Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 46279 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 46279 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 30/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a PAGANI il 22/02/1992
avverso l’ordinanza del 01/07/2024 del TRIB. LIBERTA’ di SALERNO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette/sentite le conclusioni del PG COGNOME
Il Procuratore Generale si riporta alle memoria in atti e conclude per l’inammissibilità del ricorso.
udito il difensore
L’avvocato NOME COGNOME si riporta ai motivi di ricorso e insiste per l’accoglimento di questi.
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale di Salerno con ordinanza del 2 luglio 2024 ha respinto la richiest di riesame avverso quella con cui il Giudice per le indagini preliminari del medesimo Tribunale aveva applicato a COGNOME NOME la custodia cautelare inframuraria, in relazione al capo 13) ed al capo 14) della imputazione provvisoria.
In particolare, il capo 13) contestava al COGNOME l’art. 416-bis cod. pen., consistente n partecipazione alla associazione di tipo mafioso individuata nel clan COGNOMECOGNOME operante in Pagani e diretta da COGNOME NOME e COGNOME NOME, attribuendo il ruolo gestore delle armi e dell’attività di spaccio nonché custode dei proventi delle attività illecite.
Al capo 14) veniva contestata al ricorrente, il concorso in detenzione e porto in luog pubblico di armi, con le aggravanti delle più persone riunite e dell’agevolazione mafiosa.
Il ricorso, proposto nell’interesse del COGNOME dal suo difensore, è sorretto da due moti che saranno enunciati a seguire nei limiti strettamente necessari per la motivazione, secondo quanto disposto dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo, il ricorrente si duole della carenza di motivazione tenuto cont che la partecipazione alla associazione di cui al capo 13) è desunta esclusivamente dal delitto fine in contestazione, relativo alle armi, giacché i collaboratori di giustizia rendono dichiara generiche ed indefinite.
2.2. Con il secondo motivo, il COGNOME si lamenta della mancata riqualificazione dei fa contestati all’ipotesi del concorso esterno trattandosi di soggetto estraneo ad ogni vinco associativo, tenuto conto dell’assenza di riscontri concreti in ordine alla gestione dell’atti cessione di sostanze stupefacenti, alla effettiva detenzione di armi, alla partecipazione a riunioni del clan.
Con requisitoria scritta del 25.09.2024, il sostituto procuratore generale del Repubblica presso la Corte di cassazione, dott. NOME COGNOME chiede che il ricorso sia dichiarato inammissibile.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile perché proposto per motivi non consentiti, poiché sol formalmente denuncia vizi deducibili in questa sede, sollecitando, invece, una diversa lettura de dati probatori e, in particolare, delle dichiarazioni dei collaboratori, asseritamente travisa Tribunale.
1.1. Giova premettere al riguardo che, secondo il costante orientamento di questa Corte, allorquando si impugnano provvedimenti relativi a misure cautelari personali, il ricorso pe cassazione è ammissibile soltanto se denuncia la violazione di specifiche norme di legge, ovvero la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento secondo i canoni della logica ed principi di diritto, ma non anche quando propone censure che riguardino la ricostruzione dei fatt ovvero si risolvano in una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito
(Sez. 4 n. 18795 del 02/03/2017, COGNOME, Rv. 269884; conformi, Sez. 6, n. 11194 del 08/03/2012, COGNOME, Rv. 252178).
Questo perché il controllo di legittimità che la Corte è chiamata ad effettuare consiste ne verifica della sussistenza delle ragioni giustificative della scelta cautelare nonché dell’ass nella motivazione di evidenti illogicità ed incongruenze, secondo un consolidato orientamento espresso dalle Sezioni unite (Sez. U, n. 11 del 22/03/2000, COGNOME, Rv. 215828), e successivamente ribadito dalle Sezioni semplici (Sez. 4, n. 26992 del 29/05/2013, COGNOME, Rv. 255460; Sez. F, n. 47748 del 11/08/2014, COGNOME, Rv. 261400; Sez. 3, n. 40873 del 21/10/2010, Merja, Rv. 248698).
Il vizio di motivazione di un’ordinanza, per poter essere rilevato, deve quindi assumere connotati indicati nell’art. 606 lett. e), e cioè riferirsi alla mancanza della motivazione o a manifesta illogicità, risultante dal testo del provvedimento impugnato, così dovendosi delimita l’ambito di applicazione dell’art. 606, lett. c, cod. proc. pen. ai soli vizi diversi (Sez. U, n. 19 del 25/10/1994, De Lorenzo, Rv. 199391).
