Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 21981 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 21981 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 21/03/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME, nato a Carmiano il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 25/11/2023 del Tribunale di Lecce visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore Generale NOME COGNOME, il quale, nel riportarsi alla propria requisitoria scritta, ha concluso chiedendo che il ricorso sia rigettato;
udito l’AVV_NOTAIO, in difesa di COGNOME NOME, il quale si è riportato alle conclusioni formulate nel ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 25/11/2023, il Tribunale di Lecce rigettava la richiesta di riesame che era stata proposta da NOME COGNOME contro l’ordinanza del 16/10/2023 del G.i.p. del Tribunale di Lecce che aveva disposto, nei confronti dello stesso COGNOME, la misura della custodia cautelare in carcere in quanto gravemente indiziato del reato di partecipazione a un’associazione di tipo mafioso, promanazione della storica associazione di tipo mafioso denominata RAGIONE_SOCIALE e facente capo a NOME COGNOME (capo 62 dell’imputazione provvisoria; art. 416-bis, primo, secondo, terzo, quarto e quinto comma, cod. pen.).
i.. Avverso tale ordinanza del 25/11/2023 del Tribunale di Lecce, ha proposto ricorso per cassazione, per il tramite del proprio difensore, NOME COGNOME, affidato a due motivi.
.2.1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., l’erronea applicazione della legge penale «in relazione all’individuazione, quale indice di appartenenza ad un sodalizio mafioso, del ruolo di custode di somme di denaro riconducibili ad un singolo associato (erroneamente valorizzato come ruolo di “custode della cassa comune”)» dell’associazione, e, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. e) , cod. proc., la mancanza e la manifesta illogicità della motivazione «in relazione al concetto di “cassa comune” di un’associazione di tipo mafioso».
Il ricorrente contesta la motivazione dell’ordinanza impugnata là dove il Tribunale di Lecce ha reputato che il denaro che gli era stato consegnato dal capo dell’associazione di tipo mafioso NOME COGNOME rientrasse nel concetto di “cassa comune” della stessa associazione, che egli era accusato di custodire.
Nel rappresentare che tutti gli emersi passaggi di denaro erano avvenuti direttamente tra lui e il COGNOME, senza alcun contatto con altri appartenenti all’associazione, il ricorrente lamenta che il Tribunale di Lecce non avrebbe adeguatamente argomentato in ordine al perché tale denaro si dovesse ritenere appartenere alla “cassa comune” dell’associazione anziché personalmente al COGNOME, ancorché di provenienza illecita – come “fetta personale” del provento ottenuto dai sodali o anche come provento di altri illeciti, come quelli legati al traffico di stupefacenti – e avrebbe erroneamente ritenuto che il discrimine tra le due situazioni (denaro appartenente alla “cassa comune” dell’associazione/denaro personale del COGNOME) riposasse sulla conoscenza, da parte dell’indagato, della provenienza illecita del denaro a lui affidato in custodia.
Il ricorrente sottolinea che, dal contenuto delle conversazioni intercettate, risulterebbe come egli avesse custodito, in poche occasioni, esigue somme di denaro, «propriamente compatibili», stante tale esiguità, «con danaro personale del COGNOME, piuttosto che con quello comune appartenente all’associazione globalmente intesa», come sarebbe comprovato anche dal riferimento, che emergerebbe dal contenuto di alcune conversazioni intercettate, all’impiego dello stesso denaro per scopi personali del COGNOME, in un caso, per l’acquisto di generi alimentari e regalie per medici, e, in molti casi, per consegnarlo alla moglie del COGNOME «NOME COGNOME e, dunque, per scopi personali dello stesso NOME.
Il ricorrente deduce quindi che, anche ad ammettere che egli conoscesse o potesse conoscere la provenienza illecita del denaro che gli era stato affidato dal COGNOME e la volontà di questi di sottrarre lo stesso denaro a un eventuale rinvenimento da parte delle forze dell’ordine, la sua condotta dovrebbe essere
qualificata come favoreggiamento reale, e non come partecipazione all’associazione di tipo mafioso, attesa l’assenza di qualsiasi finalità di profit proprio, come sarebbe comprovato dall’intercettata conversazione, riportata a pag. 7 dell’ordinanza impugnata, nella quale egli rispondeva recisamente «no» all’invito del COGNOME a utilizzare il denaro nelle more della custodia qualora ne avesse avuto bisogno.
