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Partecipazione mafiosa: i gravi indizi di colpevolezza

Un soggetto, accusato di partecipazione mafiosa, ricorre contro l’ordinanza di custodia cautelare in carcere, sostenendo la mancanza di prove di un’affiliazione formale e di un contributo concreto al clan. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, stabilendo che i gravi indizi di colpevolezza possono emergere da elementi fattuali, come l’inserimento stabile e organico nel gruppo, l’accettazione da parte degli altri membri e l’assoggettamento alle gerarchie interne, anche in un limitato arco temporale.

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Pubblicato il 11 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Partecipazione mafiosa: i gravi indizi di colpevolezza

La recente sentenza della Corte di Cassazione, Sezione V Penale, affronta un tema cruciale nel diritto penale: quali elementi costituiscono gravi indizi di colpevolezza per il reato di partecipazione mafiosa, sufficienti a giustificare la custodia cautelare in carcere? L’analisi della Corte chiarisce come l’inserimento organico e funzionale in un clan prevalga sulla necessità di provare un’affiliazione rituale, anche quando il coinvolgimento si estende per un breve periodo.

I Fatti del Caso

Il caso ha origine da un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal G.I.P. del Tribunale di Catania nei confronti di un individuo, gravemente indiziato di far parte di un’associazione di tipo mafioso, specificamente una nota famiglia criminale catanese. La misura veniva confermata dal Tribunale del Riesame. Contro questa decisione, la difesa dell’indagato proponeva ricorso per cassazione, articolando due principali motivi di doglianza.

I Motivi del Ricorso

La difesa contestava la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza. In primo luogo, si sosteneva la mancanza di prova di un’affiliazione rituale e di un contributo concreto e materiale all’associazione. Secondo il ricorrente, gli elementi raccolti indicavano solo una ‘raccomandazione’ del padre per far ottenere al figlio un ruolo di rilievo, non un’effettiva appartenenza. Inoltre, si evidenziava come la condotta contestata si riferisse a un arco temporale molto ristretto, inferiore a un mese.

In secondo luogo, veniva criticata la motivazione riguardo all’attualità del pericolo di recidiva. La difesa la riteneva apparente, sottolineando come l’indagato avesse ripreso una regolare attività lavorativa, manifestando un cambiamento di vita.

L’analisi della Corte sulla partecipazione mafiosa

La Corte di Cassazione ha ritenuto il ricorso infondato, offrendo una disamina dettagliata del concetto di partecipazione mafiosa ai fini cautelari. I giudici hanno confermato la validità della ricostruzione del Tribunale del Riesame, basata su un copioso materiale probatorio, principalmente intercettazioni.

La Corte ha evidenziato come l’inserimento dell’indagato nel gruppo fosse stato effettivo e non solo formale. Questo inserimento, avvenuto con l’interessamento del padre presso un esponente di spicco del clan, era stato recepito e accettato dagli altri sodali. Pur essendo state bloccate le sue aspirazioni a un ruolo di reggente, l’individuo era diventato a tutti gli effetti parte del gruppo, tanto da essere soggetto alle sue regole gerarchiche interne, come dimostra un rimprovero ricevuto per commenti inopportuni nei confronti del capo.

La Suprema Corte ribadisce il principio, consolidato anche dalle Sezioni Unite, secondo cui la condotta di partecipazione si concretizza in un rapporto di stabile ed organica compenetrazione con il tessuto organizzativo del sodalizio. Ciò implica un ruolo dinamico e funzionale, in cui l’interessato si mette a disposizione per il perseguimento dei fini criminosi comuni.

La Pericolosità e le Esigenze Cautelari nel reato di partecipazione mafiosa

Anche il secondo motivo di ricorso è stato respinto come manifestamente infondato. La Corte ha richiamato l’articolo 275, comma 3, del codice di procedura penale, che per i delitti di mafia stabilisce una doppia presunzione: la sussistenza delle esigenze cautelari e l’adeguatezza della sola custodia in carcere. La motivazione del Tribunale non era affatto apparente, poiché aveva correttamente collegato la pericolosità sociale dell’indagato al personale avallo ricevuto da un capo carismatico della famiglia mafiosa per il suo inserimento nel gruppo. Questo ‘patrocinio’ è stato considerato un elemento di particolare gravità, indicativo di un’affidabilità criminale che giustifica il massimo rigore cautelare.

Le Motivazioni della Decisione

Le motivazioni della Corte si fondano sulla distinzione tra prova piena richiesta per una condanna e gravi indizi di colpevolezza sufficienti per una misura cautelare. Per quest’ultima, non è necessario dimostrare un rituale di affiliazione o una lunga militanza. Ciò che conta è la presenza di elementi fattuali che, valutati logicamente, indicano un inserimento stabile e organico dell’individuo nel sodalizio. Nel caso di specie, l’accettazione da parte degli altri membri, la sottomissione alle regole gerarchiche e l’avallo di un boss sono stati ritenuti indicatori sufficientemente gravi di un’effettiva appartenenza. La Corte ha specificato che il limitato arco temporale della condotta non ne diminuisce la pericolosità, specialmente in una fase iniziale di un ‘pactum sceleris’.

Conclusioni

La sentenza consolida un importante orientamento giurisprudenziale: ai fini dell’applicazione di una misura cautelare per partecipazione mafiosa, il giudice deve valutare la sostanza dei rapporti e non la forma. La prova di un inserimento effettivo e funzionale nel contesto criminale, anche se recente, è sufficiente a integrare i gravi indizi di colpevolezza. Questa pronuncia ribadisce la centralità dell’analisi fattuale e logica degli elementi raccolti, confermando come l’appoggio di figure di vertice del clan sia un fattore determinante sia per valutare la gravità indiziaria sia per affermare l’attualità della pericolosità sociale dell’indagato.

È necessaria una cerimonia di affiliazione per provare la partecipazione mafiosa ai fini di una misura cautelare?
No. Secondo la Corte, per giustificare una misura cautelare sono sufficienti gravi indizi di un inserimento stabile e organico nel tessuto associativo, che può essere dimostrato attraverso elementi fattuali come l’accettazione da parte degli altri membri e l’assoggettamento alle gerarchie interne, senza che sia necessario provare un rito formale di affiliazione.

Un breve periodo di coinvolgimento in un clan mafioso è sufficiente per giustificare la custodia in carcere?
Sì. La Corte ha stabilito che anche un coinvolgimento limitato nel tempo non esclude la gravità degli indizi né la pericolosità della condotta, soprattutto se si riferisce alla fase iniziale di un ‘pactum sceleris’ (patto criminale). Ciò che rileva è l’effettività dell’inserimento nel gruppo.

Cosa intende la Corte per ‘stabile ed organica compenetrazione’ con un’associazione mafiosa?
Si intende un rapporto in cui l’individuo non è un semplice esterno, ma è integrato nella struttura del clan, assumendo un ruolo dinamico e funzionale. Questo significa mettersi a disposizione dell’associazione per il perseguimento dei suoi fini criminosi, accettandone le regole e le gerarchie, indipendentemente dal compimento di specifici reati-fine.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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