Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 16482 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 16482 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 23/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOMECOGNOME nato a Gela 1’1/3/1972 avverso l’ordinanza del Tribunale di Milano del 27/3/2024 letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; generale NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza resa all’udienza del 27.3.2024 e depositata il 24.10.2024, il Tribunale di Milano, in funzione di giudice del riesame, ha provveduto sull’appello proposto dal Pubblico Ministero avverso l’ordinanza con cui in data 26.9.2023 il g.i.p. del Tribunale di Milano aveva rigettato, per insussistenza di gravi indizi di colpevolezza, la richiesta di applicazione della misura cautelare della custodia in carcere nei confronti di COGNOME NOME per il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso (capo 1) e di estorsione aggravata (capo 15).
1.1 L’ordinanza premette che la prospettazione accusatoria ruota intorno alla ipotesi della avvenuta costituzione di un’associazione mafiosa operante nel territorio della Lombardia, avente struttura confederativa orizzontale e composta da appartenenti a Cosa nostra, alla ‘ndrangheta e alla camorra: i singoli soggetti
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opererebbero nell'associazione in rappresentanza ciascuno della propria associazione di appartenenza, per poi decidere congiuntamente l'operatività del "sistema mafioso lombardo".
Il Tribunale ha ritenuto fondato l'appello nella parte in cui chiedeva affermarsi la sussistenza del reato associativo, escluso dal g.i.p. per il difetto dei gravi indizi di colpevolezza sia in ordine alla sussistenza di una struttura organizzativa e di una affectio societatis, sia in ordine alla capacità intimidatoria estrinseca del presunto sodalizio; nemmeno era dimostrato, secondo il g.i.p., che i reati-fine fossero oggetto di condivisione e di comune appannaggio.
L'ordinanza impugnata ha ritenuto che, invece, le risultanze investigative riscontrassero l'assunto del Pubblico Ministero secondo cui i singoli soggetti monitorati, avendo come riferimento un proprio gruppo di appartenenza (trattandosi di soggetti già condannati per il reato di cui all'art. 416-bis cod. pen.), avessero dato vita ad un organismo criminale, nel quale godevano di margini di autonomia, operando in molti settori previa definizione delle strategie operative in occasione di numerosissimi incontri secondo le indicazioni provenienti dalle "case madri".
Sotto questo profilo, i rapporti interni tra i sodali – evidenzia il Tribunale de riesame – davano atto dell'esistenza di un sistema di regole unitario e condiviso, dai chiari connotati mafiosi, tanto da potersi affermare che il sodalizio, pur associando soggetti di estrazione mafiosa diversa, traesse la sua capacità di intimidazione dai collegamenti funzionali mantenuti, per il tramite dei singoli associati, con le mafie storiche già radicate.
Quanto agli aspetti strutturali del sodalizio, il collegio ha ritenuto assistita da gravità indiziaria la ipotesi della condivisione di strutture e dotazioni funzionali alla realizzazione di un programma comune, in particolare di strutture societarie, di luoghi riferibili all'associazione, di armi, di una cassa comune.
1.2 Ciò premesso, l'ordinanza impugnata più volte fa riferimento alla figura di NOME NOME, che – salve le dovute differenziazioni in relazione alle singole condotte concrete – viene essenzialmente accomunata a quella del fratello NOME NOME, in quanto, secondo il capo di imputazione, entrambi – e insieme a COGNOME NOME – appartenenti alla (e rappresentanti della) famiglia COGNOME operante nel comune di Busto Arsizio, come attestato da diverse sentenze irrevocabili, la prima delle quali risalente al 1986.
Più precisamente, i riferimenti a COGNOME NOMECOGNOME indicato nell'imputazione provvisoria come soggetto investito di funzioni direttive dell'associazione, sono contenuti nei seguenti passaggi dell'ordinanza:
– nella parte dedicata alle "società", l'ordinanza afferma che i Nicastro sono stati operativi, insieme con COGNOME Rosario, attraverso la RAGIONE_SOCIALE, impresa edile costituita il 19.2.2020, e che hanno mostrato un particolare interesse per le
acquisizioni nel settore della ristorazione, sempre nell'area di Busto Arsizio, realizzate anche avvalendosi di pressioni e di minacce e approfittando del momento di crisi in cui versavano alcuni esercizi commerciali nel periodo Covid. I COGNOME – continua l'ordinanza – gestivano le attività imprenditoriali in modo non fisiologico, tenuto conto, per esempio, di quanto risultato in ordine ai rapporti di fatturazione tra la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE di COGNOME Giovanni, nella quale lavora anche NOME impiegata al tempo stesso della RAGIONE_SOCIALE. Dalle intercettazioni relative all'incontro di Dairago del 28 aprile 2021, poi, risulta che c'era stata un'operazione congiunta tra più indagati, fra i quali anche i COGNOME, per la creazione di una società di gestione di un'attività di parcheggio e di noleggio auto;
– nella parte dedicata alle "estorsioni" richiama la vicenda di cui al capo 11) della imputazione provvisoria, in relazione al quale risulta che COGNOME solleciti ad NOME COGNOME una protezione a favore di un imprenditore messo sotto pressione dai Nicastro;
