Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 29452 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 29452 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 15/07/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOMECOGNOME nato a Palermo il 25/06/1954 avverso l’ordinanza del 21/02/2025 del Tribunale di Palermo visti gli atti, l’ordinanza impugnata e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso; uditi i difensori del ricorrente, Avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME che hanno concluso per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza indicata in epigrafe il Tribunale del riesame di Palermo ha, parzialmente accogliendo la richiesta di riesame proposta nell’interesse di NOME COGNOME modificato l’ordinanza del 28 gennaio 2025 del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Palermo che, per quanto di interesse in questa sede, aveva applicato a NOME COGNOME la misura cautelare personale degli arresti domiciliari perché gravemente indiziato dei reati di estorsione aggravata contestati ai capi 7), 8), 9) e 10), nonché del reato di partecipazione
all’associazione di tipo mafioso denominata Cosa nostra e in particolare alla famiglia mafiosa di COGNOME.
Più precisamente, il Tribunale del riesame ha annullato l’ordinanza limitatamente all’estorsione contestata al capo 7), ritenendo insussistenti i gravi indizi di colpevolezza, e ha riqualificato il reato contestato al capo 10) quale tentata estorsione aggravata, mentre ha confermato l’ordinanza nel resto.
Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso NOME COGNOME a mezzo dei suoi difensori, chiedendone l’annullamento ed articolando tre motivi.
2.1 Con il primo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e) , cod. proc. pen., la violazione degli artt. 273, 192, comma 2, cod. proc. pen. e degli artt. 110 e 629 cod. pen., nonché la manifesta illogicità della motivazione quanto al contributo causale offerto alla commissione dei reati contestati ai capi 8), 9) e 10).
2.1.1. Quanto al reato di cui al capo 8), l’estorsione sarebbe consistita nel costringere mediante minaccia NOME COGNOME, amministratore della società RAGIONE_SOCIALERAGIONE_SOCIALE, a fornire merce a NOME COGNOME per un valore di euro 1.000,00, rinunciando al corrispettivo.
Il ricorrente segnala che, secondo l’ordinanza impugnata, dalla conversazione intercettata tra NOME COGNOME e NOME COGNOME in data 8 agosto 2023 risulta che NOME COGNOME aveva regalato il materiale edilizio a NOME COGNOME perché precedentemente intimidito da NOME COGNOME, mentre dalla conversazione datata 11 settembre 2023 risulta che NOME COGNOME, in occasione dell’incontro con il COGNOME, avvenuto alla presenza di NOME COGNOME, si era offerto di versare un acconto sul prezzo del materiale ottenuto, ricevendo dal Russo la rassicurazione che nulla era dovuto; nel corso di questa conversazione il COGNOME si era congratulato con lo COGNOME per avere quest’ultimo risparmiato mille euro.
Sostiene il ricorrente che l’ipotesi accusatoria poggia sulla congettura che il comportamento tenuto dal COGNOME nei confronti dello COGNOME sia collegato eziologicamente ad una precedente intimidazione del COGNOME e che, anche volendo ammettere tale collegamento, non risulta in alcun modo provato il contributo causale fornito da NOME COGNOME alla commissione del reato, specialmente ove si consideri che il Tribunale del riesame ha ritenuto insussistenti a carico dello COGNOME i gravi indizi di colpevolezza per il delitto di estorsione contestato al capo 7), nell’ambito del quale è stata commessa la intimidazione ai danni del COGNOME, per essere questa stata attuata dal solo COGNOME e non anche dallo COGNOME.
In aggiunta, la conclusione cui è pervenuto il Tribunale del riesame sarebbe in contrasto con l’offerta, rivolta da NOME COGNOME a NOME COGNOME di versare un acconto per il materiale acquistato e con le successive manifestazioni di riconoscenza per il regalo ricevuto; sul punto il Tribunale, affermando che le manifestazioni verbali di riconoscenza provenienti dallo COGNOME potevano riguardare altre forniture, avrebbe motivato in modo congetturale ed apodittico.
2.1.2. In relazione al reato contestato al capo 9), l’estorsione sarebbe consistita nel costringere, mediante minaccia, la RAGIONE_SOCIALE a fornire merce, in particolare foraggio, a NOME COGNOME gestore di un’impresa di macellazione e vendita di carni, ad un prezzo ribassato.
