Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 23919 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 23919 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 22/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOME, nato il DATA_NASCITA a Taurianova, avverso l’ordinanza del Tribunale di Roma in data 29/09/2023; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME, ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso; udito, per l’imputato, l’AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza in data 29 settembre 2023, il Tribunale di Roma, Sezione del riesame, ha rigettato l’appello proposto avverso il provvedimento del 13 giugno 2023 con cui il Tribunale di Roma aveva respinto la richiesta di revoca o sostituzione della custodia cautelare in carcere applicata a NOME COGNOME dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma in data 23 marzo 2022 in relazione al delitto previsto dall’art. 416-bis cod. pen., per avere COGNOME preso parte all’articolazione romana dell’associazione RAGIONE_SOCIALE denominata RAGIONE_SOCIALE, fornendo un costante contributo alla sua operatività in esecuzione delle direttive
impartite da NOME COGNOME, attivandosi anche per recuperare un credito da un soggetto di AVV_NOTAIOnia Montecelio nell’interesse di NOME COGNOME e partecipando alle riunioni del locale (c.d. mangiate); più in generale, mettendosi a disposizione degli interessi del sodalizio, cooperando con gli altri associati nella realizzazione del programma criminoso del gruppo: in Roma dall’ottobre 2015, con condotta in atto. Secondo il Collegio, infatti, l’istanza dell’indagato non presentava profili di effettiva novità rispetto a quanto ritenuto con l’ordinanza di rigetto de richiesta di riesame del 30 maggio 2023, fatta eccezione una consulenza fonica di parte con la quale si confutava l’interpretazione di una conversazione ambientale nella quale si faceva riferimento all’attribuzione a COGNOME della dote di ‘RAGIONE_SOCIALE della cd. «NOME», ritenuta in ogni caso inidonea a sovvertire il più ricco compendio indiziario posto a fondamento della misura cautelare.
NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione avverso il predetto provvedimento per mezzo del difensore di fiducia, AVV_NOTAIO, deducendo quattro distinti motivi di impugnazione, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo, il ricorso lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., la mancanza della motivazione in relazione alla consulenza fonica di parte con la quale la era stata proposta una rilettura opposta a quella del Giudice di merito, chiarendo come la parola «NOME», riferita alla dote di ‘RAGIONE_SOCIALE attribuita a COGNOME, fosse stata pronunciata da una voce proveniente dall’apparecchio televisivo presente nella stanza ove si era proceduto all’intercettazione ambientale del 27 gennaio 2018 a ore 19:06,44. Il Tribunale non avrebbe dato risposta alla tesi difensiva, non avendo proceduto all’ascolto dell’intercettazione, con conseguente vizio di assenza di motivazione. Quanto, poi, all’affermazione che nella consulenza depositata dalla difesa la frase «ha la NOME» fosse da riferire «alla pubblicità della puntata della tredicesima edizione dell’Isola dei famosi» e non più al programma Avanti un altro come evidenziato nella originaria consulenza, tale circostanza sarebbe irrilevante, essendosi il consulente soltanto sforzato di precisare un dato comunque neutro. Come nel caso riguardante NOME COGNOME, in cui la Corte di cassazione ha ritenuto insufficiente a integrare i gravi indizi la conversazione intercettata tra NOME e NOME COGNOME in cui i due riferivano che ad NOME era stata conferita la «dote ‘ndranghetista del Vangelo», anche in questo caso non sussisterebbero i gravi indizi di partecipazione a un’associazione RAGIONE_SOCIALE, considerato che le Sezioni unite avrebbero ritenuto che l’affiliazione rituale può costituire grave indizio della condotta partecipativa soltanto ove essa risulti espressione di un patto reciprocamente vincolante e produttivo di un’offerta di contribuzione permanente tra affiliato e associazione. Ciò che nella specie non sarebbe stato dimostrato.
