Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 32273 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 32273 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 24/07/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a PALERMO il 16/06/1985
avverso l’ordinanza del 11/03/2025 del Tribunale di Palermo
si dà per letta la relazione del consigliere relatore, indi il Procuratore generale, NOME COGNOME riportandosi anche alla motivazione esposta dal Tribunale del riesame, conclude per il rigetto del ricorso.
L’avvocato NOME COGNOME riportandosi agli scritti in atti, discute i motivi ricorso e conclude chiedendo l’accoglimento del medesimo.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza impugnata, del 11.3.2025, il Tribunale di Palermo, decidendo ex art. 309 cod. proc. pen., ha rigettato la richiesta di riesame avanzata nell’interesse di COGNOME NOME avverso l’ordinanza emessa dal G.i.p. in data 30.1.2025, applicativa della custodia cautelare in carcere per il delitto d partecipazione all’associazione mafiosa armata ‘Cosa Nostra’ (segnatamente alla famiglia mafiosa di Santa Maria dì Gesù da epoca imprecisata e con condotta perdurante, capo 1).
2.Avverso la suindicata ordinanza, ricorre per cassazione l’indagato, tramite il difensore di fiducia, deducendo quattro motivi, di seguito enunciati nei limiti di c all’art. 173, comma 1, disp. att. cod, proc. pen.
2.1.Col primo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione per avere il Tribunale erroneamente valutato la nullità dell’ordinanza del G.i.p, affett da motivazione apparente ovvero da carenza di analisi critica degli indizi di colpevolezza come esposti nella richiesta del P.m., rispetto alla quale vi è stata una mera adesione da parte del giudice. Il Tribunale del riesame, a sua volta, non ha esercitato il proprio potere di controllo sulla legalità e sulla fondatezza provvedimento impugnato così violando i principi stabiliti dalla giurisprudenza di legittimità in tema di dimostrazione della gravità indiziaria.
2.2.Col secondo motivo deduce l’erronea applicazione della legge penale e vizio di motivazione con riferimento all’art. 416-bis c.p., per avere il Tribuna erroneamente ritenuto sussistente la configurabilità della partecipazione del ricorrente alla consorteria criminale denominata ‘RAGIONE_SOCIALE‘, segnatamente alla famiglia di Santa Maria di Gesù. Il Tribunale nel rigettare le doglianze difensive ha omesso di fornire una risposta adeguata e motivata a tali specifiche censure. In particolare, il Tribunale ha dedicato ampio spazio all’analisi delle intercettazio ripercorrendole, tuttavia, senza alcuna valutazione, nel concreto, in relazione alla figura del ricorrente, ritenendole erroneamente univoche nel dimostrare l’inserimento del predetto nel sodalizio, e minimizzando l’importanza della mancanza di reati fine, assumendo che il ruolo del COGNOME fosse di supporto e complemento.
Il Tribunale ha travisato la prova intercettiva estrapolando frasi dal contesto, ignorando totalmente gli elementi a discarico di COGNOME che si traggono dal medesimo contenuto delle captazioni. Così, ad esempio, il Tribunale ha minimizzato il fatto che dalle diverse captazioni indicate nella memoria difensiva risulti quadro di scarsa affidabilità e di disprezzo e di mancato riconoscimento della figura di COGNOME. Il Tribunale ha erroneamente minimizzato tale aspetto, affermando che si tratta di espressione colorita, omettendo di considerare che da quella conversazione si evince proprio la mancanza di fiducia nel ricorrente.
2.3.Col terzo motivo deduce vizio di motivazione in relazione all’analisi delle intercettazioni, al travisamento della prova e all’omessa valutazione del periodo silente. La difesa già nelle note e poi nel ricorso per riesame aveva analizzato cronologicamente e dettagliatamente le intercettazioni ritenute rilevanti dall’accusa dimostrando come esse, lungi dal provare una stabile partecipazione di COGNOME all’associazione, evidenziassero al contrario la scarsa affidabilità, la mancanza di rispetto e la diffidenza nei suoi confronti da parte dei presunti sodali.
Vi è un’intercettazione, del 14/02/2024, in cui il ricorrente viene addirittura defi indegno e viene espressa mancanza di fiducia nei suoi confronti.
