Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 47040 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 47040 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 13/11/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da
Procuratore generale presso Corte di appello di Catanzaro nei confronti di
COGNOME COGNOME nato a Cutro il 17/10/1975
COGNOME nato a Cutro il 23/12/1970
Bianco NOMECOGNOME nato a Sersale il 09/04/1977
COGNOME NOMECOGNOME nato a Catanzaro il 14/06/1985
COGNOME NOMECOGNOME nato a Cropani il 10/12/1963
COGNOME NOMECOGNOME nato a Crotone il 13/11/1980
e da
COGNOME NOMECOGNOME nato a Catanzaro il 20/04/1976
COGNOME MaurizioCOGNOME nato a Cropani il 30/11/1969
COGNOME NOMECOGNOME nato a Catanzaro il 19/04/1970
COGNOME nato a Catanzaro il 28/01/1984
avverso la sentenza del 11/04/2023 della Corte di appello di Catanzaro visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio nei confronti di COGNOME, COGNOME e COGNOME limitatamente al trattamento sanzionatorio e rigetto nel resto dei rispettivi ricorsi; rigetto del ricorso del Procuratore generale nei confronti di COGNOME COGNOME e COGNOME COGNOME; inammissibilità del ricorso del Procuratore generale nei confronti di COGNOME e annullamento con rinvio nei confronti di Scandale.
uditi i difensori:
Avv. NOME COGNOME in difesa di COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, che la chiesto l’accoglimento del ricorso di COGNOME e dichiararsi la inammissibilità del ricorso del Procuratore generale nei confronti di COGNOME e COGNOME;
Avv. NOME COGNOME in difesa di NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso del Procuratore generale;
Avv. NOME COGNOME in difesa di NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
Avv. NOME COGNOME, in difensa di COGNOME NOME e COGNOME NOME, che ha chiesto l’accoglimento dei rispettivi ricorsi;
Avv. NOME COGNOME in difesa di COGNOME e COGNOME che ha chiesto l’accoglimento dei rispettivi ricorsi;
Avv. NOME COGNOME in difesa di RAGIONE_SOCIALE, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
Avv. NOME COGNOME in difesa di NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
Avv. COGNOME in difesa di COGNOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso del Procuratore generale;
Avv. NOME COGNOME in sostituzione dell’Avv. NOME COGNOME in difesa di COGNOME che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso del Procuratore generale.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Catanzaro, a seguito di gravame interposto dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Catanzaro e – per quanto in questa sede di interesse – dagli imputati NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOMEinteso NOMECOGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME avverso la sentenza emessa il 3 novembre 2020 dal locale Tribunale, in riforma della decisione:
ha assolto NOME COGNOME e NOME COGNOME dal reato di cui al capo 1 (art. 416-bis cod. pen. per partecipazione alla articolazione di ‘ndrangheta Tropea della cosca Trapasso) loro ascritto;
ha dichiarato NOME COGNOME colpevole del reato di cui al capo 1 (art. 416-bis cod. pen. per partecipazione alla cosca Trapasso) a lui ascritto, condannandolo a pena di giustizia, pene accessorie e misura di sicurezza; ha dichiarato inammissibile l’impugnazione del Pubblico Ministero nei suoi confronti in ordine al capo 11 (artt. 81 cpv.,110, 697 cod. pen.), rigettando nel resto l’appello;
esclusa l’aggravante di cui all’art. 7 I. n. 203/1991, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di NOME COGNOME in ordine al reato a lui ascritto al capo 7 (art. 12-quinquies d. I. n. 306/92, 7 I. n. 203/91) per essere lo stesso estinto per prescrizione, revocando la confisca del complesso aziendale “RAGIONE_SOCIALE” disponendone la restituzione all’avente diritto;
ha rideterminato la pena nei confronti di NOME COGNOME riconosciuto colpevole del reato a lui ascritto di cui al capo 1 (art. 416-bis cod. pen. per partecipazione alla cosca Trapasso), NOME COGNOME in ordine ai reati di cui ai capi 1 (art. 416-bis cod. pen. per partecipazione alla cosca COGNOME) e 4-ter (artt. 110, cod. pen., 12-quinquies, comma 1, d. I. n. 306/92, 7 I. n. 203/91) e NOME COGNOME in relazione ai reati di cui ai capi 1 (art. 416-bis cod. pen. per partecipazione alla cosca Trapasso), 7-bis (artt. 110, cod. pen., 12-quinquies, comma 1, d. I. n. 306/92, 7 I. n. 203/91) e 8 (artt. 81 cpv., 110, 629, comma 1 e 2, in relazione all’art. 628, comma 3 n. 3 cod. pen.);
ha confermato la assoluzione di NOME COGNOME in ordine al reato a lui ascritto di cui al capo 1 (art. 416-bis cod. pen. per partecipazione alla cosca Trapasso) per non aver commesso il fatto;
ha confermato la assoluzione nei confronti di NOME COGNOME in ordine al reato ascrittogli di cui al capo 1 (art. 416-bis cod. pen. per partecipazione alla articolazione di ‘ndrangheta Tropea della cosca Trapasso) per non aver commesso
il fatto e NOME COGNOME in ordine al reato ascrittogli di cui al capo 2 -bis (artt. 110, 416-bis cod. pen. per concorso esterno alla cosca Trapasso) perché il fatto non sussiste.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Catanzaro deducendo i seguenti motivi.
2.1. Con il primo motivo violazione degli artt. 416-bis e 110 cod. pen. e vizio cumulativo della motivazione con riguardo alla posizione di NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Sono richiamate le dichiarazioni di NOME COGNOME che ha descritto i fratelli COGNOME quali soggetti totalmente asserviti ai Tropea, costretti a causa dei debiti che avevano precedentemente contratto con costoro, a coadiuvarli nell’attività di usura da loro praticata, consegnando ai predetti il denaro che raccoglievano dopo aver incassato gli assegni provento di attività illecita, così delineando l’attività degli COGNOME uno scambio di interessi. A tali dichiarazioni, secondo il ricorrente, fanno da riscontro il ritrovamento presso NOME COGNOME di un manoscritto con l’indicazione, tra gli altri soggetti debitori, anche di “COGNOME” (ovvero NOME COGNOME) e del libretto di deposito intestato all’COGNOME e alla moglie. Inoltre, si richiama il compendio captativo sulle pressioni di NOME COGNOME su NOME COGNOME e sulla intermediazione effettuata da questi su richiesta del COGNOME per il proprio debito nei confronti di NOME COGNOME. Infine, si richiama la confessione dello stesso NOME COGNOME sulla intermediazione operata nei confronti del COGNOME e la ammissione di essere vittima di usura da parte dei Tropea, come suo fratello e di essere stati costretti a prestare servizi di varia natura, tra i quali la riscossione di quanto dovuto da altre vittime di usura, nonché del violento pestaggio subito dai Tropea, della costrizione a vendere un terreno e della cessione ai Tropea di un negozio in Botricello. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Sostiene il ricorrente che il quadro fattuale così delineato configura una adesione al programma delinquenziale dei Tropea, ancorché necessitata per motivi di sopravvivenza personale, non irrilevante ai fini penali in ragione della instaurazione di un sinallagma con l’associazione mafiosa, tanto da far ritenere i predetti COGNOME intranei ad essa.
In ogni caso, si censura anche la denegata qualificazione delle condotte nell’ambito del concorso esterno, dovendosi considerare i concreti, specifici,, consapevoli e volontari contributi aventi efficacia causale per la conservazione e il rafforzamento delle capacità operative dell’associazione e, segnatamente, di un settore di attività.
La sentenza non ha tenuto conto del giudicato nei confronti di NOME COGNOME derivante dalla sentenza della Corte di cassazione n. 1550/2022 in atti
circa lo stretto collegamento della abusiva attività finanziaria e usura con l’operatività della consorteria mafiosa dei Tropea; come pure – in relazione alla sentenza n. 15560/2020 con riguardo a NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME. Cosicché il contributo fornito dagli COGNOME a tale attività criminosa è sintomatico di una messa a disposizione degli imputati in favore dell’associazione.
2.2. Con il secondo motivo inosservanza dell’art. 8 I. n. 203/1991, 649 cod. proc. pen. e vizio cumulativo della motivazione con riferimento alla posizione di NOME COGNOME relativamente al reato di cui al capo 7.
L’esclusione della aggravante mafiosa non ha tenuto conto della sentenza n. 15560/2022 della Corte di cassazione che ha definito la posizione di NOME COGNOME proprio in relazione al capo 7, designando le interposizioni fittizie come finalizzate alla implementazione della forza del sodalizio di stampo mafioso, dissimulando il controllo totalizzante esercitato dalla cosca dei COGNOME sulle strutture sportive e turistiche, così affermandosi la sussistenza della aggravante mafiosa, con la conseguenza della non prescrizione del reato.
Inoltre, si censura la disposta revoca della confisca della azienda “RAGIONE_SOCIALE“, essendo la confisca già stata disposta in via definitiva a seguito della allegata sentenza di legittimità, della quale non si è tenuto conto.
2.3. Con il terzo motivo inosservanza dell’art. 416-bis cod. pen. in relazione alla posizione di NOME COGNOME la cui accertata completa messa a disposizione nei confronti di NOME COGNOME, esponente di rilievo del clan Trapasso, comporta la partecipazione all’associazione.
