Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 5715 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 5715 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 04/12/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a CATANIA il 04/01/1991
avverso l’ordinanza del 01/08/2024 del TRIBUNALE di CATANIA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Procuratore Generale, nella persona del dott. NOME COGNOME che si è riportato alla propria memoria e ha concluso per il rigetto del ricorso; udito il difensore, avvocato COGNOME che si è riportato ai propri scritti e ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
È impugnata l’ordinanza del 01/08/2024 con la quale il Tribunale del Riesame di Catania ha confermato l’ordinanza del G.I.P. del medesimo Tribunale, che ha applicato nei confronti di COGNOME NOME la misura della custodia cautelare in carcere.
Il COGNOME è indiziato del reato di cui all’art. 416 bis cod. pen., quale partecipe di Cosa Nostra catanese e, in particolare, della famiglia “SantapaolaErcolano”, gruppo Stazione (capo 1), oltre che del reato di cessione di sostanza
stupefacente, in concorso, aggravato dalla circostanza di cui all’art. 416-bis.1. cod. pen. (capo 17).
Il ricorso, presentato dal difensore di fiducia, articola unico motivo con il quale denuncia violazione della legge penale e manifesta illogicità della motivazione in relazione alla sussistenza di gravi indizi di reità per il delitto d partecipazione ad associazione mafiosa.
Deduce: che le dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia COGNOME Silvio e COGNOME NOME sono neutre e non forniscono indizi di colpevolezza rispetto al reato contestato; gli elementi desumibili dalle conversazioni intercettate sono legati a vicende di tipo personale, quali quella relativa al contrasto con COGNOME o con COGNOME NOME; il tenore del messaggio del 16/10/2023, inviato da COGNOME Daniele a se stesso, non sarebbe idoneo a dimostrare la percezione di uno “stipendio” mensile da parte del ricorrente, quale affiliato; manca un ruolo specifico del ricorrente, oltre che la commissione di reati fine; la prova del pactum sceleris richiede, oltre alla volontà del partecipe, l’inserimento del soggetto nella struttura del sodalizio con l’attribuzione di un ruolo volto alla tutela degli interessi relativi; l’accertamento probatorio richiede una doppia valutazione, ovvero l’accertamento dell’elemento soggettivo dell’affectio ed una verifica dell’esistenza di condotte obiettive attribuibili al presunto partecipe.
Il Procuratore generale, riportandosi alla requisitoria scritta, ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
Il difensore del ricorrente ha insistito nella richiesta di accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
L’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza ex art. 273 cod. proc. pen. è rilevabile in cassazione soltanto se si traduca nella violazione di specifiche norme di legge o in mancanza o manifesta illogicità della motivazione, risultante dal testo del provvedimento impugnato.
Il controllo di legittimità non concerne né la ricostruzione dei fatti, né l’apprezzamento del giudice di merito circa l’attendibilità delle fonti e la rilevanza e concludenza dei dati probatori; non sono di conseguenza consentite quelle censure che, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvano nella prospettazione di una diversa valutazione di circostanze già esaminate dal giudice di merito (ex multis: Sez. 2, n. 31553 del 17/05/2017, COGNOME, Rv.
270628; Sez. 4, n. 18795 del 02/03/2017, COGNOME, Rv. 269884; Sez. F, n. 47748 del 11/08/2014, COGNOME, Rv. 261400; Sez. 4, n. 26992 del 29/05/2013, P.M. in proc. COGNOME, Rv. 255460; Sez. 6, n. 11194 del 08/03/2012, COGNOME, Rv. 252178; Sez. 5 n. 46124 del 08/10/2008, COGNOME, Rv. 241997; Sez. 4, n. 22500 del 03/05/2007, Terranova, Rv. 237012).
La motivazione della decisione del Tribunale del riesame, per la sua natura di pronuncia cautelare, non fondata su prove, ma su indizi, deve essere parametrata all’accertamento non della responsabilità, bensì di una qualificata probabilità di colpevolezza. (Sez. U, n. 11 del 22/03/2000, Audino, Rv. 215828).
Le censure mosse dalle ragioni di ricorso si rivelano generiche e votate a sollecitare la Corte di legittimità ad una non consentita rivisitazione dei fatti e del materiale indiziario, in ordine alla insussistenza dei gravi indizi di reità.
Manca un confronto con la motivazione resa dal Tribunale del riesame che ha delineato un fattivo contributo del ricorrente volto ad assicurare il perseguimento degli scopi del sodalizio valorizzando gli esiti dell’attività di intercettazione e di controllo sul territorio.