– nella parte dedicata a "edilizia e connessi bonus", l'ordinanza evidenzia che i Nicastro si dedicano all'edilizia con la RAGIONE_SOCIALE, fittiziamente intestata a COGNOME NOME (figlio di NOME) e a NOME (figlia di NOME, impresa già utilizzata nelle attività di riciclaggio attraverso operazioni fiscali fittizie. I g del riesame affermano che, a fronte degli incentivi del c.d. superbonus, si registra il progetto di un'ampia manovra finalizzata all'acquisizione di oltre sessanta appalti per lavori di ristrutturazione edilizia nel Varesotto, attraverso la operatività di una molteplicità di società sotto il controllo di fatto dei Nicastro. Il progetto era realizzare un'acquisizione monopolistica dei lavori, anche attraverso la dissuasione di chi si fosse inframmezzato. Vengono citate le intercettazioni telefoniche con COGNOME, nelle quali si delinea il sistema criminale della gestione dei lavori in campo edilizio da parte dei Nicastro: ovvero, il sistema prevedeva che i sodali, avvalendosi di una società fittiziamente intestata, si aggiudicassero l'appalto per poi subappaltare i lavori a imprese terzi conniventi, con cui realizzare un circuito di scambi di bonifiche e di fatture, in tal modo maturando un credito di imposta da utilizzare attraverso sistemi di compensazione fiscale;
– in relazione ad un incontro avvenuto a Dairago il 28.4.2021, il Tribunale evidenzia che vi abbia partecipato fino ad un certo punto anche COGNOME Dario e che si sia parlato della restituzione di una somma di denaro da parte di NOME COGNOME, relativa a un investimento non andato a buon fine di una società attraverso la quale doveva essere gestita un'attività di parcheggio e di noleggio auto, a cui avevano partecipato, tra gli altri, anche i fratelli COGNOME. L'ordinanza riporta alcuni progressivi (nn. 8165 e 8166) di conversazioni intercettate, in cui NOME NOME parla con NOME, NOME COGNOME, COGNOME NOME. Secondo il tribunale, gli elementi acquisiti in occasione di questo incontro e le conversazioni
dedicate alla ricerca di una composizione pacifica della controversia disvelano il proposito degli associati di mantenere l'unitarietà del sodalizio mafioso; in particolare, più volte si manifesta verso NOME COGNOME la volontà di astenersi da propositi violenti, essenzialmente in ragione della protezione che costui gode da parte di soggetti di vertice di associazioni mafiose storiche;
il Tribunale cita – ancora – la circostanza che NOME e COGNOME abbiano ricevuto dal capo storico della locale NOME COGNOME attraverso il figlio NOME, la precisa istruzione dal carcere di "stare vicino ai Nicastro". Questo spiega la presenza dei Nicastro al pranzo organizzato da COGNOME il 23 aprile 2021, a cui hanno partecipato anche altri sodali e nel corso del quale sono state affrontate varie tematiche, tra cui: la situazione debitoria di NOME COGNOME (vittima dell'estorsione del capo 11); la vicenda NOME-Pace, di cui i COGNOME chiedono aggiornamenti; le vicende del clan COGNOME e COGNOME, di cui pure erano a conoscenza di Nicastro; le possibilità economiche di NOME COGNOME, di cui parla COGNOME NOME; la vicenda della collaborazione di COGNOME NOME con l'autorità giudiziaria, che secondo COGNOME si era astenuto dal rendere dichiarazioni accusatorie nei confronti della locale, a dimostrazione negli stretti legami tra la cosca e i COGNOME;
il tribunale considera anche che i contrasti dei COGNOME con NOME COGNOME non sono incompatibili con la sussistenza del vincolo associativo, perché si tratta di controversie originate da operazioni economiche o investimenti comuni agli associati; né ritiene che assuma valenza negativa la protezione che COGNOME minacciato dai Nicastro, chiede ad altri membri della stessa associazione, in quanto in definitiva la questione è stata risolta dagli associati di comune accordo con la spartizione delle somme successivamente pagate dal taglieggiato;
– viene sottolineato, in questo contesto, che è già stata giudizialmente accertata la presenza della cosca gelese nel territorio di Busto Arsizio, riconducibile ai due COGNOME già condannati per il reato di cui all'art. 416-bis cod. pen. quali esponenti del clan COGNOME. Come accertato dall'autorità giudiziaria di Caltanissetta, i COGNOME si sono storicamente imposti quali affiliati della cosca COGNOME nel territorio di Busto Arsizio, ove hanno gestito con modalità mafiose attività legate alle false fatturazioni, all'accesso a finanziamenti attraverso false documentazioni, alla illecita mediazione di manovra sottopagate, come attestato da diverse pronunce giurisdizionali, tra cui la sentenza del g.i.p. del Tribunale di Milano del 9/3/2012 che descrive lo spessore criminale dei COGNOME e ricostruisce i loro rapporti con le cosche di 'ndrangheta capeggiate da NOME COGNOME. Le indagini in questo procedimento hanno dato conto sia della perdurante operatività dei
COGNOME, sia nell'attualità nei rapporti con gli esponenti della locale di Legnano; – nella parte dedicata alla forza di intimidazione dell'associazione, l'ordinanza evidenzia le modalità utilizzate dai COGNOME e da Bonvissuto nell'acquisizione di varie attività commerciali nel periodo della pandemia e richiama in particola le
vicende del Bar "Fermata 36" e del ristorante "Nuovo Montecristo" di Busto Arsizio, per l'acquisizione dei quali i COGNOME utilizzavano insistenti pressioni e intimidazioni nei confronti dei titolari, con interventi connotati da modalità minacciose: in particolare, il Tribunale riporta la circostanza che la titolare del Bar "Fermata 36" più volte aveva riferito alle forze dell'ordine, in occasione di diversi passaggi nei pressi del suo locale, di avere subito pressioni da parte di COGNOME NOME e di avere preoccupazione per l'atteggiamento insistente dei Nicastro;
vengono richiamati anche i fatti di cui ai capi 9) e 11), non contestati specificamente a Nicastro NOME bensì al fratello NOME, in quanto emblematici della violenza e della prepotenza dei Nicastro e dimostrativi del controllo del territorio che essi esercitavano nonché dello sprezzo assoluto per i presidi statuali.
