Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 16483 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 16483 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 23/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOMECOGNOME nato a Gela il 9/9/1975
avverso l’ordinanza del Tribunale di Milano del 27/3/2024
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; generale NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza resa all’udienza del 27.3.2024 e depositata il 24.10.2024, il Tribunale di Milano, in funzione di giudice del riesame, ha provveduto sull’appello proposto dal Pubblico Ministero avverso l’ordinanza con cui in data 26.9.2023 il g.i.p. del Tribunale di Milano aveva rigettato, per insussistenza di gravi indizi di colpevolezza, la richiesta di applicazione della misura cautelare della custodia in carcere nei confronti di COGNOME NOME per il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso (capo 1) e di estorsione aggravata (capo 15).
1.1 L’ordinanza premette che la prospettazione accusatoria ruota intorno alla ipotesi della avvenuta costituzione di un’associazione mafiosa operante nel territorio della Lombardia, avente struttura confederativa orizzontale e composta da appartenenti a Cosa nostra, alla ‘ndrangheta e alla camorra: i singoli soggetti
opererebbero nell’associazione in rappresentanza ciascuno della propria associazione di appartenenza, per poi decidere congiuntamente l’operatività del “sistema mafioso lombardo”.
Il Tribunale ha ritenuto fondato l’appello nella parte in cui chiedeva affermarsi la sussistenza del reato associativo, escluso dal g.i.p. per il difetto dei gravi indizi di colpevolezza sia in ordine alla sussistenza di una struttura organizzativa e di una affectio societatis, sia in ordine alla capacità intimidatoria estrinseca del presunto sodalizio; nemmeno era dimostrato, secondo il g.i.p., che i reati-fine fossero oggetto di condivisione e di comune appannaggio.
L’ordinanza impugnata ha ritenuto che, invece, le risultanze investigative riscontrassero l’assunto del Pubblico Ministero secondo cui i singoli soggetti monitorati, avendo come riferimento un proprio gruppo di appartenenza (trattandosi di soggetti già condannati per il reato di cui all’art. 416-bis cod. pen.), avessero dato vita ad un organismo criminale, nel quale godevano di margini di autonomia, operando in molti settori previa definizione delle strategie operative in occasione di numerosissimi incontri secondo le indicazioni provenienti dalle “case madri”.
Sotto questo profilo, i rapporti interni tra i sodali – evidenzia il Tribunale del riesame – davano atto dell’esistenza di un sistema di regole unitario e condiviso, dai chiari connotati mafiosi, tanto da potersi affermare che il sodalizio, pur associando soggetti di estrazione mafiosa diversa, traesse la sua capacità di intimidazione dai collegamenti funzionali mantenuti, per il tramite dei singoli associati, con le mafie storiche già radicate.
Quanto agli aspetti strutturali del sodalizio, il collegio ha ritenuto assistita da gravità indiziaria la ipotesi della condivisione di strutture e dotazioni funzionali alla realizzazione di un programma comune, in particolare di strutture societarie, di luoghi riferibili all’associazione, di armi, di una cassa comune.
1.2 Ciò premesso, l’ordinanza impugnata più volte fa riferimento alla figura di NOME NOME, che – salve le dovute differenziazioni in relazione alle singole condotte concrete – viene essenzialmente accomunata a quella del fratello NOME NOME, in quanto, secondo il capo di imputazione, entrambi – e insieme a COGNOME NOME – appartenenti alla (e rappresentanti della) famiglia COGNOME operante nel comune di Busto Arsizio, come attestato da diverse sentenze irrevocabili, la prima delle quali risalente al 1986.
Più precisamente, i riferimenti a COGNOME NOMECOGNOME indicato nell’imputazione provvisoria come soggetto investito di funzioni direttive dell’associazione, sono contenuti nei seguenti passaggi dell’ordinanza:
– nella parte dedicata alle “società”, l’ordinanza afferma che i Nicastro sono stati operativi, insieme con COGNOME Rosario, attraverso la RAGIONE_SOCIALE, impresa edile costituita il 19.2.2020, e che hanno mostrato un particolare interesse per le
acquisizioni nel settore della ristorazione, sempre nell’area di Busto Arsizio, realizzate anche avvalendosi di pressioni e di minacce e approfittando del momento di crisi in cui versavano alcuni esercizi commerciali nel periodo Covid. I COGNOME – continua l’ordinanza – gestivano le attività imprenditoriali in modo non fisiologico, tenuto conto, per esempio, di quanto risultato in ordine ai rapporti di fatturazione tra la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE di COGNOME Giovanni, nella quale lavora anche NOME impiegata al tempo stesso della RAGIONE_SOCIALE. Dalle intercettazioni relative all’incontro di Dairago del 28 aprile 2021, poi, risulta che c’era stata un’operazione congiunta tra più indagati, fra i quali anche i COGNOME, per la creazione di una società di gestione di un’attività di parcheggio e di noleggio auto;
nella parte dedicata alle “estorsioni” richiama la vicenda di cui al capo 11) della imputazione provvisoria, in relazione al quale risulta che COGNOME solleciti ad NOME COGNOME una protezione a favore di un imprenditore messo sotto pressione dai Nicastro;
nella parte dedicata a “edilizia e connessi bonus”, l’ordinanza evidenzia che i Nicastro si dedicano all’edilizia con la RAGIONE_SOCIALE, fittiziamente intestata a COGNOME NOME (figlio di NOME) e a NOME (figlia di NOME), impresa già utilizzata nelle attività di riciclaggio attraverso operazioni fiscali fittizie. I gi del riesame affermano che, a fronte degli incentivi del c.d. superbonus, si registra il progetto di un’ampia manovra finalizzata all’acquisizione di oltre sessanta appalti per lavori di ristrutturazione edilizia nel Varesotto, attraverso la operatività di una molteplicità di società sotto il controllo di fatto dei Nicastro. Il progetto era realizzare un’acquisizione monopolistica dei lavori, anche attraverso la dissuasione di chi si fosse inframmezzato. Vengono citate le intercettazioni telefoniche con COGNOME, nelle quali si delinea il sistema criminale della gestione dei lavori in campo edilizio da parte dei Nicastro: ovvero, il sistema prevedeva che i sodali, avvalendosi di una società fittiziamente intestata, si aggiudicassero l’appalto per poi subappaltare i lavori a imprese terzi conniventi, con cui realizzare un circuito di scambi di bonifiche e di fatture, in tal modo maturando un credito di imposta da utilizzare attraverso sistemi di compensazione fiscale;
