Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 14786 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 14786 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 14/01/2025
R E P U B B L I C A I T A L I A N A
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SESTA SEZIONE PENALE
Composta da
NOME COGNOME Presidente – Sent. n. sez. 26/25
NOME COGNOME UP – 14/01/2025
NOME COGNOME R.G.N. 28103/2024
NOME COGNOME
NOME COGNOME Relatore –
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME COGNOME nata in Kosovo il 03/05/2002
avverso la sentenza emessa in data 08/05/2024 dalla Corte di assise di appello di Milano visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso; udita la relazione del consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto di rigettar lette le conclusioni dell’avvocato NOME COGNOME che ha insistito per l’accoglimento dei motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano ha emesso
decreto di giudizio immediato nei confronti di NOME COGNOME chiamata a rispondere del delitto di cui all’art. 270bis cod. pen., commesso in Milano e altri luoghi, quanto meno dal gennaio 2021, con condotta attuale, e l’imputata ha chiesto di essere giudicata nelle forme del rito abbreviato.
Secondo l’ipotesi di accusa, l’imputata sarebbe stata partecipe dell’organizzazione terroristica denominata ‘Leoni dei Balcani’, facente parte della più ampia organizzazione terroristica ‘Stato Islamico’, allo scopo di commettere atti di violenza, con finalità di terrorismo, anche internazionale.
Le condotte di partecipazione sarebbero consistite nel:
far parte di un network dedito ad attività di propaganda e sostegno di organizzazioni terroristiche salafite e, in particolare, i ‘Leoni dei Balcani’ e lo ‘Stato Islamico’, attraverso canali criptati e ad accesso segreto su Telegram, nei quali veniva esaltato lo Stato islamico e le organizzazioni ad esso collegate, in tutte le sue accezioni ed espressioni ( jihad , martirio, combattimento, conquista, etc.), venivano formulati inviti all’arruolamento tra le fila del Califfato, venivano fornite informazioni in tempo reale dei successi dei miliziani dell’Isis in tutti i continenti e diffusi i proclami e i discorsi dei personaggi maggiormente influenti del Califfato;
essersi ritratta in immagini fotografiche e video nei quali indossava un guanto e un anello di colore nero, riportante la scritta della Sbahada, chiari simboli di appartenenza allo Stato islamico;
detenere e aver condiviso migliaia di immagini e video, riportanti oggetti simbolo dello Stato islamico, scene di combattimenti in teatri militari di guerra, esecuzioni sommarie di infedeli, mediante decapitazioni e incendi, scene di attacchi terroristici nelle città europee da parte di mujaheddin dei quali erano esaltate le gesta;
realizzare personalmente alcuni ‘ anasheed ‘, in uno dei quali, invocando lo sceicco Al-COGNOME, si votava al martirio;
svolgere una funzione di proselitismo per la causa dell’Islam radicale nei confronti di ragazze kosovare, anche minorenni;
promettere di finanziare la fuga delle ‘sorelle’, congiunte e mogli di combattenti Isis, ristrette nel campo di detenzione di Raqqa;
facilitare i contatti tra il marito NOME COGNOME che viveva nella città tedesca di Osnabruck, con altri membri dei Leoni dei Balcani che risiedono in Germania;
intrattenere rapporti diretti, sempre via chat , con le mogli di detenuti per fatti di terrorismo.
Il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Milano, con sentenza emessa in data 18 luglio 2022 all’esito del giudizio abbreviato, ha dichiarato
l’imputata responsabile del reato di cui all’art. 302 cod. pen. e, dunque, di istigazione a commettere il reato di cui all’art. 270bis cod. pen., aggravato dalla commissione mediante strumenti informatici, così diversamente qualificato il reato a lei ascritto, e l’ha condannata alla pena di tre anni e quattro mesi di reclusione.
Con sentenza emessa in data 1 marzo 2023, la Corte di assise di appello di Milano, in parziale riforma della pronuncia emessa dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Milano e in accoglimento dell’appello proposto dal Pubblico Ministero, ha riqualificato il fatto ascritto a NOME COGNOME nel reato previsto dall’art. 270bis , secondo comma, cod. pen., originariamente contestato, e ha condannato l’imputata alla pena di quattro anni di reclusione.
