Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 18385 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 18385 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 04/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a NAPOLI il 06/01/2000
avverso l’ordinanza del 24/10/2024 del TRIB. RAGIONE_SOCIALE‘ di NAPOLI
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
sentite le conclusioni del PG NOME COGNOME
Il PG conclude chiedendo il rigetto dei motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
GLYPH Con ordinanza in data 21/10/2024, il Tribunale del riesame di Napoli ha confermato l’ordinanza del 02/09/2024 del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale della medesima città, che aveva adottato nei confronti di NOME COGNOME la misura della custodia cautelare in carcere, in quanto ritenuto gravemente indiziato dei reati di partecipazione ad associazione di stampo mafioso (capo 1) e di partecipazione ad associazione finalizzata al narcotraffico, aggravata ex.art. 416 bis.1 cod. pen. (capo 15).
1.1. GLYPH Il Tribunale di Napoli, dopo un’ampia premessa in ordine alla esistenza ed attuale operatività dell’organizzazione di stampo camorristico denominata clan COGNOME COGNOME, stanziata nel quartiere napoletano di Ponticelli e zone limitrofe, richiamando le sentenze definitive e le più recenti ordinanze restrittive emesse dal GIP del Tribunale di Napoli, e concernenti l’esistenza e l’operatività, tra il 2017 ed il febbraio 2021, del clan COGNOME/COGNOME/COGNOMECOGNOME/COGNOME, rilevava come l’attuale operatività del clan COGNOME e la successiva ricomposizione del cartello COGNOME COGNOME avessero trovato conferma non solo nei provvedimenti giudiziari ma anche nelle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia e nelle intercettazioni effettuate nell’ambito del procedimento in oggetto.
Ancora, osservava il Tribunale come l’associazione di stampo camorristico COGNOME COGNOME, di cui alla odierna contestazione (capo 1), si fosse costituita con una originaria vocazione al controllo del traffico di sostanze stupefacenti, ottenendo il completo controllo delle piazze di spaccio operanti nel territorio di riferimento; venivano quindi costituite, da parte del medesimo cartello camorristico, due distinte associazioni finalizzate al narcotraffico, rispettivamente contestate ai capi 15 e 37 delle provvisorie incolpazioni.
Dette associazioni si erano nel tempo sviluppate in diverse articolazioni; si erano in particolare costituiti vari sottogruppi, che gestivano le singole piazze di spaccio, nell’ambito dei quali i partecipi della singola piazza non necessariamente erano tutti in rapporti con la catena di comando superiore, di pertinenza diretta dell’organizzazione camorristica; il collegamento tra l’associazione madre ed i sottogruppi inferiori era rappresentato dall’opera dei gestori delle piazze che, oltre a dirigere l’attività locale di spaccio, si rifornivano stabilmente dall’associazione madre NOME COGNOME COGNOME, in tal modo contribuendo ulteriormente all’attuazione del programma criminoso del sodalizio di stampo mafioso.
1.2. Con specifico riferimento alla posizione dell’odierno ricorrente, il Tribunale partenopeo evidenziava come l’indagato, nipote di NOME COGNOME, ritenuto l’organizzatore, per conto del clan COGNOME COGNOME, di una piazza di spaccio nel rione INDIRIZZO, coadiuvasse stabilmente nell’illecita attività lo zio, come anche
affermato dal collaboratore di giustizia NOME COGNOME Dette dichiarazioni, osservava il Tribunale, avevano trovato ampio riscontro nell’esito delle captazioni disposte nell’ambito del presente procedimento, dalle quali emergeva che il NOME era sempre al servizio di NOME COGNOME per qualsiasi sua operazione illecita. In particolare NOMECOGNOME veniva contattato dagli altri affiliati o dai soggetti dediti allo spaccio k e sii 9 interponeva a volte tra loro e lo zio, per il quale inoltre riscuoteva i proventi dell’illecito traffico; NOME era inoltre latore dei messaggi dello zio e dei vertici del clan camorristico agli altri affiliati e godeva della fiducia dei vertici, al punto che NOME COGNOME e NOME COGNOME, dopo essere stati arrestati, gli impartivano disposizioni tramite pizzini, tra cui il compito di recuperare la droga che non era stata sequestrata; collaborava ancora nella gestione della pulizia delle scale delle case popolari e poteva dunque definirsi come uomo di fiducia di suo zio NOME COGNOME ponendosi come longa manus di quest’ultimo nel rione INDIRIZZO, e agendo di conseguenza in nome per conto del clan COGNOME COGNOME.