– in relazione ad un incontro avvenuto a Dairago il 28.4.2021, il Tribunale evidenzia che vi abbia partecipato fino ad un certo punto anche COGNOME Dario e che si sia parlato della restituzione di una somma di denaro da parte di NOME COGNOME, relativa a un investimento non andato a buon fine di una società attraverso la quale doveva essere gestita un’attività di parcheggio e di noleggio auto, a cui avevano partecipato, tra gli altri, anche i fratelli COGNOME. L’ordinanza riporta alcuni progressivi (nn. 8165 e 8166) di conversazioni intercettate, in cui NOME NOME parla con NOME, NOME COGNOME, COGNOME NOME. Secondo il tribunale, gli elementi acquisiti in occasione di questo incontro e le conversazioni
dedicate alla ricerca di una composizione pacifica della controversia disvelano il proposito degli associati di mantenere l’unitarietà del sodalizio mafioso; in particolare, più volte si manifesta verso NOME COGNOME la volontà di astenersi da propositi violenti, essenzialmente in ragione della protezione che costui gode da parte di soggetti di vertice di associazioni mafiose storiche;
il Tribunale cita – ancora – la circostanza che NOME e COGNOME abbiano ricevuto dal capo storico della locale NOME COGNOME attraverso il figlio NOME, la precisa istruzione dal carcere di “stare vicino ai Nicastro”. Questo spiega la presenza dei Nicastro al pranzo organizzato da COGNOME il 23 aprile 2021, a cui hanno partecipato anche altri sodali e nel corso del quale sono state affrontate varie tematiche, tra cui: la situazione debitoria di NOME COGNOME (vittima dell’estorsione del capo 11); la vicenda NOME-Pace, di cui i COGNOME chiedono aggiornamenti; le vicende del clan COGNOME e COGNOME, di cui pure erano a conoscenza di Nicastro; le possibilità economiche di NOME COGNOME, di cui parla COGNOME NOME; la vicenda della collaborazione di COGNOME NOME con l’autorità giudiziaria, che secondo COGNOME si era astenuto dal rendere dichiarazioni accusatorie nei confronti della locale, a dimostrazione negli stretti legami tra la cosca e i COGNOME;
il tribunale considera anche che i contrasti dei COGNOME con NOME COGNOME non sono incompatibili con la sussistenza del vincolo associativo, perché si tratta di controversie originate da operazioni economiche o investimenti comuni agli associati; né ritiene che assuma valenza negativa la protezione che COGNOME minacciato dai Nicastro, chiede ad altri membri della stessa associazione, in quanto in definitiva la questione è stata risolta dagli associati di comune accordo con la spartizione delle somme successivamente pagate dal taglieggiato;
– viene sottolineato, in questo contesto, che è già stata giudizialmente accertata la presenza della cosca gelese nel territorio di Busto Arsizio, riconducibile ai due COGNOME già condannati per il reato di cui all’art. 416-bis cod. pen. quali esponenti del clan COGNOME. Come accertato dall’autorità giudiziaria di Caltanissetta, i COGNOME si sono storicamente imposti quali affiliati della cosca COGNOME nel territorio di Busto Arsizio, ove hanno gestito con modalità mafiose attività legate alle false fatturazioni, all’accesso a finanziamenti attraverso false documentazioni, alla illecita mediazione di manovra sottopagate, come attestato da diverse pronunce giurisdizionali, tra cui la sentenza del g.i.p. del Tribunale di Milano del 9/3/2012 che descrive lo spessore criminale dei COGNOME e ricostruisce i loro rapporti con le cosche di sndrangheta capeggiate da NOME COGNOME. Le indagini in questo procedimento hanno dato conto sia della perdurante operatività dei
COGNOME, sia nell’attualità nei rapporti con gli esponenti della locale di Legnano; – nella parte dedicata alla forza di intimidazione dell’associazione, l’ordinanza evidenzia le modalità utilizzate dai COGNOME e da Bonvissuto nell’acquisizione di varie attività commerciali nel periodo della pandemia e richiama in particolare le
vicende del Bar “Fermata 36” e del ristorante “Nuovo Montecristo” di Busto Arsizio, per l’acquisizione dei quali i COGNOME utilizzavano insistenti pressioni e intimidazioni nei confronti dei titolari, con interventi connotati da modalità minacciose: in particolare, il Tribunale riporta la circostanza che la titolare del Bar “Fermata 36” più volte aveva riferito alle forze dell’ordine, in occasione di diversi passaggi nei pressi del suo locale, di avere subito pressioni da parte di COGNOME NOME e di avere preoccupazione per l’atteggiamento insistente dei Nicastro;
– vengono richiamati anche i fatti di cui ai capi 9) e 11) dell’imputazione, per i quali il g.i.p. aveva invece accolto la richeista di applicazione di misura cautelare, in quanto emblematici della violenza e della prepotenza dei Nicastro e dimostrativi del controllo del territorio che essi esercitavano nonché dello sprezzo assoluto per i presidi statuali. Quanto al fatto di cui al capo 9) (riqualificato dal g.i.p. com integrante il reato di cui all’art. 610 cod. pen.), il Tribunale lo indica come emblematico della violenza e della prepotenza dei COGNOME, esercitata ai danni del titolare di un locale di Busto Arsizio, comune nel quale essi si muovono da “padroni”. L’esercente subisce una violentissima ritorsione da parte di COGNOME NOME e del figlio NOME, in quanto colpevole di aver ripreso il giovane COGNOME che con un gruppo di amici voleva entrare nel bar contravvenendo alle norme antiCovid. In particolare, il tribunale fa riferimento al fatto che NOME abbia detto “a Busto comando io” e che il figlio abbia detto “gli sbirri ce lo sucano”, a dimostrazione del controllo del territorio che esercitavano e dello sprezzo assoluto per i presidi statuali di controllo. In questa occasione il titolare riportava la frattur del setto nasale e il suo locale veniva violentemente devastato. L’ordinanza evidenzia anche che in questo contesto i Nicastro hanno ripetutamente richiesto la cessione del locale con proposte economicamente inadeguate. Quanto al fatto di cui al capo 11), esso riguarda Nicastro NOME che si attiva con COGNOME e COGNOME in danno di COGNOME, titolare di un’impresa a Legnano, il quale cercava di farsi “amica” la locale con versamenti per i carcerati. COGNOME avanzava nei suoi confronti pretese di denaro, motivo per cui COGNOME si rivolgeva a COGNOME al quale riferiva di avere subito atti minacciosi e violenti, mostrando addirittura timore a fare i nominativi degli autori. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Quanto, più specificamente, al reato associativo, l’ordinanza impugnata dà diffusamente conto degli elementi a carico dei fratelli COGNOME premettendo, a confutazione del provvedimento di rigetto del g.i.p., che sono stati entrambi condannati per il reato di associazione mafiosa con sentenza definitiva e che COGNOME NOME è stato condannato anche per omicidio e altro, imponendosi entrambi i fratelli come affiliati della cosca COGNOME a Busto Arsizio e gestendo con modalità mafiose varie attività.