Il COGNOME, sottoposto a NOME COGNOME aveva il ruolo di vedetta e controllore del villaggio Carrao, che era sotto il controllo del sodalizio criminale. La citata sentenza n. 15660/2022 della Corte di cassazione aveva definito l’intraneità del COGNOME al quale il COGNOME si era sostituito, dipendendo da lui.
2.4. Con il quarto motivo violazione dell’art. 416-bis cod. pen. in relazione alla posizione di NOME COGNOME essendone correttamente riconosciuto il coinvolgimento nell’attività usuraria svolta da NOME COGNOME senza farne conseguire le conclusioni in diritto circa il coinvolgimento associativo. Emergente il legame con i COGNOME dalle captazioni e dalle dichiarazioni del testimone di giustizia COGNOME, il suo coinvolgimento nella abusiva attività di prestito da questi svolta e la sua presenza durante l’esecuzione di azioni intimidatorie o cli riscossione di somme usurarie era manifestazione di partecipazione al sodalizio, poiché quelle azioni rientravano nel progetto criminoso dell’articolazione cli ‘ndrangheta Tropea della cosca Trapasso, come risulta dalla sentenza n. 15560/2022 della Corte di Cassazione a proposito di NOME COGNOME.
2.5. Con il quinto motivo violazione degli artt. 110, 416-bis cod. pen. in relazione al capo 2-bis ascritto a NOME COGNOME essendosi accertato l’interesse della cosca Trapasso alla sua elezione nel 2014 e l’apertura e disponibilità del COGNOME nei confronti della cosca, mettendo a disposizione di questa la sua carica di vicesindaco ottenuta dopo l’elezione ottenuta con il sostegno della cosca.
Deve, inoltre, considerarsi lo scioglimento del Consiglio comunale di Cropani in data 31/7/2017 per infiltrazioni mafiose e, in tale contesto, la delibera di consiglio comunale del 26/9/2013 che, all’unanimità, aveva determinato l’assegnazione con procedura illegittima di un suolo PIP in favore della “RAGIONE_SOCIALE“, il cui titolare, appunto, NOME COGNOME era esponente di vertice della omonima cosca di ‘ndrangheta. Alla delibera aveva partecipato anche il COGNOME che poi sarà eletto nelle successive elezioni amministrative del 25/5/2014.
A tal riguardo, la Corte ha rigettato la richiesta di acquisizione della relazione del Ministero dell’interno – con ordinanza del 23.11.2022 che si impugna – che dimostrava le ragioni dello scioglimento del consiglio comunale di Cropani e i vantaggi ottenuti dalla cosca Trapasso dalle delibere del consiglio comunale anche con il voto del Greco prima delle elezioni del 2014.
La messa a disposizione del Greco in favore della cosca, tanto da indurre questa a sostenerlo nelle elezioni della successiva competizione elettorale integra il reato di cui agli artt. 110-416-bis cod. pen. ascrittogli.
Avverso la sentenza hanno proposto ricorso per cassazione i predetti imputati a mezzo dei rispettivi difensori.
Nell’interesse di NOME COGNOME con atto per Avv. NOME COGNOME si deducono i seguenti motivi.
4.1. Con il primo motivo violazione dell’art. 593-bis cod. proc. pen. in relazione al rigetto della deduzione in appello sulla inammissibilità dell’appello proposto dal sostituto procuratore della Repubblica, essendo il relativo potere riservato al Procuratore della Repubblica ai sensi dell’art. 593-bis, comma 2, cod. proc. pen.
4.2. Con il secondo motivo violazione dell’art. 603, comma 3-bis, cod. proc. pen. con riferimento alla ordinanza pronunciata dalla Corte di appello in data 11. maggio 2022 con la quale era disposta la riapertura parziale del dibattimento solo con riferimento alla rinnovazione della perizia trascrittiva ad opera del prof. NOME COGNOME e non per risentire il collaboratore di giustizia NOME COGNOME.
Premesso che la rinnovazione è stata disposta in relazione alle sole ipotesi di cui ai capi 11 e 11-bis per i quali è stata confermata l’assoluzione – il ribaltamento è avvenuto solo in relazione al reato di cui al capo 1, previa
riqualificazione della condotta in quella di mera partecipazione, sulla scorta di una mera rivalutazione cartolare del materiale raccolto nel corso del dibattimento di primo grado, in violazione dell’obbligo di rinnovazione delle dichiarazioni sui fatti del processo ritenute decisive ai fini del giudizio assolutorio di primo grado.
La sentenza di appello ha sviluppato in motivazione un radicale ma diverso apprezzamento in ordine al propalato del collaboratore di giustizia NOME COGNOME posto che l’obbligo di rinnovazione non riguarda solo l’attendibilità ma anche l’ipotesi di diversa interpretazione delle risultanze di tale prova.
4.3. Con il terzo motivo vizio della motivazione in relazione all’omessa valutazione della memoria difensiva depositata all’esito della discussione finale, limitandosi la sentenza ad un circoscritto rilievo senza confrontarsi con le argomentazioni scardinanti della memoria che si richiamano in ricorso, segnatamente con riguardo alle contestazioni mosse alle dichiarazioni del COGNOME e agli elementi di smentita proposti in relazione alla pretesa ricezione da parte del COGNOME della c.d. mensilità, alle dichiarazioni dell’assistente capo NOME COGNOME, alle captazioni n. 13914 del 28/10/2012 3 n. 21801 del 23/12/2012, alla testimonianza dell’ispettore NOME COGNOME e alle serie di conversazioni, ulteriori rispetto a quelle della tavernetta, a discarico del COGNOME. Inoltre, nessuno dei collaboratori di giustizia – al di là del Colosimo – sentiti all’udienza del 20/9/2018 ha mai menzionato il ricorrente, come pure rileva la disposta revoca del tutoraggio ex art. 34-bis cod. antimafia.
4.4. Con il quarto motivo vizio cumulativo della motivazione in relazione alla affermazione di responsabilità in ordine al reato di cui al capo 1.
L’assunto della Corte di appello, secondo il quale il narrato del COGNOME, riscontrato dall’attività captativa quanto alla esistenza di rapporti stretti tra COGNOME, COGNOME e altri sodali, costituirebbe prova idonea par la partecipazione associativa, manca di considerare la decisiva assenza di riscontri alle, peraltro, generiche dichiarazioni del COGNOME sia sui benefici, in termini di aumentata capacità economica, che ne sarebbero derivati all’impresa di calcestruzzi del COGNOME, sia in relazione alla erogazione al COGNOME di somme provenienti dalla cosca in modo da farne uno “stipendiato”.
In tal modo la sentenza ha riformato al prima decisione senza rispettare l’obbligo di motivazione rafforzata rispetto a questa, segnatamente in relazione alla mancanza di riscontri individualizzanti sui predetti punti di maggiore rilevanza.
4.5. Con il quinto motivo violazione dell’art. 416-bis cod. pen. e 192 cod. proc. pen. in relazione alla affermazione di responsabilità in ordine al reato associativo sia sotto il profilo del contributo causale che sotto quello dell’elemento psicologico del reato in capo all’imputato.
L’assunto della Corte non resiste alle deduzioni difensive già sopra richiamate nel terzo motivo.
Ma vi è di più: le dichiarazioni del 21 giugno 2019 del Colosimo rappresentano, per quanto riguarda il ricorrente, un cambiamento di rotta rispetto alle dichiarazioni del 19 gennaio 2019: mentre in queste il Colosimo indica il ricorrente come “a disposizione ma non affiliato”, nelle seconde lo indica come intraneo per essere a disposizione della cosca, in base a indicazioni del tutto generiche.
La sentenza di appello non offre alcuna considerazione sulla divergenza delle dichiarazioni del COGNOME, limitandosi ad appoggiare le proprie conclusioni sulle dichiarazioni del 21 giugno 2019, cosicché alla intraneità del ricorrente fa seguito la sua posizione di stipendiato dalla cosca, senza che il COGNOME avesse detto nulla di specifico a riguardo, anzi indicando una disponibilità economica del ricorrente evidentemente incompatibile con l’erogazione della modesta somma di 600 euro mensili.
Anche per i benefici all’attività di impresa nulla dice il COGNOME, così essendo priva di riscontro l’affermazione fatta dalla sentenza a riguardo, e risultando i pretesi ulteriori vantaggi riguardanti la risoluzione dei contrasti economici astratta generalizzazione di un unico episodio, quello riguardante il COGNOME senza considerare la sua riconduzione alla ipotesi di esercizio arbitrario delle proprie ragioni che conduce allo svilimento della vicenda nelle direzione della valutazione in chiave di partecipazione associativa per l’esclusione di ogni interesse, diretto o indiretto, degli esponenti, anche apicali, della consorteria alla risoluzione della controversia tra il COGNOME e il COGNOME. Anzi, il racconto del COGNOME a riguardo f desumere come dall’incontro al “Terrazzo” non sia derivato alcun vantaggio al COGNOME che, anzi, deve ritenersi essere stato gravemente penalizzato dalla determinazione assunta dal Trapasso di imporre al COGNOME il pagamento prima del debito usurario contratto con il Tropea e solo successivamente, una volta definito con l’estinzione, provvedere al soddisfacimento del credito vantato dal COGNOME.
Cosicché, quanto detto osta al riconoscimento del Colosimo della coerenza, affidabilità e credibilità rendendo il ragionamento della Corte privo dei requisiti richiesti dagli orientamenti di legittimità.