Quanto, più specificamente, al reato associativo, l'ordinanza impugnata dà diffusamente conto degli elementi a carico dei fratelli COGNOME premettendo, a confutazione del provvedimento di rigetto del g.i.p., che sono stati entrambi condannati per il reato di associazione mafiosa con sentenza definitiva e che COGNOME NOME è stato condannato anche per omicidio e altro, imponendosi entrambi i fratelli come affiliati della cosca COGNOME a Busto Arsizio e gestendo con modalità mafiose varie attività.
La intraneità di COGNOME NOME e COGNOME NOME all'associazione di cui al capo 1) dell'imputazione – prosegue l'ordinanza impugnata – è attestata da vari elementi (che per larga parte richiamano sostanzialmente le risultanze investigative menzionate nella parte precedente): attività illecite in stretto collegamento con esponenti di altre mafie storiche; rapporti diretti con altri associati per il controllo della attività economiche, come evidenziato dall'ordine impartito da COGNOME; sistematica acquisizione di aziende operanti in vari settori, ai fini del reimpiego dei profitti illeciti; partecipazione ad un summit del 23.4.2021 (con il richiamo di diverse conversazioni intercettate, comprovanti il rilievo della loro posizione); le vicende NOME e NOMECOGNOME da cui risulta il perdurante controllo del territorio da parte loro, che gli consente anche di ottenere per NOME la documentazione di un rapporto di lavoro fittizio in costanza di libertà vigilata; l'infiltrazione nel tessuto economico, in particolare nell'edilizia e nella ristorazione; la vicenda del capo 15), che comprova se non altro il riciclaggio del denaro attraverso terzi.
che, tuttavia, esauriscono la loro valenza nell'ambito del sistema di riciclag Quanto, appunto, al reato di cui al capo 15), su cui l'appello del pubblico ministero viene rigettato, il Tribunale evidenzia che la persona offesa NOME COGNOME partecipava al circuito del riciclaggio organizzato dai Nicastro e riceveva bonifici per operazioni inesistenti da parte degli stessi per poi restituirne loro l'importo in contanti. In tale contesto otteneva somme a credito dai Nicastro, i quali, per ottenerne poi la restituzione, ricorrevano anche ad azioni intimidatorie,
Quanto, infine, alle esigenze cautelari e alla scelta della misura, il Tribunale richiama la presunzione di cui all'art. 275 cod. proc. pen., ritenendo che non possa essere superata con riferimento al pericolo di reiterazione del reato e al pericolo di inquinamento probatorio. Le esigenze cautelari emergono dal ruolo primario dell'indagato, dai suoi precedenti penali e dall'impiego della società RAGIONE_SOCIALE per operazioni illecite varie.
Avverso la predetta ordinanza, ha proposto ricorso il difensore di COGNOME NOMECOGNOME articolando due motivi.
2.1 Con il primo motivo, deduce, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza per il delitto di cui all'art. 416-bis cod pen.
2.1.1 Il ricorso premette che l'appartenenza di COGNOME NOME all'associazione è stata ritenuta in base ai seguenti elementi: a) l'acquisizione di attività economiche nell'area di Busto Arsizio, attraverso un reticolo di società intestate fittiziamente a terzi nel settore edilizio e della ristorazione, nonché il riciclaggio denaro attraverso tali società; b) lo sfruttamento della forza di intimidazione nei confronti di diversi soggetti, emerso nella vicenda RAGIONE_SOCIALE; c) la partecipazione al pranzo nel terreno di COGNOME NOME del 23.4.2021.
2.1.2 In realtà, la estraneità di COGNOME Fabio – sostiene il ricorrente – emerge già dalla ricostruzione dell'associazione a cui ha proceduto l'ordinanza impugnata, che l'ha individuata – piuttosto che in una "associazione di associazioni" o in una "confederazione" di gruppi criminali – in un sodalizio, composto da singoli appartenenti ad un gruppo ma con margini di autonomia, che si caratterizzava per la sua trasversalità in moltissimi settori, con una progettualità comprovata almeno dal 2018 ed accordi strutturati che danno conto della costituzione di un patto associativo.
