Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 13797 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 13797 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 21/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a Sant’Egidio del Monte Albino il 17/07/1966;
avverso la sentenza della Corte di appello di Salerno dell’11/06/2024;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udita la requisitoria del Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso;
sentito l’avv. NOME COGNOME il quale ha insistito per l’accoglimento del ricorso con l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza pronunciata (all’esito del rito abbreviato) dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Salerno, per quanto di interesse in questa sede, NOME COGNOME veniva riconosciuto responsabile dei delitti di partecipazione ad associazione di stampo mafioso, concorso in tentate estorsioni aggravate anche dal metodo mafioso (capi 1, 2, 4, 20 e 21 della rubrica), uniti sotto il vincolo della continuazione, e previa riduzione per il rito prescelto veniva condannato alla pena di anni otto, mesi cinque e giorni dieci di reclusione, oltre alle pene accessorie di legge.
capi 2, 4,20 e 21 della rubrica (estorsioni e tentate estorsione aggravate anche dal metodo mafioso).
1.2. La Corte di appello di Salerno, chiamata a decidere – tra l’altro – del gravame interposto da NOME COGNOME ha confermato la decisione di primo grado riformandola unicamente mediante il riconoscimento delle attenuanti generiche in favore dell’imputato (ritenute equivalenti rispetto alla contestata aggravante prevista dall’art. 416-bis cod. pen. trattandosi di associazione armata) con la conseguente riduzione della pena ad anni sette, mesi uno e giorni dieci di reclusione, confermando per il resto la sentenza del Giudice per le indagini preliminari, avendo ritenuto infondate tutte le censure dall’appellante in punto di responsabilità per i delitti contestati nonché di qualificazione giuridica dei medesimi.
Avverso tale sentenza NOME COGNOME per mezzo dell’avv. NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un unico ed articolato motivo, di seguito riprodotto nei limiti di cui all’art. 173 disp. att. cod. proc. pen insistendo per il suo annullamento.
2.1. Egli lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., l’inosservanza ed erronea applicazione della legge penale e, in particolare, dell’art. 416-bis cod. pen. ed il vizio di motivazione mancante, contraddittoria o manifestamente illogica rispetto alla conferma della sua partecipazione al sodalizio di cui sopra. Al riguardo evidenzia che la Corte di appello sarebbe giunta a tale conclusione unicamente sulla base di una precedente condanna per fatti analoghi risalenti all’anno 2000 (quindi circa venti anni prima di quelli oggetto del presente procedimento) e senza la prova che egli partecipasse alla divisione dei proventi del clan e che conoscesse le attività del medesimo sodalizio; inoltre, dalla sentenza impugnata sarebbe emerso che, in ogni caso, egli partecipava alle sole fasi preparative dei reati fine e non anche alla loro esecuzione.
2.2. Il ricorrente deduce poi che mancherebbero riscontri circa il fatto che egli avesse messo a disposizione i locali della propria società di pulizie per gli incontri del clan e che fosse a conoscenza delle ragioni per le quali NOME COGNOME aveva utilizzato l’autovettura Smart intestata al figlio dell’imputato ed in uso a quest’ultimo. In sostanza, secondo il Trapani, l’aiuto da lui fornito al COGNOME era dovuto unicamente alle difficoltà economiche in cui l’imputato si trovava all’epoca
dei fatti; con riferimento alle estorsioni e tentate estorsioni (capi 2, 4, 20 e 21 della rubrica) il ricorrente sostiene l’assoluta mancanza di elementi a suo carico desumibili dalle intercettazioni e che, pertanto, avrebbe dovuto senz’altro essere assolto da tali accuse, tenuto anche conto che alcune delle sue dichiarazioni (oggetto di intercettazioni) ritenute autoaccusatorie erano, in realtà, soltanto millanterie.
2.3. Da ultimo il ricorrente censura la decisione impugnata anche con riferimento al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche in misura prevalente rispetto all’ aggravante contestata visto che egli rivestiva, comunque, una posizione marginale all’interno del sodalizio, come evidenziato anche dal Giudice per le indagini preliminari.
Il sostituto Procuratore generale NOME COGNOME ha depositato memoria con la quale ha concluso per il rigetto del ricorso.
Infine, all’esito della discussione, le parti hanno concluso nei termini sopra riportati.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso (le cui censure sono in parte inammissibili ed in parte infondate) deve essere, nel complesso, respinto.