Il ricorrente segnala che NOME COGNOME, al fine di far ottenere lo sconto a NOME COGNOME, si sarebbe reso latore di un messaggio, proveniente da NOME COGNOME e diretto agli esponenti della RAGIONE_SOCIALE, secondo il quale questi dovevano «rispettare» NOME COGNOME; il messaggio era anche finalizzato ad informare i suoi destinatari che NOME COGNOME era irritato dal loro comportamento.
Il ricorrente si duole dell’omessa valutazione della idoneità di tale messaggio ad intimidire i suoi destinatari, rimasti peraltro sconosciuti, considerato anche che tra NOME COGNOME ed i titolari della società vi era un rapporto di parentela che da solo poteva giustificare lo sconto, di importo assai modesto e complessivamente non superiore ad appena euro 40,00.
Peraltro, evidenzia il ricorrente, NOME COGNOME il beneficiario dello sconto, neppure risulta indagato per tale delitto.
2.1.3. In ordine al reato contestato al capo 10), la tentata estorsione sarebbe consistita nel tentare di costringere, con la minaccia, NOME COGNOME resosi acquirente, tramite un prestanome, di un immobile acquistato nell’ambito di una procedura esecutiva a carico di una società di Eugenio Avellino, a ritrasferire a quest’ultimo il bene acquistato, a fronte della promessa di un rimborso rateale del prezzo pagato.
Sostiene il ricorrente che dalla stessa descrizione dell’accaduto, contenuta nell’ordinanza del Tribunale del riesame, emerge che egli non ha fornito alcun contributo materiale o morale alla commissione del reato. Egli si era limitato a convocare NOME COGNOME per il tramite del figlio di quest’ultimo, ricevendo da NOME COGNOME la comunicazione che NOME COGNOME avrebbe potuto incontrare NOME COGNOME incontro al quale NOME COGNOME non aveva poi partecipato.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) , cod. proc. pen., la violazione degli artt. 273, 192, comma 2, cod. proc. pen. e degli artt. 110 e 416bis cod. pen., per avere il Tribunale del
riesame erroneamente valutato la « condotta riferibile all’indagato in punto di efficienza del suo contributo causale all’associazione mafiosa ».
A NOME COGNOME si contesta di avere garantito a NOME COGNOME, esponente di rilievo del sodalizio, e ad altri associati canali di comunicazione riservati, nonché di avere stabilmente prestato assistenza a NOME COGNOME nell’espletamento delle funzioni attribuitegli dall’associazione , svolto compiti di vigilanza esterna in occasione delle riunioni tra NOME COGNOME ed altri sodali e di avere eseguito gli ordini ricevuti e le incombenze affidategli.
Sostiene il ricorrente che la condotta associativa non è dimostrata in quanto le attività che gli vengono attribuite non valgono a provare la sua partecipazione al sodalizio mafioso.
Ammette di avere svolto il ruolo di autista in favore di NOME COGNOME, ma ciò non consentirebbe di affermare che egli abbia contribuito alla conservazione o al rafforzamento delle capacità operative dell’associazione mafiosa. Egli non ha mai partecipato ad alcuna riunione, né ha avuto conoscenza di quanto detto in occasione delle riunioni degli associati e nemmeno ha svolto attività diverse da quella di autista di NOME COGNOME.
Neppure la sua qualità di associato può ricavarsi dalla sua partecipazione ai delitti di cui ai capi 8), 9) e 10), per i quali egli è indagato unitamente al solo NOME COGNOME a dimostrazione della assenza di suoi rapporti con gli altri membri del sodalizio criminale.
2.3. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) , cod. proc. pen., la violazione degli artt. 273, 192, comma 2, cod. proc. pen. e dell’art. 416 -bis , quarto e sesto comma, cod. pen., sostenendo che per la sussistenza dell’aggravante dell’essere l’associazione armata non è sufficiente che uno degli associati disponga di un’arma, occorrendo invece che le armi siano a disposizione dei partecipanti al sodalizio mafioso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo di ricorso è complessivamente infondato in relazione al reato di cui al capo 8).
Laddove sostiene che non vi sono elementi che consentano di collegare alla precedente « strantuliata » che il COGNOME aveva subito da NOME COGNOME la decisione del primo di non far pagare allo COGNOME il prezzo dei materiali da quest’ultimo acquistati, il ricorrente invoca una rivalutazione del quadro indiziario non consentita in questa sede di legittimità.
