Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 37787 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 37787 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 26/09/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a PALERMO il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 04/03/2025 del TRIB. LIBERTA’ di PALERMO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; sentite le conclusioni del PG NOME COGNOME
Su accordo delle parti si dà per esposta la relazione. Il Sostituto Procuratore Generale discute i motivi di ricorso e conclude per il rigetto dello stesso.
udito il difensore:
L’avvocato NOME COGNOME discute i motivi di ricorso ed insiste per raccoglimento del medesimo.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 4 marzo 2025, il Tribunale di Palermo – Sezione per il RAGIONE_SOCIALE ha rigettato l’istanza proposta, ex art. 309 del codice di rito, nell’interesse di NOME COGNOME avverso il provvedimento applicativo della misura della custodia cautelare in carcere, reso dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Palermo in data 6 febbraio 2025, in relazione alla provvisoria imputazione del reato di partecipazione all’associazione mafiosa, come specificato ai capi 1-1.3 della rubrica.
Avverso l’ordinanza, ha proposto ricorso per cassazione l’indagato, per il tramite del proprio difensore, AVV_NOTAIO, affidando le proprie censure ai motivi di seguito enunciati nei limiti richiesti dall’art. 173 disp. att. cod. proc pen.
2.1. Con il primo motivo, si duole di violazione di legge e vizio di motivazione, in relazione alla valutazione dei gravi indizi di colpevolezza del reato di partecipazione all’associazione mafiosa, come specificato ai capi 1) e 3) della rubrica, ritenuti sussistenti sulla mera base di precedenti penali del COGNOME, peraltro molto risalenti. I giudici del RAGIONE_SOCIALE non hanno considerato, inoltre, che la pretesa partecipazione al delitto di cui all’art. 416-bis cod. pen. è stata smentita da una sentenza di condanna per concorso esterno in associazione mafiosa, e non per partecipazione, in relazione a fatti risalenti agli anni Novanta.
In particolare, la difesa contesta 1) il valore indiziario attribuito dal Tribunale ai tre incontri dell’indagato con NOME COGNOME, posto che i contenuti delle conversazioni sono rimasti ignoti e imprecisate le modalità di svolgimento degli incontri stessi. Inadeguato, secondo la difesa, a corroborare il quadro indiziario dell’asserita partecipazione, è il richiamo a massime d’esperienza; 2) l’ipotizzato inserimento dell’indagato nel settore delle estorsioni -che il Tribunale fa derivare dalla sentenza di condanna e da un’intercettazione tra COGNOME e COGNOME– è contraddetto dalla mancata formulazione di un autonomo capo d’imputazione provvisoria, ciò che dimostra la fragilità del quadro indiziario; 3) medesime considerazioni critiche sono rivolte alla motivazione, nel punto in cui si desume la partecipazione del COGNOME a condotte estorsive nella vicenda cd. della Gallinella (p. 10 ordinanza impugnata), rispetto alla quale neppure è delineato il ruolo individuale o nell’interesse della consorteria- del ricorrente; 4) la pretesa imposizione, da parte del capo della famiglia mafiosa di Borgo Molara (NOME COGNOME), dell’impresa del RAGIONE_SOCIALE per la realizzazione di opere edilizie. La pretesa vicinanza del ricorrente al COGNOME è stata ritenuta, con motivazione apodittica, indizio di vicinanza del ricorrente alla famiglia mafiosa di COGNOME,
senza riguardo alcuno per la giurisprudenza di legittimità, alla luce della quale la mera vicinanza o disponibilità con personaggi di spicco del sodalizio mafioso non costituisce, di per sé, elemento idoneo a configurare la partecipazione all’organizzazione; 5) medesimi rilievi critici sono espressi in relazione all’asserita attività d’imposizione della propria azienda, alla connessa attività estorsiva e di monopolio nell’ambito dei lavori effettuati presso l’ospedale Policlinico di Palermo. A tal riguardo, la motivazione non evidenzia alcun valido indizio che ricolleghi la posizione del ricorrente a quella del genero, NOME COGNOME, condanNOME per estorsione per i lavori all’interno del Policlinico. A tal fine, né le dichiarazioni del collaboratore NOME COGNOME né le intercettazioni (tra i COGNOME), valorizzate dal Tribunale senza peraltro tener conto dei profili di contraddittorietà tra le une e le altre, valgono a corroborare l’assunto accusatorio. In tal senso, la difesa lamenta violazione dei principi giurisprudenziali in tema di art. 192, comma 3, del codice di rito, sia pure nell’attenuata logica cautelare della probatio minor. In maniera contraddittoria, infine, il Tribunale, dopo aver evidenziato condotte indicative della partecipazione e, quindi dell’affectio societatis, sottolinea che il ricorrente agiva in spregio delle direttive impartite dall’anziano capo mafia NOME COGNOME. Il medesimo vizio logico ricorre con riferimento all’episodio, impropriamente valorizzato dal Tribunale, della realizzazione di un autosalone nel territorio di COGNOME, e dei rapporti col reggente del mandamento, NOME COGNOME.