Si era altresì evidenziato che nessuna intercettazione fornisce prove dirette del coinvolgimento del ricorrente in reati specifici per conto del sodalizio e che l distanza temporale tra le captazioni e l’assenza di riferimento ai reati scopo confermano la mancanza di un contributo concreto e continuativo. La difesa aveva inoltre documentato un intervallo temporale ampio durante il quale il ricorrente non ha avuto alcun ruolo attivo, né sono emersi elementi a sostegno della sua operatività. Il Tribunale nel motivare il rigetto non ha operato una valutazione critica e approfondita di tali elementi, al contrario i giudici del riesame han estrapolato frasi dal contesto attribuendo loro un significato diverso da quello reale, ignorando completamente le intercettazioni che dimostrano la diffidenza verso COGNOME, pervenendo alla conclusione immotivata ed illogica che le intercettazioni provano l’inserimento organico, senza confrontarsi con l’analisi cronologica e sostanziale offerta dalla difesa ed omettendo di valutare l’argomentazione difensiva relativa al periodo nonostante la sua rilevanza ed il supporto giurisprudenziale fornito.
In definitiva il Tribunale ha fondato la gravità indiziaria su elementi che s correttamente interpretati dimostrano la vicinanza ma non l’appartenenza del ricorrente al sodalizio mafioso.
2.4.Col quarto motivo deduce l’erronea applicazione della legge penale e vizio di motivazione in relazione all’art. 416-bis, comma 4, c.p. per avere il Tribunale erroneamente confermato la sussistenza dell’aggravante dell’associazione armata senza fornire una motivazione specifica sugli elementi concreti che provassero la reale disponibilità di armi da parte del sodalizio e soprattutto il coinvolgiment diretto del ricorrente nella gestione o nell’uso delle stesse, laddove secondo la giurisprudenza di legittimità l’aggravante in parola non può desumersi in via presuntiva ma richiede la prova della concreta disponibilità di armi e della loro funzionalità rispetto agli scopi dell’organizzazione.
3. Il ricorso, proposto successivamente al 30.6.2024, è stato trattato – ai sensi dell’art. 611 c.p.p., come modificato dal d.lgs. del 10.10.2022 n. 150 e successive integrazioni, e dell’art. 127 c.p.p. – su richiesta della difesa, con l’intervento de parti che hanno rassegnato le conclusioni indicate in epigrafe.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è, nel suo complesso, infondato.
Li. Il primo motivo è infondato. Non vi è mera adesione da parte del giudice all’impostazione accusatoria, come già spiegato esaustivamente nel provvedimento impugnato che, nel rispondere ad analoga censura già svolta dalla difesa in sede di riesame, ha posto in evidenza come l’ordinanza genetica non si sia limitata a riportare gli elementi probatori e fattuali indicati nella richiesta del P.M., ma poi, senza dubbio alcuno, vagliati criticamente.
Con motivazione esaustiva e senza ricorrere a formule stereotipate ha, in particolare, il G.i.p. spiegato la rilevanza degli elementi emersi ai f dell’affermazione dei gravi indizi di colpevolezza in relazione al reato ascritto ricorrente – si precisa nel provvedimento impugnato rimandando alle pagine 362 e seguenti dell’ordinanza genetica – esplicitando le ragioni per le quali ha ritenuto che la condotta posta in essere da COGNOME fosse sussumibile nella fattispecie di reato ascrittogli, analizzando e valutando in modo puntuale le conversazioni intercettate.
Ed il Tribunale del riesame, a sua volta, ha esercitato il proprio potere d controllo sulla legalità e sulla fondatezza del provvedimento impugnato sicché non si rileva alcuna violazione dei principi stabiliti dalla giurisprudenza di legittimi tema di dimostrazione motivata della gravità indiziaria.
Il Tribunale – in conformità con l’orientamento di questa Corte secondo cui la pronuncia giurisdizionale deve costituire “un tutto” coerente e organico, per cui, ai fini del controllo critico sulla sussistenza di una valida argomentazione, ogni punto deve essere posto in relazione agli altri, ben potendo la ragione di una determinata statuizione risultare da punti diversi del provvedimento cui sia stato fatto richiamo anche implicito – ha fornito ampia motivazione riguardo alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in ordine al reato di partecipazione associativa mafiosa, offrendo un quadro organico delle ragioni della decisione che danno conto dell’autonomia della valutazione svolta.