4.6. Con il sesto motivo violazione dell’art. 416-bis, comma 4, cod. pen. e vizio cumulativo della motivazione non ricavandosi dalle captazioni considerate dalla sentenza la consapevolezza circa la disponibilità di armi della cosca e mancando la considerazione della memoria difensiva già richiamata (v. pg. 5 e 6), travisandosi la prova per omissione e disallineandosi con l’orientamento di legittimità in materia che segna l’irrilevanza della mera disponibilità personale o occasionale di armi.
4.7. Con il settimo motivo violazione dell’art. 416-bis, comma 6, cod. pen. e vizio cumulativo della motivazione e omessa valutazione della memoria difensiva. La sentenza impugnata travisa la prova per omissione, stendendo una sterile motivazione.
4.8. Con l’ottavo motivo violazione dell’art. 2 cod. pen. e mancanza di motivazione in relazione ai profili edittali introdotti dalla legge n. 69/2015, trattandosi di condotte mai successive al 2014. La Corte di appello ha omesso ogni considerazione a riguardo della censura difensiva, richiamando sterilmente la contestazione aperta fino alla sentenza di primo grado e genericamente i collaboratori.
4.9. Con il nono motivo violazione degli artt. 299, 230, 417 cod. pen. e vizio cumulativo della motivazione in ordine alla applicazione della misura di sicurezza della libertà vigilata in via automatica e senza alcuna valutazione a riguardo, non tenendosi neanche conto che il ricorrente è stato condannato a una pena inferiore ai dieci anni, e conseguentemente non vi era alcun obbligo di applicargli la libertà vigilata per tre anni.
Nell’interesse dello stesso imputato COGNOME con distinto atto per Avv. NOME COGNOME si deducono i seguenti motivi.
5.1. Con il primo motivo violazione ed erronea applicazione dell’art. 603, comma 3, cod. proc. pen. e vizio cumulativo della motivazione.
In base ai criteri di legittimità, a seguito dell’appello del Pubblico ministero, si doveva disporre la rinnovazione del dibattimento non solo riascoltando NOME COGNOME ma anche NOME COGNOME e NOME COGNOME ossia le persone offese dai fatti di cui al capo 28, il cui portato probatorio influiva sulla responsabili associativa del ricorrente.
Che le predette prove dichiarative – o almeno quelle di NOME COGNOME -siano state decisive, nel cambiamento intervenuto in appello sulla loro attendibilità, per l’esito del giudizio di merito – laddove lo stesso è stato totalmente modificato tra primo e secondo grado – è indubbio.
Peraltro, l’onere istruttorio trovava fondamento nella stessa impugnazione del Pubblico Ministero avverso la sentenza assolutoria non solo in base alla sua richiesta di riaudizione del Colosimo, ma anche per gli argomenti spesi nell’impugnazione, che già da soli lasciavano emergere i presupposti per allargare la rinnovazione istruttoria all’esame delle predette persone offese, delle quali l’appellante avanzava dubbi di credibilità per possibili intimidazioni ricevute.
5.2. Con il secondo motivo violazione ed erronea applicazione dell’art. 416bis cod. pen., anche in relazione agli artt. 110, 416-bis cod. pen. e vizio cumulativo della motivazione.
La Corte ha omesso di valutare la memoria finale e travisato il materiale probatorio, omettendo di apprestare una motivazione rafforzata per il ribaltamento della prima decisione.
Ripercorso il ragionamento posto a base della sentenza di appello, si richiama quello posto a base della decisione assolutoria, di cui si condivide la completa valutazione degli elementi riguardanti la posizione del ricorrente.
Al contrario, la sentenza impugnata non ha considerato le deduzioni difensive mosse con la memoria – che si richiamano – concludendo con una generica valutazione della posizione difensiva (v. pg. 22 della sentenza).
Quindi, ha affermato la responsabilità del ricorrente – pur confermando la prescrizione del reato sub 11 – ha ritenuto accertato quanto il primo giudice aveva messo in dubbio, assumendo illegittimamente il dato a conforto della accusa associativa. Inoltre, ha valorizzato i fatti sub capo 28 – ancorché improcedibile -non considerando l’assoluzione dei correi e l’esclusione della aggravante mafiosa.
Altra fondamentale questione riguarda l’assunto secondo il quale il ricorrente si sarebbe avvalso della “protezione della cosca per avvantaggiare sul mercato la propria impresa (anche per la riscossione dei crediti)”. Ebbene, a tal riguardo la Corte di appello non ha fornito alcun elemento non dimostrando in alcun modo che il ricorrente fosse un imprenditore della cosca, né accedendo alla ipotesi – pure prospettata dalla difesa – per la quale l’imprenditore colluso è un concorrente esterno.
La sentenza ha omesso di considerare il dato probatorio – richiamato nel precedente atto di ricorso – dal quale era emerso che il COGNOME in realtà era costretto a subire condotte lesive della sua libertà di agire quale imprenditore.
Quanto al preteso rilievo e riscontro delle dichiarazioni del COGNOME le affermazione della sentenza sono palesemente illogiche. Posto che il COGNOME aveva avuto contezza degli atti del procedimento – essendovi imputato, ancorché in quello in rito abbreviato – egli non poteva avallare asetticamente gli elementi di accusa, senza che alcun riscontro fosse rinvenibile sulla sua posizione, sulla percezione di uno stipendio, sulle munizioni fornite ai sodali e sui fatti di cui al capo 28.
Cosicché, insuperata doveva ritenersi la mera contiguità ritenuta dalla prima sentenza, ritenuta correttamente insufficiente a delineare la intraneità associativa del ricorrente.
5.3. Con il terzo motivo violazione dell’art. 416-bis, comma 4, cod. pen. vizio cumulativo della motivazione, risultando la sentenza, attraverso una tecnica di rinvii, meramente assertiva sulla sussistenza della aggravante armata, laddove anche la prima sentenza era stata carente a proposito. Per il resto la Corte ha valorizzato i fatti di cui ai capi 11 e 11-bis che non contenevano la dimostrazione
di una consapevolezza di una caratterizzazione associativa, bensì solo dell’esistenza di episodici contatti che avrebbero avuto ad oggetto l’argomento delle armi.
5.4. Con il quarto motivo violazione dell’art. 416-bis, comma 6, cod. pen. e vizio cumulativo della motivazione.
La giustificazione meramente assertiva sulla sussistenza della aggravante non tiene conto della necessità che per essa si verifichino non semplici impieghi di somme provento della attività delittuosa in qualsivoglia attività economica, ma investimenti in grado di incidere in modo rilevante sul funzionamento di uno specifico settore di mercato, in modo da condizionarne (a favore del sodalizio) l’operatività.
5.5. Con il quinto motivo violazione dell’art. 2 cod. pen. in relazione ai profili edittali introdotti dalla legge n. 69/2015, trattandosi di condotte mai successive al 2014. La Corte di appello ha omesso ogni considerazione a riguardo della censura difensiva, richiamando sterilmente la contestazione aperta fino alla sentenza di primo grado e genericamente i collaboratori.
Nell’interesse di NOME COGNOME con atto per avv. NOME COGNOME si deduce con unico motivo violazione dell’art. 416-bis cod. pen. e vizio cumulativo della motivazione in ordine alla affermazione di responsabilità.
La partecipazione associativa del ricorrente non si connota del contenuto richiesto dalla norma incriminatrice, segnatamente dello svolgimento da parte del soggetto di comportamenti concreti espressivi del ruolo assunto; né la messa a disposizione dell’organizzazione criminale, rilevante ai fini della prova dell’adesione, può risolversi nella mera disponibilità eventualmente manifestata nei confronti di singoli associati, quand’anche di livello apicale, al servizio di lor interessi particolari.
Cosicché il rapporto stabile e di fiducia tra il ricorrente e il COGNOME non può fondare – come invece ritenuto dalla sentenza impugnata – l’intraneità del primo nella associazione criminosa.
Nell’interesse dello stesso imputato, con atto per avv. NOME COGNOME si deducono i seguenti motivi.
7.1. Con il primo motivo vizio di motivazione a seguito della omessa valutazione della memoria difensiva depositata all’esito della discussione finale, di cui si richiamano i contenuti con riguardo al mancato riscontro della percezione della mensilità pari a 600 euro, alle conversazioni captate prive del preteso riscontro delal partecipazione, alla irrilevanza della vicenda NOME
7.2. Con il secondo motivo omessa valutazione di prove decisive cori riferimento alla produzione documentale della difesa avvenuta alla udienza del
13/10/2022 (denunce-querele sporte dal COGNOME, denuncia di cessione di armi), alle dichiarazioni dell’ispettore NOME COGNOME secondo il quale il ricorrente entra incidentalmente in questo procedimento, alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia che, al di fuori del Colosimo, non parlano del ricorrente. Né risultano acquisite le dichiarazioni dl collaboratore di giustizia NOME COGNOME, allegate nel giudizio abbreviato, che pure mai menziona il ricorrente.
7.3. Con il terzo motivo vizio cumulativo della motivazione e mancata assunzione di prova decisiva con riferimento alla mancata riapertura del dibattimento in appello con ordinanza del 11/5/2022, in relazione alle macroscopiche illogicità del propalato di NOME COGNOME.
7.4. Con il quarto motivo violazione dell’art. 416-bis cod. pen. e vizio della motivazione in relazione alla condotta obiettiva e all’elemento psicologico del reato.