Se è così, non si capisce come possa COGNOME NOME essere considerato promotore/organizzatore dell'associazione, avendo operato insieme agli altri presunti associati in una sola occasione, peraltro in un affare non andato in porto e di natura comunque non illecita.
In ogni caso, NOME ha partecipato all'incontro del 28.4.2021, in cui era stato discusso l'affare, né ad altri incontri, nonostante si ipotizzi un suo ruolo associativo apicale.
Anche l'affermazione del Tribunale secondo cui i due fratelli NOME (NOME e NOME) si presentino come articolazione della cosca COGNOME è indimostrata e, anzi, contrasta con il dato che i legami siano cessati nel momento in cui NOME NOME è diventato collaboratore di giustizia, facendo condannare all'ergastolo esponente del gruppo.
I giudici del riesame ricostruiscono gli aspetti strutturali del sodalizio, individuandoli: 1) nelle società riconducibili all'associazione; 2) nei luoghi nella disponibilità dell'associazione; 3) nelle prassi e figure di riferimento; 4) nella dotazione di armi; 5) nelle ricorse economiche in comune, fra cui quelle per il mantenimento dei carcerati.
Ebbene, con riferimento ai COGNOME, emerge che: 1) la RAGIONE_SOCIALE, ad essi riconducibile, è stata utilizzata solo per le loro attività imprenditoriali, alle qu non ha mai preso parte alcun altro sodale; 2) i COGNOME non hanno mai messo luoghi propri a disposizione dell'associazione; 3) le società per cui, secondo l'accusa, i COGNOME si servirono di teste di legno, non hanno comunque mai avuto a che fare con gli altri partecipi dell'associazione; 4) non è emerso alcun coinvolgimento dei COGNOME in ordine alle armi, non rilevando a tal proposito la conversazione citata al riguardo dal Tribunale, che si riferisce al passato e non all'attualità; 5) non è emerso che i Nicastro abbiano messo risorse a disposizione del gruppo, nemmeno per la raccolta di fondi per pagare l'avvocato di Rispoli, per cui è lo stesso Riesame che smentisce l'ipotesi accusatoria.
Il Tribunale, inoltre, individua le seguenti attività cui sarebbe stata dedita l'associazione: 1) estorsioni, in relazione a cui a Nicastro era contestato il reato di cui al capo 15), che tuttavia riguarda solo lui e il fratello, ma nessuno degli altri associati; 2) narcotraffico, per il quale nessun reato è contestato a Nicastro; 3) armi, in relazione a cui nessun reato è contestato a Nicastro; 4) edilizia, attività nella quale, però, i Nicastro non coinvolgono alcun altro appartenente all'associazione; 5) cessioni crediti e reati fiscali, ma senza alcuna contestazione di reati ai Nicastro; 6) settore sanitario, in relazione al quale nessun reato è ipotizzato nei confronti dei Nicastro; 7) mercato dei prodotti petroliferi, nel quale i Nicastro non sono coinvolti; 8) noleggio auto, settore nel quale i Nicastro non conducono alcuna attività.
La motivazione, inoltre, è contraddittoria quando, indicando gli incontri degli associati come uno dei dati indiziari più tangibili dell'esistenza di un sodalizio unitario, addebita l'associazione anche a Nicastro NOME, che non ha mai partecipato ad alcun incontro.
2.1.3 II provvedimento impugnato ha evidenziato a carico del ricorrente la circostanza che nel pranzo del 23 aprile 2021 siano state trattate, alla sua presenza, dinamiche interne al sodalizio mafioso da considerarsi cruciali. Tuttavia, il riesame non indica alcun contegno dell'indagato nel corso di questo pranzo, né dialoghi di rilevanza investigativa tra lui e gli altri associati. Peraltro, a ques pranzo hanno partecipato certamente persone a cui non viene contestata la partecipazione all'associazione. Questo rende ancora più contraddittoria l'affermazione secondo cui la partecipazione al pranzo di Nicastro NOME integra la sua responsabilità per il reato associativo.
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Con riguardo a questo pranzo, il Tribunale ha valorizzato una conversazione tra COGNOME e COGNOME, che in realtà smentisce il riferimento operato dai giudici a presunti legami tra i COGNOME ed NOME COGNOME. Ma soprattutto è decisivo il fatto che, in una conversazione tra COGNOME e COGNOME del giorno successivo al pranzo, emerge che i due siano consapevoli che COGNOME NOME è un "pentito", tanto che COGNOME confida di aver parlato il meno possibile con lui e che COGNOME si mostra preoccupato. Il Tribunale sostiene che il timore dimostrato da COGNOME nel corso della conversazione, in realtà, viene smorzato da COGNOME, il quale asserisce che la collaborazione non riguardava la locale di Rispoli e che pertanto NOME COGNOME era da considerarsi affidabile. Tuttavia, le rassicurazioni di COGNOME non smentiscono quello che emerge dagli atti giudiziari e, cioè, che la collaborazione prestata da COGNOME sia stata rilevante per la ricostruzione di fatti di sangue molto gravi.
Di conseguenza, i giudici del riesame non hanno analizzato compiutamente questo dato, in quanto è irragionevole ritenere che possa essere ritenuto, quale capo organizzatore di un'associazione mafiosa, un collaboratore di giustizia che abbia contribuito alla condanna all'ergastolo di un associato.