Secondo la Corte di assiste di appello, nella condotta di COGNOME erano, infatti, ravvisabili i presupposti soggettivi e oggettivi del reato di associazione con finalità di terrorismo e non di mera istigazione a delinquere di cui all’art. 302 cod. pen.; l’imputata ha, infatti, svolto attività di partecipazione al programma criminoso dell’organizzazione terroristica ‘Leoni dei Balcani’, dando il proprio concreto supporto per la realizzazione degli obiettivi del sodalizio, che, a sua volta, era consapevole della sua militanza.
La Corte di cassazione, Seconda sezione penale, con sentenza n. 47883 emessa in data 8 novembre 2023, ha annullato la pronuncia impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di assise d’appello di Milano.
La sentenza rescindente ha statuito che:
in tema di associazione con finalità di terrorismo, la partecipazione all’Isis o ad analoghe associazioni internazionali, connotate da un modello polverizzato di articolazione, può essere desunta da concrete condotte sintomatiche della condivisione ideologica delle finalità della organizzazione, in cui si sostanzia la messa a disposizione del singolo verso il gruppo criminale e si struttura il relativo rapporto (Sez. 6, n. 8891 del 18/12/2020, dep. 2021, COGNOME, Rv. 280750 01);
per configurare una partecipazione associativa, non basta la mera ideazione o adesione psicologica unilaterale a una ideologia pur violenta ed estrema, ma è necessaria la prova di un contatto, sia pur flebile e mediato, ma pur sempre esistente, con la struttura del sodalizio, anche tramite suoi affiliati, che coinvolga, dunque, in qualche modo, l’altro contraente del patto associativo, e cioè il gruppo terroristico; per altro verso, però, la cosiddetta notorietà bilaterale associazione/associato ha carattere necessariamente flessibile e multiforme;
che, nel caso di specie, la Corte di assise di appello, nell’accertamento relativo alla cosiddetta notorietà bilaterale associazione/associato, ha utilizzato notizie provenienti da fonti aperte, che, tuttavia, possono costituire parametro al
fine di valutare l’utilizzazione di massime di esperienza ovvero profili attinenti a fatti non oggetto di contestazione e, comunque, non riguardanti l’imputazione;
la Corte di assise di appello, in particolare, ha omesso di motivare sulle risultanze dell’ordine di indagine europeo emesso dalla Procura della Repubblica di Milano, indirizzato all’autorità tedesca, allegato al ricorso, in cui venivano richiesti «tutti gli atti relativi ad indagini compiute nei confronti di COGNOME»;
dall’ordine europeo di indagine risultava che NOMECOGNOME con la quale COGNOME conversava in chat , era la moglie non già di NOMECOGNOME sospettato di essere in collegamento con l’attentatore della strage di Vienna e con il marito dell’imputata, bensì di tale NOME
questo dato ha inficiato la correttezza della qualificazione giuridica con la quale il giudice di appello ha riformato sul punto la sentenza di primo grado, condannando l’imputata per partecipazione ad un’associazione con finalità di terrorismo internazionale.
Tale conclusione può essere sostenuta solo da concreti elementi di prova sulla genuinità di quanto ricavabile dalle cd. fonti aperte sull’attività di supporto svolta dalla ricorrente in favore dell’associazione (RAGIONE_SOCIALE o RAGIONE_SOCIALE Balcani che sia), anche per il tramite di ulteriori associati.
Questo procedimento di verifica non era stato svolto dalla Corte di merito e ha condizionato la riconoscibilità del delitto di cui all’art. 270bis cod. pen. ritenuto in sentenza, in luogo di quello meno grave accertato dal primo giudice.
La Seconda sezione della Corte di cassazione ha, dunque, annullato la sentenza impugnata con rinvio ad altra Sezione della Corte di assise di appello di Milano, al fine di valutare le corretta definizione giuridica del fatto, esclusivamente sulla base degli elementi di prova emergenti dagli atti.
Con la sentenza impugnata la Corte di assise d’appello di Milano, decidendo in sede di rinvio, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, appellata dall’imputata e dal Pubblico ministero, ha riqualificato il fatto nel delitto di cui all’art. 270 bis , secondo comma, cod. pen. e ha rideterminato la pena in quattro anni di reclusione per l’imputata, che ha condannato alle spese del grado.
L’avvocato NOME COGNOME difensore dell’imputata, ha impugnato questa sentenza e ne ha chiesto l’annullamento, deducendo tre motivi.