Particolare rilevanza è stata assegnata alla partecipazione del ricorrente alla spedizione punitiva organizzata nei confronti di COGNOME (del clan COGNOME
COGNOME), responsabile di avere mancato di rispetto al sodale COGNOME COGNOME (della famiglia COGNOME-Ercolano): attraverso gli esiti della compiuta attività captativa è stato dimostrato che il ricorrente si è recato, subito dopo, insieme a COGNOME Daniele (responsabile del gruppo Stazione) a bordo di uno scooter alla ricerca del COGNOME il quale, tuttavia, dopo un diverbio, ha sparato al loro indirizzo alcuni colpi di arma da fuoco; anche successivamente, il ricorrente ha manifestato la propria adesione ad un progetto omicidiario nei confronti del COGNOME, non portato a compimento per il successivo arresto di quest’ultimo e di NOME COGNOME COGNOME, ricevendo l’incarico di assumere informazioni sulla vittima destinata e partecipando all’incontro fra esponenti di vertice della famiglia COGNOME– Ercolano e COGNOME NOME del clan COGNOME
COGNOME, venendo informato, pertanto, degli sviluppi della situazione.
È stato dato risalto, inoltre: al contenuto di alcuni messaggi vocali fra il ricorrente e COGNOME Daniele indicativi di una partecipazione del primo alla distribuzione degli utili illeciti conseguiti dal gruppo mafioso (conv. del 17/11/20123 delle ore 10,58); all’aggressione perpetrata in danno di COGNOME NOME, scaturita da ragioni personali (per avere il COGNOME disturbato una donna vicina al ricorrente) ma portata avanti in nome dell’intero gruppo della Stazione, nella cui compagine lo stesso ricorrente si inscrive (“noialtri famiglia”)
ed alla quale sono seguiti momenti di tensione all’interno della famiglia tanto da rendere necessario il richiamo alla calma degli stessi vertici; alla partecipazione del ricorrente all’aggressione portata avanti nei confronti dei buttafuori di un locale con rivendicazione dell’appartenenza al gruppo mafioso ( “RAGIONE_SOCIALE“, conv. del 01/09/2023).
Le doglianze difensive articolate rispetto al tenore delle dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia, COGNOME NOME e COGNOME Salvatore, non tengono conto dello spessore indiziario degli elementi valorizzati dal Tribunale del riesame, desunti dalle conversazioni oggetto di captazione e non da fonti dichiarative. Peraltro, le dichiarazioni del collaboratore COGNOME, richiamate dallo stesso difensore con ampi stralci delle stesse, non evidenziano alcun profilo di contraddittorietà della motivazione del provvedimento impugnato dal momento che indicano, piuttosto, un rapporto di vicinanza del ricorrente alla compagine criminale mafiosa risalente ad un periodo precedente rispetto a quello di formale contestazione.
Anche l’ulteriore deduzione, fondata sulla natura personale delle vicende legate ai contrasti con COGNOME Salvatore e con COGNOME NOME, omette di confrontarsi con il reale contenuto argomentativo della motivazione che ha evidenziato, correttamente ed in modo immune da vizi, come, al di là della genesi del contrasto, il ricorrente abbia posto in essere condotte volte alla salvaguardia degli interessi del gruppo mafioso di riferimento (quello della famiglia mafiosa COGNOME – Ercolano e del gruppo Stazione in particolare) condividendone le dinamiche di vendetta e arrivando a partecipare, con esponenti del clan contrapposto, ai preparativi per l’attuazione di un progetto omicidiario.
Anche l’evoluzione della vicenda concernente l’aggressione a COGNOME NOME, nella quale è il medesimo ricorrente a rivendicare l’appartenenza alla “famiglia” venendo sostenuto in ciò dallo Strano, ha confermato, al di là della scaturigine personale del contrasto, l’inserimento della vicenda in complesse dinamiche relazionali di tipo mafioso, con la dichiarata assunzione di paternità mafiosa del gesto da parte del medesimo ricorrente, così da giustificare la valorizzazione degli elementi relativi come tasselli del quadro indiziario a suo carico.
Sono generiche anche le doglianze espresse in ordine alla mancanza di elementi da cui desumere l’attribuzione di un ruolo specifico al ricorrente in quanto omettono di considerare gli elementi, messi in luce dal Tribunale del riesame, indicativi di una concreta messa a disposizione da parte del medesimo seguita da condotte illecite volte al perseguimento degli interessi della compagine mafiosa: elementi correttamente valutati come indizi di
partecipazione al sodalizio mafioso secondo l’insegnamento di questa Corte per il quale la partecipazione mafiosa può essere affermata sula base dell’assunzione di un ruolo dinamico e funzionale all’interno del sodalizio, pur in assenza di formale affiliazione (secondo le coordinate ermeneutiche di Sez. U, n. 36958 de/ 27/05/2021, Rv. 281889 ed anche di Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, COGNOME, Rv. 231670: «In tema di associazione di tipo mafioso, la condotta di partecipazione è riferibile a colui che si trovi in rapporto di stabile organica compenetrazione con il tessuto organizzativo del sodalizio, tale da implicare, più che uno “status” di appartenenza, un ruolo dinamico e funzionale, in esplicazione del quale l’interessato “prende parte” al fenomeno associativo, rimanendo a disposizione dell’ente per il perseguimento dei comuni fini criminosi»).
In conclusione il ricorso deve essere rigettato con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Non conseguendo alla presente decisione la rimessione in libertà del ricorrente, vanno adottati gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 04/12/2024.