Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 31276 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 31276 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 27/05/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato a REGGIO CALABRIA il 15/01/1960 COGNOME NOME nato a REGGIO CALABRIA il 12/08/1958 COGNOME NOME nato a REGGIO CALABRIA il 28/01/1976 COGNOME NOME nato a MELITO DI PORTO SALVO il 29/01/1974 COGNOME NOME nato a REGGIO CALABRIA il 24/10/1987
avverso la sentenza del 06/03/2024 della Corte di appello di Reggio Calabria
Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo in rigetto dei ricorsi presentati nell’interesse di COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e, per NOME, l’accoglimento con rinvio limitatamente al ruolo di organizzatore relativamente al delitto di cui al capo a) e il rigetto nel resto.
Uditi i difensori
L’avvocato delle parti civili COGNOME Massimo ha concluso riportandosi alle conclusioni scritte che deposita unitamente alla nota spese.
L’avvocato della parte civile NOME ha concluso riportandosi alle conclusioni scritte che deposita unitamente alla nota spese.
L’avvocato della parte civile COGNOME NOME ha concluso riportandosi alle conclusioni scritte e nota spese che deposita.
L’avvocato COGNOME NOME ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata e l’accoglimento del ricorso.
L’avvocato lana NOME ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
L’avvocato COGNOME Davide ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
L’avvocato COGNOME Michele ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
L’avvocato COGNOME NOME ha concluso chiedendo raccoglimento del ricorso.
L’avvocato COGNOME NOME ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
L’avvocato COGNOME NOME ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 6 marzo 2024 la Corte di appello di Reggio di Calabria, in parziale riforma di quella emessa dal Giudice per le indagini preliminari della stessa città in data 22 settembre 2021, all’esito di giudizio abbreviato, previa riqualificazione del reato contestato ai sensi dell’art. 416-bis, commi primo, quarto e sesto, cod. pen., ha rideterminato la pena nei confronti di NOME COGNOME in dodici anni e otto mesi di reclusione; ha, altresì, rideterminato le pene nei confronti di NOME COGNOME e NOME COGNOME rispettivamente, in quindici anni di reclusione e dodici anni e quattro mesi di reclusione, confermando, quanto alle posizioni di NOME COGNOME e NOME COGNOME, la sentenza impugnata.
Tutti gli imputati sono stati condannati alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili nel giudizio di appello.
La ricostruzione dei fatti, la disamina e la valutazione delle fonti di prova sono state operate dalle sentenze di merito secondo criteri omogenei e, tra di loro, convergenti.
L’ipotesi accusatoria, convalidata dai giudici reggini, è quella della operatività, a Reggio Calabria e zone limitrofe, sino al 31 luglio 2019, dell’associazione mafiosa di matrice ndranghetistica meglio descritta al capo A) della rubrica imputativa.
Si tratta dell’associazione facente capo alla famiglia Libri, la cui esistenza ha trovato già plurimi riconoscimenti processuali definitivi, per come indicato in esordio della sentenza impugnata.
La più recente di tali decisioni è quella emessa dalla Corte di appello di Reggio Calabria il 9 dicembre 2021, confermata, sul punto, dalla sentenza n. 38418 del 2023 di questa Corte che ha individuato in NOME COGNOME il soggetto a capo del sodalizio.
1.1. Oltre al delitto associativo mafioso, il procedimento ha ad oggetto anche due fattispecie estorsive e un delitto in materia di armi contestati ai soli imputati COGNOME e COGNOME.
Si tratta dei delitti di cui ai capi L) ed M) relativi all’estorsione pluriaggrav commessa ai danni di NOME COGNOME e di quello di porto di arma comune da sparo utilizzata per l’esplosione dei colpi all’indirizzo della serranda dell’esercizio commerciale dello stesso COGNOME.
La condotta estorsiva ai danni del predetto è stata ricostruita tramite le dichiarazioni della persona offesa ritenute corroborate da ulteriori acquisizioni investigative, fra le quali intercettazioni.
E’ stata ritenuta dimostrata, nella doppia articolazione illustrata nel capo di imputazione, ovvero sia con riguardo alla rinuncia al pagamento integrale per lavori eseguiti nel 2014, sia al mancato pagamento di quelli effettuati nel 2016 in relazione ai quali è stato ritenuto ricollegabile l’episodio dell’esplosione dei colpi alla serranda dell’azienda.
La sentenza si è soffermata sulla ricostruzione del ruolo concorsuale di COGNOME e sulla ricorrenza, nella fattispecie, dell’aggravante di cui all’art. 416-bis.1. cod. pen. sot il profilo delle modalità e del finalismo rafforzativo dell’associazione, di quella dell persone riunite e dell’appartenenza degli autori all’associazione mafiosa.
1.2. Ai fini della ricostruzione dell’estorsione di cui al capo N) sono state richiamate le dichiarazioni rese dalla persona offesa NOME COGNOME il quale ha riferito delle modalità con le quali, ancora una volta, COGNOME e COGNOME avevano richiesto alcune forniture per lavori di ristrutturazione presso l’abitazione del primo.
A quelle forniture non era seguito il pagamento di alcun corrispettivo.