La intraneità di COGNOME NOME e COGNOME NOME all’associazione di cui al capo 1) dell’imputazione – prosegue l’ordinanza impugnata – è attestata da vari
elementi (che per larga parte richiamano sostanzialmente le risultanze investigative menzionate nella parte precedente): attività illecite in stretto collegamento con esponenti di altre mafie storiche; rapporti diretti con altri associati per il controllo della attività economiche, come evidenziato dall’ordine impartito da COGNOME; sistematica acquisizione di aziende operanti in vari settori, ai fini del reimpiego dei profitti illeciti; partecipazione ad un summit del 23.4.2021 (con il richiamo di diverse conversazioni intercettate, comprovanti il rilievo della loro posizione); le vicende NOME e NOME, da cui risulta il perdurante controllo del territorio da parte loro, che gli consente anche di ottenere per COGNOME Dario la documentazione di un rapporto di lavoro fittizio in costanza di libertà vigilata; l’infiltrazione nel tessuto economico, in particolare nell’edilizia e nella ristorazione; la vicenda del capo 15), che comprova se non altro il riciclaggio del denaro attraverso terzi.
Quanto, poi, al reato di cui al capo 11), su cui l’appello del pubblico ministero viene accolto, il Tribunale evidenzia che ricorra la circostanza aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen., innanzitutto nella sua accezione dell’utilizzo del c.d. metodo mafioso.
Il tenore delle minacce rivolte dalla persona offesa, per come dalla stessa riportato ai soggetti di cui aveva chiesto la mediazione, rende evidente che, anche in virtù del contesto di violenza fisica ad opera di quattro persone in cui le monacce stesse erano state pronunciate, che abbia richiamato alla mente della vittima un comportamento intimidatorio proprio di chi appartenga ad un sodalizio mafioso. Tale affermazione è plasticamente comprovata dal fatto che COGNOME abbia poi chiesto “protezione” ad altri soggetti di comprovata caratura mafiosa, e dunque in grado di fronteggiare adeguatamente la forza intimidatrice dei suoi aggressori.
Il Tribunale ritiene, al tempo stesso, integrata anche la circostanza aggravante della c.d. agevolazione mafiosa, in quanto la risoluzione mediata della controversia tra Nicastro e Frattini è stata poi condivisa dai membri dell’associazione, diventando un affare comune.
Quanto, infine, alle esigenze cautelari e alla scelta della misura, il Tribunale richiama la presunzione di cui all’art. 275 cod. proc. pen., ritenendo che non possa essere superata con riferimento al pericolo di reiterazione del reato e al pericolo di inquinamento probatorio. Le esigenze cautelari emergono dal ruolo primario dell’indagato, dai suoi precedenti penali e dal sistematico ricorso all’intimidazione e alla violenza.
Avverso la predetta ordinanza, ha proposto ricorso il difensore di COGNOME NOMECOGNOME articolando tre motivi.
2.1 Con il primo motivo, deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla
sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza per il delitto di cui all’art. 416-bis cod. pen.
2.1.1 Il ricorso premette che l’appartenenza di COGNOME NOME all’associazione è stata ritenuta in base ai seguenti elementi: a) l’acquisizione di attività economiche nell’area di Busto Arsizio, attraverso un reticolo di società intestate fittiziamente a terzi nel settore edilizio e della ristorazione, nonché il riciclaggio d denaro attraverso tali società; b) lo sfruttamento della forza di intimidazione nei confronti di diversi soggetti, emerso nella vicenda RAGIONE_SOCIALE; c) la partecipazione al pranzo nel terreno di COGNOME NOME del 23.4.2021 e al summit del 28.4.2021.
2.1.2 In realtà, la estraneità di COGNOME Dario – sostiene il ricorrente – emerge già dalla ricostruzione dell’associazione a cui ha proceduto l’ordinanza impugnata, che l’ha individuata – piuttosto che in una “associazione di associazioni” o in una “confederazione” di gruppi criminali – in un sodalizio, composto da singoli appartenenti ad un gruppo ma con margini di autonomia, che si caratterizzava per la sua trasversalità in moltissimi settori, con una progettualità comprovata almeno dal 2018 ed accordi strutturati che danno conto della costituzione di un patto associativo.
Se è così, non si capisce come possa COGNOME NOME essere considerato promotore/organizzatore dell’associazione, avendo operato insieme agli altri presunti associati in una sola occasione, peraltro in un affare non andato in porto e di natura comunque non illecita.
In ogni caso, NOME ha partecipato all’incontro del 28.4.2021, in cui era stato discusso l’affare, né ad altri incontri, nonostante si ipotizzi un suo ruolo associativo apicale.
Anche l’affermazione del Tribunale secondo cui i due fratelli NOME (NOME e NOME) si presentino come articolazione della cosca COGNOME è indimostrata e, anzi, contrasta con il dato che i legami siano cessati nel momento in cui NOME NOME è diventato collaboratore di giustizia, facendo condannare all’ergastolo un esponente del gruppo.
I giudici del riesame ricostruiscono gli aspetti strutturali del sodalizio, individuandoli: 1) nelle società riconducibili all’associazione; 2) nei luoghi nella disponibilità dell’associazione; 3) nelle prassi e figure di riferimento; 4) nella dotazione di armi; 5) nelle ricorse economiche in comune, fra cui quelle per il mantenimento dei carcerati.
Ebbene, con riferimento ai COGNOME, emerge che: 1) la RAGIONE_SOCIALE, ad essi riconducibile, è stata utilizzata solo per le loro attività imprenditoriali, alle qua non ha mai preso parte alcun altro sodale; 2) i COGNOME non hanno mai messo luoghi propri a disposizione dell’associazione; 3) le società per cui, secondo l’accusa, i COGNOME si servirono di teste di legno, non hanno comunque mai arto
a che fare con gli altri partecipi dell’associazione; 4) non è emerso alcun coinvolgimento dei Nicastro in ordine alle armi, non rilevando a tal proposito la conversazione citata al riguardo dal Tribunale, che si riferisce al passato e non all’attualità; 5) non è emerso che i Nicastro abbiano messo risorse a disposizione del gruppo, nemmeno per la raccolta di fondi per pagare l’avvocato di Rispoli, per cui è lo stesso Riesame che smentisce l’ipotesi accusatoria.