D’altra parte, in tema di misure cautelari personali, il requisito dell’autonoma valutazione del giudice cautelare, di cui all’art. 292, comma 2, lett. c) bis cod. pro pen., è compatibile con la redazione dell’ordinanza con la tecnica c.d. dell’incorporazione” quando dal contenuto complessivo del provvedimento emerga la conoscenza degli atti del procedimento, e, ove necessario, la rielaborazione critica degli elementi sottoposti al vaglio del riesame, giacché la valutazione autonoma non necessariamente comporta la valutazione difforme.
Come può facilmente desumersi dalla corposa ordinanza cautelare impugnata, il Tribunale non sì è limitato a passare in rassegna le plurime emergenze probatorie acquisite (costituite anche dalle risultanze di altri procedimenti penali che hanno già trovato conferma in provvedimenti giurisdizionali anche definitivi, che, combinate con quelle emerse nel presente procedimento, hanno consentito la ricostruzione dei
tratti salienti dell’associazione di stampo mafioso rispetto alla quale si è inserita partecipazione qualificata del ricorrente, oltre che, specificamente, dai contenuti delle intercettazioni intervenute nel presente procedimento), e a recepire pedissequamente l’impostazione accusatoria.
Il giudice del riesame ha, piuttosto, affrontato tutti gli aspetti ritenuti ril ai fini della configurazione della partecipazione del ricorrente nei termini indica dall’accusa, partendo dal corretto presupposto secondo cui le singole condotte devono necessariamente essere valutate anche alla luce della già accertata partecipazione di alcuni degli indagati a ‘Cosa nostra’, e quindi della lor incardinazione funzionale nell’associazione e del ruolo operativo da loro svolto al suo interno (tra questi Guglielmo COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME già condannati anche per il reato di partecipazione ad associazione mafiosa). Trattasi di dato che, come già evidenziato dal G.i.p., non può che orientare la valutazione delle prove acquisite nel presente procedimento.
Sicché si è giunti a far luce sulle dinamiche e sull’attività criminale del famiglie mafiose di ‘Cosa nostra’ che compongono il mandamento mafioso di Santa Maria di Gesù, individuando la composizione di tale mandamento ricomprendente l’omonima famiglia mafiosa (nonché quella di Villagrazia), ricostruita in numerose sentenze definitive emesse nel corso degli anni.
Le ulteriori indagini svolte hanno consentito di accertare, da un lato, la perdurante partecipazione a ‘Cosa nostra’ di più membri storici del mandamento mafioso di Santa Maria di Gesù, alcuni dei quali ristretti in carcere, e, dall’altro, individuare ulteriori partecipi che hanno permesso il mantenimento delle funzioni di vertice da parte dei primi. E tra tali soggetti si è delineata anche la posizione d ricorrente, che, pur non avendo riportato precedenti condanne per il reato di partecipazione ad associazione mafiosa, è risultato inserito nella stessa famiglia quale nuovo accolito contestualmente all’ascesa di NOME COGNOME (detto l’attaccante) ai vertici della stessa.
In definitiva, a differenza di quanto assume il ricorso, l’ordinanza impugnata non sì limita ad un mero rinvio alla motivazione del G.i.p., che avrebbe a sua volta recepito acriticamente l’impostazione investigativa, ma procede ad un’attenta ed ampia valutazione della vicenda pur non discostandosi da quelle che erano le linee fondanti tracciate nel provvedimento genetico (evidentemente non ritenute superabili alla stregua delle indicazioni difensive).
1.2. Il secondo ed il terzo motivo, in buona sostanza, mirano a scardinare la ricostruzione del ruolo del ricorrente recepita nel provvedimento impugnato facendo leva sul contenuto di alcune conversazioni, che, nell’ottica difensiva, avrebbero un significato dirompente, contrastante con l’ipotesi accusatoria dell’intraneità de
COGNOME nel sodalizio, per il solo fatto che da esse si ricaverebbe la mancanza di fiducia nel ricorrente (in quella del 14.2.2024 l’indagato sarebbe definito indegno).
Tali motivi sono entrambi infondati.