6.1. Con il primo motivo il difensore ha censurato la manifesta illogicità della motivazione e l’inosservanza degli artt. 192 cod. proc. pen. e 270 bis cod. pen.
Il difensore, dopo aver ricostruito le articolate fasi processuali della vicenda, ha eccepito che la Corte di assise di appello avrebbe valutato in modo manifestamente illogico gli elementi di prova che avrebbero dimostrato il reato di
associazione con finalità di terrorismo anche internazionale o di eversione dell’ordinamento democratico.
In particolare, il difensore ha rilevato che il marito dell’imputata, NOME COGNOME non era stato mai formalmente indagato o interrogato dalle autorità tedesche per l’attentato terroristico dell’ISIS compiuto a Vienna in data 2 novembre 2020 da COGNOME, in cui furono uccise quattro persone e altre ventitré rimasero ferite, né era emerso, dall’esame degli atti inviati a seguito di ordine europeo di indagine dalle autorità tedesche, che il predetto COGNOME avesse mai avuto comunicazioni dirette con il terrorista NOME COGNOME.
Nemmeno NOME COGNOME e NOME COGNOME connazionali di NOME COGNOME e a lui collegati, erano stati mai indagati o formalmente coinvolti per l’attentato di Vienna.
Ad avviso del difensore, la motivazione della sentenza impugnata, che desume la prova della partecipazione dell’imputata all’organizzazione terroristica ‘Leoni dei Balcani’, quale cellula dell’ISIS, sulla base del rapporto coniugale con NOME COGNOME, sarebbe, dunque, del tutto irragionevole e basata sul travisamento e sulla violazione dei criteri di valutazione della prova.
Analoghe vizi presenta la sentenza impugnata nella parte in cui inferisce la prova della partecipazione associativa dell’imputata dall’analisi dei contatti estrapolati dal suo cellulare e, in particolare, dalla chat con tale NOME, moglie di NOME COGNOME soggetto collegato a COGNOME e agli ambienti radicali islamici, e con tale NOME, moglie di NOME, collegato all’ISIS e arrestato a Venezia il 30 marzo 2017, insieme ad altri tre cittadini kosovari, in esecuzione di misura cautelare per reati di terrorismo nel separato procedimento n. 1806/2017 della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Venezia.
A giudizio del difensore, questi contatti dimostrerebbero soltanto la conoscenza virtuale tra le tre donne (NOME, NOME, Festina) e non proverebbero il coinvolgimento dell’imputata in attività, anche solo strumentali o di supporto logistico, dell’associazione terroristica ovvero nella realizzazione del programma criminoso; nelle chat e negli atti acquisiti a seguito di ordine europeo di indagine, peraltro, non comparirebbe mai il nome ‘Leoni dei Balcani’.
La Corte di appello, inoltre, avrebbe omesso di valutare i documenti acquisiti dal difensore tedesco di NOME COGNOME allegati ai motivi aggiunti nel giudizio di appello, che dimostrano come il medesimo, NOME COGNOME e NOME COGNOME siano estranei all’attentato compiuto a Vienna in data 2 novembre 2020.
6.2. Con il secondo motivo il difensore ha dedotto l’inosservanza dell’art. 270bis cod. pen., in quanto la Corte di appello non ha osservato i principi di diritto affermati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di partecipazione ad associazione terroristica.
Perché sia integrato tale delitto è, infatti, necessaria la prova della struttura
criminale e del contributo causale alla sussistenza dell’associazione (o per lo meno della messa a disposizione in favore del sodalizio) o alla realizzazione del programma criminoso, secondo uno schema di riconoscimento reciproco tra la struttura e il singolo aderente, e non la semplice attività di proselitismo ed indottrinamento.
Le condotte contestate a COGNOME non sarebbero univocamente dimostrative del ruolo dalla medesima assunta nell’organizzazione terroristica, in quanto l’imputata si sarebbe relazionata solo con soggetti femminili, che, peraltro, non risultano appartenere ad alcuna organizzazione terroristica, né sono indagate o sono state sottoposte a controlli di polizia.
In nessuna della chat presenti agli atti l’imputata avrebbe espresso la volontà o, comunque, il serio proposito di recarsi in territorio estero, di compiere atti preparatori a condotte di terrorismo, né di vocarsi al martirio.