Il Tribunale, inoltre, individua le seguenti attività cui sarebbe stata dedita l’associazione: 1) estorsioni, in relazione a cui a Nicastro Dario è contestato il reato sub 11), l’unico nel quale ha un contatto con altri membri dell’associazione, ma come effetto della richiesta di protezione di COGNOME, in quanto il fatto è commesso in realtà in concorso con due persone estranee al sodalizio, al pari dei fatti di cui ai capi 9) e 15) che non coinvolgono altri soggetti dell’associazione; 2) narcotraffico, per il quale nessun reato è contestato a Nicastro; 3) armi, in relazione a cui nessun reato è contestato a Nicastro; 4) edilizia, attività nella quale, però, i Nicastro non coinvolgono alcun altro appartenente all’associazione; 5) cessioni crediti e reati fiscali, ma senza alcuna contestazione di reati ai Nicastro; 6) settore sanitario, in relazione al quale nessun reato è ipotizzato nei confronti dei Nicastro; 7) mercato dei prodotti petroliferi, nel quale i Nicastro non sono coinvolti; 8) noleggio auto, settore nel quale i COGNOME non conducono alcuna attività.
La motivazione, inoltre, è contraddittoria quando, indicando gli incontri degli associati come uno dei dati indiziari più tangibili dell’esistenza di un sodalizio unitario, addebita l’associazione anche a Nicastro NOME, che ha partecipato ad un solo incontro.
2.1.3 D provvedimento impugnato ha evidenziato a carico del ricorrente la circostanza che nel pranzo del 23 aprile 2021 siano state trattate, alla sua presenza, dinamiche interne al sodalizio mafioso da considerarsi cruciali.
Con riguardo a questo pranzo, il Tribunale ha valorizzato una conversazione tra COGNOME e COGNOME che in realtà smentisce il riferimento operato dai giudici a presunti legami tra i COGNOME ed NOME COGNOME.
E anche la conoscenza che NOME ha di alcune vicende si giustifica non tanto con la presunta intraneità all’associazione, ma con il fatto che ci fossero affari comuni con alcuni personaggi (NOME, da cui doveva avere denaro in restituzione). E anche l’incontro del 28.4.2021 va letto unitariamente al precedente pranzo, perché si cerca un compromesso per la vicenda NOME, alla presenza di quest’ultimo. Nulla è invece emerso quanto ad eventuali altri affari comuni. Anche il riferimento che opera COGNOME alle armi riguarda un fatto passato che comunque riguarda il fratello NOME e non NOME NOME.
Per quanto riguarda l’attualità dei legami tra Nicastro e COGNOME, il Tribunale cita una confidenza del figlio di COGNOME a COGNOME, secondo cui il padre gli avrebbe detto di stare vicino ai Nicastro: si tratta, tuttavia, di una dichiarazione de relato.
Ma soprattutto è decisivo il fatto che, in una conversazione tra COGNOME e NOME del giorno successivo al pranzo, emerge che i due siano consapevoli che NOME NOME è un “pentito”, tanto che COGNOME confida di aver parlato il meno possibile con lui e che NOME si mostra preoccupato. Il Tribunale sostiene che il timore dimostrato da NOME nel corso della conversazione, in realtà, viene smorzato da COGNOME, il quale asserisce che la collaborazione non riguardava la locale di Rispoli e che pertanto NOME COGNOME era da considerarsi affidabile. Tuttavia, le rassicurazioni di COGNOME non smentiscono quello che emerge dagli atti giudiziari e, cioè, che la collaborazione prestata da COGNOME sia stata rilevante per la ricostruzione di fatti di sangue molto gravi.
Infine, il riesame non ha analizzato compiutamente il dato che COGNOME NOME sia un collaboratore di giustizia, il quale ha contribuito alla condanna all’ergastolo di un associato: è irragionevole, pertanto, che COGNOME NOME conduca con sé il fratello al summit di un’associazione mafiosa.
2.1.4 L’ordinanza, poi. cita l’aggressione di Nicastro a Picone, oggetto del fatto di cui al capo 9), riqualificato come reato ex art. 610 c.p., ma aggravato dal metodo mafioso. Tuttavia, il Tribunale omette di considerare che nessuno degli altri associati partecipa al fatto e che la vicenda si inscrive nel contesto di un conflitto familiare, come risulta dalle dichiarazioni dello stesso Nicastro che però non vengono prese in considerazione.
Quanto alla vicenda COGNOME, il Tribunale ritiene che COGNOME NOME si fosse coordinato con altri appartenenti all’associazione, ma l’affermazione è contraddetta da altri elementi, come il fatto che gli altri intervengono solo su richiesta di COGNOME e che lo stesso COGNOME in una conversazione intercettata parla dei COGNOME come “gente di merda”. Peraltro, il suo concorrente nel reato (COGNOME), pur presente al pranzo del 23.5.2021, non viene ritenuto associato.
2.1.5 Quanto al riciclaggio di denaro, l’indizio avrebbe dovuto essere costituito dall’estorsione ai danni di NOME NOME, che tuttavia è stata ritenuta insussistente sia dal g.i.p. che dal Tribunale del riesame.
Per i giudici, la vicenda è emblematica, perché COGNOME avrebbe messo la sua società a disposizione per ricevere i bonifici dei COGNOME, a cui poi restituiva somme di denaro di pari importo. Tuttavia, le dichiarazioni di COGNOME hanno smentito questa ricostruzione, come pure le conversazioni intercettate tra COGNOME NOME e COGNOME, da cui risulta che i rapporti tra i due non fossero fittizi, bensì reali, con il c verrebbe meno ogni ipotesi di riciclaggio.
La vicenda rimane oscura e, dunque, non può essere utilizzata come elemento a sostegno della partecipazione di Nicastro all’associazione.
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2.1.6 Quanto alle attività edilizie, il pubblico ministero ha contestato che, in questo settore, i Nicastro si siano avvalsi della forza di intimidazione mafiosa per monopolizzare le attività economiche locali, ma non ha indicato circostanze idonee a supportare questa ipotesi, basata su affermazioni generiche.
