Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 4559 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 4559 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 25/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a REGGIO CALABRIA il 06/02/1976
avverso l’ordinanza del 13/06/2024 del TRIB. LIBERTA’ di REGGIO CALABRIA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
sentite le conclusioni del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME la quale si è riportata alla requisitoria già depositata, concludendo per il rigetto del ricorso.
udito il difensore del ricorrente, Avv. NOME COGNOME il quale ha esposto i motivi di gravame, insistendo per l’accoglimento del ricorso.
Ritenuto in fatto
Con ordinanza del 13 giugno 2024, il Tribunale del riesame di Calabria ha confermato il provvedimento di applicazione della misura della custodia cautelare in carcere adottata, ai sensi dell’art. 292 cod. proc. pen., dal g.i.p. del Tribunale della medesima città nei confronti di NOME COGNOME a carico del quale sono stati ritenuti sussistenti gravi indizi di colpevolezza in relazione al delitto di cui all’art. 416 bis cod. pen. Più precisamente, secondo l’imputazione provvisoria, l’indagato, in qualità di partecipe al sodalizio e, in particolare, all’articolazione territoriale denominata “RAGIONE_SOCIALE“, concorreva 1) nella raccolta estorsiva a danno di imprenditori e nella suddivisione dei relativi proventi, oltre che nella custodia degli stessi, 2) nell’imposizione delle assunzioni di lavoratori nelle attività commerciali, 3) nella trasmissione di messaggi tra i consociati.
Avverso l’ordinanza, ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, per il tramite del proprio difensore, Avv. NOME COGNOME affidando le proprie censure a un unico motivo, di seguito enunciato nei limiti richiesti dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen., col quale si denuncia violazione di legge, in relazione all’art. 416 bis cod. pen. e 273 cod. proc. pen., nonché vizio di motivazione.
La valutazione in ordine alla gravità indiziaria è stata fondata su dichiarazioni, rese da collaboratori di giustizia (COGNOME e COGNOME), del tutto generiche, non utili a dimostrare né l’intraneità del ricorrente alla cosc atella né il concreto adoprarsi dello stesso a favore dell’associazione. Si censura anche la valutazione dei riscontri esterni a quelle dichiarazioni, avendo il Tribunale operato una lettura atomistica di elementi ritenuti erroneamente rivelatori di un ruolo dinamico del Musolino (al quale -sottolinea la difesa- non è stato attribuito alcun reato-fine) all’interno del sodalizio. Infatti, per ciascuna delle sei vicende rievocate dai giudici del riesame, si sono valorizzate intercettazioni, dalle quali non è tuttavia emerso né un ruolo attivo del ricorrente né, soprattutto, si sono specificati i compiti che l’indagato avrebbe svolto, in concreto, nelle sei vicende narrate nel provvedimento impugnato. Risultano disattesi, pertanto, i principi posti dalla giurisprudenza di questa Corte in tema di prova della condotta partecipativa all’associazione di tipo mafioso, non avendo il Tribunale indicato, in concreto, il fattivo inserimento dell’indagato e i compiti da lui svolti in quel contesto.
All’udienza si è svolta trattazione orale del ricorso, nella quale il Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME ha chiesto pronunciarsi il rigetto del ricorso, mentre la difesa ha concluso per il suo accoglimento.
Considerato in diritto
1. L’unico motivo di ricorso è generico e privo di specificità, per le ragioni di seguito illustrate.
In via preliminare, deve ricordarsi il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità in tema di impugnazione delle misure cautelari personali, secondo cui il ricorso per cassazione è ammissibile soltanto se denuncia la violazione di specifiche norme di legge, ovvero la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento secondo i canoni della logica ed i principi di diritto, ma non anche quando propone censure che riguardino la ricostruzione dei fatti ovvero si risolvano in una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (Sez. 2, n. 31553 del 17/5/2017, COGNOME, Rv. 270628; Sez. 4, n. 18795 del 2/3/2017, COGNOME, Rv. 269884; Sez. 6, n. 11194 del 8/3/2012, COGNOME, Rv. 252178; Sez. 5, n. 46124 del 8/10/2008, COGNOME, Rv. 241997). Invero, al giudice di legittimità spetta, al più, la verifica dell’adeguatezza della motivazione sugli elementi indizianti operata dal giudice di merito e della congruenza di essa ai parametri della logica, da condursi sempre entro i limiti che caratterizzano la peculiare natura del giudizio di cassazione (Sez. 4, n. 26992 del 29/5/2013, COGNOME, Rv. 255460; Sez. U, n. 11 del 22/3/2000, Audino, Rv. 215828). In altre parole, il controllo di legittimità non deve concernere né la ricostruzione dei fatti, né l’apprezzamento del giudice della cautela circa l’attendibilità delle fonti e la rilevanza e concludenza dei dati probatori, onde sono inammissibili quelle censure che, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione di circostanze già esaminate dal giudice (Sez. F, n. 47748 del 11/08/2014, COGNOME, Rv. 261400 – 01).