Per quanto riguarda, poi, l'attualità dei legami tra COGNOME e COGNOME, il Tribunale cita una confidenza del figlio di COGNOME a COGNOME, secondo cui il padre gli avrebbe detto di stare vicino ai COGNOME. Ma non si evidenzia che lo stesso figlio di COGNOME mostra perplessità al riguardo. Peraltro, da quanto dice COGNOME nella conv. n. 11918 RIT 663/20 si capisce che la partecipazione di COGNOME all'associazione è riferita al passato e non ha alcun carattere di attualità ("A tempo bello venivano tutti lì … a me, tuo fratello se voleva mi rovinava che gli ho dato un treno di armi").
2.1.4 L'ordinanza cita l'aggressione dei COGNOME all'imprenditore Ingegnoso, ma solo per dare sostanza ad un quadro indiziario carente; comunque, la vicenda è descritta nella richiesta del pubblico ministero, ma in modo evanescente, con riferimento ad una conversazione tra NOME e COGNOME NOME, da cui non si capisce cosa sia avvenuto.
2.1.5 Quanto al riciclaggio di denaro, l'indizio avrebbe dovuto essere costituito dall'estorsione ai danni di NOME NOME, che tuttavia è stata ritenuta insussistente sia dal g.i.p. che dal Tribunale del riesame.
Per i giudici, la vicenda è emblematica, perché COGNOME avrebbe messo la sua società a disposizione per ricevere i bonifici dei COGNOME, a cui poi restituiva somme di denaro di pari importo. Tuttavia, le dichiarazioni di COGNOME hanno smentito questa ricostruzione, come pure le conversazioni intercettate tra COGNOME NOME e COGNOME, da cui risulta che i rapporti tra i due non fossero fittizi, bensì reali, con il verrebbe meno ogni ipotesi di riciclaggio.
La vicenda rimane oscura e, dunque, non può essere utilizzata come elert e to a sostegno della partecipazione di Nicastro all'associazione.
2.1.6 Quanto alle attività edilizie, il pubblico ministero ha contestato che, in questo settore, i Nicastro si siano avvalsi della forza di intimidazione mafiosa per monopolizzare le attività economiche locali, ma non ha indicato circostanze idonee a supportare questa ipotesi, basata su affermazioni generiche.
Peraltro, dalle intercettazioni emerge che nel settore edilizio e del c.d. superbonus l'artefice dell'operazione illecita sia COGNOME NOMECOGNOME In una lunga e assai rilevante conversazione dello stesso COGNOME con COGNOME NOME, mai il primo, il quale spiega perché la sua impresa è la più idonea, fa il nome dei COGNOME come soggetti a cui devono essere affidati gli appalti. Tuttavia, il Tribunale ha ignorato questi elementi contrari alla ipotesi accusatoria.
Anche in una conversazione tra COGNOME e COGNOME NOME (riportata testualmente nel ricorso), si possono rilevare alcuni passaggi nei quali risulta che COGNOME, parlando del superbonus, chieda al suo interlocutore a quali imprese estendere la partecipazione all'affare, cosa che mal si concilia con l'ipotesi che l'associazione che gestisce le attività economiche con le imprese delle altre famiglie si infiltri nella gestione dei cantieri del superbonus, senza coinvolgerle e senza mai partecipare ai summit dell'associazione sul tema: è una contraddizione logica.
La conversazione, inoltre, rivela che COGNOME (ovvero, il mero partecipe) agisca in totale autonomia rispetto a COGNOME (ovvero, il capo), così determinando una inversione dei ruoli, che non si spiegherebbe nella dinamica associativa. In realtà, i due sono titolari ciascuno di un'impresa edile e, dunque, è perfettamente logico che parlino del superbonus, senza che questo voglia dire che si tratti di un'attività della "cosca" di riferimento.
2.1.7 Quanto al settore della ristorazione, il Tribunale lo collega alla attività edilizia, in quanto afferma che i proventi di quest'ultima venivano reimpiegati nell'altro. Ma si tratta di una lettura superficiale, contrastante con gli atti indagine, che non a caso il g.i.p. ha ritenuto insufficienti per la emissione della misura.
Si indica la RAGIONE_SOCIALE come strumento per l'acquisizione di un bar e di un ristorante di Busto Arsizio, ma la relativa contestazione del reato di cui all'art. 512bis cod. pen. al capo 75) è stata ritenuta infondata dal g.i.p. e la decisione non è stata impugnata dal pubblico ministero. In ogni caso, ove anche la società fosse stata utilizzata per l'acquisizione di attività economiche, questo non sarebbe sintomatico ex se di fatto illecito.
La vicenda della mancata acquisizione del ristorante Montecristo da parte dei COGNOME è, invece, la dimostrazione del fatto che non si utilizzasse evidentemente il metodo mafioso: dalle intercettazioni risulta che i COGNOME non riescano a mettere insieme 60.000 euro (nonostante la ampia organizzazione ceinale ipotizzata) e non usino il metodo mafioso.
Anche per il bar INDIRIZZO (uno dei due effettivamente acquisiti), il Tribunale non prende in considerazione le dichiarazioni della "testa di legno" NOME e del proprietario dell'immobile in cui si trova NOME NOME, i quali escludono pressioni intimidatorie.