1.3. Il Tribunale ha infine ritenuto sussistenti le esigenze cautelari e l’adeguatezza della misura carceraria, in virtù della doppia presunzione prevista dalla legge, osservando come non fossero emersi elementi tali da far ritenere l’insussistenza delle esigenze cautelari.
Ricorre per cassazione NOME COGNOME a mezzo del difensore avv. NOME COGNOME che chiede l’annullamento dell’ordinanza impugnata, articolando i seguenti motivi di ricorso di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen..
2.1. Con il primo motivo, viene denunciata violazione ex art. 606, comma 1, lett. b), c) ed e) cod. proc. pen., in relazione alla sussistenza del delitto di cui all’art. 416 bis cod. pen. ed al profilo partecipativo di NOME COGNOME all’associazione contestata al capo 1 della rubrica, con conseguente violazione dell’art. 192 cod. proc. pen., nonché mancanza ed illogicità della motivazione.
Si evidenzia, in primo luogo, come l’impugnata ordinanza fondi l’appartenenza di Miranda al clan camorristico esclusivamente sulla base di una tesi accusatoria che lo definisce longa manus di suo zio NOME COGNOME senza tuttavia entrare nel merito della stabilità del legame associativo ed alla consapevolezza del ricorrente riguardo agli scopi del sodalizio, e senza indicare alcuna emergenza investigativa da cui trarre la sua partecipazione al medesimo clan. Il Tribunale fa riferimento a condotte da ritenersi sintomatiche di partecipazione al sodalizio camorristico esclusivamente attribuite a NOME COGNOME mentre, trattando della posizione personale del Miranda, fa esclusivo riferimento a condotte sussumibili nel reato di cui al capo 15. Non viene effettuata nessuna analisi concreta in merito all’esistenza dell’affectio
societatis e della stabilità del legame associativo del ricorrente con il clan COGNOME COGNOME.
2.2. Con il secondo motivo, viene denunciata violazione ex art. 606, comma 1, lett. b) , c) ed e) cod. proc. pen., in relazione alla sussistenza del delitto di cui all’art. 74 d.P.R. 309 del 1990, di cui al capo 15, ed al profilo partecipativo di NOME COGNOME in detta associazione, con conseguente violazione dell’art. 192 cod. proc. pen., nonché mancanza ed illogicità della motivazione.
L’impugnata ordinanza si limita a derivare la presunta partecipazione di NOME all’associazione finalizzata al narcotraffico esclusivamente sulla base del rapporto personale che lega l’indagato allo zio NOME COGNOME, pur in assenza di condotte che denotino un’effettiva partecipazione del NOME alle attività del clan. Dalle operazioni tecniche di intercettazione emergeva come NOME si interfacciasse esclusivamente con lo zio, non essendo documentato alcun contatto diretto tra l’indagato ed i vertici del sodalizio. Peraltro, i contatti con lo zio denotavano esclusivamente l’esistenza di un rapporto di natura personale o occasionale, privo dei requisiti necessari per integrare una stabile appartenenza ad un’associazione di tipo mafioso o a un’organizzazione dedita al narcotraffico.
Il Tribunale, inoltre, nel fondare il giudizio di gravità indiziaria sulla base delle intercettazioni disposte nell’ambito del procedimento, cadeva in evidenti errori: ad esempio, nel commentare la conv. 673 del 08/09/2021 ore 19,30, deduceva che in essa COGNOME avesse chiesto al nipote di portargli lo scooter sottratto alla COGNOME per i suoi debiti connessi al traffico di stupefacenti, senza tuttavia avvedersi che la sottrazione dello scooter alla COGNOME era da collocare in epoca successiva alla captazione (e precisamente al 21/09/2021). Ed ancora, erroneamente il Tribunale ascriveva una valenza indiziaria della partecipazione di NOME al sodalizio camorristico alla conversazione n. 437 del 04/07/2021 ore 13,32, intercorsa tra NOME COGNOME e NOME COGNOME contrastando la valutazione operata dal GIP, che aveva ritenuto che i due interlocutori non parlassero di droga.
Con riferimento alla valutazione operata dal Tribunale del Riesame relativamente alle conversazioni progr. 149, 417 e 419 (da cui sarebbe emerso l’incarico affidato dai detenuti NOME COGNOME e NOME COGNOME al Miranda di recuperare lo stupefacente), si duole il ricorrente che i Giudici della cautela non abbiano fornito alcuna risposta alle censure difensive mosse circa l’illogicità delle conclusioni che gli inquirenti avevano tratto da dette conversazioni.