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2.2. Con il secondo motivo, il ricorso censura, ex art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., la mancanza della motivazione con riguardo all’affermazione del secondo cui il dato captativo relativo alla «dote di ‘RAGIONE_SOCIALE» non sarebbe stato l’unico a riscontrare la partecipazione RAGIONE_SOCIALE, lamentando, sotto il profilo del travisamento della prova, le valutazioni espresse riguardo alla partecipazione di COGNOME alla «mangiata» e alla «cava» che sarebbe stata messa da lui a disposizione dei sodali. Quanto al rinvio della cd. mangiata determinato dal fatto che egli fosse stato colpito da un lutto familiare, la difesa avrebbe chiarito che i lutto a cui si faceva riferimento risaliva al 25 gennaio 2018 e non al «giorno prima» (identificato nel 26 gennaio 2018). Inoltre, l’unica mangiata cui avrebbe partecipato COGNOME (desunta dall’incrocio di alcuni tabulati telefonici) risaliva 15 ottobre 2017, in data anteriore al dato introdotto dal Tribunale. Al contempo, l’espressione secondo la quale «COGNOME non aveva altro motivo per esserci, visto che viveva a AVV_NOTAIOnia Montecelio», sarebbe certamente generica. Quanto all’utilizzazione di una cava prospettata da COGNOME per uccidere COGNOME, non si potrebbe parlare di messa a disposizione di COGNOME in quanto l’episodio riguarderebbe un fatto futuribile e mai confermato; e perché presupporrebbe un ruolo di COGNOME che non offrirebbe mai alcuna disponibilità.
2.3. Con il terzo motivo, il ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., la inosservanza o erronea applicazione degli artt. 273 cod. proc. pen. e 416-bis cod. pen. per avere il Giudice indebitamente distorto alcune circostanze di fatto valorizzate nell’ambito del ragionamento indiziario. Quanto al dialogo del 27 gennaio 2018, in cui NOME COGNOME aveva fatto riferimento a una riunione di ‘RAGIONE_SOCIALE rinviata per un lutto che aveva colpito NOME COGNOME, precisando che costui aveva «la Santa», ovvero una dote di ‘RAGIONE_SOCIALE, da esso si comprenderebbe che NOME COGNOME aveva conosciuto COGNOME la sera prima, mentre ove costui avesse realmente avuto la dote, gli altri sodali avrebbero dovuto conoscerlo. Quanto alla partecipazione di COGNOME alla mangiata del 15 ottobre 2017, non sarebbe stato provato che l’incontro fosse realmente un summit, ipotizzato solo per la presenza di qualche pregiudicato. Quanto, poi, al fatto che egli si fosse messo a disposizione di NOME COGNOME, in particolare per il recupero crediti nell’interesse di COGNOME, non vi sarebbero stati sviluppi valutabili nel senso di una sua partecipazione al sodalizio mafioso. Quanto, ancora, al dialogo del 20 giugno 2018 (progr. 1581) tra COGNOME e NOME COGNOME, nel corso del quale, parlando dei livelli di ‘RAGIONE_SOCIALE di tutti i sodali e della scarsa ambizione di NOME COGNOME e di NOME COGNOME, facendosi riferimento a COGNOME come l’unico che si interessava alle sorti del sodalizio, la conversazione sarebbe assolutamente neutra per accreditare la partecipazione a un consesso mafioso. Dunque, vi sarebbe un travisamento del concetto di partecipazione, come interpretato dalle Sezioni unite, il quale richiederebbe, anche sulla scorta di
precedenti arresti, l’effettivo ingresso nel sodalizio, indipendentemente dalla sussistenza di un rituale di affiliazione; il riconoscimento e l’accettazione dell’associato da parte del gruppo; l’adesione, da parte del sodale, allo status di membro, alle regole del consorzio criminoso, nonché alla realizzazione del programma associativo. Al contrario, il Tribunale dilaterebbe il concetto di «partecipazione», staccandolo da ogni azione materiale e dal programma del sodalizio, agganciandolo al diverso concetto di mera «appartenenza», priva di un qualsiasi contributo minimo, concreto e riconoscibile.