Il COGNOME evidenzia ancora come dagli atti di indagine non sarebbe emersa alcun’altra forma di profitto che potesse essergli derivata dalla propria vicinanza al COGNOME.
a.2. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., l’erronea applicazione della legge penale e, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. e) , cod. proc., la mancanza e la manifesta illogicità della motivazione «in relazione alla configurabilità di una condotta partecipativa , trattandosi, al più, di mera contiguità compiacente».
Il ricorrente deduce che, nel ritenere la sua “messa a disposizione” del sodalizio criminoso, il Tribunale di Lecce avrebbe erroneamente sovrapposto il piano di tale “messa a disposizione” del sodalizio globalmente inteso con il diverso piano della “messa a disposizione” del COGNOME, al quale, esclusivamente, egli aveva assicurato il proprio apporto personale e la propria vicinanza.
Il ricorrente contesta poi specificamente la valenza dei singoli elementi che sono stati addotti dal Tribunale di Lecce a riprova del contributo che egli avrebbe invece fornito all’associazione.
Con riguardo agli elementi di essere stato uomo di fiducia del COGNOME e di venire da questi informato delle azioni intimidatorie che erano programmate dal sodalizio criminoso, il ricorrente deduce che ciò «non può tradursi automaticamente nella identificazione del ricorrente in un associato». Il COGNOME richiama al riguardo la giurisprudenza della Corte di cassazione in tema di mera “contiguità compiacente”, “vicinanza” o “disponibilità” nei confronti di singoli esponenti, anche di spicco, di un’associazione di tipo mafioso (sono citate: Sez. 6, n. 40746 del 24/06/2016, COGNOME, Rv. 268325-01; Sez. 1, n. 25799 del 08/01/2025, COGNOME, Rv. 263953-01), nonché di mera frequentazione di affiliati al sodalizio criminale.
Con riguardo all’elemento dell’essere stato custode della “cassa comune” del sodalizio, il ricorrente rinvia a quanto dedotto con il primo motivo.
Con riguardo all’elemento dell’essere stato a disposizione del COGNOME e del sodalizio per agevolare atti di intimidazione o di ritorsione, «forn indirizz delle abitazioni delle potenziali vittime» o «indica l’ubicazione delle auto a loro in uso», il ricorrente nega che esso sia emerso e rappresenta in particolare: a) quanto all’informazione fornita al COGNOME circa l’ubicazione dell’abitazione della
famiglia COGNOME, che tale abitazione «non risulta mai “aggredita”», con la conseguenza che la suddetta informazione «certamente non è risultata utile a perpetrare i danneggiamenti denunciati dalla famiglia COGNOME»; b) quanto al ruolo che egli avrebbe svolto nell’attentato all’esercizio commerciale dei fratelli COGNOME, che, dal contenuto delle intercettate conversazioni trascritte alle pagg. 8-9 dell’ordinanza impugnata, risulterebbe che «la eventuale utilità intervento è del tutto estemporanea rispetto all’attività delinquenziale programmata e, soprattutto, non necessariamente produttiva di effetti di concreta agevolazione, atteso che la predetta intimidazione era stata programmata senza l’intermediazione dell’indagato», dovendosi, altresì, tenere conto che, secondo la giurisprudenza della Corte di cassazione, la “messa a disposizione” non si può risolvere «nella mera disponibilità eventualmente manifestata nei confronti di singoli associati, a servizio di loro interessi particolari, né con la promessa, neppure con la prestazione, di contributi a specifiche attività, che, pur indirettamente funzionali alla vita dell’associazione, si risolvano in apporti delimitati, nel tempo e quanto a soggetti e oggetto cui sono rivolti» (Sez. 6, n. 5224 del 02/10/2019, dep. 2020, Acampa); c) quanto al ruolo che egli avrebbe svolto negli attentati ai danni di NOME COGNOME, che egli non risponde dei capi da 64) a 67) dell’imputazione provvisoria e che, comunque, secondo la giurisprudenza della Corte di cassazione, la commissione di un unico episodio estorsivo non sarebbe idoneo a consentire di desumere la condivisione del metodo e degli scopi dell’associazione di tipo mafioso.