Respinta l’eccezione difensiva di inutilizzabilità, ex art. 63 cod. proc. pen., delle dichiarazioni di Presto, la condotta degli imputati è stata qualificata quale estorsione, anche tenuto conto di elementi di conferma a quelle dichiarazioni, quali l’effettiva esistenza dei lavori di ristrutturazione presso l’abitazione di Sarica, la partecipazione agli stessi anche di COGNOME, l’esistenza della fattura di acquisto delle forniture.
Secondo la concorde ricostruzione delle sentenze di merito, Presto non ha richiesto il pagamento del prezzo delle forniture avendo inteso che, in tal modo, avrebbe pagato il pizzo per il cantiere che aveva aperto nella zona controllata dalla cosca al vertice della quale vi era proprio COGNOME che, secondo quanto dichiarato anche dal collaboratore NOME COGNOME, era solito sottoporre i commercianti a piccole vessazioni.
Anche per tale fattispecie sono state ritenute sussistenti le aggravanti del metodo mafioso e dell’appartenenza degli imputati all’associazione di cui al capo A).
1.3. La sentenza si è ampiamente soffermata sulla ricostruzione dei ruoli di ciascun imputato nell’ambito del sodalizio di ‘ndrangheta.
A tal fine, ha valorizzato, principalmente, il contributo dichiarativo del collaboratore di giustizia NOME COGNOME e il cospicuo compendio costituito da intercettazioni.
Con riguardo alla figura di NOME COGNOME i giudici di merito, pur prendendo atto di tre sentenze di annullamento con rinvio emesse da questa Corte in relazione alla vicenda cautelare, ha ritenuto formata la prova della condotta partecipativa (senza alcun ruolo di vertice) a partire dal 5 giugno 2013, nonostante la detenzione ininterrotta (dal 14 gennaio 2014 in regime speciale di cui all’ad 41 -bis ord. pen.).
Caridi ha già riportato condanna definitiva come partecipe della medesima associazione dal gennaio 2005 al marzo 2007, venendo assolto, invece, nel corso di altri procedimenti, per il periodo successivo, fino al 4 giugno 2013.
Esclusa la dimostrazione dell’avere ricoperto l’imputato un ruolo di vertice del sodalizio e della comunicazione dal carcere, da parte dello stesso imputato, di notizie rilevanti in chiave associativa, i giudici di merito hanno ritenuto dimostrato che, in ogni caso, il predetto ha continuato a far parte dell’associazione per l’intero periodo oggetto di contestazione.
A tal fine, sono stati richiamati gli esiti di numerose conversazioni intercettate anche
in carcere dalle quali è risultato l’inserimento nel contesto associativo e la fruizione del relativo sostegno economico, anche per il pagamento delle spese legali.
Anche con riguardo al ruolo di NOME COGNOME sono state richiamate le dichiarazioni del collaboratore COGNOME e gli esiti confermativi di numerose intercettazioni.
La figura dell’imputato è stata ricostruita in termini di continuità con quella di Caridi del quale avrebbe mutuato il ruolo di vertice e ciò anche alla luce delle numerose forme di interazione con il ricordato NOME COGNOME, degli interessi alla gestione di azion estorsive (fra le quali quelle di cui ai capi L) ed N)) e di manifestazioni di controllo de territorio.
Nella ricostruzione dei giudici di merito la posizione di NOME COGNOME è stata valutata unitamente a quella di COGNOME del quale era anche l’autista e con il quale è stato coinvolto nei reati di cui ai capi L), M) ed N).
Anche in tal caso è stato ritenuto fondamentale l’apporto del collaboratore COGNOME sulla cui attendibilità e coerenza dichiarativa la Corte di appello ha reso specifica motivazione soffermandosi anche su elementi di riscontro quali, a mero titolo di esempio, le dichiarazioni di tale COGNOME presso il quale COGNOME si era recato armato, unitamente a COGNOME, per ottenere che quest’ultimo potesse dilazionare la restituzione di una somma di denaro dovuta allo stesso COGNOME.
NOME COGNOME è stato giudicato, anch’egli, partecipe del sodalizio sulla scorta, in primo luogo, della precedente sentenza del 2 luglio 2010 che ha ritenuto l’imputato responsabile della medesima fattispecie associativa rispetto al sodalizio al cui vertice vi era il padre NOMECOGNOME
Rientrato in libertà il 28 ottobre 2014, l’imputato ha sostanzialmente continuato a far parte del medesimo gruppo per come desunto da plurime fonti indiziare costituite, essenzialmente, da intercettazioni ambientali attivate presso l’abitazione dello stesso Libri subito dopo la sua remissione in libertà (la prima captazione richiamata è del 31 ottobre 2014).
Dal cospicuo compendio di conversazioni intercettate sono emerse le cointeressenze in affari di natu economica, la percezione di aiuti patrimoniali provenienti dagli storici esponenti di vertice dell’associazione, fra i quali lo zio dell’imputato, NOME COGNOME
Anche le modalità con le quali NOME COGNOME gestiva l’attività di noleggio di macchine per il caffè sono state ritenute indicative della sua partecipazione al sodalizio.
La figura di NOME COGNOME (detto «NOME degli uccelli») è stata tratteggiata alla luce, in primo luogo, delle dichiarazioni del richiamato collaboratore COGNOME.