Peraltro, dalle intercettazioni emerge che nel settore edilizio e del c.d. superbonus l’artefice dell’operazione illecita sia COGNOME NOMECOGNOME In una lunga e assai rilevante conversazione dello stesso COGNOME con COGNOME NOME, mai il primo, il quale spiega perché la sua impresa è la più idonea, fa il nome dei COGNOME come soggetti a cui devono essere affidati gli appalti. Tuttavia, il Tribunale ha ignorato questi elementi contrari alla ipotesi accusatoria.
Anche in una conversazione tra COGNOME e COGNOME NOME (riportata testualmente nel ricorso), si possono rilevare alcuni passaggi nei quali risulta che COGNOME, parlando del superbonus, chieda al suo interlocutore a quali imprese estendere la partecipazione all’affare, cosa che mal si concilia con l’ipotesi che l’associazione che gestisce le attività economiche con le imprese delle altre famiglie si infiltri nella gestione dei cantieri del superbonus, senza coinvolgerle e senza mai partecipare ai summit dell’associazione sul tema: è una contraddizione logica.
La conversazione, inoltre, rivela che COGNOME (ovvero, il mero partecipe) agisca in totale autonomia rispetto a COGNOME (ovvero, il capo), così determinando una inversione dei ruoli, che non si spiegherebbe nella dinamica associativa. In realtà, i due sono titolari ciascuno di un’impresa edile e, dunque, è perfettamente logico che parlino del superbonus, senza che questo voglia dire che si tratti di un’attività della “cosca” di riferimento.
2.1.7 Quanto al settore della ristorazione, il Tribunale lo collega alla attività edilizia, in quanto afferma che i proventi di quest’ultima venivano reinnpiegati nell’altro. Ma si tratta di una lettura superficiale, contrastante con gli atti indagine, che non a caso il g.i.p. ha ritenuto insufficienti per la emissione della misura.
Si indica la RAGIONE_SOCIALE come strumento per l’acquisizione di un bar e di un ristorante di Busto Arsizio, ma la relativa contestazione del reato di cui all’art. 512bis cod. pen. al capo 75) è stata ritenuta infondata dal g.i.p. e la decisione non è stata impugnata dal pubblico ministero. In ogni caso, ove anche la società fosse stata utilizzata per l’acquisizione di attività economiche, questo non sarebbe sintomatico ex se di fatto illecito.
La vicenda della mancata acquisizione del ristorante Montecristo da parte dei COGNOME è, invece, la dimostrazione del fatto che non si utilizzasse evidentemente il metodo mafioso: dalle intercettazioni risulta che i COGNOME non riescano a mettere insieme 60.000 euro (nonostante la ampia organizzazione criminale ipotizzata) e non usino il metodo mafioso.
Anche per il bar INDIRIZZO (uno dei due effettivamente acquisiti), il Tribunale non prende in considerazione le dichiarazioni della “testa di legno” NOME e del proprietario dell’immobile in cui si trova NOME NOME, i quali escludono pressioni intimidatorie.
2.2 Con il secondo motivo, deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen. in relazione al reato di cui al capo 11).
Il ricorso rileva che non è chiaro come abbia fatto il Tribunale del riesame a ricostruire la vicenda nei termini riportati nell’ordinanza, in quanto le intercettazioni non consentono di comprendere in che modo si sia svolta l’aggressione.
In realtà, le minacce sono state riportate dal concorrente COGNOME e le dichiarazioni di COGNOME sul punto sono smentite dall’interrogatorio di COGNOME NOMECOGNOME che tuttavia non è stato preso in considerazione.
Il soggetto che ha alzato le mani è COGNOME il quale non ha precedenti, mentre nulla si può dire sul contegno tenuto in concreto dallo stesso COGNOME, sicché l’affermazione secondo cui la vittima ha ritenuto di trovarsi di fronte ad un’aggressione mafiosa è contraddetta dagli atti di indagine.
Lo stesso Tribunale è contraddittorio sull’agevolazione mafiosa quando afferma che la questione COGNOME è diventata successivamente un affare comune a tutti gli intervenuti, così ritendo illogicamente che la condotta precedente di Nicastro fosse connotata dalla agevolazione mafiosa. Il fine deve essere valutato nel momento in cui il soggetto compie l’azione delittuosa e non può essere recuperato a posteriori, altrimenti dovrebbero rispondere del reato anche gli altri associati che sono intervenuti su richiesta della vittima.
2.3 Con il terzo motivo, deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., il vizio di motivazione con riferimento alla attualità e concretezza delle esigenze cautelari.
Secondo il ricorso, la motivazione in proposito è apparente, in quanto: 1) il richiamo al “ruolo primario” dell’indagato contenuto nell’ordinanza è incongruo, in considerazione del fatto che l’unico contatto con gli altri associati di cui si ha certezza è quello del 28.4.2021; 2) i precedenti penali sono risalenti nel tempo e non si tiene conto che il fratello NOME NOME è collaboratore di giustizia, riconosciuto come tale da due sentenze definitive; 3) il presunto sistematico ricorso alla violenza e all’intimidazione riguarda due vittime che non sono state più avvicinate in seguito, sicché non c’è pericolo di inquinamento o di reiterazione; 4) la disponibilità di armi è solo supposta (sulla base di una intercettazione male interpretata) e non dimostrata.
Con requisitoria scritta trasmessa il 3.1.2025, il Sostituto Procuratore generale ha chiesto il rigetto del ricorso, da considerarsi infondato perché prescinde dall’esaustiva ricostruzione effettuata dal Tribunale. In particolare, il primo motivo si sviluppa integralmente sul piano del fatto e propugna un diverso inquadramento delle condotte ascrivibili al prevenuto: ma la minuziosa analisi operata dai giudici del riesame non risulta affetta dal vizio di travisamento del corredo indiziario, né dal vizio di manifesta illogicità nella ricostruzione dei fatti l’eventuale accoglimento del motivo richiederebbe una integrale rivalutazione del compendio probatorio. Il secondo motivo risulta parimenti infondato, a fronte del fatto che l’ordinanza impugnata evidenzi con percorso logico e persuasivo la sussistenza della circostanza aggravante, non indica alcun vizio di erronea applicazione della legge penale o di motivazione, limitandosi a proporre una differente chiave di lettura degli elementi di prova raccolti nel corso delle indagini. Anche il terzo motivo è infondato, avuto riguardo alla presunzione di adeguatezza della custodia in carcere, di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è parzialmente fondato per le ragioni di seguito esposte.
