonoma valutazione delle risultanze probatorie relative al punto annullato, è tenuto a giustificare il proprio convincimento secondo lo schema implicitamente o esplicitamente enunciato nella sentenza di annullamento, restando in tal modo vincolato a una determinata valutazione delle risultanze processuali (cfr., Sez. 2 – , n. 45863 del 24/09/2019, COGNOME, Rv. 277999 – 01; Sez. 5, n. 7567 del 24/09/2012, COGNOME, Rv. 254830 – 01).
Si è anche precisato che, nel caso di annullamento con rinvio della sentenza per vizio di motivazione, il giudice di rinvio – pur restando libero di determinare i proprio apprezzamento di merito mediante un’autonoma valutazione della situazione di fatto concernente il punto annullato – è tenuto a giustificare il proprio convincimento secondo lo schema implicitamente o esplicitamente enunciato nella sentenza di annullamento, restando vincolato ad una determinata valutazione delle risultanze processuali o al compimento di una determinata indagine, in precedenza omessa, di determinante rilevanza ai fini della decisione, con il limite di non ripetere i vizi di motivazione rilevati nel provvedimento annullato (cfr., in tal senso, tra le tante, Sez. 6, n. 19206 del 10/01/2013, COGNOME Benedetto, Rv. 255122 – 01).
3.2 La Corte di appello di Torino, decidendo in sede rescissoria, ha infatti informato la propria decisione sui principi ribaditi dalla sentenza di annullamento e motivando la conferma della affermazione di responsabilità del ricorrente per il delitto di cui al capo 1) della rubrica nel solco tracciato dalle considerazioni svolte in quella sede.
Dopo averle infatti riepilogate (cfr., pagg. 9-10 della sentenza impugnata), ha in primo luogo ribadito i termini della accusa mossa nei confronti dell’odierno ricorrente (rispetto alla quale, peraltro, ha stimato di fatto irrilevante la “modific proposta dal PG con la memoria del 16.2.2022) attinente alla partecipazione del COGNOME al RAGIONE_SOCIALE nel periodo compreso tra il maggio del 2014 ed il gennaio del 2016 quale “persona di riferimento” degli appartenenti alla RAGIONE_SOCIALE “… da intendersi quale a persona a disposizione della RAGIONE_SOCIALE facente capo ai COGNOME” (cfr., ivi, pag. 11).
Ha potuto perciò escludere ogni possibile “interferenza” della vicenda in esame con quella relativa alla famiglia COGNOME oggetto della sentenza della Corte di assise di appello di Catanzaro del 30.6.2016 sostenendo che le indagini avevano
consentito di appurare che, a partire dal febbraio del 2014, con la scarcerazione di NOME e NOME COGNOME, era stata avviata un’opera di ricostituzione della RAGIONE_SOCIALE operante nel RAGIONE_SOCIALE cui aveva partecipato, fornendo un proprio contributo, proprio l’odierno ricorrente (cfr., ivi).
Richiamando, perciò, l’approdo decisorio del primo giudice, la Corte d’appello ha vagliato il motivo di gravame articolato dalla difesa del COGNOME con riguardo al giudizio di attendibilità dell’COGNOME su cui, invero, il ricorso non si soffermato ma che, per altro verso, era stato oggetto di considerazione nella sentenza di annullamento laddove aveva osservato che la stessa Corte territoriale, che pure aveva finito con l’assolvere il COGNOME, aveva attestato, con motivazione del tutto congrua, la piena credibilità soggettiva e l’attendibilità oggettiva e le c propalazioni erano state giudicate invece insufficienti a fondare una decisione di condanna soltanto in quanto inidoneannente corroborate con riscontri oggettivi ed individualizzanti.
Come accennato, è proprio su tale profilo che era intervenuta la decisione rescindente che aveva stigmatizzato la sentenza impugnata dal PG laddove la Corte d’appello aveva ritenuto che i riscontri alle dichiarazioni dell’COGNOME dovessero riguardare le specifiche circostanze di cui questi aveva parlato e che avevano coinvolto direttamente il COGNOME.