Nelle chat rinvenute nel telefono cellulare dell’imputata, peraltro, non vi sarebbe alcun riferimento al gruppo terroristico ‘Leoni dei Balcani’ o all’Isis e alcun serio contatto operativo tra l’imputata e appartenenti a questi gruppi.
Sarebbe, dunque, corretta la decisione del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Milano, che, nella sentenza di primo grado, ha riqualificato il delitto contestato di cui all’art. 270 bis cod. pen., in quello di istigazione di cui all’art. 302 cod. pen.
6.3. Con il terzo motivo il difensore ha eccepito l’inosservanza dell’art. 62 bis cod. pen. e la manifesta illogicità della motivazione relativa al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
La Corte di appello ha, infatti, negato l’applicazione delle attenuanti generiche, in quanto la ricorrente, pur avendo reso delle dichiarazioni scritte, non «ha mai inteso minimamente e sinceramente collaborare».
La confessione costituisce, tuttavia, espressione del diritto di difesa e la volontà di non collaborare non può essere posta a fondamento del mancato riconoscimento delle attenuanti generiche.
L’imputata, giovane e incensurata, del resto, ha spontaneamente fornito agli inquirenti il codice Pin del proprio cellulare e nel corso del processo ha mantenuto sempre un comportamento corretto e serio.
Con istanza depositata tempestivamente in data 16 dicembre 2024 l’avvocato NOME COGNOME ha chiesto la trattazione orale del ricorso.
Con la requisitoria e le conclusioni scritte depositate in data 18 dicembre 2024, il Procuratore generale, NOME COGNOME ha chiesto di rigettare il ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso deve essere rigettato, in quanto i motivi proposti sono complessivamente infondati.
Con il primo motivo il difensore ha censurato la manifesta illogicità della motivazione e l’inosservanza degli artt. 192 cod. proc. pen. e 270 bis cod. pen.
Il motivo è inammissibile, in quanto si risolve nella sollecitazione ad una rinnovata valutazione delle risultanze istruttorie e, comunque, in una confutazione di mero fatto degli elementi di prova posti dalla Corte di assise di appello a fondamento del proprio apprezzamento.
Nel giudizio di legittimità, tuttavia, non è consentito invocare una valutazione o rivalutazione degli elementi probatori al fine di trarne proprie conclusioni in contrasto con quelle del giudice del merito, chiedendo alla Corte di legittimità un giudizio di fatto che non le compete.
Esula, infatti, dai poteri della Corte di cassazione quello di una ‘rilettura’ degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n. 22242 del 27/01/2011, COGNOME, Rv. 249651, in motivazione; Sez. U, n. 12 del 31/05/2000, COGNOME, Rv. 216260).
Gli elementi di fatto asseritamente pretermessi da parte della Corte di assise di appello, peraltro, non assumono valenza decisiva, in quanto sono confutati dai rilievi congruamente operati nella sentenza impugnata, come indicato nella disamina del successivo motivo di ricorso.
Con il secondo motivo il difensore ha dedotto la violazione dell’art. 270bis cod. pen., in quanto la Corte di appello non ha osservato i principi di diritto affermati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di partecipazione ad associazione terroristica.
5. Il motivo è infondato.
5.1. La Quinta sezione penale di questa Corte, nella sentenza n. 18732 del 2022, relativa proprio al ricorso presentato da COGNOME in sede cautelare, ha rilevato che «il delitto di cui all’art. 270bis cod. pen. è correlato all’esistenza di una struttura organizzata di carattere anche solo ‘rudimentale’, purché con grado di effettività tale da rendere possibile l’attuazione del programma criminoso, e da una condotta di adesione ideologica connotata da serietà dei propositi criminali terroristici, senza che sia necessario, dunque, data la natura di reato di pericolo
presunto, che si abbia l’inizio della materiale esecuzione del programma criminale (Sez. 2, n. 14704 del 22/4/2020, Bekaj, Rv. 279408; Sez. 2, n. 24994 del 25/5/2006, Bouhrama, Rv. 234345), né che ricorra la predisposizione di un programma di azioni terroristiche definite (Sez. 5, n. 2651 del 8/10/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 265924; Sez. 6, n. 25863 del 8/5/2009, COGNOME, Rv. 244367)».