2.2 Con il secondo motivo, deduce, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., il vizio di motivazione con riferimento alla attualità e concretezza delle esigenze cautelari.
Secondo il ricorso, la motivazione in proposito è apparente, in quanto: 1) il richiamo al "ruolo primario" dell'indagato contenuto nell'ordinanza è incongruo, in considerazione del fatto che l'unico contatto con gli altri associati di cui si ha certezza è quello del 23.4.2021; 2) i precedenti penali sono risalenti nel tempo e non si tiene conto che NOME è collaboratore di giustizia, riconosciuto come tale da due sentenze definitive; 3) la sua attuale occupazione presso la Fin Group è una circostanza del tutto neutra, perché la società non ha contatti con gli associati.
Con requisitoria scritta trasmessa il 3.1.2025, il Sostituto Procuratore generale ha chiesto il rigetto del ricorso, da considerarsi infondato perché prescinde dall'esaustiva ricostruzione effettuata dal Tribunale. In particolare, il primo motivo si sviluppa integralmente sul piano del fatto e propugna un diverso inquadramento delle condotte ascrivibili al prevenuto: ma la minuziosa analisi operata dai giudici del riesame non risulta affetta dal vizio di travisamento del corredo indiziario, né dal vizio di manifesta illogicità nella ricostruzione dei fatti l'eventuale accoglimento del motivo richiederebbe una integrale rivalutazione del compendio probatorio. Il secondo motivo risulta parimenti infondato, avuto riguardo alla presunzione di adeguatezza della custodia in carcere, di cui all'art. 275, comma 3, cod. proc. pen.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo di ricorso è fondato per le ragioni di seguito esposte.
Deve premettersi che il ricorso non contesta sostanzialmente la esistenza dell'associazione a delinquere di stampo mafioso di cui al capo 1) dell'imputazione, bensì la appartenenza ad essa di Nicastro Fabio.
diretti con gli altri associati per il medesimo motivo e al rilascio in me e per Il capo di imputazione che lo riguarda gli attribuisce, in generale, "compiti di decisione, pianificazione e individuazione delle azioni da compiere e delle strategie da adottare per la realizzazione degli scopi illeciti dell'associazione"; nello specifico, poi, la contestazione spazia dalla commissione di attività illecite attinenti l'acquisizione e il controllo di attività economiche, al mantenimento di rapporti
conto dell'associazione di autorizzazioni alla esplicazione di attività criminali sul territorio di pertinenza del gruppo.
L'addebito, dunque, opera un riferimento alquanto generico e non ben determinato alle condotte tipiche c.d. qualificate dell'associazione a delinquere di tipo mafioso, previste dall'art. 416-bis comma 2 cod. pen.
Questo non esclude che l'interprete possa riempire di contenuto, nel caso concreto, le indicazioni non specifiche circa le condotte tipiche. In ogni caso, ogni altra condotta rilevante ai fini associativi, che non corrisponda ad alcuna di quelle specifiche considerata nella fattispecie di reato associativo, rientra in quelle che la legge definisce di partecipazione, concetto che comprende tutti gli atti di associazione non qualificati ma causalmente efficienti rispetto alla sua sussistenza ed operatività.
In questa prospettiva, va ricordato innanzitutto che, in tema di associazione di tipo mafioso, la condotta di partecipazione è riferibile a colui che si trovi i rapporto di stabile e organica compenetrazione con il tessuto organizzativo del sodalizio, tale da implicare, più che uno "status" di appartenenza, un ruolo dinamico e funzionale, in esplicazione del quale l'interessato "prende parte" al fenomeno associativo, rimanendo a disposizione dell'ente per il perseguimento dei comuni fini criminosi (Sez. U, n. 33748 del 12/7/2005, COGNOME, Rv. 231670 – 01; cfr. anche, Sez. U, n. 36958 del 27/5/2021, RAGIONE_SOCIALE, Rv. 281889 – 01).
Sul piano probatorio, pertanto, la partecipazione ad una associazione di tipo mafioso può essere desunta da indicatori fattuali dai quali, sulla base di attendibili regole di esperienza attinenti propriamente al fenomeno della criminalità di stampo mafioso, possa logicamente inferirsi la appartenenza del soggetto al sodalizio, purché si tratti di indizi gravi e precisi, idonei senza alcun automatismo probatorio a dare la sicura dimostrazione della costante permanenza del vincolo, con puntuale riferimento, peraltro, allo specifico periodo temporale considerato dall'imputazione (Sez. 1, n. 1470 del 11/12/2007, dep. 2008, P.g. in proc. COGNOME e altri, Rv. 238839 – 01)
Appare opportuno ricordare anche che, in tema di misure cautelari personali, il controllo del giudice di legittimità, in ordine alla consistenza dei grav indizi di colpevolezza, consente, in relazione alla peculiare natura del giudizio ed ai limiti che ad esso ineriscono, la sola verifica delle censure inerenti la adeguatezza delle ragioni addotte dal giudice di merito ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l'apprezzamento delle risultanze probatorie e non anche il controllo di quelle censure che, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione di circostanze già esaminate dal giudice di merito (Sez. 2, Sentenza n. 27866 del
17/6/2019, COGNOME Rv. 276976 – 01; Sez. 2, n. 31553 del 17/5/2017, COGNOME, Rv. 270628 – 01).