Una volta ribadito come la presenza del collaboratore nei luoghi ove aveva collocato il ricorrente fosse stata comprovata dall’analisi dei dati del traffic telefonico e da altri elementi obiettivi (cfr., pag. 13 della sentenza), ha ritenut che il riscontro alle propalazioni dell’COGNOME, seguendo le indicazioni della sentenza rescindente, potessero essere individuati negli altrettanto comprovati assidui contatti tra il COGNOME e gli esponenti della famiglia COGNOME, intercorsi facendo uso di schede telefoniche dedicate, diverse da quelle utilizzate per contattare altri, nonché la pure ritenuta frequentazione del bar Gran Galà, base operativa del RAGIONE_SOCIALE.
A questi elementi, secondo i giudici torinesi, vanno affiancate le dichiarazioni di NOME COGNOME “… collaboratore di giustizia di non contestata attendibilità” il quale aveva riferito che, per quanto a sua conoscenza, il COGNOME era affiliato alla ‘ndragheta da lungo tempo (cfr., ivi, pag. 14).
Premesse alcune considerazioni di carattere generale sulla nozione di “partecipazione” ad associazione di stampo mafioso, la Corte d’appello ha pertanto potuto concludere nel senso che il COGNOME aveva certamente contribuito alla vita del RAGIONE_SOCIALE riconducibile alla famiglia COGNOME avendo preso parte “… a riunioni organizzative della nuova RAGIONE_SOCIALE nelle quali venivano celebrati riti per nuove affiliazioni ed avanzamenti di grado ed era presa la decisione di sospendere l’affiliato COGNOME NOME, nonché ad altra riunione dove era festeggiata l’uscita dal
carcere del capo NOME COGNOME” elemento che, osserva il collegio, al di là del contenuto delle dichiarazioni dell’COGNOME, consentiva di collocare facilmente nel tempo l’evento.
Correttamente, peraltro, i giudici torinesi hanno attribuito a tali circostanze una valenza significativa della condotta di “partecipazione” al RAGIONE_SOCIALE come ampiamente scandagliata dalle SS.UU. “Modaffari” secondo cui “… va considerato partecipe dell’organizzazione criminale l’affiliato che prende parte attiva al fenomeno associativo” tenendo conto che “… la partecipazione non si esaurisce né in una mera manifestazione di volontà unilaterale né in una affermazione di status” ma che “… implica un’attivazione fattiva a favore della RAGIONE_SOCIALE che attribuisca dinamicità, concretezza e riconoscibilità alla condotta che si sostanzia nel prendere parte; in quest’ottica, si è chiarito che “… l’opera di concretizzazione giurisprudenziale del significato della locuzione normativa fa parte di cui all’art. 416-bis, primo comma, cod. pen. non può pertanto lasciare spazio ad ipotesi di identificazione della condotta punibile che risultino del tutto svincolate dalla verifica di un contributo, anche in forme atipiche, ma effettivo, concreto e visibile reso dal partecipe alla vita dell’organizzazione criminosa: tale contributo, che può assumere carattere sia materiale che morale, ben potrà essere ricostruito anche in via indiziaria e ben potrà concretizzarsi solo in un momento successivo (allorquando l’affiliato darà concreto corso alla messa a disposizione) rispetto al formale ingresso nell’associazione” assumendo “… assoluta decisività ai fini della valutazione di “appartenenza” ad un RAGIONE_SOCIALE criminale avente le caratteristiche sin qui illustrate, la possibilità di attribuire al soggetto la realizzazione di qualsivoglia apporto concreto, sia pur minimo, ma in ogni caso riconoscibile, alla vita dell’associazione, tale da far ritenere avvenuto il dato dell’inserimento attivo con carattere di stabilità e consapevolezza oggettiva”. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
In definitiva, rileva il collegio che, alla luce delle coordinate offerte dal elaborazione delle SS.UU., il contributo del singolo “partecipe” deve essere riferito ad aspetti che attengano alla vita dell’associazione, ben potendo a tal fine rilevare anche condotte che si esauriscano all’interno del RAGIONE_SOCIALE ovvero nelle sue dinamiche organizzative non richiedendosi, al contrario, un apporto causale che riguardi la sua concreta operatività e la sua proiezione esterna, ovvero, in particolare, il compimento di reati-fine essendo sufficienti, ad integrare il delitto i esame, comportamenti emblematici del fatto che l’agente faccia “parte” del RAGIONE_SOCIALE operando al suo interno e nella piena consapevolezza della natura della associazione e del legame fideistico e di reciproco riconoscimento che rappresenta, invero, il proprium della fattispecie.
