Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 16492 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 16492 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 11/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOME nato a LOCRI il 10/01/1989
avverso l’ordinanza del 10/04/2024 del TRIB. RAGIONE_SOCIALE di MILANO
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
sentite le conclusioni del PG NOME COGNOME che chiede il rigetto del ricorso.
udito il difensore
L’avvocato COGNOME conclude chiedendo l’accoglimento dei motivi del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale del riesame di Milano, in riforma dell’ordinanza emessa dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano e in accoglimento dell’appello proposto dal P.m. presso detto Tribunale nei confronti di NOME NOME, applicava a quest’ultimo la custodia cautelare in carcere in relazione al delitto di associazione di tipo mafioso di cui al capo 1) di imputazione provvisoria.
Avverso detta ordinanza propone ricorso per cassazione, tramite i propri difensori di fiducia, NOME COGNOME
2.1. Con il primo motivo di impugnazione vengono dedotti vizio di motivazione e violazione di legge in relazione agli artt. 178 lett. c), 179, 127, 310 cod. proc. pen.
Lamentano i difensori che il Tribunale del riesame di Milano ha violato il diritto di difesa fissando molteplici camere di consiglio, con collegi diversi, sullo stesso thema decidendum, ovvero il reato associativo, impedendo in questo modo ai difensori dei coindagati di partecipare, perché riservate solo ai singoli indagati e ai loro difensori. Osserva la difesa che nel caso di specie l’appello del P.m. ha riguardato un reato collettivo e un processo collettivo con dinamiche coinvolgenti tutti i soggetti per i quali vi è richiesta di cautela, il che avrebbe imposto una discussione e una decisione congiunta, mentre il Tribunale del riesame ha ritenuto di separare ciò che per logica e per scelta dell’accusa era un tutt’uno inseparabile. Ritiene la difesa che l’abnormità sia consistita nella circostanza che in tempi diversi con collegi diversi ci si è pronunciati sullo stesso fatto, con risultati anche difformi tra loro, senza un controllo sugli stessi.
2.2. Con il secondo motivo di ricorso viene denunciata l’abnormità del provvedimento del Tribunale del riesame di Milano.
Lamenta la difesa l’abnormità strutturale del provvedimento, ritenendo che un unico appello, con richiesta di cautela collettiva ex art. 310 cod. proc. pen., che vede come tema il reato associativo, non possa essere parcellizzato e trasformato in singoli eventi processuali.
2.3. Con il terzo motivo di impugnazione la difesa insiste sull’inammissibilità dell’impugnazione del pubblico ministero, già sostenuta in sede di discussione di riesame, per genericità dell’atto e violazione di legge in relazione all’art. 581 cod. proc. pen.
Si dolgono i difensori che nel caso di specie l’appello proposto dal Pubblico ministero sia inammissibile, perché è motivato con il mero richiamo al contenuto dell’originaria richiesta cautelare e non soddisfa il requisito della specificità
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consistente nella precisa indicazione dei punti censurati. Rileva la difesa che la pubblica accusa ha posto in essere la tecnica argomentativa della accumulazione di disparati argomenti e circostanze che possono spesso apparentemente connotare in modo negativo il destinatario della cautela e che il Tribunale del riesame ha cercato di mettere ordine in un atto privo di sintesi e puntualità. Ci si duole del fatto che in un primo momento detto Tribunale renda persuasiva la narrazione effettuata dall’ordinanza, successivamente impugnata, del G.i.p. e poi improvvisamente viri, sostenendo che il Pubblico ministero, a fronte della censura di inammissibilità del suo appello, non aveva affermato trattarsi di confederazione ma di singole componenti con una loro autonomia, così parlando di mafia orizzontale. Ritiene la difesa che la contestazione di un’entità sovraregionale e di portata eccezionale richiedesse un obbligo di motivazione precipuo, incorrendosi, altrimenti, in una modifica celata del capo di imputazione.
Rileva la difesa che l’assoluta indeterminatezza della qualifica dell’associazione criminosa comporta vizi logici e motivazionali di grande rilievo.
2.4. Con il quarto motivo di ricorso è denunciata violazione della legge processuale in re!azione agli artt. 273, 275 e 310 cod. proc. pen.