La ragioni poste a base della decisione non reggono alle deduzioni difensive proposte con la citata memoria difensiva, segnatamente con riguardo:
alle dichiarazioni del COGNOME che attingono atti del processo ben note allo stesso dichiarante, coinvolto nel giudizio abbreviato, a seguito del quale non gli è stata riconosciuta l’attenuante della collaborazione e non sono stati riscontrati alcuni suoi assunti.
all’assenza di sentenze passate in giudicato versate in atti che escludano rapporti di vicinanza tra l’imputato e persone condannate per delitti di cui all’art. 416-bis cod. pen.;
alla titolarità da parte del ricorrente del porto d’armi fino alla dat dell’arresto;
alla circostanza che il ricorrente era un imprenditore agricolo e solo per questo il COGNOME si era a lui rivolto in una occasione per terreni da condurre in locazione;
al richiamato contenuto della deposizione del teste COGNOME;
ai motivi di astio nutriti dal COGNOME nei confronti del ricorrente per rapporti di debito/credito provati dalla difesa;
all’assenza di riferimenti all’imputato da parte di tutti gli altri collaborato di giustizia;
alla mancata partecipazione del ricorrente a reati indicati in sentenza o a convivi e rapporti con altre cosche.
7.5. Con il quinto motivo erronea applicazione dell’art. 416-bis, comma 4, cod. pen. e vizio cumulativo della motivazione circa la sussistenza della aggravante giustificata con motivazione sterile e senza considerare l’irrilevanza della personale o occasionale detenzione di armi.
7.6. Con il sesto motivo erronea applicazione dell’art. 416-bis, comma 6, cod. pen. e vizio cumulativo della motivazione mancando del tutto la prova del reimpiego destinato al finanziamento di attività economiche di cui la pretesa associazione deterrebbe il controllo.
7.7. Con il settimo motivo violazione dell’art. 2 cod. pen. e mancanza della motivazione in relazione ai profili edittali introdotti dalla legge n. 69/2015, trattandosi di condotte mai successive al 2014. La Corte di appello ha omesso ogni considerazione a riguardo della censura difensiva, richiamando sterilmente la contestazione aperta fino alla sentenza di primo grado e genericamente i collaboratori.
Nell’interesse di NOME COGNOME deducono i seguenti motivi.
8.1. Con il primo motivo violazione di legge e vizio della motivazione in relazione alla affermazione di responsabilità in ordine al reato associativo sub 1 in quanto tutti gli elementi valorizzati dalla sentenza non sono conducenti all’assunto finale cui si perviene.
A tal riguardo, invero, risultano insufficienti la gestione per un solo anno di un servizio all’interno del villaggio turistico Riviera del Sole, la presenza – peraltro indimostrata – all’interno di una vettura in un episodio di dazione di una somma di denaro per il mantenimento di una famiglia di un detenuto ritenuto partecipe della cosca, l’appoggio logistico fornito in una occasione a NOME COGNOME e NOME COGNOME per un viaggio a Verona.
Palese è il travisamento di prova in relazione alla vicenda “RAGIONE_SOCIALE” di cui il Russo rileva le quote azionarie il 16 luglio 2016, non considerando il dato temporale in cui l’imputato ha di fatto gestito la detta società (fine luglio-settembre 2014) che si scontra con il preteso ruolo di partecipe/preposto del Russo.
Né gli esiti captativi depongono nel senso dell’accusa, mancando la consapevolezza da parte del ricorrente dell’esistenza di un circuito associativo o di un programma indeterminato di natura criminosa.
Rimane la voce isolata del Colosimo che già conosce le carte processuali.
Quanto all’unico particolare specifico riferito dal collaboratore, riguardante il presunto pagamento fittizio da parte del Russo dell’autovettura Wolkswagen Golf ritenuta dal propalante di proprietà di NOME COGNOME, la Corte non si confronta con la produzione documentale resa nell’udienza del 9/7/2020.
Infine, si censura la ritenuta sussistenza delle aggravanti di cui ai commi 4 e 6 dell’art. 416-bis cod. pen. ascritte al Russo con una laconica motivazione.
8.2. Con il secondo motivo violazione di legge e vizio della motivazione in ordine alla sussistenza del delitto di cui al capo 4-ter riguardante l’intestazione fittizia della “RAGIONE_SOCIALE“, basata su captazioni che non riguardano il Russo e sulle generiche dichiarazioni del Colosinno, omettendo si valutare le evidenze
documentali riguardanti le vicende societarie, dalla quale risulta che quando il COGNOME acquista la titolarità delle quote societarie, nel luglio 2014, egli trova una situazione ampiamente cristallizzata avendo unico rapporto con NOME COGNOME responsabile della società alla quale la “RAGIONE_SOCIALE” aveva subappaltato vari servizi del villaggio turistico.
Inoltre, oltre l’assenza di rapporti con i RAGIONE_SOCIALE, non è motivata la pendenza – nel periodo interessato – nei loro confronti di vicende giudiziarie afferenti il reato di cui all’art. 416-bis cod. pen.
8.3. Con il terzo motivo violazione di legge e vizio della motivazione in relazione alla ritenuta aggravante ex art. 7 I. n. 203/91 non essendosi argomentata la funzionalità della ritenuta condotta di occultamento giuridico dell’attività imprenditoriale ad implementare la forza del sodalizio di stampo mafioso.
Nell’interesse di NOME COGNOME si deducono i seguenti motivi.
9.1. Con il primo motivo violazione dell’art. 512-bis cod. pen. e vizio della motivazione.
E’ di tutta evidenza la contraddittorietà della motivazione rispetto a un dichiarato del collaboratore di giustizia che fa discendere la nascita del rapporto RAGIONE_SOCIALE/RAGIONE_SOCIALE dalla circostanza che il secondo non riusciva a pagare i debiti da prestiti usurari ricevuti dal primo e, quindi, di fatto, è stato costretto a cedere a primo la propria azienda, dalla quale il ricorrente ricavava una minima percentuale per sopravvivere.
9.2. Con il secondo motivo violazione dell’art. 513-bis e 629 cod. pen. e vizio della motivazione in ordine alla concorrenza dei reati di illecita concorrenza ed estorsione.
La Corte ha omesso di considerare le deduzioni in appello circa l’assoluto assoggettamento del ricorrente con il dialogante nelle intercettazioni considerate né le dichiarazioni deli titolari del “Tiffy’s bar”, persone offese dal reato, ch escludono che il ricorrente abbia mai posto in essere comportamenti minacciosi.
Nessuna risposta vi è in sentenza sulla istanza difensiva circa l’assorbimento della ipotesi estorsiva nell’ipotesi di cui all’art. 513-bis cod. pen.
9.3. Con il terzo motivo violazione dell’art. 416-bis cod. pen. e vizio della motivazione in relazione alla ritenuta partecipazione associativa del ricorrente rispetto alle dichiarazioni del collaboratore di giustizia NOME COGNOME che confermano le necessità economiche incombenti sul ricorrente e l’imposizione della gestione dei videopoker da parte di altri, elemento che fanno escludere la sussistenza dell’elemento psicologico del reato e la presenza di una affectio societatis.
9.4. Con il quarto motivo si censura la ritenuta sussistenza delle aggravanti di cui ai commi 4 e 6 dell’art. 416-bis cod. pen. e vizio cumulativo della motivazione in assenza dei presupposti di fatto necessari per la integrazione della aggravante dell’investimento mafioso e in assenza di qualsiasi motivazione in relazione alla aggravante armata.
9.5. Con il quinto motivo vizio cumulativo della motivazione in relazione al giudizio di equivalenza delle circostanze attenuanti generiche, invece ritenute prevalenti in capo ad altro coimputato, il Russo, con identica motivazione. Si censura inoltre medesimo vizio in relazione alla determinazione dell’aumento per la continuazione tra i reati di cui ai capi 4-ter e 7-bis diversamente quantificato rispetto allo stesso Russo senza giustificazione.
E’ pervenuta memoria difensiva nell’interesse dell’imputato NOME COGNOME a sostegno della declaratoria di inammissibilità del ricorso del Procuratore generale, che reitera le questioni di fatto mosse nei precedenti gradi di giudizio senza considerare le risposte date in tali sedi.
E’ pervenuta memoria difensiva nell’interesse dell’imputato NOME COGNOME a sostegno della declaratoria di inammissibilità o, comunque, del rigetto del ricorso del Procuratore generale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso del Procuratore Generale.
1.1. In relazione agli imputati NOME COGNOME e NOME COGNOME il ricorso è inammissibile.
1.1.1. Gli imputati, condannati in primo grado in relazione al reato di partecipazione mafiosa sub 1), sono stati assolti con la sentenza impugnata per non aver commesso il fatto.
La Corte di appello (v. pg. 30 e ss.), con motivazione sovrapponibile in relazione alle due posizioni, dopo aver richiamato il percorso argomentativo della prima decisione e la sua conclusione secondo la quale gli imputati avevano travalicato la posizione di vittime di usura per mettersi a disposizione dell’intera cosca negli affari dell’associazione, ha ritenuto che la prova derivante dalle dichiarazioni di NOME COGNOME indicava il rapporto di sottomissione degli imputati al gruppo criminale, perché soggetti vittime di usura, incompatibile con l’esistenza di una affectio societatis o altrimenti di un rapporto bilaterale, non apparendo sussistere una messa a disposizione degli imputati, tramite contributi
concreti, in favore dell’associazione né l’accettazione, da parte degli altri associati, del contributo degli imputati quali intranei (o concorrenti esterni).