La giurisprudenza di questa Corte, quanto al grado di organizzazione dell’associazione di cui all’art. 270bis cod. pen., con orientamento ormai consolidato, ritiene sufficienti anche compagini «rudimentali» (cfr. anche Sez. 1, n. 34989 del 10/7/ 2007, COGNOME, Rv. 237630) e rileva come, frequentemente, i sodalizi con finalità terroristica abbiano una struttura ‘fluida’ e ‘a rete’, essendo caratterizzati da «cellule territoriali» che operano talvolta in totale autonomia rispetto ad altri gruppi, con i quali pure condividono la medesima ideologia e il medesimo generico programma criminoso, con contatti reciproci fisici, telefonici o informatici anche meramente discontinui e sporadici (Sez. 6, n. 46308 del 12/7/2012, COGNOME, Rv. 253944).
Quanto, in particolare, alle cellule periferiche dell’Isis, la giurisprudenza di legittimità non ritiene necessario che le stesse sviluppino le caratteristiche proprie della struttura centrale attraverso la predisposizione di un preciso piano di attentati terroristici, in quanto è l’Isis – la cui natura terroristica è ampiamente riconosciuta da una pluralità di fonti internazionali – la struttura criminale in relazione alla quale devono valutarsi i caratteri organizzativi e la consistenza del programma alla cui attuazione i sodali, singolarmente o in gruppo, si propongono di prestare ausilio sulla base di una condivisione degli scopi (Sez. 2, n. 14704 del 22/04/2020, Bekaj, Rv. 279408).
5.2. La Corte di appello, non discostandosi da questi principi di diritto, ha fatto riferimento alla nota della Digos relative all’attivismo della realtà terroristica denominata ‘Leoni dei Balcani’ – cellula periferica dell’Isis – operante tra il Kosovo, l’Albania, la Macedonia con diramazioni in Austria, Germania e Svizzera, cui è attribuibile l’attentato (che ha cagionato la morte di quattro persone e il ferimento di altre ventitré) posto in essere a Vienna il 2 novembre 2020, da parte di COGNOME COGNOME giovane di origini macedoni, nominato soldato dal Califfato.
La Corte di assise di appello, richiamando queste risultanze probatorie, ha congruamente rilevato che ‘I Leoni dei Balcani’ sono «un gruppo composto di elementi originari, a vario titolo, dalle ragioni balcaniche» che rappresenta «una cellula periferica dell’ISIS, che ha dimostrato una concreta operatività criminale …di matrice terroristica», rivendicate dall’ISIS stessa e, dunque, non illogicamente ha ricondotto questa associazione criminale alla fattispecie di reato di cui all’art. 270bis cod. pen.
5.3. Parimenti la Corte di assise di appello di Milano ha fatto corretta
applicazione del principio di diritto enunciato dalla sentenza rescindente e della costante interpretazione della giurisprudenza di legittimità in ordine alla consistenza delle condotte di partecipazione alle associazioni con finalità di terrorismo anche internazionale o di eversione dell’ordinamento democratico.
La giurisprudenza di legittimità ha, infatti, rilevato che in tema di associazione internazionale con finalità di terrorismo, la partecipazione all’Isis o ad analoghe organizzazioni di matrice jihadista , che propongono una formula di adesione ‘aperta’, richiede non solo la volontà del soggetto di aderire e dare il proprio concreto supporto alla realizzazione degli obiettivi del sodalizio, ma anche la consapevolezza, sia pur mediata o indiretta, di tale adesione da parte del gruppo (Sez. 6, n. 5471 del 17/11/2020, dep. 2021, COGNOME, Rv. 280835 – 01).
La partecipazione all’Isis o, comunque, ad analoghe associazioni internazionali di matrice islamica che propongono una formula di adesione ‘aperta’, può essere desunta, dai propositi di partire per combattere gli ‘infedeli’, dalla dichiarata vocazione al martirio e dall’opera di indottrinamento, a condizione che l’azione del singolo si innesti nella struttura organizzata, cioè che esista un contatto operativo, un legame, anche flebile, ma concreto tra il singolo e l’organizzazione che, in tal modo, abbia consapevolezza, anche indiretta, dell’adesione da parte del soggetto agente (Sez. 6, n. 40348 del 23/02/2018; COGNOME, Rv. 274217 – 01; Sez. 6, n. 14503 del 19/12/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 272730 – 01).