Plurime emergenze anche di natura intercettativa hanno consentito di delineare la figura di un soggetto legato a NOME COGNOME da un rapporto strettamente fiduciario, tanto che lo stesso COGNOME ne richiedeva spesso la presenza quando doveva discutere di questioni di rilievo incaricandolo della riscossione delle estorsioni.
Sulla scorta delle dichiarazioni di COGNOME e di NOME COGNOMEaltro coimputato nel
presente procedimento) è emerso il diretto coinvolgimento di COGNOME in attività qualificanti per gli interessi della cosca e contatti con storici esponenti di vertice.
Proprio in quanto soggetto dotato di rapporti privilegiati con COGNOME COGNOME veniva imposto come esecutore di lavori di idraulica presso cantieri sui quali l’associazione svolgeva un’attività di controllo e, dunque, grazie all’interessamento della cosca.
Altre emergenze sono state desunte da intercettazioni di altri procedimenti (in particolare, è stato richiamato quello denominato Pedigree) che hanno, ulteriormente, confermato il ruolo di associato, per come percepito anche da soggetti che si relazionavano con il sodalizio mafioso.
1.4. L’aggravante della natura armata dell’associazione è stata affermata alla luce delle precedenti sentenze che hanno accertato l’esistenza del medesimo gruppo e in ragione di alcune intercettazioni che hanno visto coinvolto NOME COGNOME oltre alle risultanze valorizzate per il delitto contestato al capo M) della rubrica.
1.5. Parimenti, è stata ritenuta l’aggravante di cui all’art. 416-bis, comma sesto, cod. pen. essendo stata dimostrata l’acquisizione delle attività economiche mediante l’imposizione di beni e servizi riconducibili alle imprese degli associati.
A tale proposito sono state valorizzate le risultanze di altro procedimento penale (RAGIONE_SOCIALE – Roccaforte) dal quale i giudici di merito hanno ritenuto di desumere che «la cosca RAGIONE_SOCIALE acquisisce risorse illecite anche mediante l’imposizione di beni e servizi riconducibili alle imprese dei suoi associati».
In tal senso sono stati richiamati anche gli esiti dell’esame delle posizioni di NOME COGNOME e NOME COGNOME
Il primo è risultato essere titolare di un’impresa che si avvantaggiava dell’attività della cosca in quanto imposta nei cantieri edili, mentre il secondo, con riferimento all’attività di noleggio di macchine per il caffè, riusciva ad imporre le proprie forniture.
E’ emerso, dunque, il reimpiego delle risorse illecite nelle attività produttive che si ricollega alla gestione di tali attività in forma estorsiva mediante l’imposizione di commesse e vantaggi economici da utilizzare nelle imprese.
Combinando l’esito del citato procedimento (nel quale l’aggravante è stata esclusa) con quelli del presente, l’elemento circostanziale è stato giudicato sussistente.
Per gli imputati COGNOME, COGNOME COGNOME e COGNOME è stata ritenuta configurabile la contestata recidiva.
Per tutti gli imputati, la Corte di appello ha escluso la concedibilità delle attenuanti generiche motivando, altresì, la quantificazione del trattamento sanzionatorio.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME per mezzo del proprio difensore di fiducia, articolando due motivi.
2.1. Con il primo ha eccepito violazione di legge e vizi di motivazione in ordine alla prova del contributo alla vita del gruppo mafioso che avrebbe fornito il ricorrente. /
Dopo avere premesso ampie considerazioni sulle vicende della fase cautelare, è stata, dapprima, censurata l’assenza di adeguata motivazione in punto di dichiarazioni del collaboratore COGNOME, con particolare riguardo al periodo coperto da giudicato assolutorio, ossia dal marzo 2007 al 4 giugno 2013.
La carenza è stata eccepita anche con riguardo al profilo della stabile detenzione in isolamento dal 12 luglio 2007 all’attualità e, in particolare, alla sottoposizione del detenuto in regime di cui all’art. 41 -bis ord. pen. dal 15 gennaio 2014.
Dopo avere dato atto della mancanza di ogni prova sulla comunicazione agli associati, da parte di Caridi, a partire dal 5 giugno 2013, di circostanze rilevanti per l’attività dell’associazione, i giudici di merito hanno radicalmente escluso che vi fossero informazioni o direttive trasmesse dal carcere verso l’esterno con l’ausilio della moglie dell’imputato ovvero del suo legale.
Il ricorso ha evidenziato la cospicua parte della motivazione dedicata alla illustrazione delle ragioni poste a fondamento della esclusione del ruolo di vertice ascritto a Caridi nella rubrica imputativa e nella sentenza di primo grado.
Ciò nonostante, nel successivo sviluppo della motivazione la Corte di appello ha ritenuto dimostrata la condotta di mera partecipazione valorizzando, in primo luogo, una serie di elementi emersi nel periodo per il quale il ricorrente ha riportato l’assoluzione dall’accusa di avere fatto parte dell’associazione.
COGNOME ha lamentato la mancata valutazione della condizione di detenzione ai fini della motivazione del ripristino della condotta di partecipazione al sodalizio, con particolare riguardo alla definizione del contributo effettivo dato alla vita del gruppo mafioso.
Gli elementi valorizzati in sentenza, per contro, sarebbero, in sostanza, privi di rilievo.