Laddove, invece, denuncia la contraddittorietà della motivazione, per avere il Tribunale del riesame affermato i gravi indizi di colpevolezza a carico dello
COGNOME per la estorsione di cui al capo 8 ed al contempo escluso la gravità del quadro indiziario a suo carico per l’estorsione di cui al capo 7) proprio perché lo COGNOME non aveva neppure assistito alla predetta «strantuliata», il motivo è infondato.
Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte di cassazione, in tema di concorso di persone nel reato, la responsabilità di chi coopera ad un fatto criminoso non presuppone la convergenza psicologica sull’evento finale perseguito da un altro concorrente, essendo sufficiente che il suo apporto sia stato prestato con consapevole volontà di contribuire, anche solo agevolandola, alla commissione del delitto: carattere decisivo, infatti, riveste l’unitarietà del «fatto collettivo» realizzato, che si verifica quando le condotte dei concorrenti risultino, con giudizio di prognosi postumo, integrate in unico obiettivo, perseguito in varia e diversa misura dagli agenti, sicché è sufficiente che ciascuno di essi abbia conoscenza, anche unilaterale, del contributo recato alla condotta altrui (Sez. U, n. 31 del 22/11/2000, dep. 2001, COGNOME, Rv. 218525; Sez. 3, n. 44097 del 03/05/2018, I., Rv. 274126; Sez. 1, n. 15860 del 09/12/2014, COGNOME, Rv. 263089; Sez. 2, n. 18745 del 15/01/2013, COGNOME, Rv. 255260; Sez. 6, n. 46309 del 09/10/2012, COGNOME, Rv. 253984).
In particolare, ai fini della sussistenza del concorso di persone nel reato, se non occorre la prova di un previo concerto tra i concorrenti, è necessario, nondimeno, dimostrare che ciascuno di essi abbia agito per una finalità unitaria con la consapevolezza del ruolo svolto dagli altri e con la volontà di agire in comune. Inoltre, nel caso in cui taluno abbia deciso di subentrare in un progetto criminoso da altri intrapreso, è necessaria una più attenta motivazione del giudice di merito in ordine al dolo di partecipazione, occorrendo la dimostrazione che il subentrante conoscesse quanto già realizzato dai singoli compartecipi, quanto fosse ancora da realizzare e quali fossero i compiti specifici di ciascuno (Sez. 6, n. 25705 del 21/03/2003, COGNOME, Rv. 225935 – 01).
Non rileva, quindi, ai fini del concorso nel reato di estorsione che NOME COGNOME non abbia partecipato alla condotta minatoria attuata dal COGNOME, essendo sufficiente che egli ne fosse a conoscenza e l ‘ abbia sfruttata per ottenere dal Russo la remissione del suo debito e, secondo la ricostruzione fattuale descritta nel provvedimento qui impugnato, lo COGNOME era già a conoscenza della precedente intimidazione che il COGNOME aveva subito ad opera di NOME COGNOME, quanto meno dal giugno 2023.
Peraltro, secondo quanto emerge dal provvedimento qui impugnato, il COGNOME ha implicitamente minacciato il COGNOME quando, in data 11 settembre 2023, ha partecipato all’incontro tra NOME COGNOME ed il COGNOME per la consegna
di merce che l’odierno ricorrente aveva ordinato; in tale occasione, dopo che lo COGNOME aveva chiesto l’ammontare del dovuto ed il Russo gli aveva risposto, il COGNOME aveva ringraziato il Russo e l’aveva salutato, lasciandogli intendere che il pagamento non avrebbe dovuto avvenire, e a quel punto il Russo aveva rinunciato al suo credito. In questo caso la intimidazione è stata effettuata dal COGNOME alla presenza dello COGNOME e non poteva da questi essere ignorata.
Né può sostenersi che la motivazione sia apodittica laddove si afferma che il sentimento di riconoscenza espresso da NOME COGNOME nei confronti del Russo in occasione della conversazione intercettata in data 23 ottobre 2023 si riferisce ad altra fornitura, poiché il Tribunale ha puntualmente motivato (a pag. 11) tale conclusione evidenziando che i materiali ordinati avevano un prezzo sicuramente superiore ai mille euro ai quali il Russo aveva rinunciato.