Non a caso, sono state ancora una volta le SS.UU. Modaffari a chiarire che la condotta penalmente rilevante (di “messa a disposizione”) come quelle “… di
conservazione COGNOME e COGNOME di COGNOME potenziale COGNOME rafforzamento COGNOME dell’associazione” COGNOME non necessariamente devono tradursi in un “evento” oggettivamente rilevabile alla luce della sua connotazione di immaterialità, sicché “… ai fini della sua valutazione non potrà utilizzarsi il “parametro” della causalità e si dovrà invece ricorrere a quello della rilevanza in concreto”.
Ed in tal senso, le SS.UU. hanno osservato che “… potranno venire in rilievo, oltre all’accertamento della comprovata mafiosità del RAGIONE_SOCIALE associante, la qualità dell’adesione ed il tipo di percorso che l’ha preceduta, la dimostrata affidabilità criminale dell’affiliando, la serietà del contesto ambientale in cui la decisione è maturata, il rispetto delle forme rituali anche con riferimento all’accertamento dei poteri di chi sceglie, di chi presenta e di chi officia il rito dei nuovi adepti, la tipologia del reciproco impegno preso, la misura della disponibilità pretesa e/o offerta ed ogni altro elemento di fatto che, sulla base di tutte le fonti di prova utilizzabili e di comprovate massime di esperienza, costituisca circostanza concreta, capace di rendere inequivoco e certo il contributo attuale dell’associato a favore della RAGIONE_SOCIALE” (cfr., pag. 36 della sentenza).
Di assoluto interesse, inoltre, è il passaggio in cui le SS.UU., in coerenza con le premesse ricostruttive di cui hanno dato ampiamente conto, hanno chiarito che, ai fini della prova della “partecipazione”, rilevano “… i comportamenti di fatto – precedenti e/o successivi al rituale di affiliazione – non necessariamente attuativi delle finalità criminali dell’associazione, ma tuttavia capaci di dimostrare in concreto l’adesione … e di rivelare una reciproca vocazione di irrevocabilità (intesa nel senso di una stabile e duratura relazione, potenzialmente permanente) testimoniandosi in fatto e non solo nelle intenzioni il rapporto organico tra singolo e struttura” aggiungendo che “… la messa a disposizione non solo costituisce l’effetto dell’ammissione al RAGIONE_SOCIALE, ma indica un comportamento oggettivo e non solo intenzionale, attuale e non meramente ipotetico, che finisce così per concretizzare e rendere riconoscibile, sotto il profilo dinamico della partecipazione, non potendo questo effetto condizionarsi in negativo e legarsi esclusivamente alla successiva – e, a volte, solo eventuale chiamata per l’esecuzione di un incarico specifico, essendo l’adepto già inglobato nel RAGIONE_SOCIALE e pronto per le necessità attuali o future della RAGIONE_SOCIALE” (cfr., pag. 41 della sentenza).
La Corte d’appello, infine, e sempre sotto il profilo della ricerca di riscontri alle intrinsecamente attendibili propalazioni dell’COGNOME, hanno fatto riferimento alla vicenda relativa all’acquisto di una partita di stupefacente da parte del RAGIONE_SOCIALE rispetto alla quale, all’esito dell’annullamento della sentenza di secondo grado, il COGNOME era stato assolto per non aver commesso il fatto (cfr., pagg. 17-18).