La prova della partecipazione ad associazione internazionale con finalità di terrorismo per il tramite di un gruppo operante sul territorio nazionale, non può, dunque, prescindere da un contatto diretto, reale e non putativo, tra la cellula locale, radicata sul territorio dello Stato italiano, e il gruppo ‘madre’ (Sez. 6, n. 40348 del 23/02/2018; COGNOME, Rv. 274217 – 02, fattispecie di adesione ad associazione terroristica collegata all’organizzazione internazionale denominata Isis; Sez. 6, n. 14503 del 19/12/2017, dep. 2018, Messaudi, Rv. 272730 – 01-).
5.4. I giudici di appello hanno rilevato che l’analisi del contenuto del telefono cellulare dell’imputata ha consentito di accertare l’esistenza di numerosi messaggi, molti dei quali cancellati, e di materiale video relativo anche ad azioni terroristiche e ad attività di addestramento, nonché l’utilizzo dei più diffusi social media, sia per inneggiare all’attività terroristica dell’associazione, sia per tenere contatti, anche per conto del marito e al fine di ottenere informazioni su indagini di polizia.
La ricorrente ha svolto il ruolo di coamministratrice del Canale Telegram ‘RAGIONE_SOCIALE credo’ e del profilo social Pinterest, con sottocartella ‘Jhad per la causa di Allah’, riportante numerosi file (foto e video) dai contenuti di palese natura jihadista, dedicati all’ISIS, pubblici e, pertanto, visibili da qualunque altro utente.
Sul punto, la sentenza impugnata sottolinea che i ‘Canali’, tra cui appunto il Canale Telegram in questione, sono chat a cui possono partecipare un numero
illimitato di utenti che si differenziano dai gruppi, in quanto i ‘Canali’ sono un mezzo di comunicazione unidirezionale: soltanto il coamministratore del canale può introdurre contenuti e inviare messaggi mentre gli altri scritti possono solo ricevere senza fornire contributi (pagg. 23, 30 e 31 della sentenza impugnata).
La ricorrente non ha solo diffuso i proclami e i discorsi dei personaggi maggiormente influenti del Califfato, ma anche ha svolto una funzione di proselitismo per la causa dell’Islam radicale nei confronti di ragazze kosovare, anche minorenni, ha promesso di finanziare la fuga delle ‘sorelle’, congiunte e mogli di combattenti Isis, ristrette nel campo di detenzione di Raqqa, ha facilitato i contatti tra il marito NOME COGNOME, che vive nella città tedesca di Osnabruck, con altri membri dei Leoni dei Balcani che risiedono in Germania, e ha intrattenere rapporti diretti, sempre via chat , con le mogli di detenuti per fatti di terrorismo.
La Corte di assise di appello di Milano ha, dunque, logicamente rilevato che l’imputata, lungi dal limitarsi ad una mera adesione ideologica all’ISIS, ha svolto non soltanto attività di indottrinamento e proselitismo, circostanza questa nemmeno contestata dalla difesa, ma ha rivestito il ruolo, ben più penetrante, di punto di raccordo e di intermediaria tra i componenti dei ‘Leoni dei Balcani’ e i militanti dell’ISIS, alcuni anche detenuti per questo titolo.
5.5. La Corte di appello di Milano ha, da ultimo, fatto corretta applicazione dei principi di diritto enunciati dalla sentenza rescindente in ordine al tema della c.d. ‘notorietà bilaterale’ tra associazione ed associato, in quanto ha motivato facendo riferimento alle risultanze non già delle c.d. fonti aperte, ma degli atti trasmessi dall’autorità giudiziaria tedesca in seguito all’emissione di ordine europeo di indagine.
L’imputata è, infatti, risultata in contatto con il marito NOME COGNOME e il suo gruppo stretto di amici, NOME COGNOME e NOME COGNOME tutti e tre risultati collegati ad ambienti del radicalismo islamico e a NOME COGNOME autore dell’attentato terroristico rivendicato dall’ISIS compiuto a Vienna il 2 novembre 2020.
Dalle risultanze dell’ordine europeo di indagine rivolto all’autorità giudiziaria tedesca è, inoltre, risultato che NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME sono stati ospiti a Vienna di Fejzullai Kujtim nell’estate precedente all’attentato (pag. 24-25 della sentenza impugnata).