Il primo motivo è inammissibile in relazione al reato di cui al capo 9), atteso che anche in questo caso il ricorrente chiede una rivalutazione del materiale indiziario, adducendo taluni elementi fattuali, come la pochezza dell’importo dello sconto ottenuto o la esistenza di rapporti di parentela tra COGNOME NOME e le pretese vittime dell’estorsione, per sostenere che lo sconto praticato troverebbe causa non in un atteggiamento intimidatorio, ma in tali diversi rapporti.
Quanto al contributo del ricorrente alla commissione del reato, nell’ordinanza impugnata si chiarisce che NOME COGNOME si è reso latore di un messaggio intimidatorio rivolto da NOME COGNOME a coloro che avrebbero dovuto praticare lo sconto.
Del tutto irrilevante è poi che il Pubblico ministero non abbia chiesto l’applicazione di misure cautelari anche confronti di NOME COGNOME.
Quanto al reato di cui al capo 10), la doglianza del ricorrente di non avere in alcun modo contribuito alla commissione del reato è manifestamente infondata, atteso che, dalla ricostruzione fattuale operata dal Tribunale del riesame, risulta che egli ha prestato ausilio alla commissione del reato, partecipando alle attività volte a convocare NOME COGNOME ad una riunione alla quale avrebbero preso parte anche NOME COGNOME e NOME COGNOME onde costringerlo al ritrasferimento della proprietà dell’immobile. Peraltro, il Tribunale ben spiega (a pag. 15 del provvedimento qui impugnato) perché tale attività è stata svolta da NOME COGNOME quando quest’ultimo già conosceva le finalità della riunione alla quale il Chiovaro era stato convocato.
Il secondo motivo di ricorso è infondato.
È, ben vero, in tema di associazione di tipo mafioso, che la mera «contiguità
compiacente», così come la «vicinanza» o «disponibilità» nei riguardi di singoli esponenti, anche di spicco, del sodalizio, non costituiscono comportamenti sufficienti ad integrare la condotta di partecipazione all’organizzazione, ove non sia dimostrato che l’asserita vicinanza a soggetti mafiosi si sia tradotta in un vero e proprio contributo, avente effettiva rilevanza causale, ai fini della conservazione o del rafforzamento della consorteria (Sez. 6, n. 40746 del 24/06/2016, COGNOME, Rv. 268325 – 01), e che la condotta di partecipazione ad associazione di tipo mafioso si caratterizza per lo stabile inserimento dell’agente nella struttura organizzativa dell’associazione, idoneo, per le specifiche caratteristiche del caso concreto, ad attestare la sua «messa a disposizione» in favore del sodalizio per il perseguimento dei comuni fini criminosi (Sez. U, n. 36958 del 27/05/2021, COGNOME, Rv. 281889 -01; Sez. U, n. 16 del 1994, Rv. 199386-01, e Sez. U, n. 30 del 1995, Rv. 202904-01).
Nel caso di specie, secondo quanto affermato nel provvedimento qui impugnato, NOME COGNOME non si è limitato a svolgere il ruolo di autista in favore di NOME COGNOME ma ha anche svolto il ruolo di intermediario tra quest’ultimo ed altri associati, per comunicare messaggi od organizzare incontri destinati alla trattazione di argomenti inerenti all’associazione criminale, e ha provveduto a svolgere funzioni di vigilanza quando il COGNOME doveva recarsi a partecipare alle riunioni con esponenti mafiosi posti in posizioni apicali; in tali occasioni NOME COGNOME era solito anche adottare apposite cautele, come quella di non portare con sè telefoni cellulari, onde impedire che le conversazioni fossero intercettate o si potesse risalire al luogo in cui tali riunioni erano organizzate.
Inoltre, ha partecipato ai reati di cui ai capi 9) e 10), alla cui commissione l’associazione criminale era interessata.
Ne consegue che, in applicazione dei principi sopra esposti, ricorrendo gravi indizi che NOME COGNOME abbia fornito uno stabile contributo al conseguimento degli obiettivi dell’associazione criminale, appare corretto che il suo comportamento sia stato qualificato come condotta di partecipazione al sodalizio mafioso.
Il terzo motivo di ricorso è inammissibile per la sua estrema genericità, atteso che in esso non si esplicitano le ragioni per le quali non sarebbe corretta l’applicazione dell’aggravante di cui al sesto comma dell’art. 416 -bis cod. pen. e, in ordine all’aggravante di cui al quarto comma, il ricorrente neppure si confronta con le ragioni della decisione impugnata.
Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento
delle spese del procedimento, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 15/07/2025.