A tal fine, sono stati richiamati fatti riferiti al periodo coperto dal giudica assolutorio, elementi neutri o comunque neutralizzati per effetto della statuizione riferita alla mancanza di prova del ruolo di vertice ascritto all’imputato.
In particolare, le dichiarazioni del collaboratore COGNOME (peraltro già valutate nei giudizi esitati in assoluzioni) avrebbero potuto essere valutate fino al luglio 2007 (epoca fino alla quale l’imputato era rimasto in libertà) essendosi, in epoca successiva, relazionato solo a soggetti vicini a Caridi e, in particolare, a NOME COGNOME.
In particolare, quanto alla pregressa valutazione delle dichiarazioni della fonte collaborativa in giudizi conclusisi con l’assoluzione dell’imputato, è stato richiamato l’orientamento che preclude siffatta valutazione nel contesto di procedimenti aventi ad oggetto il medesimo fatto-reato.
E’ stato, dunque, sostenuto che, in presenza di un giudicato assolutorio, non potrebbe essere utilizzata come prova una chiamata di correità avente ad oggetto condotte poste in essere nel periodo coperto dal giudicato rispetto alla quale si proceda, poi, alla ricerca di riscontri individualizzanti per il successivo periodo di contestazione.
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La valorizzazione della pregressa condanna di Sarica e Caridi insieme per spaccio di stupefacenti sarebbe stata, altresì, oggetto di impropria valorizzazione atteso che i due non hanno mai riportato condanna in concorso per tale genere di reati.
Né risulta adeguatamente illustrata, in sentenza, la circostanza dell’avvenuto trasferimento di poteri di direzione da Caridi a Sarica in epoca coeva o successiva al giudicato di assoluzione.
L’eventuale coinvolgimento dell’imputato nella vicenda relativa alla pizzeria RAGIONE_SOCIALE del 26 dicembre 2018, oggetto di danneggiamento da incendio doloso, non giustifica l’affermazione dell’esistenza di un effettivo contributo di Caridi alla vi dell’associazione.
La Corte di appello avrebbe, inoltre, impropriamente assegnato valore ai colloqui tra COGNOME e i propri familiari, nonostante la precisazione (pure presente in sentenza) della impossibilità di dare rilievo alle relative risultanze.
Parimenti, è stata contestata la valorizzazione di altro elemento ritenuto indiziario dai giudici di merito, ossia la conversazione tra NOME COGNOME e NOME COGNOME in data 20 maggio 2014.
Sul punto, sono state richiamate le considerazioni, a suo tempo, svolte da questa stessa Corte in occasione del primo annullamento pronunciato in sede cautelare.
Generico, siccome riferito alla mera pericolosità dell’imputato, si appaleserebbe in riferimento all’imputato contenuto in una conversazione tra NOME COGNOME e NOME COGNOME
Infine, anche l’evocazione del pagamento delle spese legali contenuto in una conversazione tra COGNOME e la figlia del 19 luglio 2021 sarebbe privo di pregnanza atteso che il difensore indicato, in quel colloquio, come creditore, non ha discusso il processo e non vi ha preso parte processo proprio perché nessuno ha provveduto al relativo pagamento.
2.2. Con il secondo motivo i vizi di violazione di legge e carenze motivazionali sono stati articolati con riferimento all’aggravante di cui all’art. 416-bis, comma sesto, cod. pen.
Sul punto relativo alla predetta circostanza, la sentenza impugnata si è discostata dalla sentenza nel processo RAGIONE_SOCIALE Roccaforte che ne ha escluso la configurabilità.
La contraria affermazione di cui alla sentenza impugnata poggerebbe su mere suggestioni afferenti, peraltro, a singoli componenti del sodalizio interessati a questioni economiche di scarso rilievo.
E’ carente ogni motivazione in punto di reimpiego di risorse dell’associazione nel settore economico, così come ogni elemento dimostrativo di ogni condotta di tal genere in capo a Caridi.
Peraltro, l’aggravante può configurarsi esclusivamente nel caso di sua riferibilità all’attività dell’associazione e di consapevolezza, da parte del singolo associatq,
(circostanza che, stante quanto esposto nella stessa sentenza di appello, nel caso di specie, non ricorre), dell’avvenuto reimpiego dei profitti delittuosi.
Ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME per mezzo del proprio difensore, articolando sette motivi declinati con la promiscua deduzione dei vizi di violazione di legge ed erronea motivazione.
3.1. Con il primo ha contestato la decisione in punto di fattispecie associativa mafiosa ascritta e ritenuta in capo all’imputato.
Profili di carenza della motivazione sarebbero, in primo luogo, ravvisabili laddove la sentenza impugnata ha descritto il conferimento delle doti di capo o, comunque, di vertice del sodalizio, a seguito dell’investitura ricevuta per opera di COGNOME, ritenuto mero partecipe.
Proprio nella individuazione del ruolo di capo del ricorrente risiederebbero i vizi segnalati, non essendo stata offerta un’adeguata spiegazione dell’effettiva riconoscibilità all’esterno del ruolo ascritto a Sarica e della sussistenza delle condizioni alle quali la costante giurisprudenza di questa Corte subordina la configurabilità del ruolo verticistico.