COGNOME è, inoltre, risultata in contatto con tale NOME, moglie di NOME COGNOME, controllato e perquisito a Vienna nello stesso periodo in cui in città hanno soggiornato Veliqi COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME e con essi condivideva una chat , riportante anche foto di gruppo; COGNOME nell’aprile del 2017 ha tentato di unirsi a milizie radicali islamiche, attività per la quale ha subito una condanna a diciannove mesi di reclusione.
L’imputata ha, inoltre, avuto contatti con tale NOME, moglie di NOMECOGNOME
militante dell’ISIS, arrestato a Venezia il 30 marzo 2017, insieme ad altri tre cittadini kosovari, in esecuzione di misura cautelare per reati di terrorismo nel procedimento n. 1806/2017 della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Venezia, e condannato per questo alla pena di cinque anni di reclusione (pagg. 28 e 29 della sentenza impugnata).
La ricorrente ha intrattenuto contatti con NOME, moglie di NOME COGNOME, e con NOME, moglie di NOME COGNOME; NOME COGNOME e COGNOME sono stati arrestati in data 11 ottobre 2021 dalla Polizia kosovara (accusati per detenzione di armi da fuoco, armi anticarro, droni ed esplosivi e indicati come appartenenti al gruppo islamista dell’area radicale salafita nei Balcani denominata ‘Leoni dei Balcani’), mentre erano in procinto di effettuare un attentato terroristico in occasione delle elezioni amministrative in Kosovo previste per il successivo 17 ottobre 2021, come risulta dalla informativa della direzione antiterrorismo della Polizia kosovara per il tramite della Direzione Centrale della Polizia di Prevenzione italiana (pagg. 29 e 30 della sentenza impugnata).
La Corte di appello ha, inoltre, dato atto dei rapporti della ricorrente con i familiari di NOME e NOME, predicatori islamici di nazionalità albanese, che hanno ispirato per lungo tempo il reclutamento di volontari per la guerra condotta in Siria dall’ISIS, e delle indicazioni ricevute dal marito NOME COGNOME circa il contenuto dei messaggi e dei colloqui con le predette NOME e NOME.
La Corte di assise d’appello di Milano ha, peraltro, espressamente citato l’avvenuto deposito negli atti del presente processo delle sentenze di condanna pronunciate dal Tribunale di Tirana nei confronti di NOME COGNOME e NOME COGNOME per il compimento di atti con fine terroristico.
5.6. L’affermazione della partecipazione della ricorrente all’associazione terroristica dell’ISIS, dunque, si sottrae al sindacato di legittimità, in quanto è stata motivata dai giudici di appello logicamente e con puntuale riferimento alle risultanze istruttorie.
Con il terzo motivo il difensore ha eccepito l’inosservanza dell’art. 62 bis cod. pen. e ha censurato la manifesta illogicità della motivazione relativa al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
7. Il motivo è infondato.
La decisione sulla concessione o sul diniego delle attenuanti generiche è, infatti, rimessa alla discrezionalità del giudice di merito, che nell’esercizio del relativo potere agisce con insindacabile apprezzamento, sottratto al controllo di legittimità, a meno che non sia viziato da errori logico-giuridici.
Per principio di diritto assolutamente consolidato ai fini dell’assolvimento
dell’obbligo della motivazione in ordine al diniego della concessione delle attenuanti generiche, il giudice non è tenuto a prendere in considerazione tutti gli elementi prospettati dall’imputato, essendo sufficiente che egli spieghi e giustifichi l’uso del potere discrezionale conferitogli dalla legge con l’indicazione delle ragioni ostative alla concessione e delle circostanze ritenute di preponderante rilievo ( ex plurimis : Sez. 3, n. 28535 del 19/3/2014, Lule, Rv. 259899; Sez. 6, n. 34364 del 16/6/2010, COGNOME ed altri, Rv. 248244).
Tale obbligo, peraltro, nel caso di specie è stato pienamente assolto, in quanto la Corte di appello ha non illogicamente motivato il diniego delle attenuanti generiche, in ragione della rilevante intensità del dolo e della particolare offensività della condotta qualificata come grave e reiterata.
Alla stregua di tali rilievi, il ricorso deve essere rigettato.
La ricorrente deve, pertanto, essere condannata, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 14 gennaio 2025.
Il Consigliere estensore
Il Presidente NOME COGNOME
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