L'insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza è rilevabile in cassazione se si traduce nella violazione di specifiche norme di legge ovvero nella mancanza o manifesta illogicità della motivazione, risultante dal testo del provvedimento impugnato (Sez. F, n. 47748 del 11/8/2014, COGNOME, Rv. 261400 – 01). Alla Corte spetta solo il compito di verificare se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l'hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell'indagato e di controllare la congruenza della relativa motivazione rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l'apprezzamento delle risultanze probatorie (Sez. U, n. 11 del 22/3/2000, COGNOME, Rv. 215828 – 01; Sez. 4, n. 26992 del 29/5/2013, P.M. in proc. COGNOME, Rv. 255460 – 01).
È proprio alla luce di questo consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, che si è ritenuto in precedenza di riportare piuttosto analiticamente sia i passaggi dell'ordinanza impugnata riguardanti i gravi indizi di colpevolezza, sia le censure mosse nel ricorso alla motivazione del tribunale del riesame in punto di gravità indiziaria.
3. Ciò premesso, emerge innanzitutto che il compendio indiziario utilizzato dal Tribunale del riesame non sia concretamente indicativo, in relazione alla posizione di COGNOME NOME, di alcuna delle condotte di promozione, direzione o organizzazione dell'associazione.
Non si ravvisano, infatti, nel percorso argomentativo dell'ordinanza elementi realmente dimostrativi di un intervento di Nicastro Fabio nella predisposizione del disegno generale dell'associazione, nella indicazione degli scopi, nella definizione delle strutture, nella distribuzione dei compiti, nella predisposizione dei mezzi, nel coordinamento degli associati.
A fronte del fatto, evidenziato dal Tribunale del riesame, che sia stato registrato lo svolgimento di numerosi incontri di natura programmatica od operativa degli associati a partire almeno dal maggio del 2020, è stata, di contro, accertata la partecipazione di COGNOME NOME ad un solo pranzo tenutosi il 23.4.2021 nel terreno di Cristello Giacomo.
Si ipotizza che questo incontro sia servito a riaffermare l'operatività della locale di Legnano-Lonate Pozzolo, in modo funzionale a consolidarne la caratura mafiosa e ad apportare all'associazione di cui al capo 1) un "patrimonio" acquisito di criminalità organizzata.
Ma, intanto, nella distribuzione delle cariche e nella individuazione dei componenti, che sono stati ricavati da una intercettazione effettuata poco prima
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sull’utenza telefonica di NOMECOGNOME indicato come la figura di spicco attorno a cui rilanciare la cosca, non sono compresi i COGNOME.
Inoltre, nel corso dell’incontro si affrontano varie tematiche, ma nessuna delle quali riguardanti il diretto coinvolgimento dei Nicastro in un gruppo che sia diverso e autonomo rispetto a quello dal quale provengono.
Si discute di alcune vicende cui COGNOME NOME e il fratello sono senza dubbio interessati, come la situazione debitoria di COGNOME NOME (alla quale si riferisce i capo 11 dell’imputazione) e la loro controversia con NOME COGNOME in relazione al recupero di una somma di denaro investita per la realizzazione di un parcheggio.
Ma si tratta di questioni che vedono inizialmente il coinvolgimento dei COGNOME “in proprio” e in relazione alle quali subentrano complicazioni per cui è stata richiesta – nel primo caso dalla vittima e nel secondo caso da loro stessi l’intermediazione di altri mafiosi ai fini della bonaria risoluzione dei contrasti.
Che da questa occasione – l’unica nella quale l’indagato ha contatti con persone diverse da quelle gravitanti nell’ambito della famiglia COGNOME – possano trarsi elementi suscettibili di integrare una situazione di gravità indiziaria a carico di COGNOME NOME quale promotore con compiti di organizzazione o direzione dell’associazione per cui si procede, è una affermazione che, allo stato, non trova fondamento.
Anche perché resta sullo sfondo la circostanza, non controversa, che COGNOME NOME sia o sia stato un collaboratore di giustizia e che viene ridimensionata dal Tribunale sulla scorta di una conversazione telefonica tra due esponenti della locale di Legnano-Lonate Pozzolo, i quali ne circoscrivono la rilevanza concreta. Ma ciò non toglie che il provvedimento impugnato non spieghi in modo concludente come possa conciliarsi tale circostanza con la prospettazione di un ruolo direttivo di COGNOME NOME nell’ambito dell’associazione che mira alla realizzazione di un “sistema mafioso lombardo” e con il fatto che lo stesso organizzatore del pranzo del 23.4.2021 – COGNOME NOME – mostri a telefono con altro affiliato un certo qual sconcerto per la partecipazione all’incontro di un “pentito”.
Passando al piano della semplice partecipazione all’associazione da parte di COGNOME NOME, il provvedimento impugnato fa riferimento, oltre che al suo intervento al pranzo del 23.4.2021, alle attività poste in essere con il fratello, in Busto Arsizio, in alcuni settori economici: quello dell’edilizia, per il tramite di una propria impresa e di altre società sotto il loro controllo di fatto con mire di tip monopolistico, e quello della ristorazione, nell’ambito della quale essi ambivano a rilevare la gestione di esercizi commerciali in crisi anche avvalendosi di pressioni e minacce nei confronti dei titolari.