4.1 Detto questo, il primo ed il secondo motivo del ricorso, che ben possono essere trattati congiuntamente, sono infondati.
In tal senso si deve ritenere laddove la difesa denunzia violazione del “diritto di difendersi provando” che la Corte d’appello avrebbe consumato negando la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale con la escussione del collaboratore COGNOME la cui “decisività” sarebbe stata evidenziata proprio dalla sentenza di annullamento.
Va rilevato, a tal proposito, che, in via di principio, il giudice del rinvi investito del processo a seguito di annullamento pronunciato dalla Corte di cassazione, non è tenuto a riaprire l’istruttoria dibattimentale ogni volta che le parti ne facciano richiesta, poiché i suoi poteri sono identici a quelli che aveva il giudice la cui sentenza è stata annullata, sicché egli deve disporre l’assunzione delle prove indicate solo se le stesse sono indispensabili ai fini della decisione, così come previsto dall’art. 603 cod. proc. pen., oltre che rilevanti, secondo quanto statuito dall’art. 627, comma 2, cod. proc. pen. (cfr., Sez. 1, n. 12690 del 03/12/2019 Ud. (dep. 22/04/2020), COGNOME, Rv. 278703 , -t – COGNOME 01; COGNOME Sez. 5, n. 52208 del 30/09/2014, COGNOME COGNOME, COGNOME Rv. 262116 COGNOME – COGNOME 01; I Sez. 1, n. 28225 del 09/05/2014, COGNOME COGNOME, COGNOME Rv. 260939 COGNOME 01; Sez. 2, n. 35616 del 13/07/2007, COGNOME, Rv. 237165 – 01).
Nel caso di specie, peraltro, il giudizio si era svolto con rito abbreviato non condizionato essendo allora necessario ribadire che nel giudizio di appello conseguente allo svolgimento con tali forme del giudizio di primo grado, è consentito al giudice disporre “ex officio”, ai sensi dell’art. 603, comma 3, cod. proc. pen., soltanto i mezzi di prova ritenuti assolutamente necessari per l’accertamento dei fatti costituenti oggetto di decisione, potendo le parti solo sollecitare i poteri suppletivi di iniziativa probatoria allo stesso spettanti (cf Sez. 2 – , n. 30776 del 10/05/2023, COGNOME, Rv. 284947 – 01 Sez. 5, n. 11908 del 23/11/2015 Ud. (dep. 21/03/2016), COGNOME, Rv. 266158 – 01; Sez. 2, n. 45329 del 01/10/2013, COGNOME, Rv. 257498 01; Sez. 2 – , n. 5629 del 30/11/2021 Ud. (dep. 17/02/2022), COGNOME, Rv. 282585 – 01, in cui si è chiarito che nel giudizio abbreviato d’appello le parti sono titola di una mera facoltà di sollecitazione del potere di integrazione istruttoria, esercitabile dal giudice “ex officio” nei limiti della assoluta necessità ai sens dell’art. 603, comma 3, cod. proc. pen., atteso che in sede di appello non può riconoscersi alle parti la titolarità di un diritto alla raccolta della prova in ter diversi e più ampi rispetto a quelli che incidono su tale facoltà nel giudizio di primo grado; cfr., ancora, Sez. 6 – , n. 51901 del 19/09/2019, COGNOME, Rv. 278061 01; Sez. 6 – , n. 37901 del 21/05/2019, COGNOME, Rv. 276913 – 02, secondo cui
nel giudizio di appello conseguente allo svolgimento del giudizio di primo grado nelle forme del rito abbreviato le parti non possono far valere il diritto all rinnovazione dell’istruzione per l’assunzione di prove nuove sopravvenute o scoperte successivamente, spettando in ogni caso al giudice la valutazione in ordine alla assoluta necessità della loro acquisizione).