Non è stato illustrato e dimostrato un potere decisionale e di coordinamento.
Il ricorrente ha valorizzato un passaggio della motivazione nel quale la Corte di appello ha evidenziato l’impossibilità di ricostruire le vicende sottostanti i rapporti tr COGNOME e COGNOME, anche per la mancanza di imputazioni specifiche ai conversanti, essendo emerso solo che tra i due vi fossero interessenze di natura illecita e «metodologie non ortodosse nella risoluzione delle problematiche sottoposte alla loro attenzione».
Peraltro, le conversazioni tra i due avevano avuto riguardo a questioni di natura personale, mentre il rapporto con COGNOME è stato descritto (anche) dal collaboratore COGNOME in termini estremamente generici.
3.2. Con il secondo motivo i vizi sono stati dedotti con riferimento alla circostanza aggravante di cui all’art. 416-bis, comma sesto, cod. pen.
La gestione di capitali derivanti da reati commessi dall’organizzazione è stata affermata pur in assenza di ogni prova del rapporto tra il reato contestato e l’assunzione o il controllo delle attività economiche da parte dell’imputato, ovvero che le attività fossero finanziate con il prodotto o il profitto di delitti.
Nel caso di specie, i giudici di merito si sono soffermati sulla descrizione di un generico contesto mafioso di controllo del territorio, senza indicare specificamente la dimostrazione della provenienza illecita dei capitali utilizzati per finanziare le attivi economiche dell’imputato.
La valutazione sull’aggravante, inoltre, si è posta in termini contradditori rispetto alla esclusione della circostanza operata nella sentenza RAGIONE_SOCIALE Roccaforte avente ad oggetto il medesimo sodalizio e rispetto alla quale la sentenza impugnata si è dichiaratamente posta in linea di continuità.
3.3. Il terzo motivo è stato articolato con riferimento al delitto di estorsion contestato al capo L) ed asseritamente commesso in danno di NOME COGNOME
Secondo il ricorrente, la conversazione intervenuta tra la persona offesa e COGNOME (pure valorizzata in sentenza) non consente di desumere l’asservimento del primo all’imputato.
Nel corso di quel colloquio era stato fatto riferimento alla figura di tale COGNOME il quale nel parlare, a sua volta, con COGNOME (sebbene di tale seconda conversazione non vi sia traccia), aveva fatto, semmai, riferimento (secondo il ricorrente) a voci correnti nel pubblico.
In ogni caso, non è stata data adeguata e logica dimostrazione, tenuto conto dell’intero compendio indiziario, della consumazione dell’estorsione consistita nell’imposizione della volontà di non saldare il debito contratto da Sarica per la fornitura degli infissi.
Né, al fine di ricostruire la fattispecie estorsiva, poteva essere richiamato l’episodio dell’esplosione dei colpi di pistola che si colloca in un momento successivo al vantaggio patrimoniale conseguito.
La ricostruzione della sentenza impugnata è stata contestata anche con riguardo all’aggravante di cui all’art. 416-bis.1. cod. pen. nella doppia declinazione ritenuta dai giudici di merito.
3.4. Con il quarto motivo i vizi sono stati articolati con riferimento al delitto di por di arma comune da sparo di cui al capo M).
Non sarebbe stato chiaro, sin dalla formulazione del capo di imputazione, quale fosse la porzione di condotta ascritta a Sarica e quale quella al coimputato COGNOME.
Al rilievo, reiterato nell’impugnazione di merito, non è stata data risposta alcuna da parte della Corte di appello.
Peraltro, laddove si trattasse del ruolo di mandante, non si comprende da quale elemento fattuale specifico il mandato di danneggiare comporti la responsabilità anche per il porto dell’arma utilizzata per commettere il reato contro il patrimonio.
3.5. Il quinto motivo ha ad oggetto l’estorsione contestata al capo N) della rubrica.
Il delitto sarebbe stato commesso senza l’esternazione di alcuna minaccia esplicita o implicita.
Il ricorrente ha indicato plurimi elementi idonei a sostenere la tesi della non credibilità delle dichiarazioni della persona offesa NOME COGNOME per come già illustrati nell’atto di appello e ciò con particolare riguardo alla non configurabilità dell’estorsione, così detta, larvata o ambientale.
Nel caso di specie, la motivazione della configurabilità dell’estorsione si sarebbe fondata, essenzialmente, su suggestioni della persona offesa, stante la mancanza dell’elemento materiale della condotta e le circostanze concrete in cui si sono verificati i fatti.
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In definitiva, l’assenza di violenza o minaccia esclude che possa ritenersi configurabile il reato.
La sentenza è stata contestata anche con riguardo alla ritenuta configurabilità dell’aggravante del metodo mafioso e del rafforzamento del sodalizio, così come dell’aggravante dell’essere stato commesso il reato da partecipe del gruppo mafioso.
3.6. Con il sesto motivo è stata eccepita la violazione dell’art. 63, comma quarto, cod. pen. per essere stato applicato congiuntamente l’aumento per la recidiva e quello per l’aggravante di cui all’art. 416-bis, comma sesto, cod. pen. in spregio ai criteri descritti nella norma asseritannente violata.
