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Partecipazione associazione mafiosa: la prova indiziaria

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un indagato contro un’ordinanza di custodia cautelare per partecipazione associazione mafiosa. La Corte ha confermato che la prova della ‘messa a disposizione’ al sodalizio criminale può basarsi su gravi indizi derivanti da intercettazioni e comportamenti concludenti, anche in assenza della contestazione di specifici reati-fine.

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Pubblicato il 11 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Partecipazione ad Associazione Mafiosa: Quando Bastano gli Indizi?

La prova della partecipazione associazione mafiosa è uno dei temi più complessi e delicati del diritto penale. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha ribadito principi fondamentali su come si possa ritenere provato, a livello di gravità indiziaria, il coinvolgimento di un soggetto in un sodalizio criminale, anche senza che gli vengano contestati specifici reati-fine. Analizziamo questa importante decisione.

I Fatti del Caso: L’Ordinanza di Custodia Cautelare

Il Tribunale del riesame aveva confermato un’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di un individuo, ritenendo sussistenti gravi indizi di colpevolezza per il delitto di cui all’art. 416 bis del codice penale. Secondo l’imputazione provvisoria, l’indagato, come partecipe di una specifica articolazione territoriale di un’associazione criminale, avrebbe contribuito in diverse attività: la raccolta estorsiva, l’imposizione di assunzioni di lavoratori e la trasmissione di messaggi tra i membri del gruppo.

Il Ricorso in Cassazione: Le Doglianze della Difesa

La difesa dell’indagato ha presentato ricorso alla Corte di Cassazione, sostenendo che gli elementi a carico del proprio assistito fossero generici e insufficienti. In particolare, si lamentava che le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia non dimostravano un’effettiva appartenenza dell’indagato al sodalizio, né un suo concreto contributo. Inoltre, la difesa criticava la valutazione delle intercettazioni, ritenendo che non emergessero un ruolo attivo o compiti specifici svolti dall’indagato. Il punto centrale dell’argomentazione difensiva era l’assenza di contestazioni per reati-fine, che avrebbe dovuto indebolire il quadro indiziario.

La Prova della Partecipazione Associazione Mafiosa secondo la Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendolo generico e infondato. I giudici hanno colto l’occasione per riaffermare i consolidati orientamenti giurisprudenziali in materia. Il ricorso per cassazione avverso misure cautelari è ammissibile solo per violazioni di legge o manifesta illogicità della motivazione, non per una rivalutazione dei fatti già esaminati dal giudice di merito. Nel caso specifico, il Tribunale del riesame aveva fornito una motivazione logica e coerente, basata su un’analisi approfondita delle prove raccolte.

Le Motivazioni della Corte

Il cuore della decisione risiede nella definizione di ‘partecipazione’ ad un’associazione mafiosa. La Corte, richiamando una pronuncia delle Sezioni Unite, ha chiarito che la condotta partecipativa si caratterizza per lo stabile inserimento dell’agente nella struttura organizzativa, idoneo ad attestare la sua ‘messa a disposizione’ in favore del sodalizio per il perseguimento dei fini criminosi comuni.

Contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa, il Tribunale non aveva operato una lettura frammentaria degli indizi, ma una ricostruzione accurata dei fatti. Nello specifico:

1. Ruolo nelle estorsioni: Dalle intercettazioni emergeva che l’indagato veniva consultato e ‘citato’ da altri membri di spicco prima di procedere con attività estorsive, indicando un suo ruolo attivo e riconosciuto nel controllo del territorio.
2. Custodia di denaro: L’indagato era stato identificato come detentore e occultatore di denaro del clan, un compito di grande fiducia che non sarebbe stato affidato a un soggetto estraneo.
3. Imposizione di assunzioni: Il suo coinvolgimento nell’imporre l’assunzione della moglie di un altro affiliato presso un’attività commerciale locale dimostrava la sua capacità di influenza e il suo inserimento nelle dinamiche associative.

La Corte ha inoltre sottolineato un punto cruciale: la commissione di reati-fine non è un requisito essenziale per provare la partecipazione all’associazione. La ‘messa a disposizione’ è di per sé sufficiente a integrare il reato.

Conclusioni

Questa sentenza conferma che, ai fini dell’applicazione di una misura cautelare per partecipazione associazione mafiosa, è fondamentale la valutazione complessiva del quadro indiziario. Le intercettazioni, se adeguatamente interpretate nel loro contesto, possono rivelare il dinamismo associativo di un soggetto e il suo stabile inserimento nel gruppo criminale. La mancanza della contestazione di reati-fine non è di per sé decisiva se altri elementi, come la fiducia accordatagli dagli altri affiliati e il suo coinvolgimento in attività strategiche per il clan, dimostrano la sua piena ‘disponibilità’ a favore del sodalizio.

Cosa si intende per ‘messa a disposizione’ in un’associazione mafiosa?
Significa uno stabile inserimento dell’agente nella struttura criminale, rendendosi disponibile a contribuire agli scopi del sodalizio, indipendentemente dal compimento effettivo di specifici reati.

È necessario che a un indagato sia contestato un reato-fine (es. estorsione) per ritenerlo partecipe di un’associazione mafiosa?
No, la sentenza chiarisce che la commissione di reati-fine non è un requisito essenziale. La prova della partecipazione può derivare da altri elementi che dimostrano il ruolo stabile e funzionale dell’individuo all’interno del gruppo.

Qual è il ruolo della Corte di Cassazione nel valutare i ricorsi contro le misure cautelari?
La Corte di Cassazione non riesamina i fatti del caso, ma si limita a verificare la corretta applicazione delle norme di legge e l’assenza di vizi logici evidenti nella motivazione del provvedimento impugnato. Non può sostituire la propria valutazione delle prove a quella del giudice di merito.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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