Quanto alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, l’unico a parlare di NOME COGNOME era stato NOME COGNOME il quale tuttavia si era limitato ad identificare l’indagato come nipote del COGNOME, senza operare alcuna descrizione specifica o circostanziata di un suo ruolo operativo o decisionale all’interno dei sodalizi,
e comunque rendendo dichiarazioni generiche ed ambigue, rispetto alle quali, peraltro, difettava alcun riscontro.
Rilevava infine il ricorrente come, pur essendo stato il NOME considerato come la longa manus dello zio NOME COGNOME, non gli fosse stata elevata alcuna contestazione inerente il reato di cui all’art. 73 d.P.R. 309 del 1990; ed infatti, l’unico capo di imputazione che gli contestava detta violazione (capo 30) non aveva superato la soglia di gravità indiziaria per l’applicazione di una misura cautelare; né al Miranda è stato contestato alcun reato in relazione alla vicenda che aveva visto il coinvolgimento della COGNOME, pur trattandosi di un episodio valorizzato dal Tribunale quale elemento sintomatico dell’intraneità dell’indagato nell’associazione di cui al capo 15.
2.3. Con il terzo motivo, viene denunciata violazione ex art. 606, comma 1, lett b), c) ed e) cod. proc. pen. per violazione e falsa applicazione degli artt. 273, 274 e 275 cod. proc. pen. e per motivazione mancante e/o illogica e contraddittoria con riguardo all’asserita sussistenza delle esigenze di cautela.
L’ordinanza impugnata ha ritenuto sussistenti le esigenze cautelari, e la sola adeguatezza della misura carceraria facendo ricorso ad affermazioni apodittiche, contrastanti con le emergenze ed in violazione dei principi vigenti in materia.
Il Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME ha depositato una memoria con cui chiede il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso deve essere accolto limitatamente al primo motivo, con il quale si contesta la gravità indiziaria in relazione al capo 1), con rinvio al Tribunale di Napoli per nuovo giudizio sul punto; sono invece da disattendere gli ulteriori motivi.
Preliminarmente, è opportuno evidenziare come, in tema di misure cautelari personali, allorché sia denunciato, con ricorso per Cassazione, il vizio di motivazione del provvedimento emesso dal Tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, a questa Corte spetti solo il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità ed ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia fornito adeguata giustificazione delle ragioni che l’abbiano indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato e di controllare la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica ed ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie (Sez. 4, n. 26992 del 29/05/2013, P.M. in proc. Tiana, Rv. 255460). Va inoltre precisato che, dal punto
di vista indiziario, nella fase cautelare è sufficiente il requisito della sola gravità (articolo 273, comma 1, cod. proc. pen.), giacché il comma 1-bis del citato art. 273 (introdotto, appunto, dalla suddetta legge) richiama espressamente i soli commi 3 e 4, ma non il comma 2 dell’articolo 192 cod. proc. pen., che prescrive la precisione e la concordanza accanto alla gravità degli indizi. Ne deriva, quindi, che gli indizi, ai fini delle misure cautelari, non devono essere valutati secondo gli stessi criteri richiesti per il giudizio di merito dall’articolo 192, comma 2, cod. proc. pen., e cioè con i requisiti della gravità, della precisione e della concordanza (Sez. 4, n. 6660 del 24/01/2017, COGNOME, Rv. 269179; Sez. 4, n. 37878 del 06/07/2007, COGNOME, Rv. 237475). Il costante insegnamento di questa Corte, riguardante i limiti di sindacabilità dei provvedimenti in materia de libertate, è nel senso di escludere che la Corte di cassazione abbia alcun potere di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, ivi compreso lo spessore degli indizi, o di rivalutazione delle condizioni soggettive dell’indagato in relazione alle esigenze cautelari ed alla adeguatezza delle misure, trattandosi di apprezzamenti di merito rientranti nelle competenze del giudice che ha applicato la misura e del Tribunale del riesame. Il controllo di legittimità è, quindi, circoscritto all’esame del contenuto dell’atto impugnato per verificare, da un lato, le ragioni giuridiche che lo hanno determinato e, dall’altro, l’assenza di manifestazioni d’illogicità evidenti (Sez. 2, n. 9212 del 02/02/2017, COGNOME, Rv. 269438; Sez. 6, n. 2146 del 25.05.1995, COGNOME, Rv. 201840; Sez. F, n. 47748 del 11/08/2014, COGNOME, Rv. 261400). L’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza ex