Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 14976 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 14976 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 15/03/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto nell’interesse di COGNOME NOME, nato a Reggio Calabria il DATA_NASCITA, contro l’ordinanza del Tribunale di Reggio Calabria del 27.10.2023;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore Generale NOME COGNOME, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
Con ordinanza del 27.10.2023 il Tribunale di Reggio Calabria ha respinto l’istanza di riesame che era stata proposta nell’interesse di NOME COGNOME contro il provvedimento del GIP in sede che, in data 3.10.2023, aveva adottato, nei confronti del ricorrente, la misura della custodia cautelare in carcere ravvisando, a suo carico, gravi indizi di colpevolezza del delitto di cui all’art. 416bis cod. pen. e, in particolare, di partecipazione al sodalizio di stampo mafioso denominato RAGIONE_SOCIALE e, specificamente, al gruppo operante nella città di Reggio Calabria ed identificato nella RAGIONE_SOCIALE “RAGIONE_SOCIALE“;
ricorre per cassazione NOME COGNOME a mezzo del difensore che deduce:
2.1 violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento agli artt. 273 e 292 cod. proc. pen., 416-bis cod. pen.: richiamata la giurisprudenza di questa Corte, segnala il carattere apparente della motivazione del gravato provvedimento quanto al profilo dell’apporto dell’indagato al sodalizio quale elemento costitutivo e pregnante del delitto in esame; segnala, infatti, come l’ordinanza abbia fatto riferimento alla “vicinanza” del COGNOME alla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE testimoniata, a suo avviso, dai precedenti penali ascrivibili, tuttavia, al fratello NOME e, poi, ad alcuni procedimenti in cui il COGNOME era rimasto coinvolto risultandone tuttavia, ed all’esito, assolto; denunzia, quindi, la carenza e, per altri aspetti, la illogici della motivazione del provvedimento impugnato per aver desunto la gravità indiziaria del delitto di partecipazione al sodalizio da condotte che non denotano alcun apporto alla vita dell’associazione; osserva, in primo luogo, che il collaboratore COGNOME, come precisato dal GIP, era affiliato alla RAGIONE_SOCIALE di tal ché le sue dichiarazioni non potevano che essere de relato non avendo tuttavia egli mai indicato la fonte RAGIONE_SOCIALE proprie propalazioni; aggiunge che la appartenenza al clan del fratello NOME non poteva integrare un riscontro alle dichiarazioni del collaboratore unico, tra gli altri, ad averlo indicato come partecipe senza tuttavia essere stato in grado di specificarne alcuna condotta sintomatica e, anzi, indicandolo con il nome di NOME; segnala la inadeguatezza, sotto questo profilo, RAGIONE_SOCIALE conversazioni richiamate nell’ordinanza genetica, a partire da quella intercorsa nel giugno 2013 tra il COGNOME ed il COGNOME ma, anche, quella del maggio del 2014 tra costui e tale COGNOME avente ad oggetto una rapina di cui la difesa aveva segnalato non esservi alcun riscontro ma che il Tribunale ha ciò non di meno, ed illogicamente, giudicato significativa della partecipazione al sodalizio; rileva, ancora, che le conversazioni del 18 e del 20 febbraio del 2018, pure valorizzate dal Tribunale, attengono alla attivazione dei componenti del sodalizio per garantire un contributo mensile al fratello del ricorrente, sia pure veicolato attraverso la persona di quest’ultimo; sottolinea la equivocità dell’espressione in Corte di RAGIONE_SOCIALEzione – copia non ufficiale
quella occasione utilizzata dal COGNOME nel colloquiare con il ricorrente, in alcun modo valorizzabile per fondare la prova della appartenenza al sodalizio; evidenzia il riferimento inadeguato a somme che avrebbero dovuto essere a tal fine riscosse da un soggetto ben identificato e che, perciò, avrebbero potuto, laddove di origine illecita, fondare una imputazione, mai elevata a carico di alcuno; richiama, ancora, le dichiarazioni del COGNOME, pure valorizzate dal Tribunale, e che attengono ad una vicenda sui cui sviluppi nulla era stato acquisito e che, pertanto, non aveva consentito di enucleare un apporto reale del ricorrente al sodalizio;
la Procura Generale ha trasmesso la requisitoria scritta ai sensi dell’art. 23, comma 8, del DL 137 del 2020, concludendo per l’inammissibilità del ricorso: rileva che la difesa si limita a formulare una critica serrata alle risultanze investigative valorizzate sia nella ordinanza generiche che in quella del Tribunale con cui, tuttavia, omette di confrontarsi e che, dal canto suo, risulta assolutamente logica e lineare oltre che puntualmente ancorata alle risultanze investigative di cui ha dato conto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile in quanto articolato su censure manifestamente infondate ovvero comunque non consentite in questa sede.