Correlativamente, è consolidato il principio secondo cui nei casi in cui si proceda con giudizio abbreviato, la mancata rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale in appello per assumere d’ufficio, anche se su sollecitazione di parte, prove sopravvenute che non siano vietate dalla legge o non siano motivatamente ritenute manifestamente superflue o irrilevanti, può essere sindacata, in sede di legittimità, ex art. 603, comma 3, cod. proc. pen., soltanto qualora sussistano, nell’apparato motivazionale posto a base della conclusiva decisione impugnata, lacune, manifeste illogicità o contraddizioni, ricavabili dal testo del medesimo provvedimento e concernenti punti di decisiva rilevanza (cfr., Sez. 2, n. 40855 del 19/04/2017, COGNOME, Rv. 271163 01; Sez. 2, n. 48630 del 15/09/2015, COGNOME, Rv. 265323 – 01, in cui la Corte ha ribadito che, in sede di legittimità, può essere censurata la mancata assunzione in appello, in sede di giudizio abbreviato non condizionato, di prove richieste dalla parte solo qualora si dimostri l’esistenza, nell’apparato motivazionale posto a base della decisione impugnata, di lacune o manifeste illogicità, ricavabili dal testo del medesimo provvedimento e concernenti punti di decisiva rilevanza, le quali sarebbero state presumibilmente evitate provvedendosi all’assunzione o alla riassunzione di determinate prove in appello).
Tanto premesso, va rilevato, in primo luogo, come già la sentenza di primo grado (cfr., ivi, pag. 31) si fosse soffermata sulle dichiarazioni del COGNOME (i quale aveva riferito in merito ai legami stretti dal COGNOME con i fratelli COGNOME “. anche perché a Torino erano loro che comandavano”) indicandole a riscontro delle propalazioni dell’COGNOME; dal canto suo, la difesa aveva impostato il proprio appello prescindendo totalmente da siffatto elemento di prova preferendo insistere, piuttosto, nel censurare la valutazione di credibilità intrinseca dell’COGNOME su cui, invece, era stato espresso un giudizio positivo da parte della stessa Corte di appello che aveva riformato la sentenza di primo grado non già, come ha accennato la Corte di legittimità, per un diverso apprezzamento sul punto specifico quanto, piuttosto, per la ritenuta inadeguatezza dei riscontri esterni individualizzanti.
Non soltanto, perciò, la difesa aveva omesso ogni considerazione sulla valenza delle dichiarazioni del COGNOME ma, per altro verso, non aveva in quella sede sollecitato la audizione in appello limitandosi, con l’atto di gravame, a chiedere di poter produrre la sentenza del 24.6.2018 della VI Sezione ed a
sollecitare la diretta assunzione della dichiarazioni dell’COGNOME o, quantomeno, la loro integrale acquisizione rispetto a quelle richiamate “in estratto” e che sarebbero state utilizzate dal giudice di primo grado (cfr., pag. 27 dell’atto di appello).
In realtà, la difesa ha sostenuto il motivo di ricorso insistendo sull’elemento di “novità”, concernente proprio la figura del COGNOME, rappresentata dal fatto che costui, nell’ambito di altri procedimenti in cui era stato nel frattempo chiamato a rendere le proprie dichiarazioni, avrebbe riferito in merito alla figura del COGNOME in termini totalmente difformi rispetto alle dichiarazioni valorizzate in questa sede e riportate nel verbale del 17.11.2016 (cfr., alla nota 4 a pag. 14 della sentenza qui in verifica).
A sostegno della richiesta istruttoria, la difesa aveva quindi depositato una memoria in vista dell’udienza del 17.2.2022 in cui aveva sottolineato la “decisività” della prova consistente nella escussione del COGNOME allegando, a riprova, i verbali provenienti dalle udienze del processo “RAGIONE_SOCIALE” e quelli provenienti dal processo “Carnninius” e relativi proprio alla escussione, in quelle sedi, del collaboratore NOME COGNOME.
Va rilevato, a tal proposito, che la difesa si era limitata a questa sollecitazione (cfr., pagg. 1-2 della memoria) e non aveva nemmeno allegato l’esistenza di un contrasto insanabile tra il contenuto delle dichiarazioni ivi rese dal COGNOME con quelle utilizzate nel presente processo a (mero) riscontro delle propalazioni del collaboratore COGNOME.