Con riguardo all’elemento di avere procurato armi al COGNOME, il ricorrente nega che ciò sia emerso e rappresenta, in particolare, che il contenuto dell’intercettata conversazione che è riportato alla pag. 13 dell’ordinanza impugnata sarebbe talmente criptico che lo stesso pubblico ministero non aveva ritenuto di contestare «il ferro» al quale si fa riferimento nella stessa conversazione.
Con riguardo all’elemento che egli si sarebbe reso disponibile a “bonificare” la casa del COGNOME da eventuali videocamere installate dalla polizia giudiziaria, il ricorrente deduce che il COGNOME gli chiese non di rimuovere le telecamere ma di noleggiargli un carrello elevatore, di modo che «due ragazzi» chiamati dallo stesso COGNOME potessero rimuovere i dispositivi e che la suddetta richiesta rimase inadempiuta.
Con riguardo, infine, all’elemento che egli avrebbe coadiuvato il COGNOME e il COGNOME nel sostentamento dei detenuti recandosi direttamente da NOME COGNOME, il ricorrente deduce che egli non si recava a casa del COGNOME per procurare vestiario ai detenuti, sicché mancherebbe, anche sotto tale aspetto, «alcun tipo di elemento circa la effettiva messa a disposizione».
Alla luce di ciò, secondo il COGNOME, la propria condotta sarebbe inquadrabile, al più, in una “contiguità compiacente”, priva di rilevanza causale rispetto al mantenimento in vita e al rafforzamento del sodalizio criminoso globalmente inteso – con i cui partecipi, peraltro, ad eccezione del solo COGNOME, egli non è risultato avere avuto alcun rapporto – e connotata, piuttosto, da sporadicità e, comunque, da caratteristiche «che per quantità non soddisfarebbero il requisito della continuità dell’apporto all’associazione di tipo mafioso».
Il ricorrente conclude rappresentando come su tali crinali correrebbe la distinzione tra partecipazione ad associazione mafiosa, concorso esterno nella stessa e favoreggiamento personale, ribadendo come le circostanze della specie farebbero propendere per la propria esclusione dal perimetro della partecipazione all’associazione di tipo mafioso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I due motivi – i quali, attenendo entrambi alla questione della sussistenza o no dei gravi indizi di colpevolezza della partecipazione del COGNOME all’associazione di tipo mafioso, promanazione della storica associazione denominata RAGIONE_SOCIALE, facente capo a NOME COGNOME, devono possono essere esaminati congiuntamente – sono, nel loro complesso, infondati.
Occorre preliminarmente rammentare che le Sezioni Unite di questa Corte hanno da tempo chiarito che, «n tema di misure cautelari personali, allorché sia denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di motivazione del provvedimento emesso dal tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla Corte suprema spetta il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità e ai limiti che ad esso ineriscono, se giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie» (Sez. U., n. 11 del 22/03/2000, Audino, Rv. 21582801).
Tale orientamento, dal quale il Collegio non ha ragione di discostarsi e al quale intende, perciò, dare continuità, è stato ribadito anche in pronunce più recenti di questa Corte (tra le altre: Sez. 4, n. 26992 del 29/05/2013, COGNOME, Rv. 25546001; Sez. 4, n. 22500 del 03/05/2007, COGNOME, Rv. 237012-01).
Da ciò consegue che «[Irinsussistenza dei gravi indizi di colpevolezza ex art. 273 cod. proc. pen. e delle esigenze cautelari di cui all’art. 274 stesso codice è rilevabile in cassazione soltanto se si traduce nella violazione di specifiche norme di legge od in mancanza o manifesta illogicità della motivazione, risultante dal
testo dei provvedimento impugnato. (In motivazione, la S.C. ha chiarito che il controllo di legittimità non concerne né la ricostruzione dei fatti, n l’apprezzamento del giudice di merito circa l’attendibilità delle fonti e la rilevanz e concludenza dei dati probatori, onde sono inammissibili quelle censure che, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione di circostanze già esaminate dal giudice di merito)» (tra le altre: Sez. F, n. 47748 del 11/08/2014, COGNOME, Rv. 261400-01).