Di conseguenza, quando la motivazione è adeguata, coerente ed esente da errori logici e giuridici, il controllo di legittimità non può spingersi oltre, coinvolgendo il giudizio ric del fatto e gli apprezzamenti del giudice di merito sull’attendibilità e la capacità dimost delle fonti di prova.
Il controllo della Corte, quindi, non può estendersi a quelle censure che pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione di circostanze già esaminate dal giudice di merito (Sez. 2, n. 27866 del 17/06/2019, COGNOME, Rv. 276976).
1.2. Nello scrutinio dei motivi di ricorso non si può prescindere, inoltre, dalla distinzio l’accertamento della responsabilità e quello, rilevante in questa sede, della gravità indiziari
Invero, la valutazione affidata al giudice in tema di misure cautelari personali, vincolat rispetto dei requisiti di gravità indiziaria di cui all’art. 273 cod. proc. pen., non coincide co finalizzata all’accertamento della responsabilità sulla base delle emergenze probatorie in sede dibattimentale, essendo la prima caratterizzata da esigenze interinali (cautelari, appunto) c postulano la seria probabilità, ma non necessariamente la certezza della commissione del reato da parte della persona sottoposta ad indagini; e la seconda, invece, legata alla necessità che l colpevolezza dell’imputato venga affermata “al di là di ogni ragionevole dubbio”.
Con un consolidato orientamento giurisprudenziale, cui questo collegio, intende dare continuità, si è da tempo sostenuto come il termine “indizi”, adoperato dall’art. 273, comma 1 cod. proc. ten., abbia una valenza completamente diversa da quella che il medesimo termine assume nell’art. 192, comma 2, cod. proc. pen.
Infatti, mentre in tale ultima norma la scelta lessicale operata dal legislatore trova la evidente ragion d’essere nell’esigenza di distinguere tra prove ed indizi (e soprattutto on stabilire le condizioni in cui questi ultimi possono, considerati nel loro complesso, assurger dignità di “prove” e giustificare, quindi, le affermazioni di colpevolezza), l’uso del termine
nell’art. 273, comma 1, cod. proc. pen. non è in alcun modo riconducibile ad un’analoga distinzione, ma unicamente alla diversa natura del giudizio (di probabilità e non di certezza) c è richiesto ai fini dell’applicazione di una misura cautelare e rispetto al quale deve, qu parlarsi non di “prove”, ma sempre comunque di “indizi”, non essendovi altrimenti congruenza fra detta natura probabilistica del giudizio stesso ed i fondamenti ai quali quest’ultimo essere ancorato (Sez. 6, n. 4825 del 12/12/1995, dep. 1996, COGNOME, Rv. 203600; in senso conforme, ex multis Sez. 3, n. 742 del 23/02/1998, Dersziova, Rv. 210514, e Sez. 6, n. 2547 del 05/07/1999, COGNOME, Rv. 214930).
Va quindi ribadito che la pronuncia cautelare è fondata su indizi di reità, e te all’accertamento di una qualificata probabilità di colpevolezza, non della responsabilità (Sez. n. 11 del 21/04/1995, Costantino, Rv. 202002).
2. I motivi di ricorso, in tema di gravità indiziaria per la condotta di partecipa all’associazione mafiosa, con i quali si cerca di ottenere la riqualificazione dei fatti di cui 13) in concorso esterno, possono essere trattati congiuntamente, presentando i medesimi limiti: quelli, cioè, della strumentalità alla rivalutazione di risultanze probatorie, non consentit Corte di cassazione, e della genericità, poiché propongono una rilettura – per inciso, del tu personale – solo di una parte di tali emergenze investigative.
Con specifico riferimento ai limiti del sindacato di legittimità sulla valutazione delle chi di correo, si è escluso il controllo sul significato concreto di ciascuna dichiarazione e di ci elemento di riscontro, perché un tale esame invaderebbe inevitabilmente la competenza esclusiva del giudice di merito, potendosi solo verificare la coerenza logica delle argomentazio con le quali sia stata dimostrata la valenza dei vari elementi di prova, in sé stessi e nel reciproco collegamento (Sez. 1, n. 36087 del 13/11/2020, COGNOME, Rv. 280058; Sez. 6, n. 33875 del 12/05/2015, COGNOME, Rv. 264577).