Innanzitutto, la stessa considerazione, sia pure nei termini negativi indicati dalla difesa, che si trarrebbe dalle conversazioni riportate in ricorso non è un elemento incompatibile con la partecipazione associativa, risultando, anzi, essa, da un certo punto di vista, il risultato di una tale premessa, evidenziando piuttost quale fosse la valutazione che alcuni accoliti avevano espresso in relazione a comportamenti assunti dal ricorrente. L’essere parte di un’associazione non rende d’altronde indenne da critiche.
In ogni caso trattasi di aspetto di per sé non dirimente a fronte della puntuale analisi delle emergenze processuali risultanti a carico del COGNOME svolta nel provvedimento impugnato.
Tale provvedimento ha, invero, dedicato ampio spazio all’analisi delle intercettazioni ripercorrendole, senza trascurare, a differenza di quanto assume la difesa, la valutazione, nel concreto, della figura del ricorrente, ritenendo giustamente univoche nel dimostrare l’inserimento del predetto nel sodalizio, e ha, altresì, con argomenti altrettanto logici ed adeguati, indicato le ragioni per le qua non costituisse un fattore determinante la mancanza di reati fine, spiegando appunto che il ruolo del COGNOME fosse di supporto e complemento.
Tale conclusione, a differenza di quanto si assume in ricorso, non si è risolta in una asserzione qualificatoria dettata dalla necessità di superare il gap dell’assenza di emergenze in ordine alla commissione dei reati-fine, ma è stata affermata a seguito dell’analisi dei plurimi elementi emersi in tal senso (passati i rassegna attraverso la compiuta valutazione dei contenuti delle intercettazioni che unitamente alle risultanze dei sistemi di videoriprese hanno consentito di individuare gli incontri tra il COGNOME e i NOME COGNOME, risalenti già al 2022 registrazione di tali incontri, sì aggiungono le emergenze acquisite attraverso le investigazioni svolte che hanno contribuito a delineare i contorni del ruolo del ricorrente, facendo emergere la sua piena disponibilità nei confronti di NOME COGNOME il quale, secondo quanto si riporta nel provvedimento impugnato, se ne avvaleva per lo svolgimento di svariate attività relative al programma associativo nonché quale elemento di collegamento tra gli associati (in particolare nel provvedimento impugnato si cita la conversazione del 8 settembre 2023 dalla quale emerge che il COGNOME stava rivalutando la ridistribuzione dei compiti all’interno della famiglia facendo riferimento anche a NOME COGNOME).
Ha anche indicato, il Tribunale, le ragioni per le quali le critiche mosse ne confronti del COGNOME non escludono affatto l’intraneità di quest’ultimo alla famigli
mafiosa di Santa Maria di Gesù, atteso che – spiega il Tribunale – è ben possibile che glì affiliati si criticano vicendevolmente senza che ciò faccia venire comunque meno l’ affectio societatis. Il Tribunale evidenzia che anzi la conversazione citata implica proprio la volontà di avvalersi di COGNOME nello svolgimento di svariat attività relative al programma associativo e di attribuirgli responsabilità a va titolo rimproverandolo ove quest’ultimo dimostrasse un impegno insufficiente.
Quindi, il Tribunale passa a citare le vicende in cui il ricorrente ha assunto un ruolo di messa a disposizione del COGNOME e dell’associazione – ampiamente descritto alle pagg. 8 e segg. del provvedimento impugnato. Così con riferimento alla controversia insorta tra il sodale NOME COGNOME e l’imprenditore NOME NOME COGNOME laddove la risoluzione delle controversie private rappresenta, come è noto, una delle più tipiche attività mediante le quali ‘RAGIONE_SOCIALE‘ esercita il controllo territorio.
Tale vicenda, si sottolinea nel provvedimento impugnato, pur avendo genesi personale, è da ritenere altamente significativa del controllo del territorio svolto d sodalizio mafioso e del ruolo assunto dall’indagato a fianco del COGNOME. Da essa emerge che a causa dell’esecuzione di un danneggiamento intervenuto prima del rilascio del nullaosta da parte della famiglia di Santa Maria di Gesù, si era ritenut l’COGNOME meritevole di una punizione.
I membri della famiglia mafiosa di Santa Maria di Gesù, in altri termini, erano intervenuti per la risoluzione della controversia tra uno di loro, NOME COGNOME l’imprenditore NOME COGNOME, dimostrando piena giurisdizione mafiosa sul territorio.