Gli COGNOME, secondo la decisione impugnata, non vengono messi a parte di alcun affare associativo (non partecipano a riunioni), non hanno contatti se non con i Tropea e con NOME COGNOME che appaiono essere loro creditori, al più aderiscono alle loro richieste per contributi collegabili ai singoli delitti di usura e di truffa di esercizio abusivo del credito) che appaiono diretta promanazione degli affari personali dei Tropea, piuttosto che della cosca Trapasso-Tropea/Talarico (e sulla natura personale dell’attività usuraria cfr. anche il dichiarato di NOME COGNOME e la conv. n. progr. 941, nella quale l’attività di usura appare personale dei Tropea). Ancora, sono valorizzati l’assoluto asservimento desumibile dal compendio captativo e la modalità minacciosa usata dal Tropea e dal COGNOME, ritenuta incompatibile con l’esistenza di una affectio societatis. Infine, è considerata l’intestazione fittizia da parte di NOME COGNOME di un esercizio commerciale effettivamente gestito da NOME COGNOME e dai Tropea, che successivamente estromettevano l’imputato, a riprova del mero asservimento e estraneità associativa.
1.1.2. A fronte delle ragioni espresse dalla sentenza impugnata il ricorso è genericamente proposto in fatto, prospettando un’alternativa valutazione delle condotte degli imputati, ponendole nel quadro della attività associativa, dalla quale la sentenza logicamente la esclude sulla base di una ineccepibile valutazione in fatto conducente alla valenza meramente personale e costretta delle condotte limitate a singole vicende – tenute dagli imputati, pacificamente vittime delle condotte usurarie dei loro creditori, tale da escludere qualsiasi adesione al programma associativo facente capo ai Tropea.
1.1.3. Ritiene questa Corte che le ragioni della esclusione degli imputati dalla partecipazione associativa risultano conformi all’autorevole arresto di legittimità secondo il quale la condotta di partecipazione ad associazione di tipo mafioso si caratterizza per lo stabile inserimento dell’agente nella struttura organizzativa dell’associazione, idoneo, per le specifiche caratteristiche del caso concreto, ad attestare la sua ‘messa a disposizione’ in favore del sodalizio per il perseguimento dei comuni fini criminosi (Sez. U, n. 36958 del 27/05/2021, COGNOME, Rv. 281889).
1.1.4. L’assenza dei presupposti della partecipazione associativa non conduce – in base a una sorta di probatio minor alla individuazione della alternativa, e non meramente subordinata, ipotesi di concorso esterno nell’associazione mafiosa, necessitando anche per questa il volontario e consapevole perseguimento del programma associativo o di una sua parte, secondo il condivisibile orientamento per il quale in tema di associazione di tipo mafioso, il concorso esterno nel delitto
non rappresenta un “minus” rispetto alla condotta partecipativa sicché non richiede un canone probatorio meno stringente e, trattandosi di una condotta diversa, non può prescindere dalla prova del contributo causale alla conservazione o al rafforzamento della capacità operativa della consorteria criminale, proprio in ragione dell’assenza dell'”affectio societatis” che connota, invece, la partecipazione (Sez. 5 , n. 2640 del 23/09/2021, dep. 2022, Aquino, Rv. 282770) e, ancora, in tema di concorso esterno in associazione di tipo mafioso, ai fini della configurabilità del dolo diretto occorre che l’agente, pur in assenza dell'”affectio societatis” e, cioè, della volontà di far parte dell’associazione, sia consapevole dei metodi e dei fini della stessa nonché dell’efficacia causale della propria attività di sostegno per la conservazione o il rafforzamento della struttura organizzativa, essendo a tal fine sufficiente che egli abbia previsto ed accettato tale effetto come risultato non solo possibile, bensì certo, o comunque altamente probabile, della propria condotta (Sez. 2, n. 18132 del 13/04/2016, Trematerra, Rv. 266907).
A tal riguardo la sentenza impugnata, senza incorrere in vizi logici e giuridici, ha negato la esistenza anche di un rapporto bilaterale escludendo la realizzazione da parte degli imputati di un concreto consapevole apporto all’associazione considerando la mera rilevanza personale dei contributi ai quali i predetti erano stati costretti per fronteggiare i debiti contratti.
1.2. Il ricorso nei confronti di NOME COGNOME è inammissibile.
1.2.1. L’imputato è stato condannato in primo grado in relazione al reato di cui al capo 7 (intestazione fittizia aggravata dall’art. 7 I. n. 203/91 del maneggio “RAGIONE_SOCIALE“, effettivamente gestito da NOME COGNOME). La Corte di appello, in via preliminare, ha escluso l’aggravante mafiosa non solo perché nulla era stato detto a riguardo dalla prima sentenza ma anche perché nessuna prova risultava sulla strumentalità della attività economica al rafforzamento della cosca, risultando il rapporto tra il ricorrente e il solo COGNOME, al quale soltanto pareva riconducibile l’attività economica e senza che il narrato dei collaboratori facesse riferimento a tale iniziativa o allo Scandale quale soggetto in rapporti con la cosca (v. pg. 45 e sg. della sentenza impugnata). E’ stata poi disposta la revoca della confisca dell’impresa, conseguente alla declaratoria di prescrizione, stante la non retroattività dell’art. 578-bis cod. proc. pen.
1.2.2. Il ricorso è genericamente proposto per ragioni in fatto facendo leva su una generica prospettiva precisamente smentita dalla sentenza impugnata in relazione alla vicenda di specie, senza incorre in vizi logici e giuridici, non trovando – ovviamente – automatica applicazione estensiva il giudicato intervenuto nel distinto processo a carico del coimputato in assenza degli elementi che specificamente attingano l’attuale imputato, dovendosi ribadire il consolidato principio secondo il quale l’acquisizione agli atti del procedimento, ai sensi dell’art.
238-bis cod. proc. pen., di sentenze divenute irrevocabili non comporta, per il giudice di tale procedimento, alcun automatismo nel recepimento e nell’utilizzazione, a fini decisori, dei fatti e dei relativi giudizi contenuti nei passa argomentativi della motivazione delle suddette sentenze, dovendosi, al contrario, ritenere che quel giudice conservi integra l’autonomia e la libertà delle operazioni logiche di accertamento e formulazione di giudizio a lui istituzionalmente riservate (Sez. 4, n. 10103 del 01/02/2023, COGNOME, Rv. 284130).
Quanto alla revoca della confisca, correttamente operata, la stessa non intacca quella operata nell’altro procedimento sulla quale è intervenuta il giudicato.
1.3. Il ricorso nei confronti di NOME COGNOME è inammissibile.
1.3.1. L’imputato è stato assolto in primo grado dal reato di partecipazione mafiosa sub 1, secondo il quale era soggetto non formalmente affiliato, a disposizione di NOME COGNOME nell’attività di vigilanza all’interno del villaggio Carrao ed in altri affari della cosca. La Corte di appello (v. pg. 23 e ss.) mostra di condividere l’assunto della prima decisione che aveva ritenuto insufficiente il limitato compendio captativo per giustificare l’intraneità associativa, posto che questo delinea la messa a disposizione dell’imputato solo in relazione alla sua attività lavorativa di giardiniere, si incarico del Cosco, del villaggio turisti laddove il collaboratore di giustizia NOME – nell’escludere l’affiliazione del predetto – si limitava a indicarlo come in contatto con il Cosco e i Trapasso.
1.3.2. Ritiene questo Collegio che il ricorso in esame è sostanzialmente volto ad una rivalutazione del fatto, facendo leva sulla posizione associativa del COSCO che si rifletterebbe su quella dell’imputato, il cui coinvolgimento è invece correttamente considerato in relazione al rapporto lavorativo lecito, anche in questo caso non potendosi trasferire sulla posizione dell’imputato il giudicato intervenuto a carico del Cosco nel separato procedimento, sull’assunto della sua “sostituzione” nella posizione di questi, in assenza delle connotazioni specifiche di intraneità al sodalizio che attingano il Colosimo.
1.4. Il ricorso nei confronti di NOME COGNOME è inammissibile.
1.4.1. L’imputato è stato assolto in primo grado dal reato di partecipazione associativa sub 1 per non aver commesso il fatto. La Corte di appello ha ritenuto che le argomentazioni proposte dall’appello del Pubblico Ministero non consentissero di superare l’impianto assolutorio. Al riguardo rilevano le dichiarazioni del COGNOME che indica il Bianco come estraneo alla cosca, sebbene legato da rapporti di amicizia e frequentazione con NOME COGNOME e tale indicazione risulta confermata dagli altri dati probatori (dichiarazioni di COGNOME generiche e non attendibili, peraltro indicando il solo accompagnamento in macchina del Tropea da parte dell’imputato; dichiarazioni di NOME COGNOME che si limitano a indicare un rapporto personale tra l’imputato e NOME COGNOME
nell’ambito di una personale attività usuraria di quest’ultimo). Anche l’interessamento dell’imputato alla vicenda giudiziaria del processo “Breccia” è connotato da un solo interesse a vantaggio esclusivo di NOME COGNOME; come pure la captazione n. 1140, documenta un rapporto personale e privilegiato tra l’imputato e NOME COGNOME.
1.4.2. Ritiene questa Corte che, rispetto alla incensurabile valutazione in fatto, il ricorso è genericamente proposto involgendo una inaccessibile rivalutazione probatoria che fa sostanzialmente leva sulla riconducibilità alla cosca dell’attività usuraria in assenza degli indici, già sopra indicati in relazione alla posizione degli Aiello, necessari per individuare la partecipazione associativa dell’imputato sotto il profilo oggettivo e soggettivo, anche in questo caso non potendosi ricavare effetto estensivo dal giudicato intervenuto sulla posizione di NOME COGNOME.