Non è inutile ribadire quali siano i limiti alla sindacabilità, in questa sede, dei provvedimenti adottati dal Tribunale del Riesame sulla libertà personale; è infatti consolidato il principio, condiviso dal Collegio, secondo cui, in tema di misure cautelari personali, allorché sia denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di motivazione del provvedimento emesso dal Tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza e RAGIONE_SOCIALE esigenze cautelari, alla Corte spetta il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente c:onto RAGIONE_SOCIALE ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario e della permanenza RAGIONE_SOCIALE esigenze cautelari a carico dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento RAGIONE_SOCIALE risultanze probatorie.
Il ricorso è perciò ammissibile soltanto se con esso venga denunciata la violazione di specifiche norme di legge, ovvero si deduca la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento, secondo i canoni della lociica ed i principi di diritto, e non si ci limiti a propone e sviluppare censure che attengono alla
ricostruzione dei fatti, ovvero che si risolvono in una diversa valutazione RAGIONE_SOCIALE circostanze esaminate dal giudice di merito (cfr., Sez. 2, n. 31553 del 17/05/2017, COGNOME, Rv. 270628; Sez. 6, n. 11194 del 08/03/2012, COGNOME, Rv. 252178; Sez. 4, n. 18795 del 02/03/2017, COGNOME, Rv. 269884).
La censura con cui si denunci il vizio di motivazione in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, in altri termini, consente al giudice di legittimità di vagliare la adeguatezza RAGIONE_SOCIALE ragioni addotte rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento RAGIONE_SOCIALE risultanze probatorie non potendo prendere in esame quei rilievi che, pur investendo formalmente la motivazione del provvedimento impugnato, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione di circostanze già esaminate dal giudice di merito (cfr., Sez. 2, n. 27866 del 17/06/2019, COGNOME, Rv. 276976; Sez. 3, Sentenza n. 40873 del 21/10/2010, COGNOME, Rv. 248698; Sez. 4, n. 26992 del 29/05/2013, COGNOME, Rv. 255460; Sez. F, n. 47748 del 11/08/2014, COGNOME, Rv. 261400).
Va anche ricordato che, nella fase cautelare, si richiede non la prova piena del reato contestato (secondo i criteri di cui all’art. 192 cod. proc. pen.) ma solo la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza; questo Collegio, in particolare, condivide la tesi secondo cui “in tema di misure caute/ari personali, la nozione di gravi indizi di colpevolezza di cui all’art. 273 cod. proc. pen. non si atteggia allo stesso modo con cui il termine indizi inteso viene utilizzato quale elemento di prova idoneo a fondare un motivato giudizio finale di colpevolezza. Pertanto, ai fini dell’adozione di una misura cautelare, è sufficiente qualunque elemento probatorio idoneo a fondare un giudizio di qualificata probabilità sulla responsabilità dell’indagato in ordine ai reati addebitatigli e gli indizi non devono essere valutati secondo gli stessi criteri richiesti per il giudizio di merito dall’art. 192 cod. pro pen., comma 2, come si desume dall’art. 273 cod. proc. pen., comma ibis, che richiama i commi terzo e quarto dell’art. 192 cod. proc. pen., ma non il comma 2 dello stesso articolo che richiede una particolare qualificazione degli indizi (non solo gravi ma anche precisi e concordanti)” (cfr., Sez. 5, n. 36079 del 5.6.2012, COGNOME; Sez. 4, n. 6660 del 24.1.2017, COGNOME; Sez. 4, n. 53369 del 9.11.2016, COGNOME; conf., ancora, Sez. 4, n. 17247 del 14.3.2019, COGNOME, in cui la Corte ha ribadito i necessari “gravi indizi di colpevolezza” non corrispondono agli “indizi” intesi quale elementi di prova idonei a fondare un motivato giudizio finale di colpevolezza e non devono, pertanto, essere valutati secondo gli stessi criteri richiesti, per il giudizio di merito, dall’art. 192, comma 2, cod. proc. pen. – che, oltre alla gravità, richiede la precisione e la concordanza degli indizi – non richiamato dall’art. 273 comma 1-bis, cod. proc. pen.; conf., sul punto, e tra le
altre, Sez. 1, n. 43258 del 22.5.2018, Tantone; Sez. 2, n. 22968 dell’8.3.2017. Carrubba).