Si osserva che quanto alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, il ricorrente si è l a tacciarle di genericità, senza ricordare il contenuto di tali dichiarazioni né illustr decisività delle stesse sul compendio probatorio valorizzato dai Giudici della cautela e connotat da plurimi elementi indiziari.
Invero, il ricorrente non solo non ha ricordato il contenuto di tali dichiarazioni ma no neanche illustrato la decisività delle stesse sul compendio probatorio valorizzato dai Giudici de cautela e connotato da plurimi elementi indiziari. In altri termini, il ricorrente non ha indi ragioni per cui, in assenza delle dichiarazioni dei menzionati collaboratori, risulterebbe inf e compromessa in modo decisivo la tenuta logica e l’intera coerenza della motivazione, posta a base della gravità indiziaria per il reato di cui all’art. 416-bis cod. pen. Ciò pur a fronte onere, come delineato da questa Corte (Sez. 5, n. 8096 del 11/01/2007, COGNOME e altri, Rv. 235734), secondo cui, anche alla stregua del novellato art. 606, comma 1 lett. e), cod. proc pen., la mera indicazione, nel ricorso, di atti che si assumono trascurati o mal interpretati giudice di merito non vale a soddisfare l’esigenza di specificità dei motivi di gravame, dovend questi comunque rappresentare le ragioni per le quali tali atti, se correttamente valuta
avrebbero dovuto necessariamente o, quantomeno, presumibilmente, dar luogo a una diversa pronuncia decisoria.
Il Tribunale del riesame di Salerno non appare essere incorso nei vizi denunciati di violazion di legge e difetto di motivazione in relazione alla partecipazione punibile, lamentati con il ri attraverso una completa rilettura alternativa degli elementi di prova, avendo, anzi, individua come militino a carico del ricorrente alcune dichiarazioni rese da collaboratori di giustizia c individuavano come soggetto affiliato al clan COGNOME–COGNOME.
In conformità a quelli che sono i confini del sindacato di legittimità sulla motivazione, ovv la verifica della completezza e della non manifesta illogicità della stessa, è allora suffi osservare che il Tribunale del riesame non ha trascurato alcun elemento potenzialmente idoneo a condurre ad un diverso esito del giudizio ed ha evidenziato circostanze certamente sintomatiche – tanto più a livello di gravità indiziaria – di una condotta partecipativa, cosi delineata dalle Sezioni unite di questa Corte in plurime sentenze, a cominciare da quella n. 33748 del 12/07/2005, COGNOME, Rv. 231670: vale a dire la stabile ed organica compenetrazione del singolo con il tessuto organizzativo del sodalizio, mettendosi “a disposizione” dello stesso pe perseguimento dei comuni fini criminosi, con l’assunzione di un ruolo dinamico e funzionale.
In altri termini, la condotta di partecipazione è riferibile a colui che si trovi in rap stabile e organica compenetrazione con il tessuto organizzativo del sodalizio, tale da implicare più che uno status di appartenenza, un ruolo dinamico e funzionale, in esplicazione del quale l’interessato “prende parte” al fenomeno associativo, rimanendo a disposizione dell’ente per i perseguimento dei comuni fini criminosi: la Corte ha osservato che la partecipazione può essere desunta da indicatori fattuali dai quali, sulla base di attendibili regole di esperienza att propriamente al fenomeno della criminalità di stampo mafioso, possa logicamente inferirsi la appartenenza nel senso indicato, tra quali, esemplificando, la commissione di delitti-scopo, olt a molteplici, e però significativi facta concludentia, idonei, senza alcun automatismo probatorio, a dare la sicura dimostrazione della costante permanenza del vincolo, con puntuale riferimento, peraltro, allo specifico periodo temporale considerato dall’imputazione.
Nello specifico, quanto all’individuazione degli elementi tipizzanti della partecipazio mafiosa, la giurisprudenza della Corte afferma che: in materia di associazione di tipo mafioso rappresenta comportamento concludente, idoneo a costituire indizio di intraneità al sodalizi criminale, l’essere posto a conoscenza dell’organigramma e della struttura organizzativa delle cosche della zona, dell’identità dei loro capi e gregari, dei luoghi di riunione, degli argom trattati, nonché l’essere stato ammesso a partecipare ad incontri deputati all’inserimento di nuo sodali (cfr. tra le altre Sez. 5, n. 25838 del 23/07/2020, COGNOME, Rv. 279597-02).