2.4. Con il quarto motivo, il ricorso deduce, ex art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., la mancanza della motivazione in relazione alla sussistenza delle esigenze cautelari e all’adeguatezza della misura. COGNOME apparterrebbe alla cd. mafia delocalizzata, rispetto alla quale la giurisprudenza richiede, ai fini della configurabilità della natura RAGIONE_SOCIALE della articolazione costituita fuori dal suo territorio di origine, che essa sprigioni, nel nuovo contesto locale, una forza intinnidatrice effettiva e obiettivamente riscontrabile, non essendo sufficiente la mera riproduzione all’interno del sodalizio di regole, strutture e ripartizioni gerarchiche dei ruoli analoghe a quelle dei gruppi ‘ndranghetistici storici, essendo imprescindibile l’esteriorizzazione in concreto della capacità di intimidazione all’esterno e la connessa produzione di un assoggettamento omertoso diffuso. E allora, tenuto conto che la normativa in materia prevede la possibilità di un controllo costante della permanenza delle esigenze cautelari, dopo avere sottolineato che l’ordinanza impugnata ha accolto l’indirizzo secondo cui la presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari non può essere superata, con riferimento alle RAGIONE_SOCIALE, se non con la dimostrazione del recesso del partecipe dalla consorteria, non rilevando la distanza temporale tra l’applicazione della misura e i fatti contestati, la difesa richiama altr orientamento ermeneutico che ritiene superabile la presunzione nel caso in cui ci sia la prova, non solo della rescissione del vincolo associativo, ma anche del solo irreversibile allontanamento del presunto partecipe dal sodalizio criminale, a prescindere dalla perdurante stabilità dell’associazione, ben potendo il decorso di un significativo arco temporale dai fatti contestati, non accompagnato da ulteriori condotte dell’imputato sintomatiche di una perdurante pericolosità, rientrare tra gli «elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari» ex art. 275, comma 3, primo periodo, cod. proc. pen. Ciò che renderebbe necessario, in ipotesi siffatte, che dato il considerevole lasso di tempo tra l’emissione dell’ordinanza custodiale e i fatti contestati all’imputato, il giudice moti puntualmente in ordine alla rilevanza del tempo trascorso sull’esistenza e attualità delle esigenze cautelari anche ove non risulti la dissociazione dell’imputato dal sodalizio criminale. E dal momento che l’art. 299, commi 1 e 2, cod. proc. pen. ritiene che i provvedimenti de libertate devono essere costantemente adeguati agli sviluppi che intervengono Corte di Cassazione – copia non ufficiale
nel corso delle indagini, il giudice ha l’obbligo di procedere a una rivalutazione globale anche per fatti sopravvenuti della gravità indiziaria, della persistenza delle esigenze cautelari o della loro attenuazione e della proporzione della misura adottata all’entità del fatto o alla sanzione irrogabile, con una verifica dell perdurante legittimità della misura, come ribadito dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. Pertanto, l’ordinanza impugnata ha omesso di considerare l’incidenza del «tempo silente» sulla presunzione di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., tenuto conto della risalenza al 2018 degli elementi indiziari a carico dell’imputato e dell’assenza di ulteriori condotte sintomatiche della sua pericolosità. Sul punto, risulterebbe una totale carenza motivazionale, poiché il Giudice del provvedimento impugnato non analizzerebbe, neppure incidentalmente, i fatti concreti che giustificherebbero la presenza dell’imputato in carcere da oltre 13 mesi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
Muovendo dall’analisi del primo motivo, concernente il significato da riconoscere alla dote di ‘RAGIONE_SOCIALE attribuita a COGNOME, rileva il Collegio che la censura è palesemente infondata.
Lungi dall’avere omesso di esaminare la questione e di pronunciarsi su di essa, il Tribunale del riesame ha dato atto (v. pag. 7 dell’ordinanza impugnata), alla stregua del riascolto del dialogo da parte della polizia giudiziaria, che l’espressione contenente il riferimento alla NOME, ovvero alla dote di ‘RAGIONE_SOCIALE attribuita a COGNOME, era stata pronunciata da NOME COGNOME, disattendendo, motivatamente, la tesi della difesa secondo la quale la frase sarebbe stata pronunciata da una voce proveniente dall’apparecchio televisivo presente nella stanza in cui era stata collocata la microspia. Una tesi, questa, rispetto alla quale il Tribunale ha, peraltro, colto un profilo di evidente contraddizione nelle conclusioni del consulente tecnico che la sosteneva, posto che, in un primo momento, la voce era stata riferita al programma televisivo Avanti un altro e, successivamente, «alla pubblicità della puntata della tredicesima edizione dell’Isola dei famosi». Fermo restando che, del tutto correttamente, l’ordinanza ha evidenziato come l’approfondimento istruttorio sollecitato dal difensore esulasse dalla fase incidentale in corso, tenuto conto che «in tema di misure cautelari, il Tribunale adito in sede di riesame è privo di poteri istruttori in ordine ai fatti relativi all’imputazione, siccome incompatibili con speditezza del procedimento incidentale de líbertate, dovendo decidere in ordine alla legittimità della misura sulla base delle risultanze processuali già acquisite o di quelle eventualmente allegate dalle parti nel corso dell’udienza» (così Sez. 6, n. 4306 del 26/10/2023, Valentino, Rv. 285475 – 01).