Deve premettersi che il primo motivo di ricorso non contesta sostanzialmente la esistenza dell’associazione a delinquere di stampo mafioso di cui al capo 1) dell’imputazione, bensì la appartenenza ad essa di Nicastro Dario.
Il capo di imputazione che lo riguarda gli attribuisce, in generale, “compiti di decisione, pianificazione e individuazione delle azioni da compiere e delle strategie da adottare per la realizzazione degli scopi illeciti dell’associazione”; nello specifico, poi, la contestazione spazia dalla commissione di attività illecite attinenti l’acquisizione e il controllo di attività economiche, al mantenimento di rapporti diretti con gli altri associati per il medesimo motivo e al rilascio in nome e per conto dell’associazione di autorizzazioni alla esplicazione di attività criminali sul territorio di pertinenza del gruppo.
L’addebito, dunque, opera un riferimento alquanto generico e non ben determinato alle condotte tipiche c.d. qualificate dell’associazione a delinquere di tipo mafioso, previste dall’art. 416-bis comma 2 cod. pen.
Questo non esclude che l’interprete possa riempire di contenuto, nel caso concreto, le indicazioni non specifiche circa le condotte tipiche. In ogni caso, ogni altra condotta rilevante ai fini associativi, che non corrisponda ad alcuna di quelle specifiche considerata nella fattispecie di reato associativo, rientra in quelle che la legge definisce di partecipazione, concetto che comprende tutti gli atti di
associazione non qualificati ma causalmente efficienti rispetto alla sua sussistenza ed operatività.
In questa prospettiva, va ricordato innanzitutto che, in tema di associazione di tipo mafioso, la condotta di partecipazione è riferibile a colui che si trovi in rapporto di stabile e organica compenetrazione con il tessuto organizzativo del sodalizio, tale da implicare, più che uno “status” di appartenenza, un ruolo dinamico e funzionale, in esplicazione del quale l’interessato “prende parte” al fenomeno associativo, rimanendo a disposizione dell’ente per il perseguimento dei comuni fini criminosi (Sez. U, n. 33748 del 12/7/2005, COGNOME, Rv. 231670 – 01; cfr. anche, Sez. U, n. 36958 del 27/5/2021, Modaffari, Rv. 281889 – 01).
Sul piano probatorio, pertanto, la partecipazione ad una associazione di tipo mafioso può essere desunta da indicatori fattuali dai quali, sulla base di attendibili regole di esperienza attinenti propriamente al fenomeno della criminalità di stampo mafioso, possa logicamente inferirsi la appartenenza del soggetto al sodalizio, purché si tratti di indizi gravi e precisi, idonei senza alcun automatismo probatorio a dare la sicura dimostrazione della costante permanenza del vincolo, con puntuale riferimento, peraltro, allo specifico periodo temporale considerato dall’imputazione (Sez. 1, n. 1470 del 11/12/2007, dep. 2008, P.g. in proc. COGNOME e altri, Rv. 238839 – 01)
2. Appare opportuno ricordare anche che, in tema di misure cautelari personali, il controllo del giudice di legittimità, in ordine alla consistenza dei grav indizi di colpevolezza, consente, in relazione alla peculiare natura del giudizio ed ai limiti che ad esso ineriscono, la sola verifica delle censure inerenti la adeguatezza delle ragioni addotte dal giudice di merito ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie e non anche il controllo di quelle censure che, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione di circostanze già esaminate dal giudice di merito (Sez. 2, Sentenza n. 27866 del 17/6/2019, COGNOME, Rv. 276976 – 01; Sez. 2, n. 31553 del 17/5/2017, COGNOME, Rv. 270628 – 01).
L’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza è rilevabile in cassazione se si traduce nella violazione di specifiche norme di legge ovvero nella mancanza o manifesta illogicità della motivazione, risultante dal testo del provvedimento impugnato (Sez. F, n. 47748 del 11/8/2014, COGNOME, Rv. 261400 – 01). Alla Corte spetta solo il compito di verificare se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato e di controllare la congruenza della relativa motivazione rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie (Sez. U, n. 11 del 22/3/200 Audino,
Rv. 215828 – 01; Sez. 4, n. 26992 del 29/5/2013, P.M. in proc. COGNOME, Rv. 255460 – 01).
È proprio alla luce di questo consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, che si è ritenuto in precedenza di riportare piuttosto analiticamente sia i passaggi dell’ordinanza impugnata riguardanti i gravi indizi di colpevolezza, sia le censure mosse nel ricorso alla motivazione del tribunale del riesame in punto di gravità indiziaria.
3. Ciò premesso, emerge innanzitutto che il compendio indiziario utilizzato dal Tribunale del riesame non sia concretamente indicativo, in relazione alla posizione di COGNOME NOME, di alcuna delle condotte di promozione, direzione o organizzazione dell’associazione.
Non si ravvisano, infatti, nel percorso argonnentativo dell’ordinanza elementi realmente dimostrativi di un intervento di Nicastro Dario nella predisposizione del disegno generale dell’associazione, nella indicazione degli scopi, nella definizione delle strutture, nella distribuzione dei compiti, nella predisposizione dei mezzi, nel coordinamento degli associati.
A fronte del fatto, evidenziato dal Tribunale del riesame, che sia stato registrato lo svolgimento di numerosi incontri di natura programmatica od operativa degli associati a partire almeno dal maggio del 2020, è stata, di contro, accertata la partecipazione di COGNOME NOME, in primo luogo, ad un pranzo tenutosi il 23.4.2021 nel terreno di Cristello Giacomo.
Si ipotizza che questo incontro sia servito a riaffermare l’operatività della locale di Legnano-Lonate Pozzolo, in modo funzionale a consolidarne la caratura mafiosa e ad apportare all’associazione di cui al capo 1) un “patrimonio” acquisito di criminalità organizzata.
Ma, intanto, nella distribuzione delle cariche e nella individuazione dei componenti, che sono stati ricavati da una intercettazione effettuata poco prima sull’utenza telefonica di NOME, indicato come la figura di spicco attorno a cui rilanciare la cosca, non sono compresi i COGNOME.
Inoltre, nel corso dell’incontro si affrontano varie tematiche, ma nessuna delle quali riguardanti il diretto coinvolgimento dei Nicastro in un gruppo che sia diverso e autonomo rispetto a quello dal quale provengono.