Era stato invece il COGNOME, con una propria missiva, inviata al difensore e riprodotta nel contesto della memoria, ad individuare dei passaggi delle dichiarazioni del COGNOME in cui questi, riferendo nell’ambito di quei processi, avrebbe sostenuto di non sapere se il COGNOME fosse in rapporti di frequentazione con i COGNOME (cfr., pag. 8 della memoria).
Ciò non di meno, la Corte della fase rescissoria ha – sia pure con motivazione lapidaria – ritenuto non essenziale la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale con l’escussione del COGNOME avendo fondato le proprie conclusioni su una serie di elementi stimati convergenti nel senso di riscontrare adeguatamente le propalazioni di NOME COGNOME, di per sé idonee, per il loro contenuto, a disegnare una condotta di partecipazione al RAGIONE_SOCIALE capeggiato dai RAGIONE_SOCIALE.
Da questo punto di vista, va rilevato che nemmeno può rilevare la impossibilità di utilizzare, ad ulteriore riscontro, la vicenda relativa all’acquisto stupefacente da parte della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE nella quale era rimasto coinvolto il COGNOME ma da cui il COGNOME era stato assolto con sentenza della Corte di
appello di Torino emessa in sede di rinvio dall’annullamento disposto dalla VI Sezione di questa Corte con sentenza 24.10.2018.
Resta il fatto che, “al netto” delle osservazioni svolte dalla sentenza appena indicata, il COGNOME era stato presente sui luoghi sia il giorno 5 che il giorno 9 dicembre 2014 pur non potendosi attribuire a tale presenza una portata significativa del suo diretto coinvolgimento nella operazione (cfr., pagg. 5-6 della sentenza della VI Sezione).
Si tratta, dunque, di un dato che, sia pure nella sua “neutralità”, ben poteva essere valorizzato a conforto di quella assidua frequentazione del COGNOME con i componenti della famiglia COGNOME – sin’anche in momenti particolarmente “delicati” – che la stessa VI Sezione, nella sentenza rescindente, aveva considerato suscettibile di apprezzamento quale elemento di riscontro oggettivo delle dichiarazioni dell’COGNOME.
Per quanto concerne, poi, il resto del secondo motivo del ricorso, si tratta di considerazioni che tendono a ripercorrere l’esame delle emergenze istruttorie alla luce di una diversa loro interpretazione e lettura alternativa, certamente non consentite in questa sede.
4.2 Il terzo motivo del ricorso è infondato.
La difesa ha infatti insistito sulla normativa concernente il trattamento sanzionatorio applicabile “ratione temporis” ai fatti per cui è processo: ha sottolineato che le condotte “partecipative” riferite dall’COGNOME si arrestavano al settembre del 2014 ed erano perciò collocabili in periodi antecedenti la entrata in vigore della legge 27.5.2015 n. 69 che, all’art. 5, comma 1, lett. a), ha elevato le pene previste dall’art. 416-bis cod. pen. per quanto riguarda le ipotesi contemplate dal primo e dal secondo comma (con diretto riflesso, ovviamente, sulle fattispecie aggravate di cui ai commi successivi); si sostiene, perciò, che non poteva trovare applicazione la normativa introdotta nel 2015 poiché la prova della “intraneità” al RAGIONE_SOCIALE era collegata ad episodi e condotte non successivi all’entrata in vigore della novella.