art. 273 cod. proc. pen, e delle esigenze cautelari è, quindi, rilevabile in cassazione soltanto se si traduca nella violazione di specifiche norme di legge o nel caso di mancanza o manifesta illogicità della motivazione risultante dal testo del provvedimento impugnato. Il controllo di legittimità, in particolare, non riguarda né la ricostruzione dei fatti, né l’apprezzamento del giudice di merito circa l’attendibilità delle fonti e la rilevanza e concludenza dei dati probatori. Ne discende che non sono consentite le censure che, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvano nella prospettazione di una diversa valutazione di circostanze esaminate dal giudice di merito (cfr. Sez. 2, n. 27866 del 17/06/2019, COGNOME, Rv. 276976). In rapporto poi alla valutazione delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, si è affermato, sulla base di condivisibile orientamento, che, ai fini dell’applicazione delle misure cautelari, la portata individualizzante dei riscontri alla chiamata in reità o correità possa essere dotata di carattere anche solo tendenziale o parziale, essendo la verifica pertinente alla fase cautelare segnata dalla fluidità dell’incolpazione, rispetto alla quale non è richiesta la certezza della colpevolezza (così Sez. 4, n. 22740 del 16/07/2020, COGNOME, Rv. 279515; Sez. 6, n. 45441 del 07/10/2004, COGNOME, Rv. 230755). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
COGNOME La piattaforma probatoria posta a fondamento del giudizio di gravità indiziaria a carico del Miranda in ordine al capo 15) di imputazione, si articolava in plurimi elementi, specificatamente indicati dal Tribunale del riesame.
Il collaboratore di giustizia NOME COGNOME lo indica come “uomo di COGNOME“, e come soggetto coinvolto, unitamente allo zio NOME COGNOME, nella gestione dello spaccio nel rione INDIRIZZO.
Le dichiarazioni del collaboratore di giustizia avevano trovato plurimi riscontri nel contenuto delle intercettazioni telefoniche, richiamate in ordinanza, che attestavano la stabile collaborazione del Miranda nei confronti del COGNOME; l’indagato in particolare riceveva gli ordini dai clienti che veicolava allo zio (conv. 826 del 10/09/2021); faceva da intermediario tra COGNOME e altri spacciatori (tel 1130 del 14/09/2021); riscuoteva i proventi illeciti per conto dello zio (progr. 180 del 24/06/2021; n. 313 del 04/09/2021); in occasione del fermo di NOME COGNOME e NOME COGNOME riceveva dagli stessi un “pizzino” con l’incarico di spostare lo stupefacente da dove era nascosto, e di continuare nell’illecita attività di spaccio (progr. 417 e 419 del 17/10/2021).
Ebbene, a fronte di una tale esaustiva motivazione, il ricorrente contesta genericamente la valenza indiziaria delle conversazioni intercettate; al riguardo deve tuttavia ricordarsi che l’interpretazione delle conversazioni intercettate, persino quando le stesse abbiano contenuto criptico o cifrato, costituisce questione di fatto; questione, pertanto, rimessa all’apprezzamento del giudice di merito e che si sottrae al giudizio di legittimità, se la valutazione risulta logica in rapporto alle massime di esperienza utilizzate (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715). Pertanto, laddove con il vizio di motivazione, si proponga in realtà una diversa e alternativa lettura delle risultanze dialogiche, condotta nella decisione senza vizi logici e travisamenti cognitivi, la censura è in parte qua inammissibile, poiché il controllo di legittimità non ha ad oggetto il fatto, ma la motivazione espressa a sostegno della sua ricostruzione.
In definitiva, a fronte di un congruo ed esaustivo apprezzamento delle emergenze procedimentali, esposto attraverso un insieme di sequenze motivazionali chiare e prive di vizi logici, il ricorrente si è limitato in modo del tutto generico a contestare la valenza dei sopra indicati elementi indiziari, senza però confrontarsi con il coerente ragionamento logico e giuridico svolto dal giudice a quo per confermare la ordinanza genetica. In sostanza, l’indagato contrappone una lettura alternativa delle risultanze investigative, facendo leva sul diverso apprezzamento di profili di merito già puntualmente vagliati in sede di riesame cautelare, e la cui rivisitazione, evidentemente, non è ammissibile in questa sede.
È invece fondato il primo motivo di ricorso, nel quale la difesa stigmatizza come il Tribunale del riesame abbia confermato il giudizio di gravità indiziaria in relazione al capo 1) della rubrica, fondando il proprio convincimento esclusivamente sulla base della piattaforma indiziaria sorta con riferimento al capo 15).