Così delimitato l’ambito di valutazione di questa Corte, si osserva che la difesa si limita a elencare le considerazioni espresse dal Tribunale in relazione a sei vicende (relative, tra l’altro, a episodi estorsivi, a detenzione e occultamento di denaro appartenente alla cosca, all’imposizione dell’assunzione di lavoratori), lamentando, in maniera del tutto generica – e, cioè, senza offrire argomenti decisivi ai fini della disarticolazione dell’iter logico seguito dai giudici del riesame – che gli indici rivelatori della partecipazione del COGNOME alla cosca COGNOME, valorizzati dal Tribunale del riesame, non avrebbero sufficiente valore indiziante, anche alla luce della mancata contestazione di reati fine. E si contesta, quindi, che la motivazione non darebbe adeguatamente conto delle concrete condotte provvisoriamente ascritte all’indagato, limitandosi a segnalare vaghi elementldai quali emergerebbe la “messa a disposizione” del ricorrente in favore del sodalizio.
Ebbene, a fronte di siffatte censure difensive, è opportuno innanzitutto ribadire l’orientamento, espresso dalle Sezioni unite di questa Corte con riferimento al tema dell’affermazione di responsabilità per il delitto di cui all’art. 416 bis cod. pen., secondo cui la condotta di partecipazione ad associazione di tipo mafioso si caratterizza per lo stabile inserimento dell’agente nella struttura organizzativa dell’associazione, idoneo, per le specifiche caratteristiche del caso concreto, ad attestare la sua ‘messa a disposizione in favore del sodalizio per il perseguimento dei comuni fini criminosi (Sez. U, n. 36958 del 27/05/2021, COGNOME, Rv. 281889 – 01, corsivo nostro).
Nel caso in esame, il Tribunale del riesame, con motivazione che non presenta profili di illogicità, ha offerto adeguate e pregnanti ragioni in merito al “mettersi a disposizione” del ricorrente, illustrando come il dinamismo associativo del Musolino nelle relazioni criminali delle articolazioni territoriali del sodalizio sia emerso, in maniera inequivoca, dalle modalità della partecipazione quali individuate grazie al contenuto di una nutrita serie di comunicazioni intercettate.
E, diversamente da quanto lamentato dal ricorrente, tale ricostruzione non è affatto scevra da concreti affondi nelle vicende da cui è emerso il ruolo partecipativo del ricorrente indicato nell’imputazione provvisoria; in tal senso, la difesa manca di confrontarsi effettivamente con la motivazione, nel punto in cui si è chiarito, in coerenza con gli orientamenti di questa Corte, che la mancata contestazione di reati fine non esclude affatto la vicinanza del ricorrente alla cosca reggina oggetto di investigazione (cfr. Sez. 2, n. 31920 del 04/06/2021, COGNOME, Rv. 281811 – 0, in motivazione -v. p. 63- : «in primo luogo, va ricordato cheAlier~tu==t4 ai fini dell’integrazione del reato di partecipazione a un’associazione di tipo mafioso, la commissione di reati-fine non è essenziale Sez. 4, n. 11470 del 09/03/2021, COGNOME, Rv. 280703; Sez. 5, n. 32020 del 16/03/2018, COGNOME, Rv. 273571; Sez. 5, n. 4864 del 17/10/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 269207).
E, infatti, la partecipazione all’associazione di tipo mafioso, richiesta dalla fattispecie incriminatrice di cui all’art. 416 bis cod. pen., è stata individuata non già, come preteso dal ricorrente, attraverso una valutazione parcellizzata del dato probatorio, bensì attraverso un’accurata ricostruzione dei fatti (analitica, nella prima parte di ogni vicenda riportata e, al contempo, sintetica, nella valutazione finale di ognuno degli episodi narrati).
Così, in riferimento alla prima vicenda estorsiva (relativa a un cantiere edile ove operava una società amministrata da tal NOME COGNOME il quale dava inizio ai lavori senza rispettare le direttive della cosca, provocando fibrillazione all’interno di quest’ultima), la partecipazione del COGNOME è stata desunta dalla diretta chiamata in causa di quest’ultimo da parte di un altro partecipante alla
cosca COGNOMECOGNOME (NOME COGNOME), il quale non soltanto cita il COGNOME (a lui riferendosi col nome “NOME“, che ricorre -spiega il Tribunale- in altre conversazioni intercettate) durante una conversazione telefonica col padre NOME (capo della cosca investigata), ma consulta pure il ricorrente stesso.
E, ancora, indizi altamente significativi sono stati tratti dal dubbio, espresso dallo COGNOME (affiliato all’articolazione territoriale del gruppo cd. COGNOME) durante una conversazione con NOME COGNOME circa il fatto che l’estorsione progettata ai danni dell’imprenditore COGNOME potesse in qualche modo concernere il ricorrente, nel caso in cui il COGNOME fosse stato da lui “protetto”; da tale conversazione, il Tribunale ha ragionevolmente dedotto che il “permesso” chiesto al ricorrente di agire contro il COGNOME fosse rivelatore dell’attivismo del COGNOME nel campo delle estorsioni.