Anzitutto deve ricordarsi che, secondo il costante insegnamento di questa Corte, in sede di legittimità non è consentita una ‘rilettura’ degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (per tutte: Sez. Un., 30/04- 02/07/1997, n. 6402, COGNOME, Rv. 207944; Sez. 4, n. 4842 del 02/12/2003, dep. 2004, Elia, Rv. 229369). Da ciò consegue che sono inammissibili i motivi che tendono ad ottenere una ulteriore rivalutazione dei fatti mediante criteri di giudizio diversi da quelli adottati dal giudice di merito, nel caso in cui questi, con motivazione esente da vizi logici e giuridici, abbia esplicitato le ragioni del suo convincimento.
2.1. Le modifiche, introdotte con la legge n.46 del 20 febbraio 2006, che hanno riconosciuto la possibilità di deduzione del vizio di motivazione anche con il riferimento ad atti processuali specificamente indicati nei motivi di
impugnazione, non ha infatti mutato la natura del giudizio di cassazione, che rimane pur sempre un giudizio di legittimità, di talché gli atti eventualmente indicati, che devono essere specificamente allegati per soddisfare il requisito di autosufficienza del ricorso, devono contenere elementi processualmente acquisiti, di natura certa ed obiettivamente incontrovertibili, che possano essere considerati decisivi in rapporto esclusivo alla motivazione del provvedimento impugnato e nell’ambito di una valutazione unitaria, e devono pertanto essere tali da inficiare la struttura logica del provvedimento stesso. È quindi preclusa la possibilità di una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura, sia pure anch’essa logica, dei dati processuali o una diversa ricostruzione storica dei fatti o un diverso giudizio di rilevanza o attendibilità delle fonti di prova. La modifica dell’art. 606 lett. e) cod. proc. pen., per effetto della legge n. 46 del 2006, non consente alla Corte di cassazione di sovrapporre la propria valutazione a quella già effettuata dai giudici di merito mentre comporta che la rispondenza delle dette valutazioni alle acquisizioni processuali può essere dedotta nella specie del cosiddetto travisamento della prova, a condizione che siano indicati in maniera specifica e puntuale gli atti rilevanti e sempre che la contraddittorietà della motivazione rispetto ad essi sia percepibile ‘ictu ocu/P, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato ai rilievi di macroscopica evidenza, senza che siano apprezzabili le minime incongruenze. (Sez. 4, n. 20245 del 28/04/2006, Francia, Rv. 234099)
2.2. Devono, pertanto, ritenersi inammissibili anche i ricorsi fondati su motivi che ripropongono le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerarsi non specifici. La mancanza di specificità del motivo, invero, deve essere apprezzata non solo per la sua genericità, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità conducente, a mente dell’art. 591 comma 1 lett. c), all’inammissibilità (Sez. 4, n. 5191 del 29/03/2000, Barone, Rv. 216473; Sez. 1, n. 39598 del 30/09/2004, COGNOME, Rv. 230634; Sez. 4, n. 34270 del 03/07/2007, COGNOME, Rv. 236945; Sez. 3, n. 35492 del 06/07/2007, COGNOME, Rv. 237596).
2.3. È costante, infatti, l’insegnamento di questa Corte per cui il sindacato sulla motivazione del provvedimento impugnato va compiuto attraverso l’analisi dello sviluppo motivazionale espresso nell’atto e della sua interna coerenza logico-giuridica, non essendo possibile compiere in sede di legittimità «nuove» attribuzioni di significato o realizzare una diversa lettura dei medesimi dati dimostrativi e ciò anche nei casi in cui si ritenga preferibile una diversa lettura, maggiormente esplicativa (si veda, ex multis, Sez. 6, n. 11194 dell’ 08/03/2012, Lupo, Rv. 252178). Così come va ribadito che l’illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu ocu/i, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (Sez. U., n. 24 del 24/11/1999 Rv. 214794; Sez. U., n. 47289 del 24/09/2003 Rv. 226074).
2.4. Deve poi ricordarsi che, in tema di motivi di ricorso per cassazione, il vizio di travisamento della prova, desumibile dal testo del provvedimento impugnato o da altri atti del processo specificamente indicati dal ricorrente, è ravvisabile ed efficace solo se l’errore accertato sia idoneo a disarticolare l’intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa dell’elemento frainteso o ignorato, fermi restando il limite del devolutum in caso di cosiddetta “doppia conforme” (come verificatosi nel caso in esame, fatta eccezione per il riconoscimento delle attenuanti generiche) e l’intangibilità della valutazione nel merito del risultato probatorio (ex multis: Sez. 5, n. 48050 del 02/07/2019, Rv. 277758).