3.7. Con il settimo motivo è stata contestata la sentenza nella parte in cui è stata ritenuta applicabile la recidiva.
Dalla disamina dell’epoca di commissione dei reati non era possibile desumere l’esistenza della recidiva ritenuta in sentenza all’esito di una motivazione tautologica.
La recidiva reiterata è stata ritenuta nonostante la mancanza di un titolo giudiziario in punto di recidiva.
L’ultima sentenza di condanna risaliva al 20 febbraio 2009, sicché non era configurabile la recidiva infraquinquennale ritenuta dalla Corte di appello.
Infine, anche sull’accresciuto livello di devianza la Corte reggina ha omesso di applicare i principi costantemente affermati dalla giurisprudenza di questa Corte a Sezioni Unite.
Ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME per mezzo del proprio difensore, articolando nove motivi.
4.1. Con il primo ha eccepito violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla ritenuta condotta partecipativa riferita al delitto associativo mafioso di cui al capo A) della rubrica.
Ha evidenziato, preliminarmente, alcuni passaggi contraddittori della sentenza impugnata con riguardo alla valutazione delle dichiarazioni del collaboratore COGNOME del quale i giudici di merito hanno ammesso la limitatezza dell’ambito di conoscenza, pur assegnando a quelle stesse dichiarazioni un significativo rilievo ai fini della ricostruzione della successione dei vertici del sodalizio.
Con specifico riguardo allo COGNOME, il collaboratore ha reso dichiarazioni (peraltro, de relato e generiche) solo a distanza di cinque anni dal momento dell’inizio della collaborazione, ossia in data 5 gennaio 2019, così introducendo un tema inedito (quello dell’affiliazione del ricorrente a Sarica).
In ogni caso, non sarebbe stato possibile individuare, nel contesto di quanto dichiarato da COGNOME, la descrizione di un effettivo contributo all’associazione distinguendolo dall’aiuto al singolo associato (lo stesso COGNOME).
Sin dall’atto di appello, infatti, era stata segnalata l’impossibilità di inquadrare l
vicenda dell’estorsione COGNOME nel contesto associativo, per come riferito dalla stessa persona offesa in alcune intercettazioni segnalate nel gravame di merito, ove, pure, si era evidenziato il ruolo marginale dell’imputato in quella vicenda estorsiva e la sua estraneità a quella (diversa) di cui al capo N) della rubrica.
La mancata percezione dei presunti estorsori come appartenenti ad un’associazione mafiosa esclude, pertanto, che possano assumere rilievo, in chiave dimostrativa dell’associazione, le fattispecie di cui ai capi L), M) ed N).
4.2. Con il secondo motivo i medesimi vizi di violazione di legge e difetto motivazionale sono stati riferiti specificamente ai reati di cui ai capi L) ed M), anche sotto il profilo della mancanza del requisito della deminutio patrimonii e, dunque, alla necessaria riqualificazione del fatto come violenza privata.
Sarebbe errato, sul punto, il passaggio della sentenza impugnata laddove è stata ravvisata la fattispecie di estorsione consumata per il fatto di essere stata costretta la persona offesa a tollerare un ritardo di diversi mesi nel pagamento del proprio credito.
4.3. Con il terzo motivo è stato contestato il vizio di motivazione della sentenza in riferimento alla ricostruzione del reato di cui al capo M) della rubrica che avrebbe dovuto essere attribuito a soggetto diverso dal ricorrente e rispetto al quale sarebbe stata omessa ogni motivazione rispetto alle censure sollevate dalla difesa.
4.4. Il quarto motivo contiene l’illustrazione dei vizi di violazione di legge e difetto di motivazione in relazione all’estorsione contestata al capo N), come commessa in danno di NOME COGNOME
Carente sarebbe stato il passaggio della motivazione riferito alla identificazione di COGNOME come uno degli autori della condotta asseritamente delittuosa ritenuta tale, peraltro, solo per effetto della percezione della vittima, non già per la sua oggettiva consistenza.
Sotto entrambi tali profili, la Corte di appello avrebbe reso una motivazione carente e in contraddizione con consolidati arresti della giurisprudenza di questa Corte di legittimità.
4.5. Una specifica violazione di leggi processuali (con riguardo agli artt. 63, comma 2, e 191 cod. proc. pen. e, per apparenza della motivazione, all’art. 125, comma 3, cod. proc. pen.) è stata eccepita con il quinto motivo avente ad oggetto la mancata escussione di NOME COGNOME con le garanzie previste per i soggetti indagabili.
Agli atti sono presenti le dichiarazioni dei collaboratori COGNOMEin data 6 ottobre 2014) e NOME COGNOMEin data 9 novembre 2011) che hanno descritto Presto come affiliato o intraneo alla cosca Libri con conseguente attribuzione di una condotta dotata di potenziale interferenza con la vicenda processuale di interesse in questa sede.
Conseguentemente, il predetto avrebbe dovuto essere escusso con le garanzie di cui all’art. 63 cod. proc. pen. e, sul punto, la motivazione posta a base del rigetto della corrispondente eccezione sollevata nella fase di merito sarebbe da ritenersi meramente
apparente.
4.6. Con il sesto motivo sono stati eccepiti violazione di legge e vizi di motivazione in relazione alle aggravanti di cui agli artt. 416-bis.1. e 628, comma terzo, n. 3, cod. pen. e a quella delle più persone riunite in relazione ai reati di cui ai capi L), M) ed N).