2.2 Col secondo motivo, si deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione ai requisiti di attualità e concretezza del pericolo di reiterazione del reato, atteso che la motivazione non considera i quattro anni trascorsi tra le condotte contestate (2021) e l’adozione della misura cautelare.
2.3 Col terzo motivo, si duole di violazione di legge, in relazione all’art. 275, comma 4, cod. proc. pen., e vizio di omessa motivazione circa l’eccezionale rilevanza delle esigenze cautelari nei confronti di un soggetto ultrasettantenne. Le rappresentate circostanze evidenziate in ordinanza, tutte risalenti all’anno 2021, non assumono decisività alcuna ai fini delle ritenute concretezza e attualità del pericolo di reiterazione del reato.
All’udienza si è svolta trattazione orale del ricorso. Il Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME, riportandosi alla requisitoria scritta, già in atti, ha chiesto il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è, nel complesso, infondato per le ragioni di seguito indicate.
2. Il primo motivo è inammissibile, in quanto teso a contrastare la valutazione globale, ispirata a canoni logici (v., ex plur., Sez. 2, n. 9269 del 05/12/2012, dep. 2013, COGNOME, Rv. 254871), della gravità indiziaria fornita dal Tribunale, mediante una critica atomistica e parcellizzata degli elementi valorizzati in motivazione. A tal riguardo, gioverà premettere che, qualora sia denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di motivazione del provvedimento emesso dal tribunale del RAGIONE_SOCIALE in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, a questa Corte spetta solo il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità e ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare – ovvero ad escludere – la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato e di controllare la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie (Sez. 4, n. 26992 del 29/05/2013, Tiana, Rv. 255460; conf. Sez. U, n. 11 del 22/03/2000, Audino, Rv. 215828).
In questo quadro, il requisito della gravità degli indizi di colpevolezza non può essere ritenuto insussistente sulla base di una valutazione separata dei vari dati probatori, come suggerito dal ricorrente, dovendosi invece verificare se quei dati, coordinati ed apprezzati globalmente secondo canoni logici, assumano la valenza richiesta dall’art. 273 cod. proc. pen., risultando, in considerazione della loro natura, idonei a dimostrare il fatto se coordinati organicamente (così, Sez. 2, COGNOME, Rv. 254871, cit.). Inoltre, come ricordato in premessa dal RAGIONE_SOCIALE del RAGIONE_SOCIALE, la valutazione in parola, siccome formulata nel contesto del procedimento cautelare, non deve mirare alla certezza processuale della responsabilità del chiamato, ma a farne ritenere altamente probabile la prognosi di colpevolezza. (Sez. 1, n. 35710 del 20/09/2006, COGNOME, Rv. 234897 – 01, sulla scia di Sez. U, n. 36267 del 30/05/2006, COGNOME, Rv. 234598 – 01).
Tanto premesso sul piano generale, si osserva che la motivazione dell’ordinanza impugnata, applicando correttamente i principi di diritto richiamati, resiste a tutte le censure prospettate in ricorso, a cominciare da quella iniziale, relativa al richiamo, operato dal Tribunale, ai precedenti penali del COGNOME. A tal riguardo, si osserva che, diversamente da quanto asserito dalla difesa, non tutti i precedenti penali menzionati dal RAGIONE_SOCIALE risalgono agli anni Novanta (la condanna per tentata estorsione, aggravata ai sensi dell’art. 416-bis.1, cod. pen., risalendo, invero, al 2017); soprattutto, deve obiettarsi che, nel tessuto argonnentativo della motivazione, il percorso criminale del COGNOME funge da mera premessa di una valutazione, in cui la ritenuta contiguità del COGNOME all’associazione criminosa indagata viene piuttosto desunta “da conversazioni
intercettate e da servizi di osservazione e di controllo” (p. 5 della ordinanza impugnata), precipuamente analizzati nel corpo dell’intera ordinanza impugnata.