2.5. Infine, non va dimenticato che, ai fini del controllo di legittimità sul vizi di motivazione, ricorre la cd. “doppia conforme” quando la sentenza di appello, nella sua struttura argomentativa, si salda con quella di primo grado sia attraverso ripetuti richiami a quest’ultima sia adottando gli stessi criteri utilizza nella valutazione delle prove, con la conseguenza che le due sentenze possono essere lette congiuntamente costituendo un unico complessivo corpo decisionale (Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, Rv. 277218 – 01). 1
Venendo, quindi, all’esame delle censure sollevate dal ricorrente, deve anzitutto ricordarsi che, in tema di associazione per delinquere di stampo mafioso, la costituzione di un gruppo formalmente nuovo all’interno di un territorio già controllato da cosche mafiose non vale ad escludere la configurabilità del reato, allorché il nuovo sodalizio -come avvenuto nel caso di specie – riproduca struttura e finalità criminali del “clan” storico, realizzi la stessa tipologia di reati, sfruttando la notorietà del primo per mantenere lo stato di assoggettamento intimidatorio nella popolazione del territorio di pertinenza, in modo da far percepire una sorta di continuità tra le azioni del gruppo originario e le proprie (Sez. 2, n. 20926 del 13/05/2020, Rv. 279477).
3.1 Al riguardo deve, poi, ricordarsi che il giudizio di intraneità ad un’associazione mafiosa non presuppone, sul piano indiziario, necessariamente la sussistenza di elementi a conferma di condotte di reato integrate all’interno del programma associativo e, dunque, di specifici atti esecutivi della condotta criminosa programmata. L’illecito addebitato a colui che sia indicato in tesi accusatoria quale associato mafioso non consiste, infatti, nell’aver tenuto uno specifico comportamento, nell’aver mantenuto determinate relazioni personali, nell’avere tenuto azioni riprovevoli, ma richiede, sul terreno soggettivo, la sussistenza della c.d. ‘affectio societatis ‘, ossia la consapevolezza e volontà del singolo di far parte stabilmente del gruppo criminoso con piena condivisione dei fini perseguiti e dei metodi utilizzati; sul piano oggettivo, il «fattivo inserimento nell’organizzazione criminale, attraverso la ricostruzione – sia pure per indizi – di un «ruolo» svolto dall’agente o comunque di singole condotte che – per la loro particolare capacità dimostrativa – possano essere ritenute quali «indici rivelatori» dell’avvenuto inserimento nella realtà dinamica ed organizzativa del gruppo, del prendere parte al fenomeno associativo, rimanendo a disposizione dell’ente per il perseguimento dei comuni fini criminosi” (S.U., n. 33748 del 12/07/2005, COGNOME, Rv. 231670). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
3.2. Pertanto, in mancanza GLYPH di prove direttamente rappresentative dell’ingresso del singolo nella compagine criminosa, le Sezioni Unite di questa Corte hanno chiarito che la dimostrazione della partecipazione possa essere legittimamente desunta da indicatori fattuali dai quali, sulla base di attendibili regole di esperienza, tratte dalla realtà già riscontrata e dalle modalità di
funzionamento dello specifico fenomeno criminoso, possa logicamente inferirsi l’appartenenza quale stabile inserimento dell’associato nella configurazione organizzativa del sodalizio. Tale indirizzo giurisprudenziale è stato confermato da altre sentenze, con le quali è stato ribadito che il giudizio di intraneità ben può riposare su significativi “facta concludentia” in grado di dimostrare, fuori da automatismi probatori, il fatto del vincolo associativo che lega il partecipe alla compagine, l’adesione al “pactum sceleris”, la volontà individuale di appartenenza e quella del gruppo di annoverare e riconoscere il singolo tra i suoi esponenti. (Sez. 1, n. 55359 del 17/06/2016, P.G. in proc. COGNOME e altri, Rv. 269040).
3.3. Alla luce di tali principi la sentenza impugnata non appare censurabile nella parte in cui ha confermato – sulla base degli atti acquisiti (pienamente utilizzabili sulla base del rito prescelto) – il giudizio di responsabilità dell’odier ricorrente per il reato associativo (capo 1 della rubrica), nonché per le estorsioni e le tentate estorsioni (capi 2, 4, 20 e 21).