Osserva la difesa che nella richiesta del marzo 2023 il Pubblico ministero sosteneva, con riferimento al capo 1) di imputazione provvisoria, la sussistenza dell’associazione mafiosa, denominata sistema mafioso lombardo, costituita da appartenenti alle tre diverse organizzazioni di stampo mafioso cosa nostra, ‘ndrangheta e camorra ed avente struttura confederativa orizzontale.
Rileva che nell’ordinanza impugnata si dà atto che nell’appello e nel corso della discussione il P.m. ha chiarito che oggetto di contestazione non era una associazione mafiosa “nuova”, nel senso di una nuova mafia sotto il profilo strutturale, bensì un’associazione di stampo mafioso che presentava dei caratteri di novità sotto il profilo operativo; e, quindi, che si trattava di una associazione costituita da singoli soggetti, alcuni già condannati per il reato di cui all’art. 416-bis cod. pen., altri legat per ragioni di parentela, che si erano associati al fine di realizzare gli scopi tipici del reato in questione.
Aggiunge che il Tribunale del riesame ritiene che il G.i.p. avrebbe erroneamente valutato l’associazione quale confederazione tra gruppi mafiosi già strutturati in altrettanto autonome associazioni mafiose.
Osserva che, tuttavia, il G.i.p., diversamente dalle valutazioni del Tribunale, ha evidenziato gli elementi di accusa, essendo la formulazione dell’imputazione orientata sulla contestazione dell’esistenza di una associazione composta da gruppi confederati.
Richiamando, quindi, la giurisprudenza delle Sezioni Unite COGNOME, la difesa ritiene inammissibile l’appello del P.m. in quanto avrebbe introdotto una nuova impostazione del capo di imputazione provvisoria 1) della rubrica, determinando una modifica drastica della tipicità dell’associazione di stampo mafioso ivi descritta, che costituirebbe elemento di assoluta novità rispetto alla richiesta del marzo 2023.
2.5. Con il quinto motivo di ricorso è denunciata erronea valutazione dei gravi elementi di prova, con riferimento all’art. 416-bis cod. pen.
Rilevano i difensori che, ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 41 bis, è necessaria l’estrinsecazione della forza di intimidazione derivante dal vincolo associativo, tale da determinare una condizione di assoggettamento e di omertà.
Osservano che nel caso in esame la pubblica accusa giunge a postulare l’esistenza dell’associazione senza indicare nel compendio probatorio alcun riscontro oggettivizzante di siffatto elemento costitutivo di fattispecie.
Evidenziano, inoltre, che non risulta provato alcun pactum sceleris e che, nonostante non si possa desumere la capacità intimidatoria dell’associazione dalla sola fama criminale del singolo associato, le vicende rappresentate dal Tribunale del riesame al fine di rappresentare i requisiti dell’associazione rientrano in condotte del tutto sganciate dai propositi di imprenditoria valutati nell’imputazione provvisoria.
Con riferimento alla posizione di NOME COGNOME, lo stesso Tribunale del riesame, secondo la difesa, osserva che il medesimo era stato scelto da COGNOME quale amministratore e socio della RAGIONE_SOCIALE per la sua attività professionale e che quest’ultimo, una volta venuto a conoscenza del pregiudizio penale del padre dell’imputato, lo aveva allontanato a pochi mesi dall’acquisizione della quota societaria.
Ritengono i difensori che l’allontanamento di NOME non costituisca un elemento formale, come ritenuto dall’ordinanza di appello, ma un elemento sostanziale, interrompendosi nelle fasi successive i rapporti di collaborazione e non venendo NOME più monitorato nella prosecuzione di indagine.
Si duole la difesa che il Tribunale del riesame abbia anteposto ai contenuti di indagine la sola fama criminale del defunto nonno di NOME, senza evidenziare che la sentenza emessa a carico di quest’ultimo aveva escluso il reato di cui all’art. 416bis cod. pen. Osserva che tale ultimo procedimento penale non ha alcuna pregnanza rispetto ai fatti di reato che riguardano il presente procedimento, concernendo violazioni della legge degli stupefacenti commesse tra gli anni ’80 e ’90.
Rilevano ancora i difensori che NOME COGNOME è stato amministratore e socio al 10% della RAGIONE_SOCIALE dal novembre 2020 al febbraio 2021 e che con riferimento all’acquisizione di tale quota è stato contestato il reato fine di intestazione
fittizia, il che consentirebbe di escluderne la partecipazione associativa considerato che dalle intercettazioni risulta che questi avrebbe rivestito la carica di amministratore solo formalmente.