Ai fini dell’adozione di una misura cautelare personale è sufficiente qualunque elemento probatorio idoneo a fondare un giudizio di qualificata probabilità sulla responsabilità dell’indagato in ordine ai reati addebitatigli, perché i necessari «gravi indizi di colpevolezza» non corrispondono agli «indizi» intesi quale elemento di prova idoneo a fondare un motivato giudizio finale di colpevolezza e non devono, pertanto, essere valutati secondo gli stessi criteri richiesti, per il giudizio di mer dall’art. 192, comma 2, cod. proc. pen. – che, oltre alla gravità, richiede l precisione e la concordanza degli indizi – giacché il comma 1-bis dell’art. 273 cod. proc. pen. richiama espressamente i soli commi 3 e 4, ma non il comma 2 del suddetto art. 192 cod. proc. pen. (Sez. 4, n. 16158 del 08/04/2021, Kumbulla, Rv. 281019-01).
In tema di applicazione di misure cautelari personali, la gravità degli indizi di colpevolezza postula una considerazione non frazionata ma coordinata degli stessi, che consenta di verificare se la valutazione sinottica di essi sia o meno idonea a sciogliere le eventuali incertezze o ambiguità discendenti dall’esame parcellizzato dei singoli elementi di prova, e ad apprezzare quindi la loro effettiva portata dimostrativa e la loro congruenza rispetto al tema di indagine prospettato nel capo di imputazione provvisoria (Sez. 1, n. 39125 del 22/09/2015, NOME, Rv. 264780-01).
Il primo comma dell’art. 416-bis cod. pen. prevede la punibilità per il semplice «fa parte di un’associazione di tipo mafioso». A livello di struttura, delitto si deve classificare come un reato a forma libera e di pura condotta, in quanto si perfeziona con il compimento di una determinata azione, ossia, con l’entrare a far parte di un’associazione del tipo indicato.
La Corte di cassazione (Sez. U, n. 33745 del 12/072005, COGNOME, Rv. 231670-01. Successivamente, tra le tante: Sez. 2, n. 56088 del 12/10/2017, COGNOME, Rv. 271698-01) ha chiarito che le forme della partecipazione possono essere le più diverse, possono essere non appariscenti e possono assumere connotati che coincidono, all’apparenza, con le normali esplicazioni della vita quotidiana e lavorativa (come avviene, per esempio, per l’imprenditore colluso) e che ciò che rileva è la messa a disposizione – in via tendenzialmente durevole e continua – delle proprie energie per il conseguimento dei fini criminosi comuni,
nella consapevolezza del contributo fornito dagli altri associati e della metodologia sopraffattoria propria del sodalizio. “Messa a disposizione” che deriva dall’essere stato ammesso nell’associazione mafiosa da parte di un singolo, il quale, mettendosi a disposizione per il perseguimento dei comuni fini criminosi, accresce, per ciò solo, la potenziale capacità operativa e la temibilità dell’associazione. Si richiede, comunque, la prova dell’inserimento nell’associazione e cioè la dimostrazione che il singolo aderente sia stato “assunto” nel gruppo criminale e venga considerato membro o dalla totalità dei componenti o comunque da alcuno degli esponenti di vertice. La prova principale della partecipazione è quindi legata all’acquisizione della formalità di componente del gruppo indipendentemente dal compimento di atti illeciti o di altri atti idonei a rafforzarne la struttura opera ove, però, tale prova manchi e cioè non sia stata acquisita la dimostrazione dell’inserimento formale, effettivo, del singolo nella cosca mafiosa, camorristica o di ‘ndrangheta, per ciò solo non può essere esclusa la prova della partecipazione potendosi la stessa aliunde ricavare proprio dal compimento di una o più attività significative nell’interesse dell’associazione di tipo mafioso. Posto, infatti, che membro sia chi sia stato inserito nel gruppo criminale e aderendovi abbia così rafforzato la struttura criminale operativa del