E’ noto che la questione della successione di leggi nel tempo in rapporto a reati permanenti e, segnatamente, ai reati associativi, è stata affrontata dalla giurisprudenza di questa Corte con soluzioni non omogenee: secondo l’orientamento più rigido, in tema di associazione di tipo mafioso, qualora il reato sia stato contestato senza specificazione del termine finale della condotta, deve applicarsi il trattamento sanzionatorio previsto al momento della sentenza di primo grado, a meno che la condotta non risulti cessata in precedenza per effetto dell’estinzione della RAGIONE_SOCIALE criminale o dell’accertato recesso o esclusione dell’imputato dal RAGIONE_SOCIALE, che, in ogni caso, non conseguono automaticamente al
sopravvenuto COGNOME stato COGNOME detentivo COGNOME (cfr., COGNOME in COGNOME tal COGNOME senso, COGNOME ad COGNOME esempio, Sez. 2 – , n. 2709 del 13/07/2018, Suarino, Rv. 274893 – 01, resa in un caso nel quale la Corte, in assenza della prova di cessazione anteriore della condotta, ha ritenuto esattamente individuato il trattamento sanzionatorio in quello previsto dalla legge 27 maggio 2015, n. 69, vigente al momento della sentenza di primo grado, anziché quello più mite previsto dal DL 23 maggio 2008, n. 92, vigente alla data dell’arresto dell’imputato; conf., Sez. 2, n. 34615 del 10/06/2021, Desio, Rv. 281961 – 01, secondo cui, in presenza di una contestazione del delitto di partecipazione ad associazione di tipo mafioso in forma “chiusa”, che abbracci un lungo arco temporale nel corso del quale sia intervenuta una modifica in peius del trattamento sanzionatorio (nella specie, la legge 27 maggio 2015, n. 69), l’applicazione della nuova cornice sanzionatoria non richiede la dimostrazione da parte dell’accusa che la condotta si sia protratta anche dopo detta modifica, in quanto, accertata l’esistenza dell’offerta di contribuzione permanente” dell’affiliato all’associazione, questa deve ritenersi valida e produttiva di effetti fi alla dimostrazione del recesso; cfr., anche, Sez. 2 – , n. 1688 del 26/10/2021, COGNOME, Rv. 282516 – 03, in cui la Corte ha ribadito che, in presenza di una contestazione del delitto di partecipazione ad associazione di tipo mafioso in forma “chiusa”, che abbracci un lungo arco temporale nel corso del quale sia intervenuta una modifica in peius del trattamento sanzionatorio – nella specie, la legge 27 maggio 2015, n. 69 -, l’applicazione della nuova cornice sanzionatoria non richiede la dimostrazione, da parte dell’accusa, che la condotta si sia protratta anche dopo detta modifica, in quanto, accertata l’esistenza dell’offerta di contribuzione permanente” dell’affiliato all’associazione, questa deve ritenersi valida e produttiva di effetti fino alla dimostrazione del recesso spontaneo o provocato ab extemo sottolineando come l’offesa al bene giuridico tutelato dall’art. 416-bis cod. pen. si protrae finché permane l’offerta di contribuzione del singolo partecipe, posto che è l’esistenza stessa del RAGIONE_SOCIALE a porre in pericolo l’ordine pubblico). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
A fronte di questo orientamento si è, invece, sostenuto che, in presenza di un reato permanente nel quale la contestazione sia stata effettuata nella forma cosiddetta “aperta” o a “consumazione in atto”, senza indicazione della data di cessazione della condotta illecita, la regola di “natura processuale” per la quale la permanenza si considera cessata con la pronuncia della sentenza di primo grado non equivale a presunzione di colpevolezza fino a quella data, spettando all’accusa l’onere di fornire la prova a carico dell’imputato in ordine al protrarsi della condotta criminosa fino all’indicato ultimo limite processuale (cfr., in tal senso, Sez. 2, n. 23343 del 01/03/2016, Ariano, Rv. 267080 – 01, in cui la RAGIONE_SOCIALE. ha precisato che il principio deve trovare rigorosa applicazione, soprattutto nelle ipotesi, quale quella di specie, in cui una successione di leggi abbia determinato
Detto questo, va tuttavia precisato che la questione della legge applicabile, pur involgendo la considerazione di una chiara opzione in diritto, riposa, tuttavia, su premesse “di merito” destinate, peraltro, a riflettersi direttamente sulla sua operatività.