Esula, inoltre, dai poteri della Corte di RAGIONE_SOCIALEzione quello di una ‘rilettura’ degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione RAGIONE_SOCIALE risultanze processuali (cfr., Sez. U, n. 6402 del 30.4.1997, COGNOME; Sez. 4, n. 4842 del 2.12.2003, COGNOME; Sez. 6, n. 49153 del 12.11.2015, secondo cui la motivazione del provvedimento che dispone una misura coercitiva è censurabile in sede di legittimità solo quando sia priva dei requisiti minimi di coerenza, completezza e logicità al punto da risultare meramente apparente o assolutamente inidonea a rendere comprensibile il filo logico seguito dal giudice di merito o talmente priva di coordinazione e carente dei necessari passaggi logici da far risultare incomprensibili le ragioni che hanno giustificato l’applicazione della misura).
Tanto premesso in via generale, rileva il collegio che la contestazione provvisoriamente elevata a carico del COGNOME è di essere partecipe dell’associazione a delinquere di stampo mafioso denominata ‘RAGIONE_SOCIALE, con particolare riferimento alla sua articolazione territoriale individuata nella RAGIONE_SOCIALE COGNOME operante nei territori di Cannavò, Vinco, Sant’anno, Spirito Santo, San Cristoforo, Gallina, San Giorgio Extra, del centro storico di Reggio Calabria.
Il ricorso si sofferma nel contestare la idoneità degli elementi acquisiti dagli investigatori a carico del ricorrente a disegnarne una condotta integrante il delitto di partecipazione ad un sodalizio riconducibile nella tipologia delineata dall’art. 416-bis cod. pen. difettando, a suo avviso, la individuazione di comportamenti dimostrativi dell’apporto del COGNOME gruppo.
Rileva perciò il collegio come sia opportuno ripercorrere, sia pure brevemente, i principi di recente riaffermati dalle SS.UU. nella nota (e da talune difese evocata) sentenza “Modaffari”.
In quella occasione, infatti, sono state passate in rassegna le diverse impostazioni ermeneutiche proposte dalla dottrina e, soprattutto, rilevabili nella giurisprudenza: a partire dalla teoria c.d. “organizzatoria” che, tuttavia, a loro avviso “… mostra tutti i suoi limiti nel momento in cui collega la fattispeci criminosa all’acquisizione della qualifica formale di associato, ritenendo sufficiente ai fini dell’integrazione del reato l’ingresso nel sodalizio e finendo per ritenere irrilevante l’attivazione o meno del partecipe a favore della RAGIONE_SOCIALE” (cfr., pag. 34 della sentenza).
Si è segnalato, tuttavia, che nemmeno la teoria c.d. “causale” può essere nella sua assolutezza condivisa: in particolare, le SS.UU. Modaffari hanno spiegato che “… la maggiore criticità involge necessariamente la ric:onosciuta teorica possibilità di sovrapposizione di due categorie dogmatiche (concorso esterno e partecipazione) del tutto autonome e con profonde caratterizzazioni differenziali” mentre “… la aprioristica svalutazione della condotta di messa a disposizione RAGIONE_SOCIALE energie del singolo a favore del gruppo non tiene conto della possibile autonoma rilevanza probatoria del fatto in sé considerato alla stregua degli indicatori evidenziati dalla sentenza COGNOME” ma, anche, “… con riferimento al rilievo operato dalla sentenza Pesce in relazione al riconosciuto effetto di attivazione in favore dell’associazione conseguente all’acquisizione della «qualità di uomo d’onore», al pari della dimostrata progressione nelle doti, introducendo una conoscenza appartenente al piano storico ed esperienziale, finisce per elevare a massima d’esperienza generalizzata una specifica realtà processuale” (cfr., ivi, pagg. 34-35).