Si discute di alcune vicende cui NOME NOME e il fratello sono senza dubbio interessati, come la situazione debitoria di COGNOME NOME (alla quale si riferisce i capo 11 dell’imputazione) e la loro controversia con NOME in relazione al recupero di una somma di denaro investita per la realizzazione di un parcheggio.
Ma si tratta di questioni che vedono inizialmente il coinvolgimento dei Nicastro “in proprio” e in relazione alle quali subentrano complicazioni per cui è stata
richiesta – nel primo caso dalla vittima e nel secondo caso da loro stessi l’intermediazione di altri mafiosi ai fini della bonaria risoluzione dei contrasti.
Lo stesso è a dirsi, in secondo luogo, per l’incontro del 28.4.2021, cui COGNOME NOME è stato presente fino a un certo punto, nel quale si affronta nuovamente peraltro, in un clima di evidente tensione e contrapposizione tra i partecipanti – la questione della restituzione del denaro consegnato ad NOME COGNOME a titolo di investimento non andato poi a buon fine.
Che da queste occasioni – le uniche in cui l’indagato ha contatti con persone diverse da quelle gravitanti nell’ambito della famiglia COGNOME – possano trarsi elementi suscettibili di integrare una situazione di gravità indiziaria a carico di COGNOME Dario quale promotore con compiti di organizzazione o direzione dell’associazione per cui si procede, è una affermazione che, allo stato, non trova fondamento.
Anche perché resta sullo sfondo la circostanza, non controversa, che NOME NOME, fratello di NOME, sia o sia stato un collaboratore di giustizia e che viene ridimensionata dal Tribunale sulla scorta di una conversazione telefonica tra due esponenti della locale di Legnano-Lonate Pozzolo, i quali ne circoscrivono la rilevanza concreta. Ma ciò non toglie che il provvedimento impugnato non spieghi in modo concludente come possa conciliarsi tale circostanza con la prospettazione di un ruolo direttivo di COGNOME NOME nell’ambito dell’associazione che mira alla realizzazione di un “sistema mafioso lombardo” e con il fatto che lo stesso organizzatore del pranzo del 23.4.2021 – COGNOME NOME – mostri a telefono con altro affiliato un certo qual sconcerto per la partecipazione all’incontro di un “pentito”.
4. Passando al piano della semplice partecipazione all’associazione da parte di COGNOME NOME, il provvedimento impugnato fa riferimento, oltre che al suo intervento agli incontri del 23 e del 28.4.2021, alle attività poste in essere con il fratello, in Busto Arsizio, in alcuni settori economici: quello dell’edilizia, per tramite di una propria impresa e di altre società sotto il loro controllo di fatto con mire di tipo monopolistico, e quello della ristorazione, nell’ambito della quale essi ambivano a rilevare la gestione di esercizi commerciali in crisi anche avvalendosi di pressioni e minacce nei confronti dei titolari.
Ebbene, non risulta dall’ordinanza che le imprese a loro riconducibili si siano giovate di partecipazioni occulte di esponenti dell’associazione per cui si procede, né che le attività economiche cui essi sono dediti – in maniera estorsiva o meno che sia – abbiano visto il coinvolgimento di componenti delle altre “locali” confluenti nella superiore associazione di cui si sta trattando ovvero la condivisione dei proventi eventualmente illeciti nell’ottica di una condotta associativa plurisoggettiva.
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Se è cosi, l'ordinanza, allora, non si confronta pienamente con il principio secondo cui, nel reato associativo, l'azione del singolo è proibita non perché sia essa stessa lesiva, bensì in quanto è destinata a diventarlo saldandosi con le condotte degli altri partecipi necessari.
Il precetto che vieta l'associazione, infatti, ha una destinazione collettiva, imponendo di non realizzare la condotta collettiva, lesiva e produttiva del reato, e non tanto di non svolgere la condotta individuale. Ciò che il singolo compie si deve saldare con gli apporti degli altri soggetti e realizzare il "fatto comune".
Nel caso di specie, le condotte materiali attraverso le quali, secondo l'ipotesi accusatoria, COGNOME NOME parteciperebbe alla fase più propriamente operativa dell'associazione mafiosa riguardano specifiche attività – lecite o illecite – cui sono direttamente interessati i soli fratelli COGNOME, senza che altri appartenenti all'associazione di cui al capo 1) vi si ingeriscano o comunque ne condividano gli eventuali risultati.
È vero che il reato associativo risale pur sempre all'azione individuale dei singoli associati, ma è la condotta plurisoggettiva che produce come risultato unitario ed unico l'associazione, che non è la mera sommatoria dei risultati parziali conseguiti dai diversi singoli agenti, ma un fatto giuridico nuovo e complesso, autonomo dai singoli associati.
All'agente del reato collettivo è rimproverabile di aver svolto la condotta tipica in connessione con le analoghe condotte degli altri agenti, e quindi di aver contribuito a realizzare un fatto collettivo. Ma l'azione dell'agente che rimanga invece un fatto individuale e personale e che non confluisca nello stretto ambito di complessiva operatività dell'ente collettivo non può concorrere a dar vita alla condotta plurisoggettiva lesiva.
La partecipazione, perciò, richiede il compimento di atti causalmente efficienti rispetto alla sussistenza ed operatività dell'associazione mafiosa, nello svolgimento di un compito specifico che determina un rapporto organico con il sodalizio criminoso.
Dal quadro indiziario disponibile, invece, non emerge che NOME e il fratello mettano la propria operosità criminale a disposizione dell'associazione e palesino la volontà di inserirla nella complessa condotta collettiva, in funzione del perseguimento di uno scopo tipico comune.
Si ricava, viceversa, la rappresentazione di un indubbio dinamismo criminale che tuttavia non si collega, in ultima analisi, ad un organismo sovraordinato, al quale si riconosca la capacità di assumere decisioni collettive e di disciplinare il comportamento dei singoli nei confronti dell'associazione.
Non a caso nelle parti dell'ordinanza dedicate alla condivisione tra gli associati, per un verso, di prassi operative e figure professionali e, per l'altro, delle risorse finanziarie, non compaiono mai i Nicastro, a comprova che la loro attività tende a
rimanere confinata nell'area geografica di propria influenza e a non combinarsi o integrarsi nella condotta collettiva associativa.
Sulla scorta di quanto osservato, pertanto, si deve ritenere che nei confronti di Nicastro Dario l'ordinanza non abbia fatto corretta applicazione dei principi di diritto che devono presiedere alla valutazione delle risultanze indiziarie in tema di appartenenza ad un'associazione a delinquere di stampo mafioso.