Rispetto a tale vicenda non si tralascia di far notare come l’COGNOME si era rivolto al COGNOME quale soggetto col quale interloquire in assenza del COGNOME e al quale porgere le proprie scuse per avere formalizzato la denuncia, con piena consapevolezza non solo della giurisdizione mafiosa sul territorio, ma anche della posizione assunta dal COGNOME quale accolito in stretti rapporti col capomafia.
A tale vicenda si aggiungono le altre passate in rassegna nel provvedimento impugnato, tra le quali quella da cui risulta il coinvolgimento dell’indagato ne sostentamento della cassa del sodalizio ed il compito ricevuto di mantenere ì contatti tra NOME COGNOME e NOME COGNOME, padre di NOME, per la gestione di un debito.
E sebbene non risultino formulate imputazioni per reati fine, nel provvedimento è citata una conversazione intercettata in data 23.9.2022 nella quale uno degli interlocutori indica la richiesta estorsiva del pizzo, che il COGNOME aveva rivolto non solo a “NOME della torrefazione” ma anche “da tante parti”.
D’altro canto, si rappresenta nel provvedimento impugnato che il coinvolgimento del COGNOME nelle attività estorsive gestite dalla famiglia di Sant Maria di Gesù emerge anche da un’ulteriore conversazione intercettata il 12/10/2023 tra NOME COGNOME altro accolito, e NOME COGNOME avente ad oggetto tra l’altro proprio il ruolo svolto da NOME COGNOME quale collettore del pizz nell’ambito dell’attività estorsiva gestita da NOME COGNOME in qualità di capo dell famiglia.
Ciò dimostra – conclude il Tribunale – che il ricorrente era uno dei nuovi accolit della famiglia di Santa Maria di Gesù e partecipava attivamente alle attività della stessa, essendo pienamente coinvolto in tutti i settori strategici, ai quali si aggiun anche quello del traffico di sostanze stupefacenti. Svariati gli incontri intervenuti i fratelli COGNOME, il COGNOME e soggetti dediti al traffico di sostanze stupefacent particolare si cita la riunione del 11 ottobre 2023 presso l’abitazione dell’Aliotta corso della quale veniva anche affrontata la questione del debito per droga dell’Aliotta insorta a seguito di due sequestri intervenuti nel settembre del 2023 riunione in cui anche il COGNOME forniva il resoconto delle somme dovute dall’Aliotta, pronunciando frasi all’unisono col COGNOME.
Il provvedimento impugnato prosegue con l’indicare, alle pagg. 15 e sgg., gli ulteriori elementi emersi a carico del ricorrente ritenuti anch’essi altament significativi del fatto che lo stesso fosse depositario di notizie riservate e conoscev o partecipava a dinamiche interne dell’associazione delle quali solo un intraneo avrebbe potuto essere messo al corrente.
Indi osserva il Tribunale che le questioni trattate nelle conversazioni intercettate nel corso delle indagini denotano una consapevolezza e condivisione di contenuti ad un livello di cognizione e coinvolgimento del COGNOME giustificabile soltanto con l’organico inserimento in ‘Cosa nostra’.
Si è evidentemente oltre la mera indicazione di un ruolo di supporto e complemento, risultando esaurientemente indicate e ricostruite le svariate circostanze che depongono per la configurazione del ruolo del COGNOME in termini specifici.
Il secondo ed il terzo motivo di ricorso sono dunque nel loro complesso infondati, denotando tratti di inammissibilità per avere tralasciato di considerare g aspetti salienti della decisione impugnata, soffermandosi su questioni non dirimenti e rispetto alle quali il Tribunale aveva già offerto esaustiva risposta (così per la p volte evidenziata mancanza di fiducia che alcuni accoliti avrebbe nutrito nei confronti del ricorrente la cui spiegazione è rinvenibile in più punti d provvedimento impugnato, ivi compreso quello riportato a pag. 19 del
provvedimento impugnato in cui si cita il dubbio nutrito nei confronti del COGNOME i quanto soggetto appartenente ad altro territorio).
1.3. Il quarto motivo è manifestamente infondato assumendo che ai fini della configurazione dell’aggravante della disponibilità delle armi rispetto al singol accolito necessiti la prova del diretto coinvolgimento dello stesso nella gestione o nell’uso delle armi.