Ripercorse le censure sviluppate, su tali punti, nell’atto di appello, il ricorrente ha lamentato l’adozione di uno schema motivazionale meramente apparente da parte della Corte di appello che ha trascurato di considerare, quanto all’estorsione COGNOME, la circostanza che la stessa persona offesa non ha percepito l’appartenenza degli imputati alla criminalità organizzata, né è, altrimenti, emersa la destinazione della condotta all’agevolazione della cosca di riferimento.
Parimenti, nella vicenda Presto, è mancata l’adozione di un metodo mafioso, ovvero volto ad agevolare il sodalizio criminale.
Anche con riguardo all’avere agito «più persone riunite», la sentenza avrebbe reso una motivazione stereotipata e, dunque, apparente.
4.7. Con il settimo motivo sono stati eccepiti violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla circostanza aggravante di cui all’art. 416-bis, comma quarto, cod. pen., per avere i giudici di merito ritenuto la natura armata dell’associazione.
La sentenza impugnata ha omesso di prendere in considerazione il rapporto di correlazione tra le armi nella disponibilità degli associati e il perseguimento degli scopi dell’associazione.
L’episodio in cui COGNOME avrebbe usato la pistola in occasione della vicenda COGNOME sarebbe da collegare ai rapporti personali con COGNOME e non a vicende di natura associativa.
Né avrebbe potuto essere attribuita anche al ricorrente la disponibilità delle armi accertata in capo all’associazione nel corso di altri procedimenti penali.
4.8. L’ottavo motivo riguarda i vizi di violazione di legge e difetti motivazionali riferi all’aggravante di cui all’art. 416-bis, comma sesto, cod. pen. richiamando, in primo luogo, la circostanza che la predetta circostanza è stata esclusa nel procedimento RAGIONE_SOCIALE Roccaforte avente ad oggetto il medesimo sodalizio.
Inoltre, avrebbe errato la Corte reggina laddove ha ritenuto di individuare la sussistenza dell’aggravante valorizzando singole operazioni commerciali e omettendo di prendere in esame l’esistenza di proventi riferibili alle attività produttive ascrivibi all’associazione.
Nel caso di specie, invece, le singole fattispecie estorsive, per stessa ammissione dei giudici di merito, hanno assunto una dimensione, comunque, circoscritta.
4.9. Con il nono motivo sono stati eccepiti violazione di legge e vizi di motivazione con riferimento alla ritenuta recidiva infraquinquennale.
Sul punto, i giudici di merito avrebbero omesso una motivazione personalizzata sulla maggiore pericolosità del ricorrente per effetto della nuova condanna in relazione ai fatti
per i quali, in precedenza, ha riportato condanna, nonostante le specifiche censure sollevate sul punto con l’atto di appello.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME a mezzo del proprio difensore di fiducia, articolando cinque motivi, i primi quattro dei quali strutturati secondo la deduzione promiscua di violazione di legge e vizi di motivazione.
5.1. Con il primo motivo ha contestato i criteri di valutazione delle dichiarazioni eteroaccusatorie valorizzate dai giudici di merito ai fini della decisione.
In particolare, quanto alle dichiarazioni del collaboratore COGNOME sarebbe stata resa una motivazione congetturale e apodittica supportata richiamando elementi di riscontro non individualizzanti.
I giudici di merito avrebbero omesso di applicare i principi generalmente affermati dalla giurisprudenza di questa Corte in punto di valutazione delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia.
In primo luogo, la valutazione delle dichiarazioni sarebbe stata frutto di una disamina atomistica e parziale, omissiva di un dato essenziale, ossia della mancata attribuzione al ricorrente di un ruolo effettivo e specifico in funzione della conservazione e del rafforzamento del sodalizio criminale.
Nonostante l’intraneità dell’imputato al sodalizio sia stata affermata sulla base di informazioni assunte dal dichiarante de relato (fonte diretta sarebbe stato NOME COGNOME), sarebbe stata omessa l’applicazione dei principi della giurisprudenza di questa Corte di legittimità in punto di criteri di valutazione delle dichiarazioni relative a fatti appresi da altri.
L’attribuzione alle dichiarazioni dei fratelli COGNOME del significato di riscontro a quelle del collaboratore COGNOME sarebbe stata frutto di un giudizio meramente apodittico, mancante della disamina critica delle dichiarazioni ritenute confermative di quelle del collaboratore.
Con riguardo a NOME COGNOME la spiegazione della smentita alla dichiarazione di COGNOME circa la partecipazione di COGNOME ad un incontro tra lo stesso COGNOME e NOME COGNOME (esponente di rilievo della criminalità reggina) con il riferimento alla progressione dichiarativa, sarebbe stata meramente apodittica in quanto omissiva della valutazione di un contrasto effettivo tra le dichiarazioni di COGNOME e COGNOME.
Peraltro, sempre per quanto attiene a NOME COGNOME il ricorrente ha omesso di considerare che non vi è stato alcun incremento dichiarativo, ma una prima dichiarazione generica seguita da una definitiva smentita.
