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Partecipazione associazione mafiosa: la prova

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imprenditore contro un’ordinanza di custodia cautelare in carcere per il reato di partecipazione ad associazione di tipo mafioso. La Corte ha stabilito che per configurare il reato di partecipazione associazione mafiosa non è necessaria la commissione di reati specifici, ma è sufficiente la prova di uno stabile inserimento dell’individuo nella struttura criminale e la sua concreta disponibilità ad agire per gli scopi del sodalizio, anche se tale disponibilità non si traduce in azioni concrete o se i progetti criminali falliscono.

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Pubblicato il 4 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Partecipazione Associazione Mafiosa: Quando la ‘Messa a Disposizione’ Diventa Reato

La Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 9444 del 2024, ha fornito chiarimenti cruciali sui criteri per determinare la partecipazione associazione mafiosa. La decisione sottolinea come lo stabile inserimento in un clan e la mera disponibilità a favorirlo possano essere sufficienti per configurare il grave reato, anche in assenza della commissione di specifici delitti. Analizziamo questa importante pronuncia.

I Fatti del Caso: L’Imprenditore e i Legami con il Clan

Il caso riguarda un imprenditore del nord Italia, destinatario di una misura di custodia cautelare in carcere per la sua presunta partecipazione a una cosca di ‘ndrangheta radicata nel suo territorio ma collegata alla casa madre in Calabria. Secondo l’accusa, l’imprenditore aveva stretto rapporti con un emissario di spicco del capo cosca, diventandone un fiduciario. Le indagini avevano rivelato incontri in un ristorante locale, usato come base logistica per gli affari del clan, viaggi nella regione d’origine della cosca per ricevere direttive e il coinvolgimento in diverse operazioni economiche.

Tra queste, figuravano la gestione di beni sequestrati a un altro imprenditore e la pianificazione di complesse truffe informatiche ai danni di conti correnti ‘dormienti’. In particolare, l’imprenditore era stato coinvolto in un progetto per l’acquisto di un villaggio turistico, operazione poi non andata in porto a causa di perplessità di natura economica.

La Difesa e i Motivi del Ricorso

La difesa dell’imprenditore ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo l’insussistenza di gravi indizi di colpevolezza. Secondo i legali, mancavano prove di un inserimento stabile e di un ruolo attivo del loro assistito nel sodalizio. Le relazioni con i membri del clan sarebbero state limitate a proposte e a una ricezione passiva di informazioni, senza una concreta e inequivoca disponibilità ad agire per l’associazione. Inoltre, il fallimento del progetto immobiliare e una denuncia presentata in passato contro uno dei membri del clan sarebbero state prove dell’estraneità dell’imprenditore alla logica criminale.

La Prova della Partecipazione Associazione Mafiosa secondo la Cassazione

La Corte di Cassazione ha respinto integralmente il ricorso, ritenendolo inammissibile. I giudici hanno confermato la validità dell’ordinanza cautelare, affermando che gli elementi raccolti erano più che sufficienti a dimostrare una piena e consapevole partecipazione associazione mafiosa. La Corte ha ribadito un principio fondamentale: la condotta di partecipazione si caratterizza per lo ‘stabile inserimento’ dell’agente nella struttura organizzativa, tale da attestare la sua ‘messa a disposizione’ in favore del sodalizio per il perseguimento dei fini criminosi comuni.

Le Motivazioni della Decisione

Nelle motivazioni, la Suprema Corte ha spiegato che non è necessaria la prova della commissione di specifici ‘reati-satellite’ per dimostrare l’appartenenza al clan. Comportamenti concludenti, idonei a costituire indizio di intraneità, possono essere sufficienti. Nel caso specifico, sono stati considerati tali:

* La conoscenza della struttura organizzativa: L’imprenditore era a conoscenza dell’organigramma, dei capi e dei gregari della cosca.
* La partecipazione a incontri strategici: La sua presenza a riunioni in luoghi considerati ‘sedi’ organizzative del gruppo, dove si discuteva di affari e strategie criminali, è stata ritenuta un forte indizio. Non è ipotizzabile, secondo la Corte, che un estraneo possa essere ammesso a tali consessi.
* La ‘messa a disposizione’: Il coinvolgimento nel progetto immobiliare, sebbene fallito, è stato interpretato come espressione della disponibilità dell’imprenditore a mettere le sue risorse e competenze al servizio del clan. Il mancato esito positivo non scalfisce la valenza indiziaria della condotta.

La Corte ha definito generiche le censure della difesa, compresa quella relativa alla valutazione delle dichiarazioni di un collaboratore di giustizia, ritenute invece attendibili e riscontrate. In sostanza, il coacervo investigativo delineava un quadro coerente di piena integrazione dell’imprenditore nel tessuto criminale.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa sentenza ribadisce un messaggio molto chiaro: il confine tra contiguità e partecipazione a un’associazione mafiosa può essere molto sottile. Per la giustizia penale, conta la stabilità del legame e la disponibilità a contribuire alla vita e agli scopi dell’organizzazione, anche senza sporcarsi direttamente le mani con i reati fine. La decisione rappresenta un importante monito per imprenditori e professionisti: qualsiasi forma di connivenza o di messa a disposizione delle proprie risorse a favore di un sodalizio criminale può integrare il grave reato di partecipazione associazione mafiosa, con tutte le pesanti conseguenze che ne derivano.

È necessario commettere reati specifici per essere accusati di partecipazione ad associazione mafiosa?
No, la sentenza chiarisce che la commissione di specifici ‘reati satellite’ non è un requisito necessario. È sufficiente dimostrare lo stabile inserimento nella struttura criminale e la ‘messa a disposizione’ in favore del sodalizio per il perseguimento dei suoi fini.

Quali elementi possono dimostrare lo ‘stabile inserimento’ in un’associazione mafiosa?
Secondo la Corte, elementi come la conoscenza dell’organigramma del clan, l’identità dei suoi capi, la partecipazione a incontri e riunioni organizzative in luoghi deputati e l’essere a conoscenza delle strategie criminali sono comportamenti concludenti che costituiscono gravi indizi di intraneità al sodalizio.

Un ruolo apparentemente passivo o il fallimento di un’operazione escludono la responsabilità penale?
No. La Corte ha ritenuto irrilevante sia la pretesa passività del ricorrente durante le conversazioni intercettate sia il mancato esito positivo di un progetto economico. Ciò che conta è la disponibilità a partecipare e a mettersi a disposizione del clan, poiché tale atteggiamento è considerato espressione di adesione al patto associativo criminale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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