effetti COGNOME modificativi COGNOME in COGNOME peius COGNOME del COGNOME trattamento COGNOME sanzionatorio; COGNOME conf., Sez. 1 – , n. 14823 del 28/02/2020, Balivo, Rv. 279061 – 01, secondo cui, in presenza di una contestazione del delitto di partecipazione ad associazione di tipo mafioso in forma “chiusa”, che abbracci un lungo arco temporale nel corso del quale sia intervenuta una modifica in peius del trattamento sanzionatorio – nella specie, la legge 27 maggio 2015, n. 69 -, è specifico onere dell’accusa dimostrare che la condotta si sia protratta per tutto il periodo contestato e, comunque, anche dopo detta modifica, con conseguente illegittimità, in difetto, della sentenza di condanna alla pena determinata sulla base delle deteriori previsioni sanzionatorie sopravvenute; Sez. 1, n. 39221 del 26/02/2014, Saputo, Rv. 260511 – 01, in cui si era affermato che, in presenza di un reato permanente nel quale la contestazione sia stata effettuata nella forma cosiddetta “aperta” o a “consumazione in atto”, senza indicazione della data di cessazione della condotta illecita, la regola di “natura processuale” per la quale la permanenza si considera cessata con la pronuncia della sentenza di primo grado non equivale a presunzione di colpevolezza fino a quella data, spettando all’accusa l’onere di fornire la prova a carico dell’imputato in ordine al protrarsi della condotta criminosa fino all’indicato ultimo limite processuale; Sez. 1, n. 37335 del 26/09/2007, COGNOME, Rv. 237506 – 01; Sez. 5, n. 25578 del 15/05/2007, COGNOME, Rv. 237707 – 01; cfr., anche, Sez. 2 – , n. 15551 del 04/11/2021, COGNOME, Rv. 283384 – 01, in cui la Corte ha ribadito che, in tema di associazione di tipo mafioso, qualora il reato sia stato contestato senza specificazione del termine finale della condotta, ma con indicazione della sola data di accertamento, il giudice del dibattimento deve verificare in concreto se la fattispecie decritta nell’imputazione si sia già esaurita prima, dopo o contestualmente a tale accertamento o sia ancora in atto, poiché, in tale ultimo caso, deve ritenersi che la contestazione comprenda anche l’ulteriore eventuale permanenza e se ne può tenere conto a ogni effetto penale, senza la necessità di un’ulteriore contestazione da parte del pubblico ministero). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
La questione “di diritto”, infatti, riguarda la distribuzione dell’oner probatorio sulla permanenza della affiliazione al RAGIONE_SOCIALE ma, proprio per questo, attenendo al profilo della prova del fatto, essa rileva soltanto nel momento in cui questo sia controverso; qualora, infatti, il “fatto” della persistenza del vincolo non sia contestato, non vi è ragione di interrogarsi su chi sia onerato di fornire la prova diretta (della persistenza della affiliazione) o contraria (della recisione del vincol o della dissoluzione del RAGIONE_SOCIALE).
Tanto premesso, si deve allora prendere atto della risposta che, sulla questione, già dedotta con l’atto di appello, ha fornito la Corte territoriale in sede rescissoria spiegando (cfr., pag. 18) che le frequentazioni del COGNOME con i COGNOME si estendono almeno sino al periodo natalizio del 2015 con conseguente applicabilità della normativa di nuovo conio.
Dal canto suo, il ricorso insiste nel sostenere che gli elementi acquisiti consentirebbero di delimitare la “partecipazione” del COGNOME entro il mese di agosto del 2015 mentre i giudici di merito hanno giudicato significativo l’episodio del Natale del 2015 che, pur non rilevando in sé come fatto illecito, è stato comunque considerato emblematico della persistente intraneità del ricorrente al RAGIONE_SOCIALE (cfr., sul punto, pag. 16 della sentenza), in forza di una valutazione “di merito” insuscettibile di censura in sede di legittimità tenuto conto di quanto premesso in merito alla nozione di “partecipazione” come disegnata dalla giurisprudenza.
Il rigetto del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 18.1.2024