gruppo, sia chi abbia volontariamente e consapevolmente contribuito alla realizzazione degli scopi illeciti dell’ente criminale volendone far parte, non si può escludere che, mancando la dimostrazione dell’inserimento formale, sia possibile acquisire la prova del coinvolgimento attraverso la dimostrata partecipazione a delitti-fine ovvero ad altre attività della cosca che assumano una significatività tale da dimostrare proprio lo stabile inserimento nel contesto criminale di quel determinato gruppo mafioso/camorristicof ndranghetistico. In assenza, invece, di dimostrazione dell’inserimento stabile o comunque formale ovvero della partecipazione ad uno o più delitti-fine o, comunque, ad attività inequivocabilmente significative per la vita associativa criminale, la prova della partecipazione non si potrà dire raggiunta. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Le Sezioni unite di questa Corte di cassazione hanno più di recente ribadito che la condotta di partecipazione ad associazione di tipo mafioso si caratterizza per lo stabile inserimento dell’agente nella struttura organizzativa dell’associazione, idoneo, per le specifiche caratteristiche del caso concreto, ad attestare la sua “messa a disposizione” in favore del sodalizio per il perseguimento dei comuni fini criminosi (Sez. U, n. 36958 del 27/05/2021, Modaffari, Rv. 28188901).
La Corte di cassazione ha altresì chiarito che la partecipazione ad associazione mafiosa e il concorso esterno costituiscono fenomeni completamente alternativi fra loro, in quanto la condotta associativa implica la conclusione di un pactum sceleris fra il singolo e l’organizzazione criminale, in forza del quale il primo rimane
stabilmente a disposizione della seconda per il perseguimento dello scopo sociale, con la volontà di appartenere al gruppo, e l’organizzazione lo riconosce e include nella propria struttura, anche per facta concludentia e senza necessità di manifestazioni formali o rituali, mentre il concorrente esterno è estraneo al vincolo associativo, pur fornendo un contributo causalmente orientato alla conservazione o al rafforzamento delle capacità operative dell’associazione, ovvero di un suo particolare settore di attività o articolazione territoriale, e diretto alla realizzazi anche parziale, del programma criminoso della medesima (Sez. 6, n. 16958 del 08/01/2014, COGNOME, Rv. 261475-01, nella quale è stato precisato che, in sede cautelare, un unico percorso motivazionale non può essere riferito in modo fungibile all’una o all’altra delle due fattispecie, le quali si pongono in rapporto alternatività fra loro).
Si deve ancora rammentare che è configurabile il delitto di favoreggiamento reale con riguardo a un reato presupposto di carattere permanente, quale è la partecipazione a una associazione a delinquere di stampo mafioso, produttiva di beni e proventi illeciti, allorché l’agente – che non partecipi all’associazione concorra esternamente con essa – con la sua condotta aiuti il partecipe ad assicurare il prodotto o il profitto di tale reato (Sez. 2, n. 19146 del 20/02/2019, Cicciari, Rv. 275583-03).
Richiamati tali principi, affermati dalla giurisprudenza della Corte di cassazione, si deve rilevare come – anche a prescindere dalla contestata (con il primo motivo) riconducibilità del denaro che veniva affidato dal COGNOME al COGNOME all’associazione di tipo mafioso (in quanto “cassa comune” di essa) o personalmente allo stesso COGNOME – il Tribunale di Lecce abbia valorizzato diversi altri elementi logicamente indizianti della stabile “messa a disposizione” dell’indagato in favore dell’associazione criminosa per la realizzazione degli scopi illeciti di essa.
Anzitutto, il fatto che l’indagato fosse risultato venire informato dal AVV_NOTAIO delle azioni intimidatorie che venivano programmate dal sodalizio criminoso.