1.5. Il ricorso nei confronti di NOME COGNOME è inammissibile (conclusione più favorevole rispetto al dichiarato decesso dell’imputato).
1.5.1. L’imputato era stato assolto dalla sentenza di primo grado dalla accusa di concorso esterno alla cosca (capo 2-bis) consistente nell’aver promesso e assicurato, in cambio del sostegno elettorale a lui promesso e attuato dal sodalizio, la sua disponibilità nei confronti dell’associazione.
La Corte mostra di condividere le ragioni della assoluzione sulla base del limitato compendio captativo (due conversazioni) dal quale risulta che il COGNOME, interloquendo con NOME COGNOMEe con COGNOME) lascia intendere di avere ricevuto l’appoggio del suo interlocutore nella competizione elettorale, accettandolo, e sulla sola emergenza della sua elezione e successiva acquisizione della posizione di vice sindaco, alla quale lo stesso COGNOME aveva mostrato di aspirare in una delle predette conversazioni captate, senza che si documenti l’assunzione di impegno dell’imputato in favore della cosca o comunque sue conseguenze concrete. La Corte, rilevando la mancata specifica deduzione in appello a riguardo, rigetta il sillogismo secondo il quale il mero appoggio elettorale degli associati, accettato dall’uomo politico, importi un rafforzamento della cosca e quindi il concorso esterno.
1.5.2. Ritiene questa Corte che il ricorso è genericamente proposto per ragioni di fatto, volte alla inaccessibile rivalutazione della prova, pervero ineccepibile e conforme all’autorevole principio di legittimità secondo il quale Il concorso esterno nel reato di associazione di tipo mafioso è configurabile anche nell’ipotesi del “patto di scambio politico-mafioso”, in forza del quale un uomo politico, non partecipe del sodalizio criminale (dunque non inserito stabilmente nel relativo tessuto organizzativo e privo delraffectio societatís”) si impegna, a fronte dell’appoggio richiesto all’associazione mafiosa in vista di una competizione elettorale, a favorire gli interessi del gruppo. Per la integrazione del reato è
necessario che: a) gli impegni assunti dal politico a favore dell’associazione mafiosa presentino il carattere della serietà e della concretezza, in ragione della affidabilità e della caratura dei protagonisti dell’accordo, dei caratteri struttura del sodalizio criminoso, del contesto storico di riferimento e della specificità dei contenuti; b) all’esito della verifica probatoria “ex post” della loro efficacia causale risulti accertato, sulla base di massime di esperienza dotate di empirica plausibilità, che gli impegni assunti dal politico abbiano inciso effettivamente e significativamente, di per sé ed a prescindere da successive ed eventuali condotte esecutive dell’accordo, sulla conservazione o sul rafforzamento delle capacità operative dell’intera organizzazione criminale o di sue articolazioni settoriali (Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, COGNOME, Rv. 231673; conf. Sez. 2, n. 45402 del 02/07/2018, COGNOME, Rv. 275510 – 02), ritenendo insussistente il concorso esterno in assenza dell’assunzione da parte dell’imputato di impegni in favore della cosca, non potendo derivare in via presuntiva dall’accettazione dell’appoggio elettorale, risultando genericamente addotta in fatto la sua desumibilità dalla precedente partecipazione dell’imputato alla delibera comunale assunta all’unanimità e dalla generica circostanza della infiltrazione mafiosa del comune di Cropani.
Il ricorso nell’interesse di NOME COGNOME è fondato per quanto di ragione.
2.1. Il primo motivo dell’atto per Avv. NOME COGNOME è manifestamente infondato essendo stato correttamente rilevato che l’atto di gravame è stato proposto dall’Ufficio legittimato a proporlo, ovvero dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Catanzaro, rappresentato nella specie dal Sostituto Procuratore che ha sottoscritto l’atto, peraltro “vistato” dallo stesso Procuratore della Repubblica e dal suo Aggiunto. Invero, in tema di impugnazione del pubblico ministero, legittimati alla sua proposizione sono sia il Procuratore della Repubblica sia i suoi sostituti, in quanto delegati, anche informalmente, dal primo, attesa l’impersonalità dell’ufficio, sicché non rileva, in proposito, la mancanza agli atti di un provvedimento di delega scritta (Sez. 6, n. 21969 del 14/12/2012,COGNOME, Rv. 256542); ancor di più, in tema di impugnazione del pubblico ministero, anche dopo l’introduzione dell’art. 593-bis cod. proc. pen., il sostituto procuratore che non sia stato pubblico ministero di udienza e non sia stato esplicitamente delegato dal Procuratore della Repubblica è legittimato ad appellare la sentenza di primo grado, stante l’impersonalità dell’ufficio del pubblico ministero e non occorrendo, verso terzi, una formale delega, costituente atto interno all’ufficio di Procura di cui va presunta l’esistenza e della cui assenza l’imputato non ha interesse a dolersi (Sez. F, n. 37517 del 31/08/2023, P., Rv. 285197).
2.2. Il secondo motivo dell’atto per avv. COGNOME e il primo motivo dell’atto per Avv. NOME COGNOME COGNOME sono infondati.
2.2.1. La Corte di appello ha rigettato la istanza di riassunzione del collaboratore di giustizia NOME COGNOME proposta dal Pubblico Ministero in sede di appello sul presupposto che la prima decisione assolutoria non si fondava sul difetto di attendibilità di alcuna fonte dichiarativa, ma piuttosto sulla base di una diversa valutazione del medesimo compendio probatorio, apprezzato nella sua oggettività in maniera conforme dalla Corte (v. pg.20 e ss.).
2.2.2. Ritiene questo Collegio che il rigetto della istanza di riassunzione si conformi all’orientamento di legittimità secondo il quale il giudice di appello che intenda riformare in “peius” la pronuncia assolutoria di primo grado ha l’obbligo in conformità all’art. 6 CEDU, come interpretato dalla Corte EDU nel caso Dan c/Moldavia – di disporre la rinnovazione dell’esame dei chiamanti in reità o in correità quando la diversa valutazione delle dichiarazioni attenga alla credibilità del propalante e/o al profilo dell’attendibilità intrinseca e non anche nel caso in ci ad essere rivalutata sia l’attendibilità estrinseca, cioè la ravvisabilità, ne compendio probatorio, di riscontri individualizzanti ovvero la loro idoneità a fungere da elemento esterno di conferma (Sez. 3, n. 42524 del 19/06/2019, B., Rv. 277274)
2.3. Il terzo, quarto e quinto motivo dell’atto per avv. COGNOME e il secondo motivo dell’atto per Avv. COGNOME, incentrati sulla affermazione di responsabilità del ricorrente, possono essere congiuntamente trattati, essendo complessivamente fondati.
2.3.1. Ritiene questa Corte che le argomentazioni della sentenza impugnata a fondamento dell’intraneità associativa del COGNOME – che non considerano puntualmente le articolate deduzioni difensive proposte con la memoria difensiva riguardanti la concludenza delle dichiarazioni del COGNOME e i riscontri ad essa non individuano l’appartenenza di questi al sodalizio non designando, secondo i già richiamati principi di legittimità, una affectio societatis del ricorrente, non potendosi così superare le ragioni della prima assoluzione che aveva affermato l’inidoneità «per sorreggere l’addebito di organizzazione e/o partecipazione ad associazione mafiosa non è sufficiente che l’incolpato abbia “dietro” di sé una famiglia mafiosa di “referenza”, sia “amico” della stessa o possa godere della “copertura” di qualche suo adepto» (v. pg. 135 della sentenza di primo grado).
Da un lato, alla dedotta genericità delle dichiarazioni del COGNOME in relazione alla “messa a disposizione” del ricorrente in favore della cosca e al mancato conseguimento da parte sua di benefici imprenditoriali la Corte omette di dare sostanziale risposta: la sua qualifica come intraneo (ancorché non affiliato) da parte del collaboratore rimane così espressione di una sua valutazione personale avulsa da contenuti concreti. Inoltre, esse non trovano riscontro in ordine all’asserito beneficio tratto dal ricorrente dal legame associativo – non essendo
stata spesa alcuna considerazione su quanto dedotto in contrario nella memoria difensiva ( v. pg. 8 ess. della memoria), limitandosi le emergenze considerate alla sola vicenda del capo 28, valutazione correttamente censurata dal ricorrente come astrazione dall’unico episodio in cui il ricorrente, adendo a rapporti con esponenti mafiosi, ha perseguito l’esazione di un proprio legittimo credito, senza che i soggetti mafiosi abbiano mai rivolto violenze o minacce nei confronti della parte offesa (v. pg. 33 e ss. della prima decisione), peraltro, senza che la sentenza impugnata dia contezza nella dovuta forma rafforzata del superamento della valutazione operata dal primo Giudice su tale vicenda, dagli esiti di non univoca lettura proprio ai fini del preteso rilievo del ricorrente all’interno della compagine associativa. Nessun riscontro, ancora, risulta sullo stipendio dato al ricorrente rispetto al quale nessuna considerazione è svolta dal giudice di appello sulle pertinenti deduzioni difensive (v. pg. 10 della memoria) – e la sola vicenda della cessione delle munizioni è priva del contesto che ne giustificherebbe la sua valenza espressiva del coinvolgimento nel programma associativo, che non risulta essere stato mai attinto dal ricorrente.