Ebbene, non risulta dall’ordinanza che le imprese a loro riconducibili si siano giovate di partecipazioni occulte di esponenti dell’associazione per cui si procede,
né che le attività economiche cui essi sono dediti – in maniera estorsiva o meno che sia – abbiano visto il coinvolgimento di componenti delle altre “locali” confluenti nella superiore associazione di cui si sta trattando ovvero la condivisione dei proventi eventualmente illeciti nell’ottica di una condotta associativa plurisoggettiva.
Se è cosi, l’ordinanza, allora, non si confronta pienamente con il principio secondo cui, nel reato associativo, l’azione del singolo è proibita non perché sia essa stessa lesiva, bensì in quanto è destinata a diventarlo saldandosi con le condotte degli altri partecipi necessari.
Il precetto che vieta l’associazione, infatti, ha una destinazione collettiva, imponendo di non realizzare la condotta collettiva, lesiva e produttiva del reato, e non tanto di non svolgere la condotta individuale. Ciò che il singolo compie si deve saldare con gli apporti degli altri soggetti e realizzare il “fatto comune”.
Nel caso di specie, le condotte materiali attraverso le quali, secondo l’ipotesi accusatoria, COGNOME NOME parteciperebbe alla fase più propriamente operativa dell’associazione mafiosa riguardano specifiche attività – lecite o illecite – cui sono direttamente interessati i soli fratelli COGNOME, senza che altri appartenenti all’associazione di cui al capo 1) vi si ingeriscano o comunque ne condividano gli eventuali risultati.
È vero che il reato associativo risale pur sempre all’azione individuale dei singoli associati, ma è la condotta plurisoggettiva che produce come risultato unitario ed unico l’associazione, che non è la mera sommatoria dei risultati parziali conseguiti dai diversi singoli agenti, ma un fatto giuridico nuovo e complesso, autonomo dai singoli associati.
All’agente del reato collettivo è rimproverabile di aver svolto la condotta tipica in connessione con le analoghe condotte degli altri agenti, e quindi di aver contribuito a realizzare un fatto collettivo. Ma l’azione dell’agente che rimanga invece un fatto individuale e personale e che non confluisca nello stretto ambito di complessiva operatività dell’ente collettivo non può concorrere a dar vita alla condotta plurisoggettiva lesiva.
La partecipazione, perciò, richiede il compimento di atti causalmente efficienti rispetto alla sussistenza ed operatività dell’associazione mafiosa, nello svolgimento di un compito specifico che determina un rapporto organico con il sodalizio criminoso.
Dal quadro indiziario disponibile, invece, non emerge che NOME NOME e il fratello mettano la propria operosità criminale a disposizione dell’associazione e palesino la volontà di inserirla nella complessa condotta collettiva, in funzione del perseguimento di uno scopo tipico comune.
Si ricava, viceversa, la rappresentazione di un indubbio dinamismo criminale che tuttavia non si collega, in ultima analisi, ad un organismo sovraornato, al
quale si riconosca la capacità di assumere decisioni collettive e di disciplinare il comportamento dei singoli nei confronti dell’associazione.
Non a caso nelle parti dell’ordinanza dedicate alla condivisione tra gli associati, per un verso, di prassi operative e figure professionali e, per l’altro, delle risorse
finanziarie, non compaiono mai i Nicastro, a comprova che la loro attività tende a rimanere confinata nell’area geografica di propria influenza e a non combinarsi o
integrarsi nella condotta collettiva associativa.
5. Sulla scorta di quanto fin qui osservato, dunque, si deve ritenere che nei confronti di Nicastro Fabio l’ordinanza non abbia fatto corretta applicazione dei
principi di diritto che devono presiedere alla valutazione delle risultanze indiziarie in tema di appartenenza ad un’associazione a delinquere di stampo mafioso.
Tali principi richiedono che, in base agli indizi disponibili, sia consentito di ipotizzare che il soggetto di cui si assume l’appartenenza al sodalizio criminoso
operi con una condotta che, dal punto di vista oggettivo, sia in rapporto di stabile collegamento con quelle degli altri associati e, dal punto di vista psichico, agisca
con la consapevole volontà dell’inserimento della propria condotta individuale in una condotta plurisoggettiva in vista di un prefissato scopo comune agli altri associati.
Il provvedimento del tribunale, ricostruiti i fatti attribuiti a COGNOME NOMECOGNOME no spiega adeguatamente la loro rilevanza per la norma incriminatrice applicata nel caso concreto.
Ne consegue, pertanto, l’annullamento dell’ordinanza impugnata, in accoglimento del primo motivo di ricorso, con rinvio al Tribunale di Milano per un nuovo esame del compendio indiziario alla luce dei principi fin qui menzionati.
La fondatezza del primo motivo di ricorso in ordine ai gravi indizi di colpevolezza determina logicamente l’assorbimento del secondo motivo di ricorso attinente alle esigenze cautelari.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Milano, competente ai sensi dell’art. 309, co. 7, c.p.p.
Così deciso il 23.1.2025