In secondo luogo, il contributo che era stato dato dal COGNOME alla realizzazione degli scopi illeciti dell’ente criminale, in particolare, agevolando compimento di atti di intimidazione o di ritorsione. Anche con riguardo alle censure che sono state avanzate dal ricorrente al riguardo, il Collegio ritiene di osservare che: a) quanto alle estorsioni ai danni degli imprenditori COGNOME (NOME e NOME), dalla lettura delle pagg. 10-11 dell’ordinanza impugnata risulta come il COGNOME parlasse liberamente con l’indagato del grosso appalto che i COGNOME avevano ottenuto e dell’individuazione degli stessi COGNOME come prossimo obiettivo di un’estorsione e avesse chiesto al COGNOME di fargli sapere dove abitassero i due imprenditori, cosa che il COGNOME gli fece poi effettivamente sapere.
Giustamente il Tribunale di Lecce ha escluso che potesse assumere rilievo il fatto che l’abitazione dei COGNOME non fosse poi stata effettivamente danneggiata. Insomma, il COGNOME era stato messo al corrente del progetto di estorsione e aveva fornito la propria collaborazione per porlo in essere; b) quanto all’attentato all’esercizio commerciale dei fratelli COGNOME, dalla lettura delle pagg. 8-9 dell’ordinanza impugnata risulta come il COGNOME avesse determinato il COGNOME a consumare l’attentato incendiario ai danni dell’esercizio commerciale dei COGNOMERAGIONE_SOCIALE; c) quanto agli attentati ai danni di NOME COGNOME, dalla lettura delle pagg. 9-10 dell’ordinanza impugnata risulta come il COGNOME non solo fosse a conoscenza delle azioni compiute dal sodalizio ai danni del COGNOME ma si fosse reso disponibile a fare sapere al COGNOME (e, quindi, al sodalizio) quale fosse l’automobile dello stesso COGNOME, nell’evidente prospettiva di farla oggetto di un attentato.
In terzo luogo, il fatto che il COGNOME procurasse armi al COGNOME. Con riguardo alle censure che sono state avanzate dal ricorrente al riguardo, il Collegio ritiene di osservare come, dalla lettura dell’intercettata conversazione che è riportata a pag. 13 dell’ordinanza impugnata, risulti un esplicito riferimento a pistole che il COGNOME si sarebbe dovuto fare portare perché servivano al COGNOME.
In quarto luogo, il fatto che il COGNOME si fosse reso disponibile a “bonificare” la casa del COGNOME da eventuali videocamere installate dalla polizia giudiziaria. Con riguardo alle censure che sono state avanzate dal ricorrente al riguardo, il Collegio ritiene di osservare come, dalla lettura delle pagg. 11-12 dell’ordinanza impugnata risulti come il COGNOME non avesse chiesto al COGNOME di noleggiargli un carrello ma di simulare tale noleggio per evitare rischi («fai una lettera di affitto una cosa che mi affitti così tu non rischi niente»). Né si ritenere assumere rilievo il fatto che, per ragioni che non sono note, l’intervento possa poi non essere stato effettivamente svolto.
In quinto luogo, la collaborazione che era stata fornita dal COGNOME al sostentamento dei detenuti. Con riguardo alle censure che sono state avanzate dal ricorrente al riguardo, il Collegio ritiene di osservare come, dalla lettura dell pag. 13 dell’ordinanza impugnata, risulti come il COGNOME facesse pervenire indumenti tramite il COGNOME a NOME COGNOME, il quale, poi, li faceva consegnare ai detenuti in carcere.
Il Collegio reputa che, in tale modo, il Tribunale di Lecce abbia congruamente motivato in ordine alla valutazione degli elementi indizianti della partecipazione del COGNOME all’associazione di tipo mafioso, avendo adeguatamente evidenziato come una considerazione non frazionata ma coordinata dei suddetti elementi, i quali evidenziavano numerosi e diversi coinvolgimenti del COGNOME
nelle attività della cosca di tipo mafioso, facesse assumere agli stessi una significatività tale da dimostrare lo stabile inserimento dell’indagato nel gruppo criminoso. Né – ciò considerato – si può ritenere ammissibile, in questa sede, la prospettazione di una diversa valutazione dei medesimi elementi.
Pertanto, il ricorso deve essere rigettato, con la conseguente condanna dei ricorrente, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 21/03/2024.