Sottolinea la difesa che il ruolo esclusivamente professionale di NOME emergerebbe non solo dalle conversazioni tra NOME COGNOME e NOME COGNOME e tra quest’ultimo e la figlia NOME, ma anche dal fatto che nell’incontro monitorato nell’ottobre 2020, NOME non conosceva nessuno dei partecipanti, ad eccezione di COGNOME.
Si osserva che l’aver acquistato una quota della RAGIONE_SOCIALE per motivi lavorativi, restando socio della stessa per un periodo di tempo molto limitato, non consente di desumere la sussistenza della condotta di reato inquadrata nell’imputazione provvisoria.
Si aggiunge, che nei mesi in cui Romeo è stato socio la società non ha svolto alcuna attività di impresa, essendo stati riscontrati esclusivamente propositi di impegno nella progettazione riferita al bonus 110%.
Si ritiene, quindi, che manchi quel quid pluris apprezzabile sul piano condizionalistico, in termini di apporto alla vita associativa, tenuto conto della circostanza che, nel periodo di osservazione, non è stato indagato alcun concreto svolgimento delle funzioni criminali da parte di NOME.
2.6. Con il sesto motivo di ricorso è denunciata erronea valutazione delle esigenze cautelari di cui all’art. 274 lett. c) cod. proc. pen.
Rileva la difesa che il Tribunale ha errato nella valutazione delle esigenze cautelari, omettendo di dare importanza alla conversazione telefonica tra COGNOME e NOME COGNOME, dalla quale si deduce la cessazione di ogni rapporto tra NOME e COGNOME. Si rileva, infatti, che NOME è stato attenzionato nelle indagini per soli tre mesi, che non ha manifestato alcun elemento dal quale poter assumere un negativo giudizio della personalità, che non ha carichi pendenti e che si tratta di soggetto incensurato.
Il ricorrente chiede, pertanto, l’annullamento dell’ordinanza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Inammissibili sono i primi tre motivi di ricorso.
Nei primi due motivi ci si duole che il Tribunale del riesame non abbia fissa un’unica camera di consiglio, ma molteplici camere di consiglio con molteplici colleg nonostante l’appello del P.m. fosse unico e riguardasse un reato collettivo e processo collettivo con dinamiche coinvolgenti tutti i soggetti per i quali vi era
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richiesta di cautela; e che in tal modo sia stato violato l’art. 127 cod. proc. pen. e siano stati pregiudicati i diritti di difesa dei singoli e il loro interesse a partecipare a camere di consiglio in quanto tutte parti interessate, dando vita a provvedimenti abnormi.
Si tratta di doglianze inammissibili, in quanto vedono su aspetti organizzativi non passibili di censura e comunque non specificano – incorrendo nella genericità – il pregiudizio che sarebbe concretamente derivato alle difese dalla trattazione separata delle singole posizioni.
Altrettanto inammissibile per aspecificità e manifesta infondatezza è il terzo motivo di impugnazione, in cui i difensori insistono sull’inammissibilità dell’atto di appello del P.m. – già sostenuta davanti al Tribunale del riesame – per genericità e in particolare per essersi limitato a richiamare il contenuto dell’originaria richiesta cautelare senza precisa indicazione dei punti dell’ordinanza del G.i.p. censurati.
Sulla già dedotta inammissibilità dell’appello argomenta il Tribunale del riesame, rilevando come l’impugnazione contenga un’articolata disamina della motivazione dell’ordinanza impugnata con cui dettagliatamente si confronta, anche mediante ampi richiami alla richiesta cautelare, sia in tema di sussistenza dell’associazione sia con riguardo alla partecipazione dell’indagato ad essa. Con tali argomentazioni il motivo di ricorso non si confronta, reiterando le doglianze già formulate.
Infondato è, invece, il quarto motivo di ricorso, col quale i difensori lamentano l’introduzione da parte del P.m., a partire già dall’atto di appello, di una nuova impostazione del capo di imputazione relativo all’associazione mafiosa, col quale si era confrontato il G.i.p.