Neppure può condividersi l’argomento difensivo che insiste sulla condanna (nel 2003, irrevocabile il 2007) per concorso esterno, anziché per partecipazione all’associazione mafiosa: a tal riguardo, si osserva che le evidenze istruttorie analizzate dai giudici del RAGIONE_SOCIALE attengono a condotte ben più recenti – in ogni caso, secondo il capo di provvisoria imputazione, “perduranti fino a data odierna”, vale a dire fino all’il febbraio 2025, data d’emissione dell’ordinanza genetica -, oltre che distinte rispetto alle condotte per cui è intervenuta condanna, nel 2003, per concorso esterno in associazione mafiosa e per violazione dell’art. 513-bis cod. pen., in relazione alla gestione di subappalti della Pretura di Palermo.
Come risulta dal testo del gravato provvedimento, le condotte provvisoriamente ascritte all’indagato hanno riguardo, invece, al controllo di appalti di lavori edili all’interno del Policlinico di Palermo (e, più in generale, a quel che i giudici del RAGIONE_SOCIALE hanno definito nei termini di “attivismo” del COGNOME nel settore estorsivo e nel controllo del territorio). Ciò depriva di decisività l’eccezione vertente sulla condanna per concorso esterno anziché per partecipazione.
Quanto alle restanti censure, esse devono analizzarsi alla luce del consolidato orientamento giurisprudenziale in tema di associazione di tipo mafioso, secondo cui la condotta di partecipazione è riferibile a colui che si trovi in rapporto di stabile e organica compenetrazione con il tessuto organizzativo del sodalizio, tale da implicare, più che uno status di appartenenza, un ruolo dinamico e funzionale, in esplicazione del quale l’interessato “prende parte” al fenomeno associativo, rimanendo a disposizione dell’ente per il perseguimento dei comuni fini criminosi (cfr. Sez. 6, n. 12554 del 01/03/2016, Archinà, Rv. 267418). Dal che deriva, peraltro, la mancanza di decisività della doglianza circa la mancata contestazione di specifici reati-fine (sul punto, v. anche, ex plur., Sez. 5, n. 27672 del 03/06/2019, COGNOME, Rv. 276897 – 01; Sez. 2, n. 56088 del 12/10/2017, COGNOME, Rv. 271698 – 01, dove, in motivazione, si è puntualizzato che la prova della partecipazione può essere ricavata dal compimento di una o più attività significative nell’interesse dell’associazione mafiosa).
Orbene, alla luce di quanto fin qui puntualizzato, il RAGIONE_SOCIALE ritiene che, nella motivazione del gravato provvedimento, risultino adeguatamente esposte le ragioni in base alle quali è stato attribuito uno specifico valore indiziario agli elementi di volta in volta valorizzati, a iniziare dai tre documentati incontri dell’indagato con NOME COGNOME. Di quest’ultimo, il giudice del RAGIONE_SOCIALE ha puntualizzato la caratura criminale (capo della “commissione provinciale” di RAGIONE_SOCIALE e già reggente del mandamento di COGNOME, v. p. 7 dell’ordinanza impugnata). A tal proposito, deve senz’altro disattendersi la censura concernente
il rinvio, razionalmente operato in motivazione, alla massima d’esperienza (sul punto, v., ad es., Sez. 6, n. 6582 del 13/11/2012, dep. 2013, COGNOME, Rv. 254572 nonché in Sez. 2, n. 44048 del 13/10/2009, COGNOME, Rv. 245627, circa la ricorrente affermazione della necessità di scongiurare la formulazione di giudizi meramente congetturali, basati cioè su dati ipotetici, e non su massime di esperienza generalmente accettate), secondo cui, nelle logiche associative mafiose, non a chiunque è consentito approcciare direttamente e ripetutamente esponenti di vertice (quale il COGNOME, soggetto peraltro noto – come ricordato in motivazione- per la particolare cautela nel gestire i rapporti con altri affiliati), bensì, tendenzialmente, soltanto agli appartenenti all’associazione stessa (per un richiamo alle massime d’esperienza sul più specifico tema in esame, v. anche Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, COGNOME, Rv. 231671 – 01, in motivazione: «sul piano della dimensione probatoria rilevano tutti gli indicatori fattuali, dai quali, sulla base di attendibili regole di esperienza attinenti propriamente al fenomeno della criminalità di stampo mafioso, possa logicamente inferirsi il nucleo essenziale della condotta partecipativa e cioè la stabile compenetrazione del soggetto nel tessuto organizzativo del sodalizio»).