Quanto alla distinzione tra la condotta di partecipazione ad associazione mafiosa e il concorso esterno, è stato precisato che essa non ha natura meramente quantitativa, ma è collegata all’organicità del rapporto tra il singolo e la consorteria, per cui deve es qualificato come contributo di partecipazione quello del soggetto cui sia stato attribuito ruolo nel sodalizio, anche se lo stesso non abbia mai avuto occasione di attivarsi, mentre
al contrario, va qualificato come contributo concorsuale “esterno” quello dell’extraneus, sulla cui disponibilità il sodalizio non può contare, che sia stato più volte contattato per te determinate condotte agevolative, concordate sulla base di autonome determinazioni (Sez. 2, n. 35185 del 21/09/2020, Cangiano, Rv. 280458, relativa a una fattispecie in cui la Corte ha ritenuto esente da censure la condanna per partecipazione ad associazione di stampo mafioso dell’imputato che, divenuto direttore del reparto di ingegneria di una struttu ospedaliera grazie al diretto interessamento della cosca, aveva garantito in maniera sistematica l’affidamento e l’aggiudicazione di appalti a esponenti del mondo imprenditoriale vicini al clan).
2.1. Il giudice del riesame ha fatto corretta applicazione dei principi stabiliti dalle Se Unite imp. Modaffari (Sez. U, n. 36958 del 27/05/2021, Rv. 281889) nella parte in cui hanno affermato che sono indice di partecipazione punibile ex art. 416 bis cod. pen. tutte le condot dalle quali potere desumere che l’affiliato abbia preso parte attiva al fenomeno associativ ovvero che abbia fornito un qualsivoglia “apporto concreto”, sia pur minimo, ma in ogni caso riconoscibile, alla vita dell’associazione, tale da far ritenere avvenuto il dato dell’inseri attivo con carattere di stabilità.
Il Tribunale del riesame, con motivazione puntuale, esaustiva e aderente a tale principio ha esaminato analiticamente la condotta dell’indagato e ricondotto la stessa nell’alveo del reato d cui all’art. 416-bis cod. pen.
Correttamente articolata e sorretta da congrua logica espositiva è la motivazione spesa nell’ordinanza impugnata per quanto concerne la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza di appartenenza all’associazione mafiosa. In particolare, il Collegio della cautela ha evidenziat sulla scorta degli atti di indagine, costituiti principalmente dalle dichiarazioni dei collabor giustizia COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME: –a) in occasione di un incontro tra gli associati per risolvere problematiche connesse alla gestione dell’attività di spacc ricorrente si era presentato con un borsone contenente numerose armi, provvedendo poi a distribuirle; –b) l’attività intercettiva che riscontra il luogo dove è avvenuto l’incontro (palazz in costruzione) e lo status libertatis all’epoca dell’incontro del ricorrente, sottoposto agli arresti domiciliari; –c) il COGNOME era un intraneo del gruppo criminale di Pagani; –d) all’interno del gruppo camorristico di riferimento, il COGNOME godeva di prestigio criminale che gli derivava da sua parentela con COGNOME NOME ed era tra i pochi che poteva parlare con il Giugliano; –e) i carichi pendenti e le condanne certificavano che il COGNOME nel periodo di interesse investigativ deteneva armi e commerciava droga.
In conformità a quelli che sono i confini del sindacato di legittimità sulla motivazione, ovv la verifica della completezza e della non manifesta illogicità della stessa, è allora suffic osservare che il Tribunale del riesame non ha trascurato alcun elemento potenzialmente idoneo a condurre ad un diverso esito del giudizio ed ha evidenziato circostanze certamente sintomatiche – tanto più a livello di gravità indiziaria – di una condotta partecipativa, cosi delineata dalle Sezioni unite di questa Corte in plurime sentenze, a cominciare da quella n. 33748
del 12 luglio 2005, COGNOME, Rv. 231670: vale a dire la stabile ed organica compenetrazione del singolo con il tessuto organizzativo del sodalizio, mettendosi “a disposizione” dello stesso per perseguimento dei comuni fini criminosi, con l’assunzione di un ruolo dinamico e funzionale.