Indizi egualmente decisivi circa il ruolo svolto dal ricorrente quale detentore e occultatore del denaro, riconducibile alla ‘ndrina, che era stato in precedenza affidato al COGNOME per sottrarlo a eventuali provvedimenti ablativi, sono stati tratti da captazioni di conversazioni tra NOME COGNOME e NOME COGNOME (detto COGNOME, figure di spicco dell’associazione RAGIONE_SOCIALE. Al COGNOME -ha spiegato il Tribunale- veniva tributata una grande considerazione, in mancanza della quale il denaro non gli sarebbe stato certo affidato.
Ora, tali precipue repliche fornite dal Tribunale in relazione sia a tale episodio (ad esempio: non vi erano rapporti commerciali tra il ricorrente e i due interlocutori che potessero fornire una spiegazione alternativa al fatto del denaro custodito dall’indagato) sia agli altri cinque episodi – sono contrastate dalla difesa in termini -come già ricordato – del tutto generici e aspecifici. Medesime considerazioni valgono per la motivazione resa in merito alla assunzione -presso un supermarket locale- della moglie dell’affiliato alla cosca NOME COGNOME. Dalle conversazioni captate -ha chiarito il Collegio del riesame- è emersa l’attività di quest’ultimo tesa a pretendere l’intervento degli altri affiliati (tra i quali, l’odierno ricorrente) pe ottenere l’assunzione della moglie. Alle eccezioni difensive, il Tribunale del riesame ha, dunque, esaustivamente replicato, chiarendo come la dichiarazione resa a tal proposito dall’indagato (che tentava di giustificare il proprio interessamento alla vicenda alla luce della sua attività lavorativa di rappresentante di taluni marchi alimentari) fosse del tutto indi mostrata.
Infine, la motivazione dell’impugnato provvedimento è del tutto adeguata anche per quel che ha riguardo alla vicenda del tentativo di acquisto di un terreno all’asta, cui era interessato il COGNOME: dalle conversazioni intercettate -ha evidenziato il Tribunale- è emerso l’attivismo di soggetti di spicco (gli Autolitano) della cosca investigata a favore del sodale COGNOME, anche con riferimento alla previa acquisizione -attraverso il classico sistema delle “innbasciate”- di
informazioni tese a disvelare l’eventuale interesse all’acquisto da parte di altre articolazioni dell’associazione limitrofe.
Soltanto alla fine di tale dimostrazione del ruolo partecipativo del COGNOME all’associazione, raggiunta attraverso la minuziosa ricostruzione di passaggi salienti e altamente significativi di conversazioni intercettate tra interlocutori (la maggior parte dei quali appartenenti alla cosca investigata), il Tribunale ha concluso nel senso della sussistenza dei gravi indizi a carico del ricorrente in punto di partecipazione all’associazione. Si osserva, infine, che a dispetto dell’iniziale richiamo alla motivazione resa nell’ordinanza genetica (Sez. 2, n. 30696 del 20/04/2012, Rv. 253326 – 01), il Tribunale ha reso una motivazione sulla gravità indiziaria molto approfondita e pienamente confacente ai principi dettati da questa Corte in tema di obbligo motivazionale del giudice del riesame (v., ad es., Sez. 5, n. 12679 del 24/01/2007, COGNOME, Rv. 235985 -01: «l’obbligo motivazionale della decisione del tribunale del riesame sulle misure cautelari personali, dovendo conformarsi – se pur con gli adattamenti resi necessari dal particolare contenuto della pronuncia cautelare – al modello legale enucleabile dall’art. 546 cod. proc. pen., non può ritenersi soddisfatto da modalità redazionali, fondate sull’acritica trasposizione del testo di intere risultanze investigative, favorite da tecniche di videoscrittura (cosiddetto “taglia ed incolla”), ma richiede la concisa indicazione degli elementi indiziari, con la conclusiva determinazione che dia conto, in esito ad un percorso motivazionale immune da errori di diritto o da disfunzioni logiche, della deliberazione – necessariamente sommaria propria della fase cautelare – di gravità del compendio indiziario offerto dall’accusa, alla quale faccia riscontro l’indicazione degli elementi di segno contrario offerti dalla difesa, con l’indicazione delle ragioni per le quali sono stati disattesi»).
2. Il Collegio, per le ragioni fin qui illustrate, dichiara inammissibile il ricorso. Alla pronuncia di inammissibilità consegue, ex art. 616 cod. proc. pen, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che, in ragione delle questioni dedotte e ravvisandosi profili di colpa in ragione dell’evidente inammissibilità dell’impugnazione (cfr. Corte cost., sent. n. 186 del 13/06/2000; Sez. 1, n. 30247 del 26/01/2016, COGNOME, Rv. 267585 – 01), appare equo determinare in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1 -ter disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso in Roma, il 25/10/2024 Il consigliere estensore
Il presidente