Tali principi richiedono che, in base agli indizi disponibili, sia consentito di ipotizzare che il soggetto di cui si assume l'appartenenza al sodalizio criminoso operi con una condotta che, dal punto di vista oggettivo, sia in rapporto di stabile collegamento con quelle degli altri associati e, dal punto di vista psichico, agisca con la consapevole volontà dell'inserimento della propria condotta individuale in una condotta plurisoggettiva in vista di un prefissato scopo comune agli altri associati.
Il provvedimento del tribunale, ricostruiti i fatti attribuiti a COGNOME NOMECOGNOME no spiega adeguatamente la loro rilevanza rispetto alla norma incriminatrice applicata nel caso concreto.
Il primo motivo di ricorso, pertanto, è meritevole di accoglimento, con la conseguenza che la sua fondatezza in ordine ai gravi indizi di colpevolezza determina logicamente l'assorbimento del terzo motivo di ricorso attinente alle esigenze cautelari.
È infondato, invece, il secondo motivo di ricorso, con il quale sostanzialmente si prospettano una diversa ricostruzione del fatto di cui al capo 11) dell'imputazione e una valutazione alternativa delle circostanze già esaminate dai giudici di merito.
Deve ricordarsi, a tal proposito, che, in tema di misure cautelari, il controllo di legittimità non concerne né la ricostruzione dei fatti, né l'apprezzamento del giudice di merito circa l'attendibilità delle fonti e la rilevanza e concludenza dei dati probatori (Sez. F, n. 47748 del 11/8/2014, COGNOME, Rv. 261400 – 01).
Come già prima evidenziato, al giudice di legittimità compete la sola verifica delle censure inerenti l'adeguatezza delle ragioni addotte dal giudice di merito ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l'apprezzamento delle risultanze probatorie.
Non si tratta di ciò che contesta il ricorso, nel quale, piuttosto, si mette in discussione il significato delle intercettazioni, si sostiene la maggiore attendibilità delle dichiarazioni dell'indagato rispetto a quelle della persona offesa, si dubita della valenza mafiosa delle frasi eventualmente pronunciate da COGNOME: insomma, si sollecita una differente comparazione dei significati da attribuire ai diversi indizi e si evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclus' i differenti
sui punti dell'attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento.
Di contro, la motivazione del tribunale è del tutto congrua, quantomeno rispetto alla circostanza aggravante di cui all'art. 416-bis. 1 cod. pen. nella forma dell'utilizzo del c.d. metodo mafioso.
È noto che, ai fini dell'integrazione della circostanza aggravante relativa al fatto commesso da soggetto che si avvale del metodo mafioso, non è necessaria la prova della sua effettiva appartenenza ad un'associazione criminosa, essendo sufficiente l'aver ingenerato nella vittima la consapevolezza che l'agente vi appartenga (Sez. 2, n. 49090 del 4/12/2015, COGNOME, Rv. 265515 – 01; Sez. 2, n. 32564 del 12/4/2023, COGNOME, Rv. 285018 – 02)).
Peraltro, nel caso di specie, al di là della partecipazione o meno di Nicastro all'associazione di cui al capo 1), può affermarsi che comunque egli sia esponente di una famiglia storicamente attiva, sotto il profilo criminale, in un ambito geograficamente circoscritto, nel quale la sua fama criminale pregressa è agevolmente riconoscibile all'esterno in ragione del suo radicamento sul territorio (cfr. Sez. 2, n. 34786 del 31/5/2023, Gabriele, Rv. 284950 – 01).
In questa prospettiva, quindi, per la configurabilità dell'aggravante dell'utilizzo del "metodo mafioso" è necessaria la ragionevole percezione, anche solo ipotetica, da parte della persona offesa della provenienza dell'attività delittuosa da un contesto di criminalità organizzata di tipo mafioso (Sez. 2, n. 28061 del 22/5/2024, Pmt c. COGNOME, Rv. 286723 – 01).
Ebbene, nel caso di specie basti considerare, come ha correttamente fatto il Tribunale del riesame, non solo che la violenza e la minaccia (esercitata da quattro persone riunite, recatesi a casa della vittima per aggredirla e per minacciarla di morte, intimandole di "non mettere in mezzo a nessuno") abbiano assunto la veste propria del metodo mafioso, ma soprattutto che sia stata la stessa persona offesa ad avvertire, di fatto, la valenza mafiosa della intimidazione, invocando l'intervento e la protezione di soggetti terzi, a loro volta dotati di indiscussa caratura criminale.
In modo pienamente logico e ragionevole, quindi, l'ordinanza impugnata ha tratto da tale significativa circostanza la dimostrazione che la vittima avesse percepito la provenienza della condotta posta in essere ai suoi danni da un contesto di tipo mafioso ed i caratteri propria della intimidazione della criminalità organizzata, tanto da essersi rivolto a persone altrettanto pericolose quanto i suoi aggressori, evidentemente sul presupposto che fossero in grado di contenerne efficacemente l'azione estorsiva.
L'azione incriminata, pertanto, è stata funzionale a creare nella vittima una condizione di assoggettamento, come riflesso del prospettato pericolo di trovarsi
a fronteggiare le istanze prevaricatrici di un gruppo criminale mafioso (Sez. 5, n.
14867 del 26/1/2021, Marciano', Rv. 281027 – 01).
Ne deriva che il secondo motivo di ricorso deve essere disatteso.
7. Alla luce di quanto fin qui osservato, dunque, consegue, in accoglimento del primo motivo di ricorso, il parziale annullamento dell'ordinanza impugnata, con
rinvio al Tribunale di Milano per un nuovo esame del compendio indiziario in ordine al reato di cui all'art. 416-bis cod. pen. alla luce dei principi sopra menzionati.
Nel resto, invece, il ricorso deve essere rigettato.
Giacché dalla presente decisione non consegue la rimessione in libertà del ricorrente, si deve disporre
ex art. 94, comma
1-ter, disp. att. cod. proc. pen. che
copia del provvedimento sia trasmessa, a cura della Cancelleria, al Direttore dell'Istituto penitenziario ove è attualmente ristretto il ricorrente.
P.Q.M.
Annulla l'ordinanza impugnata limitatamente al reato di cui al capo 1) e rinvia per nuovo giudizio sul punto al Tribunale di Milano, competente ai sensi dell'art. 309, co. 7, c.p.p. Rigetta nel resto il ricorso. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 23.1.2025