Esso è aspecifico nella parte in cui lamenta, genericamente, senza confrontarsi con l’articolata motivazione resa al riguardo dal Tribunale, che il ragionamento motivazionale sarebbe rimasto affidato unicamente a presunzioni astratte.
Ed invero, basta scorrere gli argomenti sviluppati nel provvedimento impugnato alla pag. 24, per verificare come il Tribunale abbia affrontato la questione dell’aggravante in parola – compatibilmente con la fase iniziale, cautelare, giunta al suo esame – da un lato, citando l’appropriata giurisprudenza di questa Corte sul tema, e, dall’altro, facendo riferimento alle caratteristiche de sodalizio oggetto di imputazione quale “famiglia” mafiosa aderente a ‘Cosa nostra’, che perseguiva finalità non scevre dall’impiego delle armi. Circostanza questa che esclude la necessità di dimostrare il rapporto in concreto assunto dal singolo partecipe rispetto alle armi detenute dall’associazione e consente piuttosto di ragionare in termini presuntivi, ma concreti, alla luce del fatto che la stab disponibilità di armi da parte di associazioni mafiose come ‘Cosa nostra’ costituisce un fatto notorio che affonda le sue radici nella pubblicità dei plurimi provvedimenti definitivi che hanno accertato tale dotazione, e che le finalità in concreto perseguit rimandano all’uso delle armi.
Indi, non ha mancato di precisare il provvedimento impugnato che in ogni caso l’accertata normalità e frequenza dell’uso delle armi da parte di un sodalizio di tip mafioso, quale senz’altro quello riconducibile a ‘Cosa nostra’, fa sì che ognuno dei partecipanti al sodalizio debba considerarsi al corrente della relativa disponibilità che di conseguenza sia dì regola ascrivibile a colpa l’eventuale ignoranza sul punto da parte di taluno di essi (cfr. tra tante Sez. 2, n. 50714 del 07/11/2019, Caputo, Rv. 278010; Sez. 1, n. 7392 del 12/09/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 272403; Sez. 1, n. 44704 del 05/05/2015, lana, Rv. 265254, secondo le quali, stante la natura oggettiva della circostanza, è sufficiente che il gruppo o í singoli aderenti abbiano l disponibilità di armi, per il conseguimento dei fini del sodalizio, perché dett aggravante sia configurabile a carico dì ogni partecipe che sia consapevole del possesso di armi da parte degli associati ovvero lo ignori per colpa, in ragione del disposto dell’art. 59, secondo comma, cod. pen.; e a sua volta Sez. 6, Sentenza n. 32373 del 04/06/2019, Rv. 276831 – 02 ha ribadito che in tema dì associazione per delinquere di tipo mafioso, l’aggravante della disponibilità di armi, di cui all’
416-bis, commi 4 e 5, cod. pen., è configurabile a carico dei partecipi che siano consapevoli del possesso delle stesse da parte della consorteria criminale o che, per colpa, lo ignorino, precisando che, ai fìni della ravvisabilità dell’anzide aggravante, è necessario fare riferimento al sodalizio nel suo complesso, prescindendo dallo specifico soggetto o dalla specifica cellula “locale” che abbia la concreta disponibilità delle armi).
E’ evidente che l’impostazione seguita dal Tribunale, che non presenta evidenti aporie ed illogicità, non possa, allo stato, essere diversamente considerata nella presente sede di legittimità, tenuto anche conto della genericità delle doglianze formulate al riguardo (che tra l’altro nulla dicono in ordine al rilevante profilo d colpa rispetto all’aggravante delle armi), a fronte, peraltro, di coacervo probatori ampio e composito, tradotto nel provvedimento impugnato in un’articolata ricostruzione dei fatti, con la quale, come detto, non può, da un certo punto di vista, dirsi intervenuto un effettivo confronto da parte del ricorso.
Dalle ragioni sin qui esposte deriva il rigetto del ricorso, cui consegue, pe legge, ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese di procedimento.
Poiché dalla presente decisione non consegue la rimessione in libertà del ricorrente, deve disporsi – ai sensi dell’articolo 94, comma 1-ter, delle disposizion di attuazione del codice di procedura penale, che copia della stessa sia trasmessa al direttore dell’istituto penitenziario in cui l’indagato si trova ristretto, provveda a quanto stabilito dal comma 1-bis del citato articolo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
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