A tale riguardo il Tribunale del riesame nell’ordinanza impugnata (a p. 54 e 55) spiega che: – nell’atto di appello e anche nel corso della discussione il P.m. ha chiarito che oggetto di contestazione non era una associazione mafiosa “nuova”, nel senso di una nuova mafia sotto il profilo endemico-strutturale, bensì un’associazione di stampo mafioso che presentava dei caratteri di novità esclusivamente sotto il profilo operativo; – l’associazione ipotizzata non era, quindi, diversamente da quanto ritenuto dal G.i.p., una confederazione tra gruppi mafiosi già strutturati in altrettanto autonome associazioni mafiose, avendo il P.m. chiarito che, sebbene detti gruppi fossero indicati nell’addebito provvisorio a fini meramente descrittivi della specifica matrice mafiosa, tema di prova non era l’esistenza in sé di singoli gruppi costituenti associazioni di stampo mafioso né in quanto effettive componenti di una struttura più ampia né quali autonome associazioni ex art. 416-bis cod. pen.; – le indagini e la richiesta ricostruivano l’operatività di singoli soggetti monitorati, che avevano agito
e si erano rapportati tra di loro in ragione di un proprio retaggio mafioso (cosa nostra, ‘ndrangheta e camorra), retaggio che avrebbe suggerito l’impossibilità di un’operatività unitaria, che si è, invece, registrata nel corso delle indagini, con peculiarità che hanno avuto un riflesso anche sulla struttura stessa della associazione, che non era organizzata in senso verticistico, bensì in senso orizzontale.
Si tratta di meri chiarimenti sull’addebito cautelare, come specificato dall’ordinanza in esame, possibili poiché nel pieno ed ampio contraddittorio delle parti, oltre che relativi ad una mera imputazione provvisoria, come tale anche modificabile (si veda, per tutte, Sez. 2, n. 35356 del 26/05/2010, Susco, Rv. 248399).
Parzialmente fondato è il quinto motivo di impugnazione, dovendosi, invece, ritenere assorbito il sesto motivo di ricorso, relativo alle esigenze cautelari.
L’ordinanza del Tribunale del riesame di Milano, in accoglimento dell’appello del P.m. presso il Tribunale di Milano e in riforma dell’ordinanza con la quale il G.i.p. del Tribunale di Milano non ravvisava un compendio indiziario sufficiente a ritenere la sussistenza dell’associazione di tipo mafioso di cui al capo 1) di incolpazione provvisoria, ha ritenuto non solo la sufficienza di detto compendio in ordine all’esistenza di tale associazione, ma anche i gravi indizi di colpevolezza in relazione alla partecipazione di NOME COGNOME a detta associazione.
La sussistenza dell’associazione mafiosa de qua, quale costituita da singoli soggetti – alcuni già condannati per 416-bis cod. pen., sia come appartenenti a mafie storiche sia come appartenenti a mafie localizzate in territorio lombardo; altri legati, per ragioni di parentela, provenienza e collegamenti, a contesti di criminalità organizzata – associatisi al fine di realizzare, in territorio lombardo, gli scopi tipici cui all’art. 416-bis cod. pen., dotandosi di strutture e stringendo accordi, è frutto di un analitico percorso argomentativo coerente con i dati indiziari.
L’ordinanza di appello, oggetto di attenzione in questa sede, sottolinea come la peculiarità del sodalizio in esame riposi nella diversa estrazione mafiosa dei suoi componenti, autorizzati dalle organizzazioni mafiose di appartenenza, cui rimangono funzionalmente collegati, costituendo però una realtà strutturalmente diversa dal sistema associativo confederato, formato da sottogruppi, nella quale la caratura criminale degli associati si traduce in un importante fattore della comune percezione della forza intimidatrice dell’associazione in parola, dotata di peculiare incisività in forza dell’origine mafiosa dei soggetti che ne fanno parte, provenienti dalla mafia siciliana, dalla ‘ndrangheta calabrese e dalla camorra napoletana, e conseguentemente del loro bagaglio criminale, percepibile e percepito dai consociati,
non all’oscuro di tali realtà criminali, atteso lo storico accertamento della loro operatività anche in territorio lombardo tramite sentenze passate in giudicato.