Alla luce di quanto appena precisato, diviene recessivo il dato, rimarcato dal ricorrente – e non ignorato, del resto, dal Tribunale stesso -, della mancata conoscenza dei contenuti delle conversazioni tra il ricorrente e il COGNOME. Del pari inidonee a scalfire la motivazione sono le doglianze del ricorrente in merito all’insufficienza delle argomentazioni prescelte dal RAGIONE_SOCIALE per ipotizzare l’inserimento dell’indagato nel settore delle estorsioni. Anche a tal riguardo, il motivo s’appalesa inammissibile, in quanto teso a parcellizzare il compendio indiziario, la cui gravità è stata prospettata dai giudici del RAGIONE_SOCIALE con argomentazioni logiche e conformi al dettato dell’art. 273 cod. proc. pen. In motivazione, si è infatti chiarito che, diversamente da quanto lamentato dalla difesa, il ritenuto attivismo del ricorrente nel campo delle estorsioni, lungi dal basarsi su una singola intercettazione o su una precedente condanna, è stato desunto da un insieme di indizi, che risultano logicamente e organicamente collegati l’uno all’altro. In particolare, l’intercettazione tra COGNOME e COGNOME (riguardante la gestione del settore estorsivo da parte del COGNOME all’interno della consorteria mafiosa) è stata valutata alla luce di un’ulteriore intercettazione (tra i due COGNOME) vertente su accordi di spartizione dei lavori all’interno del Policlinico.
Razionalmente, il Tribunale ha considerato il secondo esito captativo (tra i due COGNOME) confermativo del primo (tra COGNOME e COGNOME); peraltro, in entrambe le conversazioni emergeva – come puntualmente notato dai giudici del RAGIONE_SOCIALE il riconoscimento, da parte dei conversanti, del COGNOME quale componente attivo
del sodalizio, ciò che è, appunto, una delle condizioni richieste dalla giurisprudenza per affermare la sussistenza della condotta di partecipazione ad associazione di tipo mafioso (cfr. Sez. 2, Rv. 271698 – 01, cit.).
Il richiamo al già enunciato consolidato principio di diritto, in base al quale la condotta di partecipazione è riferibile a colui che si trovi in rapporto di stabile e organica compenetrazione con il tessuto organizzativo del sodalizio, tale da implicare un ruolo dinamico e funzionale nel perseguimento dei comuni fini criminosi (Sez. 6, Rv. 26741801, cit.), depriva di efficacia le ulteriori doglianze relative alla mancata indicazione del ruolo -individuale o nell’interesse della consorteria- rivestito dal ricorrente nella vicenda cd. della Gallinella. Del pari inammissibile è la doglianza circa l’asserita mancanza di validi indizi a conferma del collegamento tra la posizione del ricorrente a quella del genero, NOME COGNOME, condanNOME per estorsione per i lavori all’interno del Policlinico. A tal proposito, la difesa elude il confronto, critico ed effettivo, con la motivazione, in cui si dà conto dell’impegno profuso dal COGNOME per il sostentamento del genero, detenuto in carcere; ciò che è stato ritenuto, in coerenza coi principi giurisprudenziali, alla stregua di un indicatore affidabile della “messa a disposizione” del ricorrente per il raggiungimento degli scopi del sodalizio (Sez. U, n. 36958 del 27/05/2021, COGNOME, Rv. 281889 – 01; cfr. anche, ex multis, Sez. 1, n. 17206 del 04/03/2010, Gallo, Rv. 247050 – 01: «integra la condotta di partecipazione ad una associazione di tipo mafioso colui che volontariamente ponga in essere attività funzionali agli scopi del sodalizio ed apprezzabili come concreto e causale contributo all’esistenza e al rafforzamento dello stesso, a prescindere dai motivi che lo hanno determiNOME ad agire in tal modo»).
Del tutto infondata, infine, è la censura di vizio motivazionale, avendo il Tribunale adeguatamente chiarito come il quadro indiziario abbia portato a ritenere il ricorrente quale partecipe, da data risalente, della famiglia mafiosa COGNOME e, al contempo, quale persona agìta dall’ambizione di estendere ulteriormente la propria influenza nel settore del lavoro edile tramite pressioni di tipo estorsivo (approfittando, ad esempio, della momentanea assenza del reggente COGNOME), oltre che legata a non pochi esponenti di vertice del settore mafioso (v. p. 14 della motivazione). La censura non coglie nel segno, poiché è basata su un assunto non condivisibile, vale a dire che un’associazione mafiosa sia un’entità talmente compatta da escludere, a priori, la possibilità di crepe, tensioni o rimostranze interne. A contrario, come esemplificato nella gravata ordinanza, è ben compatibile con le dinamiche proprie dell’associazione mafiosa l’atteggiamento di chi – come il ricorrente – tenti di estendere la propria sfera d’influenza, pur dall’interno della compagine illecita. E, del resto, che il riottoso COGNOME non fosse riuscito nel suo intento (v. p. 16 della motivazione, a proposito della chat tra
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COGNOME e COGNOME: “lui non deve cambiare una virgola”) si pone a conferma del tratto tipico dell’associazione, che, mirando all’unitarietà dell’azione, tende a irregimentare i suoi membri.