Detto questo, e come acutamente osservato dalle SS.UU., occorre soffermare l’attenzione sulle peculiarità della condotta di partecipazione ad associazione di stampo mafioso evitando il rischio di confonderne i tratti distintivi rispetto a quella di concorso esterno e, in particolare, considerare che, come è noto, solo per quest’ultima il presupposto essenziale (come ribadito nelle sentenze COGNOME e COGNOME) ed imprescindibile è rappresentato dalla possibilità di ravvisare un reale ed effettivo apporto causale alla organizzazione che, peraltro, non necessariamente, come si era affermato dalle SS.UU. COGNOME, deve intervenire in momenti di fibrillazione del sodalizio ma che, invece, come avrebbero chiarito le SS.UU., COGNOME, ben può essere essenziale per la vita “ordinaria” della associazione.
Proprio le SS.UU. AVV_NOTAIO hanno spiegato che risponde ck concorso esterno “… il soggetto che, non inserito stabilmente nella struttura organizzativa dell’associazione e privo dell’affectio societatis, fornisce un concreto, specifico, consapevole e volontario contributo, sempre che questo esplichi un’effettiva rilevanza causale e quindi si configuri come condizione necessaria per la conservazione o il rafforzamento RAGIONE_SOCIALE capacità operative dell’associazione (o, per quelle operanti su larga scala come “RAGIONE_SOCIALE“, di un suo particolare settore e ramo di attività o articolazione territoriale) e sia diretto alla realizzazione, anche parziale, del programma criminoso della medesima” (cfr., per l’appunto, Sez. U. n. 33748 del 12/7/2005, COGNOME, Rv. 231671).
Tenendo ferme queste coordinate, allora, se la mera “affiliazione” non è di per sé sufficiente ad integrare il paradigma della “partecipazione” alla
associazione, quel che occorre verificare è che l’agente abbia effettivamente tenuto comportamenti espressivi ed emblematici di militanza attiva; in tal senso, non è indispensabile che il partecipe si prodighi attivamente ed in termini causalmente efficienti sull’attività e lo sviluppo dell’associazione nei campi di operatività illecita, atteso che il proprium del reato risiede proprio – e, allo stesso tempo, essenzialmente – nella “compenetrazione” con il sodalizio che è l’oggetto RAGIONE_SOCIALE condotte esteriori che lo manifestino.
In tal senso, le SS.UU. Modaffari hanno richiamato le conclusioni della sentenza COGNOME secondo cui “… va considerato partecipe dell’organizzazione criminale l’affiliato che prende parte attiva al fenomeno associativo” tenendo conto che “… la partecipazione non si esaurisce né in una mera manifestazione di volontà unilaterale né in una affermazione di status” ma che “… implica un’attivazione fattiva a favore della RAGIONE_SOCIALE che attribuisca dinamicità, concretezza e riconoscibilità alla condotta che si sostanzia nel prendere parte; in quest’ottica, si è chiarito che “… l’opera di concretizzazione giurisprudenziale del significato della locuzione normativa fa parte di cui all’art. 416-bis, primo connrna, cod. pen. non può pertanto lasciare spazio ad ipotesi di identificazione della condotta punibile che risultino del tutto svincolate dalla verifica di un contributo, anche in forme atipiche, ma effettivo, concreto e visibile reso dal partecipe alla vita dell’organizzazione criminosa: tale contributo, che può assumere carattere sia materiale che morale, ben potrà essere ricostruito anche in via indiziaria e ben potrà concretizzarsi solo in un momento successivo (allorquando l’affiliato darà concreto corso alla messa a disposizione) rispetto al formale ingresso nell’associazione” assumendo “… assoluta decisività ai fini della valutazione di appartenenza ad un gruppo criminale avente le caratteristiche sin qui illustrate, la possibilità di attribuire al soggetto la realizzazione di un qualsivoglia apporto concreto, sia pur minimo, ma in ogni caso riconoscibile, alla vita dell’associazione, tale da far ritenere avvenuto il dato dell’inserimento attivo con carattere di stabilità e consapevolezza oggettiva”. Corte di RAGIONE_SOCIALEzione – copia non ufficiale
In definitiva, rileva il collegio che, alla luce RAGIONE_SOCIALE coordinate offerte dall elaborazione RAGIONE_SOCIALE SS.UU., il contributo del singolo “partecipe” deve essere riferito ad aspetti che attengano alla vita dell’associazione, ben potendo a tal fine rilevare anche condotte che si esauriscano all’interno del sodalizio ovvero nelle sue dinamiche organizzative non richiedendosi, necessariamente, un apporto causale che riguardi la sua concreta operatività e la sua proiezione esterna, ovvero, più in particolare, il compimento di reati-fine essendo sufficienti, ad integrare il delitto in esame, comportamenti emblematici del fatto che l’agente faccia “parte” del sodalizio operando al suo interno (o, anche, manifestandosi all’esterno come
affiliato) e nella piena consapevolezza della natura della associazione e del legame fideistico e di reciproco riconoscimento che rappresenta, in effetti, il proprium della fattispecie.