Palesemente aspecifica è, infine, l’affermazione difensiva secondo cui, in ogni caso, l’affiliazione non sarebbe sufficiente a dimostrare la partecipazione all’associazione RAGIONE_SOCIALE, avendo l’ordinanza evidenziato come il dato captativo fosse soltanto uno degli elementi di fatto su cui era stato fondato il quadro di complessiva gravità indiziaria a carico dell’indagato (sul punto v. infra § 3).
3. Anche il secondo motivo appare inammissibile.
Le considerazioni da ultimo svolte devono essere ulteriormente articolate proprio con riferimento alle censure svolte con il secondo motivo, con cui la difesa lamenta l’assenza di motivazione sul fatto che il dato captativo non fosse l’unico elemento idoneo a dimostrare la partecipazione di COGNOME al sodalizio criminoso. Tale affermazione, invero, si pone in frontale contrasto con quanto posto in luce dal Giudice di merito, il quale, invece, ha puntualmente richiamato: il dialogo del 27 gennaio 2018 in cui COGNOME parlava di una riunione di ‘RAGIONE_SOCIALE, dicendo che era stata rinviata per un lutto che aveva colpito COGNOME; la partecipazione dell’indagato alla mangiata del 15 ottobre 2017, che è stata ritenuta provata a partire dall’analisi delle celle agganciate dall’utenza n. 3441317893, intestata e in uso allo stesso COGNOME durante il periodo delle indagini; il dialogo tra NOME COGNOME e NOME COGNOME, in cui il primo aveva fatto riferimento all’eventuale uccisione di tale COGNOME nella «cava» di AVV_NOTAIOnia, gestita da COGNOME; il dialogo 3 giugno 2018 (progr. 1261/1262/1263/1264/1265/1266 – ·RIT 2199/18) tra NOME COGNOME,·il figlio NOME e COGNOME, nel corso del quale, con riferimento al locale di Roma, NOME COGNOME, dopo aver ricordato come tutti gli affiliati avessero la dote, aveva fatto il nome di alcuni sodali ritenuti particolarmente fedeli, tra i quali proprio COGNOME; la vicenda relativa al recupero credi nell’interesse di COGNOME, legato allo stesso COGNOME, da parte di NOME COGNOME, prontamente attivatosi per soddisfare le esigenze del creditore; il dialogo del 20 giugno 2018 (progr. 1581) tra COGNOME e NOME COGNOME nel corso del quale, parlando dei livelli di ‘RAGIONE_SOCIALE dei vari sodali e della scarsa ambizione di NOME COGNOME e di NOME COGNOME, che “si interessavano poco”, essi avevano fatto riferimento a COGNOME, indicandolo come uno dei pochi affiliati attivi. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
E che la doglianza formulata con tale motivo sia manifestamente infondata è dimostrato dal proseguo dello stesso motivo, nel quale la difesa sottopone a censura proprio le ulteriori valutazioni espresse dal Tribunale con riguardo alla valenza indiziaria di alcuni degli elementi richiamati, come quello relativo alla «mangiata» o alla messa a disposizione della «cava», sui quali il Giudice di merito ha fondato, come detto, il proprio convincimento. Le relative argomentazioni, invero, si riducono, sostanzialmente, a un tentativo di lettura alternativa dei singoli elementi indiziari, non consentita in sede di legittimità, oltre che in una considerazione parcellizzata degli stessi, in contrasto con le regole del
ragionamento probatorio, che ne impongono una considerazione globale e unitaria. Fermo restando che il carattere proprio della fase cautelare non esclude la possibilità di eventuali arricchimenti della piattaforma cognitiva del giudice di merito, in ipotesi suscettibili di fondare una differente valutazione di un quadro che, allo stato, non pare, tuttavia, essere stato oggetto di interpretazioni manifestamente illogiche.
Inammissibili devono anche ritenersi le censure formulate con il terzo motivo.
Secondo il ricorrente, il significato desumibile dagli elementi di fatto indicati nell’ordinanza sarebbe stato distorto dal Tribunale del riesame, che in essi avrebbe erroneamente ravvisato gli elementi tipici della partecipazione all’associazione criminale. In proposito, va tuttavia osservato che proprio la giurisprudenza richiamata dalla difesa ha ricostruito i presupposti della condotta partecipativa a partire dallo stabile inserimento dell’agente nella struttura organizzativa dell’associazione, il quale sia idoneo, per le specifiche caratteristiche del caso concreto, ad attestare la sua «messa a disposizione» in favore del sodalizio per il perseguimento dei comuni fini criminosi (Sez. U, n. 36958 del 27/05/2021, Modaffari, Rv. 281889 – 01), all’uopo sottolineando il rilievo che può assumere, quale elemento dimostrativo di tale inserimento, la rituale affiliazione del soggetto.