Invero, la Corte territoriale, con motivazione adeguata ed esente da evidenti vizi logici, ha ritenuto dimostrato (in forza delle intercettazioni, dei servizi di o.p. svolti dalla polizia giudiziaria e delle dichiarazioni rese da NOME Salvatore COGNOME dopo il suo arresto) che il sodalizio camorristico (già diretto da NOME COGNOME) aveva iniziato ad operare sotto il comando del COGNOME a partire dal febbraio del 2018, quando quest’ultimo aveva fatto rientro dalla Sardegna e che, in tale occasione, egli era stato prelevato a Napoli da NOME COGNOME e da NOME COGNOME. In particolare, il sodalizio aveva proseguito a svolgere le stesse attività illecite che avevano contrassegnato l’operato del gruppo in precedenza e, principalmente, le estorsioni in danno di imprenditori e commercianti della zona.
3.4. Con specifico riferimento alla posizione dell’odierno ricorrente la Corte di appello ha dato risalto allo stabile inserimento del Trapani nel sodalizio (escludendo il cd. ‘concorso esterno’) desumendolo, in modo non contraddittorio, dalla messa a disposizione, da parte sua, dei locali della società di pulizie per gli incontri dei sodali, come anche della consegna della autovettura Smart (a lui in uso ed intestata al figlio) a NOME COGNOME per la effettuazione degli attentati di carattere estorsivo. In particolare, dalle intercettazioni ambientali e dalle immagini tratte dagli impianti di videosorveglianza esistenti sui luoghi dei fatti, è
stato appurato che l’imputato – assieme al COGNOME – aveva provveduto alla rimozione delle targhe all’autovettura in questione per impedirne il riconoscimento, a conferma della sua conoscenza del successivo utilizzo della stessa per le attività illecite in contestazione da parte del sodale (al quale aveva consegnato anche le chiavi del cancello della propria abitazione per consentirgli di riportare l’auto dopo gli attentati); ne consegue che la mancata partecipazione alla fase esecutiva da parte del Trapani non fa venire meno la sua responsabilità come concorrente nelle estorsioni (vedi, in fattispecie assimilabile alla presente, Sez. 1, n. 6223 del 05/12/2023, dep. 2024, Rv. 285785 – 01). Un ulteriore elemento a conferma della partecipazione dell’odierno ricorrente è stato tratto, senza apparente illogicità, dalla sua condanna irrevocabile per detenzione di armi e favoreggiamento reale (risalente all’anno 2000) riconducibili proprio al clan ‘Zi Maist’ (di cui l’associazione oggetto del presente procedimento costituisce la prosecuzione), armi utilizzate per commettere l’omicidio di NOME COGNOME
Lo stretto legame esistente tra NOME COGNOME ed il Trapani (e l’inserimento di quest’ultimo del sodalizio) è stato poi confermato anche dal COGNOME nel corso dei suoi interrogatori, nonché dall’episodio estorsivo ai danni di NOME COGNOME (capi 20 e 21) nel corso dei quali il COGNOME era intervenuto con pesanti minacce ai danni della vittima per costringerla a pagare quanto rivendicato dal ricorrente a titolo personale.
3.5. Manifestamente infondate risultano poi le censure con le quali si sostiene che l’associazione non sarebbe di natura mafiosa, poiché l’imputato non si confronta in modo specifico con le argomentazioni svolte dalla Corte territoriale per confermare la sussistenza dell’art. 416-bis cod. pen. e, in particolare, della forza intimidatrice diretta al controllo del territorio (anche mediante l’uso di armi e di esplosivi) e delle attività commerciali ed imprenditoriali esistenti nella zona di riferimento.
3.6. Con riferimento, infine, al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche in misura prevalente rispetto alla aggravante contestata, la sentenza impugnata ha esaurientemente motivato in ordine al giudizio di equivalenza per la carica violenta dell’associazione di cui l’imputato ha fatto parte, per la platealità e pericolosità degli atti intimidatori compiuti e per lo sfruttamento – da parte dell’imputato – per fini personali della carica criminale di NOME COGNOME
nella vicenda estorsiva ai danni di NOME COGNOME e tali argomentazioni costituiscono la ragione, e segnano al tempo stesso il limite, di siffatto
riconoscimento, in una materia (il giudizio di comparazione tra circostanze) che involge l’esercizio di valutazioni discrezionali tipicamente di merito, che, per
pacifico indirizzo (Sez. U, n. 10713 del 25/02/2010, COGNOME, Rv. 245931-01;
Sez. 2, n. 31543 del 08/06/2017, COGNOME, Rv. 270450-01), sfuggono al sindacato di legittimità qualora non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico
e siano sorrette, come nella specie, da sufficiente complessiva illustrazione.
4. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ai sensi dell’art. 616 del codice di rito.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 21 marzo 2025.