Non a caso, sono state ancora una volta le SS.UU. Modaffari a chiarire che la condotta penalmente rilevante (di “messa a disposizione”) si debba esplicitare in atti “… di conservazione e di potenziale rafforzamento dell’associazione” che non necessariamente, tuttavia, devono tradursi in un “evento” oggettivamente rilevabile alla luce della sua connotazione di immaterialità, sicché “… ai fini dell sua valutazione non potrà utilizzarsi il parametro della causalità e si dovrà invece ricorrere a quello della rilevanza in concreto”.
Ed in tal senso, le SS.UU. hanno osservato che “… potranno venire in rilievo, oltre all’accertamento della comprovata mafiosità del gruppo associante, la qualità dell’adesione ed il tipo di percorso che l’ha preceduta, la dimostrata affidabilità criminale dell’affiliando, la serietà del contesto ambientale in cui la decisione è maturata, il rispetto RAGIONE_SOCIALE forme rituali anche con riferimento all’accertamento dei poteri di chi sceglie, di chi presenta e di chi officia il rito dei nuovi adepti, la tipologia del reciproco impegno preso, la misura della disponibilità pretesa e/o offerta ed ogni altro elemento di fatto che, sulla base di tutte le fonti di prova utilizzabili e di comprovate massime di esperienza, costituisca circostanza concreta, capace di rendere inequivoco e certo il contributo attuale dell’associato a favore della RAGIONE_SOCIALE” (cfr., pag. :36 della sentenza).
Di assoluto rilievo, inoltre, è il passaggio in cui le SS.UU., in coerenza con le premesse ricostruttive di cui hanno dato ampiamente conto, hanno chiarito che, ai fini della prova della “partecipazione”, rilevano “… i comportamenti di fatto precedenti e/o successivi al rituale di affiliazione – non necessariamente attuativi RAGIONE_SOCIALE finalità criminali dell’associazione, ma tuttavia capaci di dimostrare in concreto l’adesione … e di rivelare una reciproca vocazione di irrevocabilità (intesa nel senso di una stabile e duratura relazione, potenzialmente permanente) testimoniandosi in fatto e non solo nelle intenzioni il rapporto organico tra singolo e struttura” aggiungendo che “… la messa a disposizione non solo costituisce l’effetto dell’ammissione al gruppo, ma indica un comportamento oggettivo e non solo intenzionale, attuale e non meramente ipotetico, che finisce così per concretizzare e rendere riconoscibile, sotto il profilo dinamico della partecipazione, non potendo questo effetto condizionarsi in negativo e legarsi esclusivamente alla successiva – e, a volte, solo eventuale chiamata per l’esecuzione di un incarico specifico, essendo l’adepto già inglobato nel gruppo e pronto per le necessità attuali o future della RAGIONE_SOCIALE” (cfr., pag. 41 della sentenza).
In altri termini, le SS.UU. hanno insistito sulla necessità di appuntare la attenzione sulla esistenza di fatti e condotte che siano emblematici e rappresentativi della partecipazione al sodalizio, quand’anche non necessariamente manifestatasi nel compimento di reati-fine o di fatti funzionali alla sua attività esterna, ma che siano espressione certa dela militanza nella associazione di cui il soggetto è parte manifestando tale partecipazione nel collaborare al suo funzionamento, alla sua organizzazione, alla conservazione della sua integrità anche sul piano del persistente controllo del territorio nel quale opera ed agisce.
Tanto premesso, ritiene il collegio che il Tribunale abbia operato una valutazione attenta ed accurata del materiale acquisito nel corso RAGIONE_SOCIALE indagini sorreggendo la propria decisione con una motivazione che non si presta a rilievi suscettibili di essere spesi in questa sede.