La sentenza impugnata non ha tenuto conto dell’orientamento di legittimità secondo il quale, in tema di partecipazione ad associazione di stampo mafioso, “imprenditore colluso” è colui che è entrato in rapporto sinallagmatico con l’associazione, tale da produrre vantaggi per entrambi i contraenti, consistenti per l’imprenditore nell’imporsi nel territorio in posizione dominante e per il sodalizio criminoso nell’ottenere risorse, servizi o utilità (Sez. 5, n. 39042 del 01/10/2008, COGNOME, Rv. 242318); e che integra una condotta di partecipazione ad un’associazione di tipo mafioso quella dell’imprenditore che, assicurando permanente disponibilità al servizio del sodalizio criminale per porre in essere attività delittuose necessarie al perseguimento dei fini dell’organizzazione, svolga il ruolo di “garante ambientale” tra la cosca e gli altri imprenditori in un determinato territorio e contesto economico, con la funzione di soggetto al quale questi ultimi si rivolgono per poter operare, nella consapevolezza del suo collegamento con il sodalizio. (Sez. 5, n. 50130 del 17/07/2015, COGNOME, Rv. 265584). D’altro lato, integra il reato di concorso esterno in associazione di tipo mafioso la condotta dell’imprenditore che, senza essere inserito nella struttura organizzativa del sodalizio criminale e pur privo della “affectio societatis”, instauri con la cosca un rapporto di reciproci vantaggi, consistenti, per l’imprenditore, nell’imporsi sul territorio in posizione dominante e, per l’organizzazione mafiosa, nell’ottenere risorse, servizi o utilità, anche in forma di corresponsione di una percentuale sui profitti percepiti dal concorrente esterno (Sez. 1, n. 47054 del 16/11/2021, COGNOME, Rv. 282455); o, ancora, integra il reato di concorso esterno in associazione di tipo mafioso la condotta dell’imprenditore “colluso” che, senza
essere inserito nella struttura organizzativa del sodalizio criminale, instauri con questo un rapporto di reciproci vantaggi, consistenti nell’imporsi sul territorio in posizione dominante e nel far ottenere all’organizzazione risorse, servizi o utilità, mentre si configura il reato di partecipazione all’associazione nel caso in cui l’imprenditore metta consapevolmente la propria impresa a disposizione del sodalizio, di cui condivide metodi e obiettivi, onde rafforzarne il potere economico sul territorio di riferimento (Sez. 6, n. 32384 del 27/03/2019, Putrino, Rv. 276474).
2.4. Il sesto, settimo, ottavo e nono motivo dell’atto per Avv. COGNOME e il terzo, quarto e quinto motivo dell’atto per Avv. Accorretti sono assorbiti.
2.5. Il radicale difetto della sentenza impugnata comporta il suo annullamento senza rinvio nei confronti del ricorrente per non aver commesso il fatto.
Il ricorso di NOME COGNOME per avv. NOME COGNOME e per avv. NOME COGNOME è fondato per quanto ragione, potendosi trattare congiuntamente i due atti di ricorso.
3.1. L’imputato è stato riconosciuto responsabile con doppia conforme decisione in ordine al reato di cui al capo 1 in quanto uomo a disposizione della cosca per il reperimento di terreni per le attività economiche della cosca medesima, essendo in stabile rapporto con esponenti di spicco quali NOME NOME COGNOME.
3.2. Quanto alla affermazione di responsabilità (atto per avv. COGNOME e primo, secondo, terzo e quarto motivo atto per avv. COGNOME) ritiene questa Corte che, esclusa per le ragioni sopra esposte la necessità da parte del Giudice di appello di riassumere il collaboratore di giustizia COGNOME l’intraneità del ricorrente esula dai parametri di legittimità già prima ricordati nell’esaminare la posizione degli COGNOME, risultando affermato, sulla base del dire del solo COGNOME, il suo preteso ruolo di procacciatore di terreni, senza alcun specifico accertamento a riguardo del concreto riferimento delle due captazioni richiamate, tale da inserire la emergenza nel contesto criminale ascrivibile alla cosca, e sulla base del rapporto confidenziale con NOME COGNOME peraltro desunto da uno scambio di notizie su una vicenda che non aveva interessato il ricorrente e su vicende elettorali – tenuto conto della assoluzione dello stesso ricorrente in relazione al reato elettorale di cui al capo 9 -, nonché del non meglio qualificato e connotato rapporto con i vertici della cosca, che non designano nei termini richiesti dalla norma l’inserimento associativo del ricorrente e la sua consapevole partecipazione al perseguimento del programma della cosca.
A tal riguardo, deve essere ribadito il condivisibile principio secondo il quale, in tema di associazione di tipo mafioso, la mera “contiguità compiacente”, cosi come la “vicinanza” o “disponibilità” nei riguardi di singoli esponenti, anche di
spicco, del sodalizio, non costituiscono comportamenti sufficienti ad integrare la condotta di partecipazione all’organizzazione, ove non sia dimostrato che l’asserita vicinanza a soggetti mafiosi si sia tradotta in un vero e proprio contributo, avente effettiva rilevanza causale, ai fini della conservazione o del rafforzamento della consorteria. (Sez. 6, n. 40746 del 24/06/2016, COGNOME, Rv. 268325).
3.3. Il quinto, sesto e settimo motivo dell’atto per Avv. COGNOME sono assorbiti.
3.4. Il radicale difetto delle ragioni di affermazione della responsabilità conduce all’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata nei confronti del ricorrente per non aver commesso il fatto.
Il ricorso di NOME COGNOME è fondato.
4.1. L’imputato è stato riconosciuto responsabile dei reati di cui ai capi 1 (partecipazione alla cosca COGNOME) e 4-ter (concorso in intestazione fittizia aggravata dall’art. 7 I. n. 203/91 delle quote di società “RAGIONE_SOCIALE“). La indicazione di intraneità dell’imputato, quale preposto dei COGNOME, data dal Colosimo ritenuta riscontrata dalla vicenda di cui al capo 4-ter nonché dall’appoggio logistico dato a NOME e NOME COGNOME per un viaggio a Verona, e, infine, dal recapito di una somma di denaro alla moglie di un sodale detenuto.
4.2. Il primo motivo (sul profilo associativo) e il secondo e terzo motivo (sulla intestazione fittizia aggravata) possono essere congiuntamente trattati.
4.1. Partendo dal reato di intestazione fittizia per il decisivo rilievo dato ai fin della prova del reato associativo, la sentenza, con motivazione circolare, desume – da un lato – il profilo soggettivo del reato, oltre che dalle dichiarazioni de COGNOME e dalle complessive intercettazioni, dalla responsabilità del ricorrente nella associazione sub 1 (v. pg. 40) mentre, dall’altro, sostanzia l’affermazione di responsabilità in ordine a tale partecipazione dalla responsabilità per il reato-fine (v. pg. 41, ibidem).
In realtà, l’affermazione di responsabilità per il reato-fine – rispetto al ruolo genericamente attribuito al ricorrente dal Colosimo – non si confronta con 111 dedotto limitato periodo in cui il ricorrente si intesta le quote della società (da 16.7.2014 al 30.6.2015) e con la sua volontà di dismetterla sin dalla stessa estate del 2014 (v. pg. 40, ibidem), respingendo le deduzioni a riguardo opponendo apoditticamente il rilievo dei rapporti dell’imputato con i vertici della cosca e richiamando la vicenda della consegna del denaro al detenuto sodale, senza rispondere alla pertinente e articolata deduzione difensiva che voleva la ragione del viaggio nota solo al COGNOME e al COGNOME (v. pg. 15 dell’appello), ritenendo semplicemente recessive tali deduzioni (v. pg. 41, ibidem) rispetto alla intraneita dell’imputato, che proprio gli elementi contestati dalla difesa miravano a provare.
Inoltre, la sentenza fonda la aggravante mafiosa proiettando sull’imputato sia il generico rilievo che l’attività economica della cosca aveva ad oggetto la gestione di villaggi turistici che il ruolo rivestito dal COGNOME rispetto ai COGNOME, nonché su rapporti tra l’imputato e i COGNOME il cui oggetto non è individuato in affari illecit
Manca, quindi, una motivazione della consapevolezza del ricorrente della finalità elusiva secondo il condiviso paradigma per il quale il delitto previsto dall’art. 12-quinquies d.l. n. 306/92 (oggi art. 512-bis cod. pen.) richiede, quantomeno, che l’intestatario fittizio del bene risponde del reato a titolo di concorso, ex art. 110, cod. pen., qualora sia consapevole della finalità elusiva o agevolativa perseguita dall’autore della condotta sanzionata dalla norma incriminatrice, non essendo necessario che sia animato dal dolo specifico dell’interponente (Sez. 6, n. 19108 del 15/02/2024, COGNOME, Rv. 286662).
Inoltre, anche le ragioni della affermata sussistenza della finalità agevolatrice del gruppo mafioso esulano dal parametro di legittimità secondo il quale la circostanza aggravante dell’aver agito al fine di agevolare l’attività delle associazioni di tipo mafioso ha natura soggettiva inerendo ai motivi a delinquere, e si comunica al concorrente nel reato che, pur non animato da tale scopo, sia consapevole della finalità agevolatrice perseguita dal compartecipe (Sez. U, n. 8545 del 19/12/2019; COGNOME, Rv. 278734), in ragione della rilevata circolarita delle argomentazioni e del generico riferimento ai rapporti del ricorrente con i soggetti mafiosi.
