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Partecipazione mafiosa: non basta il narcotraffico

La Cassazione annulla un’ordinanza di custodia cautelare per il reato di partecipazione mafiosa, distinguendola da quella per narcotraffico. L’adesione a un’associazione per lo spaccio, anche se gestita da un clan, non prova automaticamente la partecipazione mafiosa. È necessaria la prova di un contributo concreto e consapevole al programma del clan. Il ricorso è stato accolto limitatamente a questo punto.

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Pubblicato il 21 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Partecipazione mafiosa: non basta provare il narcotraffico

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha riaffermato un principio cruciale nella lotta alla criminalità organizzata: per dimostrare la partecipazione mafiosa di un individuo, non è sufficiente provarne il coinvolgimento in un’associazione dedita al narcotraffico, anche se quest’ultima è riconducibile a un clan. È necessario qualcosa di più: la prova di un contributo consapevole e stabile all’intera organizzazione criminale. Questa decisione, annullando parzialmente un’ordinanza di custodia cautelare, traccia una linea netta tra due diverse fattispecie di reato.

I Fatti del Caso e la Decisione del Riesame

Il caso riguarda un individuo accusato di essere partecipe di due distinti sodalizi criminali: un’associazione di stampo mafioso (ex art. 416-bis c.p.) e un’associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti (ex art. 74 d.P.R. 309/90). Il Tribunale del Riesame aveva confermato la misura della custodia cautelare in carcere per entrambi i reati, ritenendo che la sua intensa attività nel narcotraffico, svolta come longa manus di un esponente di vertice del clan, fosse prova sufficiente per ritenerlo inserito a pieno titolo anche nell’associazione mafiosa.

Secondo i giudici di merito, il collegamento tra l’associazione ‘madre’ (il clan) e i sottogruppi dediti allo spaccio era così stretto che la partecipazione a uno implicava quasi automaticamente l’appartenenza all’altro.

La Difesa e la Carenza di Prove sulla Partecipazione Mafiosa

La difesa ha impugnato l’ordinanza davanti alla Corte di Cassazione, sostenendo un punto fondamentale: il Tribunale del Riesame aveva commesso un errore logico e giuridico. Aveva dedotto la partecipazione mafiosa esclusivamente dagli elementi raccolti per il reato di narcotraffico, senza fornire prove autonome e specifiche che dimostrassero l’inserimento organico dell’indagato nel clan. Mancavano, secondo la difesa, elementi che provassero la cosiddetta affectio societatis, ossia la consapevolezza e la volontà di far parte del sodalizio mafioso e di contribuire al suo più ampio programma criminale, che va oltre il semplice spaccio di droga.

Le Motivazioni della Cassazione

La Corte di Cassazione ha accolto il motivo di ricorso relativo al reato di associazione mafiosa. I giudici supremi hanno censurato la ‘carenza motivazionale’ dell’ordinanza impugnata, sottolineando come il Tribunale del Riesame sia caduto in un ‘automatismo derivante dal collegamento esistente tra le due associazioni’.

La Corte ha ribadito che la condotta di partecipazione a un’associazione di stampo mafioso richiede la prova di due elementi essenziali:

1. Profilo Oggettivo: L’individuazione di un concreto contributo, apprezzabile sul piano causale, che l’indagato ha fornito all’esistenza o al rafforzamento dell’associazione. Non è sufficiente una generica messa a disposizione.
2. Profilo Soggettivo: La dimostrazione della affectio societatis, intesa come consapevolezza di appartenere al sodalizio e disponibilità permanente ad agire per l’attuazione del suo programma criminale.

Nel caso specifico, il Tribunale si era soffermato analiticamente solo sulle prove relative al narcotraffico (capo 15), omettendo di spiegare quali specifici elementi dimostrassero l’inserimento stabile e organico dell’indagato nel clan camorristico (capo 1). Di conseguenza, la motivazione è stata giudicata inadeguata a sostenere la gravità indiziaria per questo specifico reato.

Le Conclusioni

In conclusione, la Corte di Cassazione ha annullato l’ordinanza di custodia cautelare limitatamente al reato di partecipazione mafiosa (art. 416-bis c.p.), rinviando il caso al Tribunale del Riesame per una nuova valutazione sul punto. La decisione ha invece confermato la validità degli indizi per il reato di associazione finalizzata al narcotraffico. Questa sentenza rappresenta un importante monito per i giudici di merito: la gravità dei reati di mafia impone un rigore probatorio che non ammette scorciatoie o automatismi. Ogni accusa deve essere supportata da elementi specifici e una motivazione logica e congrua, distinguendo nettamente le prove relative a ciascun reato contestato.

Partecipare a un’associazione di narcotraffico gestita da un clan mafioso significa automaticamente far parte del clan?
No. Secondo la sentenza, non c’è un automatismo. La partecipazione mafiosa richiede una prova specifica e distinta che dimostri la consapevolezza e la volontà di appartenere al sodalizio mafioso e di contribuire al suo programma complessivo, non solo all’attività di spaccio.

Cosa deve provare l’accusa per contestare il reato di partecipazione ad associazione mafiosa?
L’accusa deve provare non solo il coinvolgimento in attività criminali riconducibili al clan, ma anche l’esistenza della cosiddetta ‘affectio societatis’, ovvero la consapevolezza di far parte del clan, e un contributo concreto e stabile al rafforzamento dell’associazione, con un ruolo dinamico e funzionale al suo interno.

Qual è la conseguenza di una motivazione carente su un capo di imputazione in una misura cautelare?
Se la motivazione del Tribunale del Riesame è ritenuta carente, come in questo caso per il reato di partecipazione mafiosa, la Corte di Cassazione annulla l’ordinanza su quel punto specifico e rinvia il caso allo stesso Tribunale per una nuova e più approfondita valutazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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