Dopo aver riaffermato la pacifica e consolidata acquisizione della esistenza della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, già oggetto di accertamenti giudiziari nei procedimenti “RAGIONE_SOCIALE“, “RAGIONE_SOCIALE“, “Testamento”, “RAGIONE_SOCIALE“, “RAGIONE_SOCIALE“, “RAGIONE_SOCIALE“, “RAGIONE_SOCIALE“, “RAGIONE_SOCIALE“, “RAGIONE_SOCIALE Nero”, “Epicentro” ed aver indicato gli esponenti di spicco del gruppo, il Tribunale ha spiegato che le indagini avevano consentito di individuare, tra costoro, anche i fratelli NOME (all’epoca detenuto) e NOME COGNOME, operanti nel quartiere “Gallina”.
Ha richiamato, a tal fine, le dichiarazioni rese da NOME COGNOME, storico esponente della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, detenuto dal 2013 ma al corrente di tutti i nuovi equilibri tanto da essere stato giudicato attendibile nel procedimento “Heliantus”, del 2020 (cfr., in tal senso, pag. 11 anche nella nota n. 2) e quelle di NOME (cfr., ivi); ma, nel contempo, ha evocato le conversazioni intercettate tra NOME COGNOME e la compagna NOME COGNOME nonché il colloquio tra NOME e NOME.
Quanto al COGNOME, ha fatto presente che il dichiarante aveva riferito che i fratelli COGNOME erano fedelissimi di NOME COGNOME; aveva fatto riferimento ai suoi rapporti con NOME COGNOME (Joli) strettamente legato a NOME e NOME COGNOME e di come NOME COGNOME fosse legato ad NOME COGNOME coadiuvato dal fratello NOME, da NOME COGNOME e dai suoi cugini imprenditori edili (cfr., pag. 12 dell’ordinanza).
Secondo quanto riportato nel provvedimento, il COGNOME era stato univocamente indicato come partecipe sia pure con l’errato nome di “NOME” ma certamente identificabile nell’odierno ricorrente in considerazione della titolarità del negozio di vendita e restauro mobili antichi di cui, effettivamente, l’odierno ricorrente è titolare e gestore.
Del tutto congruamente, peraltro, il Tribunale ha valorizzato, in termini di riscontro alle dichiarazioni del collaboratore, le risultanze del servizio di captazione e, in primo luogo, la conversazione intercorsa tra NOME COGNOME e NOME in cui quest’ultimo aveva “mandato a salutare” NOME; la conversazione intercettata il 22.5.2014 nella abitazione di NOME COGNOME tra costei ed il convivente NOME COGNOME, arrabbiato con NOME COGNOME per una rapina che sarebbe stata eseguita nel territorio di sua competenza ma senza avvertire nessuno e di cui aveva parlato proprio con NOME COGNOME cui, significativamente (ovvero proprio in qualità di “intraneo” al sodalizio e, perciò, tenuto al rispetto d determinate regole di condotta) aveva chiesto conto ponendo il suo interlocutore nella alternativa di ammettere la rapina, ed allora versare a lui i relativi proventi o, altrimenti, ammettere di non saperne niente, e allora di non essere in grado di gestire il territorio dalla cui “conduzione” cui i due fratelli sarebbero stati perc estromessi.
Il Tribunale non ha eluso il rilievo difensivo incentrato sul fatto che non sarebbe risultata alcuna rapina insistendo, tuttavia, in maniera non illogica, sul dato oggettivo rappresentato dai termini e dalle modalità della interlocuzione intercorsa tra il NOME e NOME COGNOME, ritenuto per l’uno o per l’altro verso “responsabile” nei confronti del sodalizio per averne, nella prospettiva del suo interlocutore, infranto le regole di funzionamento interno; ha spegato, infatti, che il ricorrente non si era sottratto alla richiesta di spiegazioni protestando, ad esempio, la sua estraneità al contesto criminale di riferimento e che, sotto altro profilo, il COGNOME, nel parlare dell’episodio, aveva evocato i due fratelli COGNOME in termini sostanzialmente “unitari” ovvero senza distinguere, in ordine alla “responsabilità”, NOME rispetto ad NOME.