Il secondo motivo è infondato, non rivestendo rilevanza decisiva l’argomento, prospettato dalla difesa, relativo al cd. tempo silente. In primo luogo, come notato correttamente in motivazione, l’arco temporale trascorso tra i fatti e il momento della decisione cautelare non è così ampio, come sembrerebbe inteso dal ricorrente, posto che una delle vicende ascritte è riferita al 2021. In secondo luogo, il dato dell’attualizzazione delle condotte – destiNOME a riflettersi logicamente sulla valutazione del pericolo attuale e concreto di reiterazione criminosa – lungi dal limitarsi al brano motivazionale sulle esigenze cautelari, pervade gran parte dell’ordinanza impugnata, fino a giungere al ragionevole superamento della presunzione di cui all’art. 275, comma 4, cod. proc. pen. (su cui, infra, sub 4). Come anticipato, l’ordinanza gravata dà, cioè, sufficientemente conto di condotte espressive di un’indomita volontà di autoaffermazione e di controllo mafioso, oltre che di pervicace dispregio delle decisioni dell’autorità giudiziaria.
Pertanto, i principi di diritto citati dal RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE (tra le altre, v. Sez. 6, n. 11735 del 25/01/2024, Tavella, Rv. 286202 – 02: «in tema di misure cautelari, pur se per i reati di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. è prevista una presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari, il tempo trascorso dai fatti contestati, alla luce della riforma di cui alla legge 16 aprile 2015, n. 47, e di un’esegesi costituzionalmente orientata della stessa presunzione, deve essere espressamente considerato dal giudice, ove si tratti di un rilevante arco temporale privo di ulteriori condotte dell’indagato sintomatiche di perdurante pericolosità, potendo lo stesso rientrare tra gli “elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari”, cui si riferisce lo stesso art. 275, comma 3, del codice di rito»; Sez. 5, n. 16434 del 21/02/2024, Tavella Rocco, Rv. 286267 – 01; Sez. 2, n. 12197 del 14/12/2022, dep. 2023, Bella, Rv. 284474 – 01) risultano correttamente applicati al caso di specie, posta l’assenza (nel tempo trascorso tra i fatti e il momento dell’adozione della decisione cautelare) di condotte di segno contrario a quelle provvisoriamente ascritte.
Il terzo motivo è infondato, avendo il RAGIONE_SOCIALE del RAGIONE_SOCIALE adeguatamente argomentato circa la sussistenza di esigenze cautelari di eccezionale rilevanza, che legittimano il mantenimento dello stato di custodia carceraria del ricorrente, persona ultrasettantenne (cfr. Sez. 1, n. 13111 del 19/02/2025, T., Rv. 287809 01: «la presunzione di cui all’art. 275, comma 4, cod. proc. pen., che esclude
l’applicabilità della custodia in carcere nei confronti di chi ha superato l’età di settanta anni, prevale su quella di sussistenza delle esigenze cautelari e di adeguatezza esclusiva della custodia in carcere di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., sicché, in tal caso, il mantenimento dello stato di custodia carceraria di ultrasettantenne presuppone la sussistenza di esigenze cautelari di eccezionale rilevanza»).
Due, in particolare, sono gli argomenti logicamente valorizzati a tal riguardo in motivazione, dove si è evidenziato, per un verso, come il COGNOME, non appena scontata la pena nel 2021, sia torNOME ad attivarsi al fine di riaffermare il proprio ruolo nella compagine mafiosa di COGNOME; d’altro verso, senza incorrere nella denunciata contraddittorietà, il giudice del RAGIONE_SOCIALE ha rimarcato l’attitudine spregiudicata del ricorrente, foriera di più intenso pericolo proprio in quanto tesa, non di rado, a ridiscutere o sovvertire regole interne alla compagine mafiosa (v. retro, sub 2). Dal che deriva la mancata idoneità delle doglianze difensive a incrinare la tenuta argomentativa della motivazione.
Per le ragioni illustrate, il RAGIONE_SOCIALE ritiene che il ricorso vada rigettato. Alla pronuncia di rigetto consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 26/09/2025.