Coglie in particolare nel segno la censura difensiva laddove lamenta una carenza motivazionale da parte del Tribunale del Riesame, che, soffermatosi in modo analitico sulle emergenze investigative disvelanti la partecipazione del NOME all’associazione finalizzata al narco traffico di cui al capo 15) dell’impugnazione, ha poi, in modo assertivo ed apodittico, ritenuto, con una sorta di automatismo derivante dal collegamento esistente tra le due associazioni, del pari provata la partecipazione del NOME all’associazione camorristica di cui al capo 1).
Invero, la condotta partecipativa ad un’associazione di stampo mafioso, pur potendo assumere le più diverse forme ed i contenuti più svariati, richiede pur sempre, sotto il profilo oggettivo, l’individuazione di un concreto contributo, apprezzabile sul piano causale, che l’indagato o l’imputato abbia dato all’esistenza o al rafforzamento dell’associazione medesima; nonché, sotto il profilo soggettivo, che sia desumibile dai fatti la cd. “affectio societatis” intesa come consapevolezza di appartenenza al sodalizio mafioso e come permanente disponibilità del soggetto ad adoperarsi per l’attuazione del programma del sodalizio; ed è stato in tale ultima ottica in particolare affermato (cfr. Cass. SS.UU. 12/7/05, Mannino) che la condotta partecipativa è riferibile solo a colui che si trovi in rapporto di stabile e organica compenetrazione con il tessuto organizzativo del sodalizio, tale da implicare, più che uno “status” di appartenenza, un ruolo dinamico e funzionale da lui svolto, in esplicazione del quale egli prenda parte attiva al fenomeno associativo, si che non è sufficiente l’essersi egli messo genericamente a disposizione del sodalizio per il perseguimento dei comuni fini criminosi, essendo altresì richiesto che, in vista del perseguimento di tali fini, egli abbia posto in essere azioni concretamente valutabili in tal senso.
Alla luce dei suddetti principi, la motivazione addotta dall’ordinanza impugnata per ritenere idonei a giustificare l’ordinanza custodiale impugnata gli indizi ravvisati a carico di NOME COGNOME per ritenerlo intraneo alla cosca camorristica indicata in premessa, non appare adeguata, anche nei limiti del giudizio probabilistico richiesto nella presente fase cautelare.
Deve infine essere respinto l’ultimo motivo di ricorso con il quale si censura i l’ordinanza impugnat in 4 relazione alla ritenuta sussistenza delle esigenze cautela q e 46 . dla gefa adeguatezza élla massima misura carceraria.
Il Tribunale ha infatti richiamato specificatamente la doppia presunzione relativa – di sussistenza delle esigenze cautelati e di adeguatezza della misura carceraria – operante in relazione al contestato reato di cui agli artt. 74 d.P.R. 309 del
1990, 416 bis. 1 cod. pen prevista dall’art. 275, comma 3, terzo periodo, cod. proc.
pen., evidenziando l’insussistenza di elementi contrari, tali da vincere la citata presunzione
La presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari e di adeguatezza della custodia cautelare in carcere, di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., d’altro
canto, è prevalente, in quanto speciale, rispetto alla norma generale stabilita dall’art.
274 cod. proc. pen. e ne consegue che la presunzione fa ritenere sussistente, salvo prova contraria, i caratteri di attualità e concretezza del pericolo (Sez. 5, Sentenza n.
26371 del 24/07/2020, COGNOME, Rv. 279470; Sez. 3, n. 33051 del 08/03/2016, COGNOME e altri, Rv. 268664).
Ciò posto, il ricorso non chiarisce quali elementi di segno contrario consentirebbero di superare la doppia presunzione di sussistenza delle esigenze
cautelari e di adeguatezza della custodia cautelare in carcere.
6. L’ordinanza impugnata va, dunque, annullata con rinvio al Tribunale del riesame di Napoli limitatamente al reato sub capo 1) della rubrica con rinvio per nuovo giudizio sul punto al Tribunale di Napoli. Il ricorso va respinto nel resto. La Cancelleria provvederà agli adempimenti di cui all’art. 94, co. 1 -ter disp. att. cod. proc. pen..
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata limitatamente all’addebito di cui all’art. 416-bis c.p. e rinvia per nuovo giudizio sul punto a al Tribunale di Napoli competente ex art. 309, comma 7, cod. proc. pen.. Rigetta nel resto il ricorso.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 4 marzo 2025