Da ultimo, ha fatto presente che il “padre”, cui aveva fatto riferimento il COGNOME, non era da individuare nel padre dei due fratelli COGNOME (cfr., pag. 17 dell’ordinanza).
Altro elemento giudicato sintomatico della “intraneità” di NOME COGNOME al sodalizio è stato correttamente individuato, dai giudici della cautela, dal contesto in cui era maturato, ed era stato attuato, l’impegno assunto da NOME COGNOME nei confronti di NOME COGNOME per sostenere e mantenere il di lui fratello NOME, detenuto, con un contributo mensile di 500 euro; secondo la ricostruzione ripercorsa dai giudici di merito, era accaduto, infatti, che il COGNOME aveva chiesto a NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME di accompagnarlo a casa di NOME COGNOME con il quale si era anzi scusato per il ritardo con cui la RAGIONE_SOCIALE aveva adempiuto al suo dovere di solidarietà nei confronti del fratello NOME.
Correttamente, rileva il collegio, alla luce RAGIONE_SOCIALE considerazioni di carattere generale concernenti il delitto di “partecipazione” a sodalizio di stampo mafioso, il Tribunale ha perciò valutato le risultanze investigative successive, a partire da quelle che dimostrano il fattuale adempimento dell’impegno che era stato assunto da NOME COGNOME con NOME COGNOME e che, in una lettura complessiva della vicenda, ha autorizzato i giudici della fase cautelare a valorizzare il tono e le espressioni (cfr.: NOME COGNOME rivolto a NOME COGNOMECOGNOME “tra noi …”) utilizz nella conversazione intercorsa tra costoro, certamente emblematici della preg ressa e non occasionale conoscenza e consuetudine tra i due.
Ed è ancora in questo quadro complessivo che il Tribunale, in maniera non arbitraria, ha potuto collocare le conversazioni intercorse tra NOME e NOME COGNOME a proposito della sollecitazione proveniente da NOME COGNOME a riscuotere somme dovute da diversi imprenditori e puntualmente riscontrata (cfr., pagg. 19-20 dell’ordinanza, dimostrative del fatto che “… NOME NOME non era un mero collettore RAGIONE_SOCIALE somme di denaro destinate al fratello detenuto, ma un esponente della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE che esercitava il controllo sul territorio di Gallina e che per tale motivo poneva in essere in concorso con i vertici della RAGIONE_SOCIALE le consuete attività estorsive”).
Il provvedimento impugnato ha inoltre congruamente valorizzato il contenuto del colloquio intercorso in carcere tra l’odierno ricorrente ed il fratello NOME in data 30.7.2013 nel corso del quale costui chiedeva conto di alcune attività estorsive al fratello che, dal canto suo, non si sottraeva affatto alla richiest dando contezza RAGIONE_SOCIALE varie vicende di cui gli veniva richiesto dal germano (cfr., ivi, pag. 21).
Sul punto specifico, peraltro, il ricorso omette ogni considerazione così come con riguardo all’episodio narrato dal collaboratore COGNOME nel 2022 a proposito del contatto avuto con NOME COGNOME da cui si era recato insieme a NOME COGNOME per concordare una estorsione in danno dell’imprenditore edile COGNOME, residente a Gallina (territorio dei COGNOME) ma impegnato in lavori in San Giorgio (territorio di COGNOME); NOME COGNOME, aveva riferito il dichiarante, si era messo a disposizione condizionando tuttavia il suo intervento al fatto che il territorio di sua competenza non fosse interessato da attentati incendiari (cfr., ivi pag. 23, anche con riguardo alle conversazioni intercettate tra il COGNOME e lo NOME, correttamente valutate in termini di riscontro oggettivo ed individualizzante nei confronti del COGNOME).
Il Tribunale ha in definitiva potuto concludere nel senso che “… dette conversazioni dimostrano come NOME e NOME – pur non avendo certezze sull’esatto rango rivestito dal COGNOME in seno all’organizzazione della RAGIONE_SOCIALE (.RAGIONE_SOCIALE) – non dubitavano comunque della sua appartenenza associativa, non esitando
a confrontarsi con lui su vicende di matrice estorsiva e confidando sulla sua sicura disponibilità a fornire l’ausilio richiesto per realizzare l’illecita imposizione” (c ivi, ancora, pag. 24).