4.3. Quanto alla partecipazione associativa, quindi, la sua giustificazione sulla base dei rapporti – pervero limitati alla breve gestione della società – con il COGNOME e i COGNOME; dei due episodi costituiti dall’ ipotizzato appoggio logistico per il viaggio a Verona del Trapasso, privo di qualsiasi connotazione indiziante senza alcuna considerazione della specifica deduzione a riguardo in appello (v. pg. 1:3 dell’atto), risolvendosi in una mera frequentazione; della occasionale consegna di denaro – fatta nel viaggio a Salsomaggiore con COGNOME e COGNOME – alla moglie cli un sodale detenuto, valutata omissivamente nei termini anzidetti, e, infine, in base alla valorizzazione delle dichiarazioni del COGNOME sul regalo/ricompensa da parte del Trapasso di un’autovettura all’imputato – apoditticamente opponendo la sentenza la compatibilità di tali dichiarazioni alla diversamente concludente documentazione depositata dalla difesa -, esprime un argomentare che, oltre alla rilevata circolarità, risulta esito di una mera suggestiva sommatoria di elemenl:i che non vanno oltre la generica esistenza di rapporti tra l’imputato e i COGNOME e il loro referente, letti alla luce del più generale contesto criminale senza individuare il coinvolgimento specifico del ricorrente in esso e, pertanto, senza provare -secondo i canoni di legittimità già ricordati – la sua partecipazione alla associazione, non dimostrando la sentenza impugnata la stessa consapevolezza
da parte del ricorrente della esistenza della compagine criminosa alla quale avrebbe contribuito con le sue condotte.
4.4. Il radicale difetto ravvisato conduce all’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata nei confronti dell’imputato in ordine ai reati ascrittigli per non aver commesso il fatto.
Il ricorso di NOME COGNOME è solo in parte fondato.
5.1. L’imputato è stato ritenuto responsabile dei capi 1 – quale partecipe della cosca Trapasso 7-bis (intestazione fittizia aggravata della ditta Pezzano RAGIONE_SOCIALE), 8 (estorsione e tentata estorsione aggravate), e 8-bis (art. 513-bis aggravata).
5.2. Il primo motivo è genericamente proposto.
La sentenza, senza incorrere in vizi logici e giuridici, dà conto della infondatezza della lettura alternativa proposta dalla difesa, oggi riproposta con il motivo in esame, considerando le dichiarazioni del COGNOME e del COGNOME e il rapporto paritetico tra Zofrea e Trapasso, attraverso il quale il ricorrente sfrutta l’intraneità alla cosca e il rapporto con il capo cosca per accrescere la propria forza imprenditoriale ed avere un beneficio schermando la vera proprietà dell’impresa.
5.3. Il secondo motivo è genericamente proposto.
La sentenza, senza incorrere in vizi logici e giuridici, dà conto – attraverso le considerate conversazioni captate che vedono protagonisti COGNOME e COGNOME – del mutamento del fornitore del bar “RAGIONE_SOCIALE” come frutto di una doppia imposizione’ con minaccia aggravata dal metodo mafioso – consistita nella spendita del nome di NOME COGNOME -, sia nei confronti dei titolari del bar (capo 8) sia nei confronti del concorrente al quale è imposto di non continuare la fornitura di slot machine e videopoker (capo 8-bis). In particolare, seguendo correttamente il compendio captativo, è dato ineccepibile ragione della imposizione con la forza del contraente,, vedendo lo RAGIONE_SOCIALE in posizione di pari interesse con i sodali in ordine alla fornitura delle slot machine, facendo riferimento alle captazioni che mostrano il predetto adirato perché vi sono complicazioni nell’accettazione della loro proposta.
Quanto al censurato mancato assorbimento del reato estorsivo in quello di cui all’ art. 513-bis cod. pen., in ogni caso, costituisce jus receptum che il delitto di illecita concorrenza con violenza o minaccia concorre e non è assorbito nel reato di estorsione, trattandosi di fattispecie preordinate alla tutela di beni giuridic diversi: la disposizione di cui all’art. 513 bis cod. pen. ha come scopo la tutela dell’ordine economico e, quindi, del normale svolgimento delle attività produttive a esso inerenti, mentre il reato di estorsione tende a salvaguardare prevalentemente il patrimonio dei singoli. (Sez. 2, n. 5793 del 24/10/2013, deli 2014, COGNOME, Rv. 258200).
5.4. Il terzo motivo è genericamente proposto per ragioni in fatto rispetto alla complessiva considerazione delle emergenze a carico del ricorrente, scevra da vizi logici e giuridici costituita dalle convergenti specifiche dichiarazioni dei collaboratori di giustizia COGNOME e COGNOME che lo indicano come intraneo della cosca attivo nell’imporre l’installazione delle slot machines presso gli esercizi commerciali unitamente ai Trapasso, puntualmente riscontrate dal suo coinvolgimento nei reati sub 8 e 8-bis; ancora dalle dichiarazioni del COGNOME secondo le quali l’imputato accompagnava i Trapasso in occasioni in cui si discuteva degli affari della cosca e, infine, dalle intercettazioni che documentano il coinvolgimento dello COGNOME con il COGNOME nella attività di recupero di alcuni veicoli rubati.
La sentenza, del tutto ineccepibilmente, esclude fondamento alla ipotesi difensiva alternativa secondo la quale il COGNOME si era appropriato dell’impresa dello RAGIONE_SOCIALE a seguito del mancato pagamento del prestito usurario a lui concesso considerando che, al di là della genesi del rapporto, militano in favore dell’accusa le inequivoche convergenti dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, riscontrate dal dato captativo, secondo le quali lo RAGIONE_SOCIALE sfruttava l’intraneità alla cosca e il rapporto con il capocosca per accrescere la propria forza imprenditoriale e avere un beneficio schermando la vera proprietà dell’impresa.
5.5. Il quarto motivo è fondato.
5.5.1. Il riconoscimento della aggravante di cui all’art. 416-bis, comma 6, cod. pen. desunto, dalla sentenza impugnata, dal coinvolgimento del ricorrente nella intestazione fittizia – innestata sulla generale affermazione del decisivo rilievo a riguardo del reinvestimento dei proventi dei reati associativi (v. pg. 15 della sentenza) – non è conforme all’orientamento secondo il quale, in tema di associazione mafiosa, l’aggravante di cui all’art. 416-bis, comma sesto, cod. pen., ricorre quando gli associati pongono in essere una condotta volta a penetrare in un determinato settore della vita economica, influendo sulle regole della concorrenza finanziando le attività con il prezzo, il prodotto o i profitti di delitti, modo da prevalere, nel territorio di insediamento, sulle altre che offrono analoghi beni o servizi (Sez. 6, n. 4115 del 27/06/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278325); ancora, in tema di associazione mafiosa, l’aggravante di cui all’art. 416-bis, comma sesto, cod. pen. non può essere ritenuta sulla base della mera constatazione del reimpiego dei proventi illeciti in attività economiche, dovendo il giudice descriverne le specifiche modalità e la destinazione di tali introiti Ehl finanziamento delle attività produttive, anche con riguardo alla dimensione degli investimenti eseguiti (Sez. 2, n. 8790 del 06/12/2023, dep. 2024, Tegano, Rv. 286005 – 03).
5.5.2. Quanto alla aggravante armata è generico il rinvio operato dalla sentenza alla trattazione generale e ai suoi rapporti con più sodali tra cui i capi cosca, dovendosi ribadire il principio di legittimità secondo il quale, in tema di associazione per delinquere di tipo mafioso, l’aggravante della disponibilità di armi’ di cui all’art. 416-bis, commi quarto e quinto, cod. pen., è configurabile a carico dei partecipi di una “locale” di mafia storica (nella specie ‘ndrangheta), quando sia riscontrata l’effettiva disponibilità delle armi e l’uso delle stesse per conseguimento delle finalità dell’associazione, non essendo sufficiente il solo riferimento alla notoria dotazione di armi in capo al sodalizio storico (Sez. 2, n. 31920 del 04/06/2021, COGNOME, Rv. 281811), essendo configurabile a carico di ogni partecipe che sia consapevole del possesso di armi da parte degli associati o lo ignori per colpa (Sez. 6, n. 32373 del 04/06/2019, COGNOME‘ Rv. 276831), così dovendosi specificamente considerare la posizione del ricorrente.
5.6. Il quinto motivo è solo in parte fondato.
Quanto al giudizio di equivalenza delle circostanze la censura è assorbita dall’accoglimento del precedente motivo, dovendosi riesaminare detto giudizio all’esito della valutazione della ricorrenza delle predette aggravanti.
Quanto all’aumento per la continuazione il motivo è fondato, in quanto nessuna motivazione è riconoscibile in sentenza in ordine alla sua conferma rispetto alla specifica censura in appello proprio dell’assenza di motivazione a riguardo nella prima decisione.
5.7. Pertanto, la sentenza deve essere annullata nei confronti del ricorrente limitatamente alle aggravanti di cui all’art. 416-bis, commi 4 e 6, cod. pen. e alla determinazione della pena con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Catanzaro per nuovo giudizio sui predetti punti. Nel resto il ricorso deve essere rigettato.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso del Procuratore Generale.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME
NOME COGNOME e COGNOME Vito in ordine ai reati rispettivamente ascritti per non avere commesso il fatto. Annulla la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME
Massimo limitatamente alle aggravanti di cui all’art. 416-bis, commi 4 e 6, cod, pen. e alla determinazione della pena. Rigetta il suo ricorso nel resto, rinviando
per la rideterminazione della pena ad altra sezione della Corte di appello di
Catanzaro.
Così deciso il 13/11/2024.