Rileva il Tribunale del riesame come il sodalizio in oggetto presenti una mafiosità immanente che è il diretto portato della mafiosità dei suoi componenti più rappresentativi, in quanto tali in grado concretamente di condizionare lo svolgersi della vita dell’associazione. Sottolinea come rappresentino uno snodo centrale le parole di NOME COGNOME il quale, nel corso di una conversazione oggetto di intercettazione, dice “abbiamo costruito un impero e ci siamo fatti autorizzare tutto”, che dimostrano che l’associazione esiste in termini propriamente strutturali e che i soggetti che ne fanno parte, appartenenti alle mafie storiche operativamente attive sul territorio milanese e del Varesotto, con il placet delle associazioni di riferimento danno luogo ad una collaborazione sistemica limitata ad un certo contesto territoriale, quello lombardo, che ha prima di tutto in sé oltre che nelle azioni concrete una connotazione mafiosa, senza che ciò implichi né fusione tra associazioni mafiose né abiura della appartenenza mafiosa genetica (“qui siamo tutti e tre, siamo tutti insieme, siamo tutti una cosa” dice – sempre nel corso di una conversazione intercettata – NOME COGNOME a NOME COGNOME).
Osserva detto Tribunale che la mafiosità del sodalizio non solo è ostentata sul territorio ma specificamente praticata, in primo luogo, nella relazione con la “casa madre” nella continuità di un collegamento anche funzionale; e che la mafia di questa associazione non è nuova perché la mafiosità dei soggetti che questo sodalizio compongono e fanno vivere, commettendo reati e infiltrando il tessuto economicoimprenditoriale, è la mafiosità che sul territorio lombardo le comunità locali conoscono e, anzi, riconoscono proprio perché le azioni vengono da soggetti che su quel territorio hanno creato negli anni, come giudizialmente accertato, un clima di omertà e intimidazione.
Il Tribunale del riesame valorizza, in particolare, la continuità e frequenza degli incontri e degli accordi, l’apporto comune di capitali e mezzi al fine di perseguire un comune fine di profitto, l’esistenza di una cassa comune, la consapevolezza delle condotte criminose, anche gravi, commesse da altri sodali, il frequente richiamo degli indagati stessi ad un’associazione costituita in quel territorio, di cui sarebbero partecipi, e l’esistenza di vincoli di solidarietà mutua assistenza anche fra esponenti aventi diversa estrazione criminale (così, ad esempio, in relazione alla creazione della RAGIONE_SOCIALE, e, in più parti della motivazione, le affermazioni di singoli indagati sull’attività di RAGIONE_SOCIALE quale “epicentro di molti equilibri”, sulla costruzione “un’associazione che non finisce mai”, sulla necessità di “trovare una quadra per guadagnare tutti”, sulla non operatività di Sicilia, Roma e Napoli perché “Qua è Milano … le cose giuste qua
si fanno”, sulla scomparsa della distinzione tra le tre mafie storiche di provenienza, nella frase sopra riportata detta da NOME COGNOME ad Amico).
Da questi elementi il Tribunale deduce la sussistenza tra gli indagati della necessaria affectio societatis, negando la rilevanza dei contrasti interni, sulla base dei quali il G.i.p. aveva, principalmente, escluso la sussistenza di un’associazione, ed anzi evidenziando gli sforzi dei vari associati per risolvere ogni contesa, in vista del perseguimento della comune finalità di profitto.
Questa motivazione è logica e completa, tenuto conto del livello di gravità indiziaria che deve essere ritenuto sufficiente per l’emissione di una misura cautelare; lo stesso G.i.p., peraltro, nelle sue conclusioni da p. 918 dell’ordinanza genetica, non ha radicalmente escluso la possibilità di configurare, alla luce della comune organizzazione di mezzi e di persone, l’esistenza di un’associazione semplice quanto meno tra alcuni dei soggetti indagati, pur dubitando della sussistenza, tra tutti, di una reale affectio societatis.
Deve, pertanto, ritenersi sufficientemente accertata, allo stato e nei limiti propri del giudizio cautelare, la sussistenza di gravi indizi in merito alla configurabilità di un’associazione a delinquere, con le caratteristiche evidenziate nell’ordinanza impugnata.
La sussistenza del necessario utilizzo del metodo mafioso e della sua estemalizzazione viene attentamente valutata dall’ordinanza impugnata. Il Tribunale del riesame approfonditamente esamina gli indizi relativi a tale elemento, valorizzando i singoli episodi di effettivo impiego di violenza e minaccia, ma soprattutto ribadendo, conformemente alla giurisprudenza di legittimità, come la capacità intimidatoria non debba necessariamente estrinsecarsi in simili atti, ma sia sufficiente la spendita della fama criminale precedentemente acquisita, o l’acquisizione dell’assoggettamento omertoso del territorio mediante piccoli soprusi, prevaricazioni o, al contrario, illeciti privilegi. Secondo il tribunale, è rilevante il fa che la spendita della fama criminale delle mafie storiche di appartenenza avvenga, talvolta, da parte di sodali affiliati, in realtà, ad una diversa associazione storica, evidentemente con il consenso degli altri associati (come emergerebbe dalla conversazione tra Amico e COGNOME, sempre oggetto di intercettazione), in quanto dimostrazione della particolarità ed autonomia dell’associazione qui contestata.