I giudici reggini non hanno eluso la prospettazione difensiva, ribadita anche in questa sede, diretta a disegnare la figura del COGNOME come di mero “consigliere”, osservando che “… dalla conversazione riportata si evince che egli raccomandava ai due sodali di non effettuare danneggiamenti nel territorio di competenza, al fine di evitare una maggiore presenza di TARGA_VEICOLO. ed eventuali denunce da parte della vittima” rispetto alla quale (“… noi …”) si poneva in termini simili dalla stessa “parte” dei suoi interlocutori (cfr., pag. 27).
Il Tribunale, ricavando da questi elementi fattuali la “intraneità” del ricorrente al sodalizio, ha formulato un giudizio tipicamente “di merito” che, in quanto sorretto da una motivazione non manifestamente illogica o contraddittoria, non è in questa sede censurabile.
È appena il caso di ribadire, peraltro, che le intercettazioni di conversazioni intercorrenti “inter alios” e, in particolare, tra soggetti intranei all’associazion relativi a fatti direttamente attinenti a settori vitali della RAGIONE_SOCIALE, la giurispruden di questa Corte ha costantemente ribadito che esse sono utilizzabili in modo diretto e non come mere dichiarazioni “de relato” soggette a verifica di attendibilità della fonte primaria, perché espressione di un patrimonio conoscitivo condiviso derivante dalla circolazione all’interno del sodalizio di informazioni e notizie relative a fatti di interesse comune agli associati (cfr., Sez. 2, n. 10366 del 06/03/2020, COGNOME, Rv. 278590-02; sulla natura di fonte di prova diretta degli elementi raccolti nel corso RAGIONE_SOCIALE intercettazioni, v. Sez. 6, n. 5224 del 02/10/2019, COGNOME, Rv. 278611- 02; Sez. 5, n. 40061 del 12/07/2019, COGNOME, Rv. 27831401; Sez. 5, n. 48286 del 12/07/2016, COGNOME, Rv. 268414-01; Sez. 5, n. 42981 del 28/06/2016, COGNOME, Rv. 268042-01; Sez. 6, n. 8211 del 11/02/2016, COGNOME, Rv. 266509- 43 01; Sez. 1, n. 37588 del 18/06/, COGNOME, Rv. 260842-01; Sez. 4, n. 22391 del 02/04/200:3, COGNOME, Rv. 224962-01, tutte richiamate in motivazione dalle SS.UU. Modaffari che ha ricordato che “… i contenuti etero-accusatori RAGIONE_SOCIALE dichiarazioni registrate nel corso di attività di intercettazione regolarmente autorizzate hanno piena valenza probatoria e, pur dovendo essere attentamente interpretati e valutati, non necessitano degli elementi di corroborazione previsti dall’art. 192, comma 3, cod. proc. pen.” dal momento che “… la spontaneità che ordinariamente connota il libero scambio di informazioni tra soggetti che confidano nella segretezza della conversazione esclude, infatti, qualsiasi equiparabilità con le dichiarazioni acc:usatorie rilasciate in sede di interrogatorio, nella piena consapevolezza … – in questo secondo caso –
della loro utilizzabilità processuale a carico dei soggetti chiamati in correità o in reità”).
Per altro verso è altrettanto pacifico che l’interpretazione RAGIONE_SOCIALE frasi e del linguaggio usato dai soggetti interessati a quelle conversazioni intercettate è una questione di fatto, rimessa all’apprezzamento del giudice di merito, che si sottrae al giudizio di legittimità se – come nella fattispecie è accaduto – la valutazione risulta logica in rapporto alle massime di esperienza utilizzate (cfr., tra le tante, Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, R.v. 263715; Sez. 2, n. 50701 del 04/10/2016, COGNOME, Rv. 268389; Sez. 3, n. 35593 del 17/05/2016, Folino, Rv. 267650; Sez. 6, n. 46301 del 30/10/2013, Corso, Rv. 258164; Sez. 2, n. 35181 del 22/05/2013, Vecchio, Rv. 257784; Sez. 6, n. 11794 del 11/02/2013, Melfi, Rv 254439).
L’inammissibilità del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali e, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., della somma – che si stima equa – di euro 3.000 in favore della RAGIONE_SOCIALE, non ravvisandosi ragione alcuna d’esonero.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali e della somma di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter disp. att. cod. proc. pen..
Così deciso in Roma, il 15.3.2024