In questa prospettiva, in maniera tutt’altro che manifestamente illogica il Tribunale ha ravvisato i caratteri tipici della condotta di partecipazione all’associazione RAGIONE_SOCIALE proprio nella completa messa a disposizione dell’imputato rispetto agli interessi del sodalizio, resa palese, oltre che dalla sua affiliazion formale, proprio dall’interessamento mostrato verso la realizzazione del programma criminoso del gruppo, dal riconoscimento della sua disponibilità da parte degli altri associati e sul relativo affidamento da parte di costoro, dalla partecipazione ai momenti (le mangiate) in cui gli affiliati si incontravano, evidentemente per mettere a punto le strategie criminali del gruppo. Una lettura del dato probatorio, questa, che risponde ai compiti propri del Giudice di merito e che non può essere censurata in sede di legittimità quando, come nel caso qui esaminato, si manifesti priva di vizi palesi sotto il profilo della logicità e de coerenza del ragionamento indiziario espresso. Va, infatti, ribadito che il controllo di legittimità è circoscritto all’esclusivo esame dell’atto impugnato al fine di verificare che il testo di esso sia rispondente a due requisiti, uno di carattere positivo e l’altro di carattere negativo, la cui presenza rende l’atto non sindacabile: 1) l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; 2) l’assenza nel testo dell’esposizione di illogicità evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento (ex plurimis Sez. 4, n. 2050 del 17/08/1996, Marseglia, Rv. 206104 – 01; Sez. F,
n. 47748 del 11/08/2014, COGNOME, Rv. 261400 – 01; Sez. 2, n. 27866 del 17/06/2019, COGNOME, Rv. 276976 – 01).
L’ultimo motivo, infine, lamenta l’assenza di motivazione riguardo alla sussistenza delle esigenze cautelari. Anche tale doglianza è, nondimeno, inammissibile, di fatto sollecitandosi, da parte del ricorrente, un apprezzamento non già sulla motivazione, quanto sulla permanenza delle esigenze cautelari e sulla scelta delle misure ritenute adeguate, che appartiene, in maniera esclusiva e non sindacabile, se non sul piano logico, al Giudice di merito.
Nel caso di specie, invero, il Tribunale del riesame ha adeguatamente motivato sia in relazione al primo profilo, concernente la permanenza delle esigenze cautelari, tenuto conto della presunzione di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen.; sia con riferimento alla perdurante adeguatezza della misura, evidenziando, nell’ultimo passaggio dell’ordinanza, che l’unico presidio cautelare idoneo a soddisfare le predette esigenze deve essere individuato nello strumento carcerario, considerata «la ramificazione dei contatti illeciti che proseguiva anche in tempi recenti». In ultimo è appena il caso di osservare che la decisione impugnata è stata resa in sede di appello avverso una richiesta di revoca o comunque di sostituzione della misura in atto; richiesta che è stata articolata a partire dall’asserito venire meno del quadro cautelare ritenuto sussistente in sede di applicazione della misura. Dunque, una volta ritenuta l’infondatezza della prospettazione difensiva sul punto, la motivazione sulle esigenze cautelari può ritenersi adeguata attraverso un sostanziale richiamo alle valutazioni compiute in precedenza dal Giudice della cautela e dallo stesso Tribunale del riesame, tanto più quando, come nella specie, la nuova richiesta difensiva sia stata formulata in epoca non remota (ovvero il 7 giugno 2023) rispetto alla conclusione del procedimento di impugnazione avente ad oggetto l’ordinanza genetica (conclusosi, con il deposito della sentenza della Corte di cassazione in data 15 febbraio 2023). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Sulla base delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione GLYPH della GLYPH causa GLYPH di GLYPH inammissibilità», GLYPH alla GLYPH declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della cassa delle ammende, equitativamente fissata in 3.000,00 euro.
6.1. Non comportando la presente decisione la rimessione in libertà del ricorrente, la Cancelleria provvederà agli adempimenti di cui all’art. 94, comma Iter, disp. att. cod. proc. pen.
PER QUESTI MOTIVI
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento del spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa de ammende.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso in data 22 febbraio 2024
Il Consigliere estensore
Il