L’ordinanza ritiene dimostrata l’avvenuta acquisizione della forza intimidatrice, sul territorio lombardo, da vicende come quella che coinvolge tale COGNOME (nella già indicata conversazione in cui COGNOME si compiace del fatto di raggiungere “senza spari” lo scopo che l’associazione si è prefissata), quella che coinvolge la segretaria generale del Comune di Abbiategrasso che, pur non assoggettandosi ad essa, comprende facilmente la natura mafiosa della richiesta avanzatale da COGNOME, e la qualità mafiosa del soggetto o dei soggetti di cui questi avrebbe fatto il nome, quella relativa alla gestione del bar e dei parcheggi dell’ospedale di Desio da parte della RAGIONE_SOCIALE per azioni, le cui modalità avrebbero allarmato n
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i dipendenti, tra i quali correva la voce che tali attività fossero in mano a “mafiosi”, e in generale dall’atteggiamento omertoso di molte vittime di estorsioni, che avrebbero omesso di denunciare i fatti commessi in loro danno, o li avrebbero esposti in termini riduttivi rispetto a quanto emerge dalle intercettazioni. L’incapacità, per gli abitanti del territorio, di individuare con precisione l’associazione criminale esprimente tale forza intinnidatrice non è stata ritenuta rilevante, ed anzi si è affermato che ciò potrebbe essere interpretato come una conferma della diversità e autonomia dell’associazione qui contestata, rispetto ai gruppi storici di riferimento dei vari associati.
L’ordinanza afferma specificamente, con motivazione logica e consequenziale alle vicende esaminate, che la forza intinnidatrice promana dall’associazione stessa ed è ad essa «immanente», in virtù delle azioni che essa compie e dell’assoggettamento che ha realizzato nel territorio, e non deriva dai singoli associati o dalle mafie storiche a cui questi ultimi fanno riferimento. Secondo il Tribunale del riesame, quindi, l’associazione qui delineata ha una propria “mafiosità”, derivante anche dalla partecipazione ad essa di soggetti dalla già accertata caratura mafiosa, ma soprattutto la manifesta all’esterno in modo autonomo, pur awalendosi anche dell’assoggettamento già realizzato nel territorio lombardo, in passato, dalle singole mafie storiche, in quanto opera in modo distinto rispetto a queste ultime e mantiene, rispetto ad esse, una propria autonomia.
L’ordinanza non si esprime sulla qualificazione di detta associazione come una mafia “nuova”, o “atipica”, o “a soggettività differente”, o addirittura come un “tertium genus”, dichiarando anzi esplicitamente di sottrarsi all’«afflato definitorio» presente nell’ordinanza genetica e nell’appello del pubblico ministero, e sottolinea solamente che il fenomeno mafioso è in continua evoluzione e che la peculiarità della struttura associativa così come descritta non ne esclude la mafiosità, in quanto la ritiene accertata, in via indiziaria, con le medesime caratteristiche richieste dalla giurisprudenza di legittimità.
Anche questa parte della motivazione è logica, approfondita e non contraddittoria, e pertanto sufficiente, anche sotto il profilo della immanenza ed estemalizzazione del metodo mafioso, per ritenere presenti indizi gravi circa la sussistenza del delitto di cui all’art. 416-bis cod. pen., quanto meno allo stato, e con riferimento agli elementi sufficienti per il giudizio cautelare.
Ferma restando, quindi, la sussistenza, quantomeno nei termini appena indicati, di detto sodalizio, confermata, altresì, dalle precedenti pronunce di questa sezione, resta, quindi, da valutare il compendio indiziario della partecipazione allo stesso di NOME COGNOME su cui l’ordinanza in esame si sofferma da p. 214 a p. 228.