Nello specifico, infatti, l’ordinanza impugnata illustra in dettaglio una serie di vic sostanzialmente indiscusse nei loro estremi di fatto: alcune, di autonoma rilevanza delittuosa (come la detenzione delle armi di cui al capo 14, ovvero la cointeressenza nel settore delle sostanze stupefacenti), altre (definizione di rapporti con altri clan, partecipazione ai summi nitidamente espressive di stretti rapporti del ricorrente con soggetti d’indiscussa e più o me risalente militanza mafiosa e del ruolo di rango in quel contesto da costoro riconosciutogli.
Vicende, dunque, che, lette insieme, sorreggono in modo adeguato e senza forzature l’assunto del ruolo operativo esercitato da costui all’interno del clan COGNOMECOGNOME attivo quell’area territoriale.
Risulta, pertanto, la ritenuta partecipazione associativa del ricorrente, essendosi tradotto suo intervento in un vero e proprio contributo, avente effettiva rilevanza causale, ai fini d conservazione o del rafforzamento della consorteria (Sez. 6, n. 40746 del 24/06/2016, COGNOME, Rv. 268325; Sez. 1, n. 25799 del 08/01/2015, COGNOME, Rv. 263935), tenuto conto della circostanza che le armi dallo stesso fornite erano dirette ad assicurare tutela ai propri associ contro eventuali ritorsioni di gruppi rivali.
In tal modo il giudice del riesame appare avere fatto corretta applicazione dei princi stabiliti dalle Sezioni Unite imp. Modaffari (Sez. U, n. 36958 del 27 maggio 2021, Rv. 28188901) nella parte in cui hanno affermato che sono indice di partecipazione punibile ex art. 416 bi cod. pen. tutte le condotte dalle quali potere desumere che l’affiliato abbia preso parte attiva fenomeno associativo ovvero che abbia fornito un qualsivoglia “apporto concreto”, sia pur minimo, ma in ogni caso riconoscibile, alla vita dell’associazione, tale da far ritenere avvenuto dato dell’inserimento attivo con carattere di stabilità.
Pertanto, la motivazione dell’ordinanza impugnata supera il vaglio di legittimità demandato a questo collegio, il cui sindacato deve arrestarsi alla verifica del rispetto delle regole della e della conformità ai canoni legali che presiedono all’apprezzamento dei requisiti previsti dall legge per l’emissione e il mantenimento dei provvedimenti restrittivi della libertà personal senza poter attingere l’intrinseca consistenza delle valutazioni riservate al giudice di merito.
Nel caso in esame, il Collegio della cautela, oltre a fare rinvio alla motivazione dell’ordinan genetica, ha fornito un proprio percorso argomentativo, che, quand’anche sostanzialmente adesivo a quello del primo giudice, non può dirsi privo di autonomo vaglio critico, avendo si illustrato adeguatamente, con un proprio apporto logico, le ragioni in base alle quali ha disatte le censure difensive meritevoli di replica sia motivato convenientemente e autonomamente il proprio convincimento sull’adesione del ricorrente al sodalizio mafioso, indicandone debitamente il ruolo di spicco e ancorandolo a specifici elementi probatori.
Il Tribunale del riesame ha indicato la presenza di numerosi elementi tipici della condotta d partecipazione ad un’associazione di stampo mafioso, secondo corretti canoni probatori espressi
dalla consolidata giurisprudenza di legittimità a cui si è fatto cenno. Anche in questo caso ricorso avverso l’ordinanza impugnata risulta inammissibile perché si limita a contestare l’ordinanza del Tribunale di Salerno senza però evidenziare alcuna manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione, che, invece, si palesa come coerente e puntuale nel collegare i numerosissimi indizi emergenti dalle complesse e articolate indagini.
Può affermarsi, quindi, che la pronuncia impugnata resiste alle doglianze difensive riguardanti la pretesa apparenza della motivazione e le anzidette doglianze devono considerarsi infondate.
All’inammissibilità dell’impugnazione consegue obbligatoriamente – ai sensi dell’art. 616, cod. proc. pen. – la condanna del proponente al pagamento delle spese del procedimento e di una somma in favore della cassa delle ammende, non ravvisandosi una sua assenza di colpa nella determinazione della causa d’inammissibilità (v. Corte Cost., sent. n. 186 del 13 giugno 2000). Detta somma, considerando la manifesta assenza di pregio degli argomenti addotti, va fissata in tremila euro.
La cancelleria curerà gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. pro pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. pro pen.
Così deciso in Roma il 30/10/2024
L’estensore GLYPH
La Presidente