I Giudici del riesame evidenziano come le indagini abbiano dimostrato che, a partire almeno dal 2018, gli associati hanno svolto indefesse attività economiche nei più svariati settori, utilizzando a tal fine società costituite ad hoc o controllate, che
hanno fornito di volta in volta varie utilità, dal riciclaggio di denaro, al deposito d armi, alla possibilità di assunzioni fittizie; e come uno dei progetti su cui gli associati hanno maggiormente investito risorse sia stato quello volto ad ottenere le agevolazioni fiscali in tema di ristrutturazioni di immobili ed efficientamento energetico, previste dal d. I. 19 maggio 2020, n.34, conv.to dalla I. 17 luglio 2020, n. 77, noto come Superbonus 110 %, attraverso la creazione di società di costruzione e progettazione edilizia.
Si osserva nell’ordinanza di appello come il progetto sia stato inizialmente agevolato dal sostanzioso contributo economico di NOME, che con l’avallo di NOME e NOME COGNOME e di COGNOME affidava la gestione del progetto imprenditoriale dall’estate 2020 a NOME COGNOME detto “l’Architetto”, tramite l’acquisizione di due società, che venivano rinominate nella RAGIONE_SOCIALE e nella RAGIONE_SOCIALE, intestate ai figli di COGNOME, NOME e NOME, con sede in Busto Garollo (MI), con fondi erogati per la maggior parte in contanti e in modo esclusivo da NOME, proveniente dal gruppo camorristico dei Senese ( Rosi in una conversazione oggetto di intercettazione dice “Amico mette i soldi e COGNOME li fa pulire”).
Della prima società NOME COGNOME è stato amministratore e socio al 10 % per un breve periodo e precisamente da novembre 2020 a febbraio 2021.
Osserva il Tribunale del riesame che dalle intercettazioni è risultato evidente che: – NOME ha rivestito la carica di amministratore solo formalmente e non era il vero proprietario del 10 % a lui intestato; – il motivo del suo coinvolgimento era, per stessa ammissione di COGNOME, volto a sfruttare l’influenza della famiglia COGNOME (essendo lo stesso figlio di NOME nonché nipote di NOME detto “COGNOME“, capo storico della ‘ndrina NOME) per estendere le attività imprenditoriali legate al Superbonus 110 % anche al territorio calabrese e a Roma, come evidenziato in particolare da una conversazione tra COGNOME e NOME COGNOME i quali commentavano la spartizione degli appalti, asserendo che in Sicilia li avrebbero gestiti loro due e che quelli svolti nei territori sopra indicati sarebbero stati di responsabilità dell’architetto NOME COGNOME; – COGNOME svolgeva il ruolo di tramite col padre, raccomandandogli COGNOME di riferire a quest’ultimo della ipotizzata spartizione dei proventi dell’affare in tr quote (una per i Romeo, una per COGNOME e una per COGNOME, dopo il rimborso allo stesso di quanto inizialmente investito), che sembrerebbe già essere stata concordata; – il 9 ottobre 2020, ad una riunione tenuta in Dairago, COGNOME presentava ad NOME COGNOME, rievocandone il padre, i collaboratori NOME COGNOME e NOME COGNOME e NOME presentava il cugino che lo accompagnava, imprenditore nel settore del calcestruzzo; – a tale riunione non si discuteva solo di ecobonus, ma si progettava anche la collaborazione in altri settori, quali quello
dell’importazione di ferro, acciaio e gasolio dal continente africano, di investimenti in rame, guanti monouso e ambulanze (per i quali COGNOME consigliava a NOME di riferirsi direttamente ad NOME); – l’allontanamento di NOME dalla carica amministrativa nella società summenzionata e dalla partecipazione societaria veniva deciso dai coindagati per evitare che la sua presenza attirasse l’attenzione degli inquirenti sul progetto imprenditoriale dell’ecobonus.
Tali essendo gli elementi a carico di NOME COGNOME per i Giudici del Riesame, non si ritiene che sia sufficientemente motivata, anche solo a livello di gravi indizi di colpevolezza, la sua partecipazione al sodalizio mafioso emerso dalle indagini, su cui ci si è sopra soffermati.
Invero, come evidenziato da Sez. U, n. 36958 del 27/05/2021, Modaffari, Rv. 281889 – 01, la condotta di partecipazione ad associazione di tipo mafioso si caratterizza per lo stabile inserimento dell’agente nella struttura organizzativa dell’associazione, idoneo, per le specifiche caratteristiche del caso concreto, ad attestare la sua ‘messa a disposizione’ in favore del sodalizio per il perseguimento dei comuni fini criminosi (vedi: Sez. U, n. 16 del 1994, Rv. 199386-01, e Sez. U, n. 30 del 1995, Rv. 202904-01). In motivazione si specifica che la condotta di partecipazione punibile potrà dirsi provata quando la “messa a disposizione” assuma i caratteri della serietà e della continuità attraverso comportamenti di fatto, non necessariamente attuativi delle finalità criminali dell’associazione, ma tuttavia capaci di dimostrare in concreto l’adesione libera e volontaria a quella consapevole scelta e di rivelare una reciproca vocazione di “irrevocabilità” (intesa, nel senso di una stabile e duratura relazione, potenzialmente permanente), testimoniandosi in fatto e non solo nelle intenzioni il rapporto organico tra singolo e struttura.
Orbene, con riferimento alla posizione di NOME COGNOME, se è indiscutibile che nella scelta del medesimo per estendere le attività imprenditoriali legate al Superbonus 110 % anche al territorio calabrese e a Roma abbia influito la sua appartenenza alla famiglia COGNOME (l’ordinanza richiama l’esito del c.d. processo Aspromonte, nel quale NOME COGNOME viene indicato quale “capo locale di San Luca” ovvero come uno dei vertici dell’organizzazione del traffico di stupefacenti, anche con base operativa a Milano), è altrettanto indiscutibile che NOME sia stato scelto anche per la sua attività professionale di architetto (COGNOME, nella conversazione ambientale captata nell’ufficio di Dairago il 2 ottobre 2020, dice a Orlando: “…la Calabria ora…..e se la prende lui, come si chiama NOME…lui cos’è architetto, ha il suo gruppo di architetti se la vede lui, Calabria e Roma se la vedono loro…”), che per lo stesso motivo sia stato amministratore e socio al 10 % della RAGIONE_SOCIALE e che, proprio in ragione delle condanne penali del padre, sia stato p ‘ oi
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allontanato da detta società, anche come amministratore, dopo appena tre mesi dalla nomina e dall’acquisizione della quota societaria, per evitare che la sua presenza
attirasse l’interesse degli inquirenti sul progetto imprenditoriale dell’ecobonus.
L’ordinanza sottolinea come detta ultima circostanza non abbia determinato il venir meno della partecipazione di fatto alle società di Romeo, partecipazione che, però,
non spiega, se non con un generico riferimento a non meglio individuate intercettazioni, a fronte, peraltro, di un breve monitoraggio investigativo.
E’, inoltre, certo che alla riunione di Dairago, NOME COGNOME non conosceva alcuno dei partecipanti, se non COGNOME che gli presentava i collaboratori NOME
NOME e NOME COGNOME e che da tutte le conversazioni intercettate che coinvolgono
(in alcuni casi indirettamente) l’indagato, analiticamente riportate ed esaminate dall’ordinanza nella valutazione del suo coinvolgimento (da p. 215 a p. 226),
emergono solo progetti di collaborazione imprenditoriale nell’ecobonus e di ripartizione dei relativi proventi ovvero di collaborazione in altri settori commerciali.
L’ordinanza oggetto di impugnazione non spiega come sulla base di tali elementi si possa parlare di una messa a disposizione di NOME COGNOME in favore del sodalizio criminoso, nel senso evidenziato dalla pronuncia di legittimità sopra riportata, e come la manifestata progettualità imprenditoriale possa assurgere nel caso di NOME, che sembra conoscere solo COGNOME e non avere avuto prima rapporti con altri sodali, ad affectio societatis. Né sembra dirimente in tal senso la risposta di NOME (captata nel corso della conversazione ambientale del 13 ottobre 2020), valorizzata oltremodo dall’ordinanza impugnata, alla sollecitazione di Orlando ad un’attività con COGNOME e NOME nel settore delle ambulanze (“Lo facciamo assieme? Tutto qua come gruppo come siamo con NOME“), che potrebbe, invece, essere significativa di comunanza di interessi imprenditoriali anziché di appartenenza associativa.
Tali carenze e contraddizioni motivazionali impongono l’annullamento dell’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio, alla luce del principio di diritto individuato, al Tribunale del riesame di Milano.
P. Q. M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Milano, competente ai sensi dell’art. 309, co. 7, c.p.p. Così deciso in Roma, I’ll febbraio 2025. 8
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