Con riferimento, invece, alle dichiarazioni di NOME e NOME COGNOME che hanno attribuito, successivamente alle prime escussioni in sede di interrogatorio, a Serranò il ruolo di imprenditore imposto dai Libri e riscossore di estorsioni, sarebbe stata omessa ogni motivazione in punto di disamina di tale effettiva progressione dichiarativa.
5.2. Con il secondo motivo ha eccepito la mancata valutazione del ruolo ricoperto dal ricorrente nell’associazione in funzione della conservazione e del rafforzamento del sodalizio.
Gli elementi valorizzati nella sentenza impugnata al fine di dimostrare la partecipazione all’associazione hanno, secondo il ricorrente, natura meramente congetturale, sono inidonei a dimostrare l’intraneità all’associazione, essendo, peraltro, compatibili anche con interessi di natura meramente personale e rapporti individuali tra l’imputato, NOME COGNOME gli imprenditori Berna (presso i cantieri dei quali l’impresa COGNOME ha operato) ed altri esponenti della cosca Libri.
Si tratta di elementi privi di una valenza decisiva in chiave dimostrativa dell’affiliazione alla cosca Libri da parte dell’imputato e della sua partecipazione a quel gruppo mafioso.
Né avrebbero potuto essere richiamati i precedenti accertamenti giudiziali dell’esistenza della cosca Libri, stante l’assenza di un qualsiasi coinvolgimento del ricorrente in tali giudizi.
Parimenti, sarebbero di scarso rilievo i rapporti di frequentazione, pure valorizzati in sentenza e, comunque, insuscettibili di assumere un qualsiasi significato, neppure con il ricorso a massime di esperienza.
Occorre, infatti, che vengano esplicitati i singoli atti o comportamenti dell’indiziato di appartenere all’associazione mafiosa, non potendo tale specifica indicazione, essere surrogata dal ricorso ad affermazioni presuntive ovvero basate su elementi meramente congetturali o generici privi della indicazione di fatti e comportamenti indicativi dell’apporto del ricorrente al perseguimento degli interessi del gruppo.
5.3. Con il terzo motivo è stata censurata la valorizzazione della intercettazione del 15 aprile 2019 tra NOME COGNOME e NOME COGNOME in punto di omessa valutazione della fonte di conoscenza di quanto dagli stessi affermato nella conversazione.
Nel colloquio tra i predetti, il ricorrente sarebbe stato indicato come «quello che controlla» ma i giudici di merito avrebbero omesso di verificare sulla base di quali elementi di fatto quella definizione poteva ritenersi attendibile.
Sul punto, sarebbe stata obliterata l’applicazione del principio affermato dalla giurisprudenza di questa Corte in punto di disamina dell’attendibilità delle fonti nel caso di conversazioni aventi contenuto etero-accusatorio.
5.4. Con il quarto motivo è stata censurata la motivazione della sentenza in punto di sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 416-bis, comma sesto, cod. pen.
Anche su tale punto la sentenza impugnata avrebbe reso una motivazione assertiva e apodittica.
Il richiamo alla precedente sentenza NOME Roccaforte sarebbe inconferente atteso che in quel diverso procedimento la stessa aggravante è stata esclusa.
I giudici di merito hanno ritenuto dimostrato il finanziamento delle attività produttive
riferibili agli associati con il provento di delitti costituiti, essenzialmente, dalle att estorsive sistematicamente svolte sul territorio di operatività del sodalizio criminale.
Partendo dall’assunto secondo cui l’aggravante è configurabile nei confronti dell’associato che ha commesso il delitto che ha generato i proventi da egli successivamente reimpiegati, il ricorrente ha censurato la mancata emersione del reinvestimento dei profitti derivanti al sodalizio dalle attività illecite, non essendo, a t fine, sufficiente il riferimento a prestanomi compiacenti e l’assenza della percezione di redditi leciti da parte degli stessi imputati.
Sarebbe indispensabile la dimostrazione della utilizzazione dei proventi dell’associazione in funzione dell’acquisizione di strutture produttive in modo che le stesse prevalgano su quelle diverse che offrono i medesimi beni e servizi.
5.5. Con il quinto motivo sono stati eccepiti i vizi di motivazione riferiti al trattamento sanzionatorio quantificato in misura superiore al minimo edittale.
Parimenti, difetta una congrua motivazione in punto di diniego delle circostanze attenuanti generiche.
In particolare, non sono stati presi in considerazione la giovane età dell’imputato, la sua incensuratezza, il comportamento dallo stesso tenuto in sede di arresto.
Con un primo atto a firma degli Avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME articolando cinque motivi per violazione di legge e vizi di motivazione promiscuamente eccepiti in ciascuna censura.
6.1. Con il primo motivo ha dedotto l’insussistenza di elementi sufficienti per potere affermare l’operatività all’attualità della cosca Libri, benché oggetto di precedenti accertamenti giurisdizionali.
I giudici di merito hanno, infatti, omesso di indicare la persistenza degli elementi di fatto dai quali desumere la permanente operatività del sodalizio mafioso già accertato per periodi precedenti.
Ciò integrerebbe un primo grave deficit motivazionale della sentenza impugnata alla luce dei criteri di valutazione costantemente affermati dalla giurisprudenza di questa Corte di legittimità in punto di valutazione della congruità e correttezza dell’impianto giustificativo della sentenza di merito.
In ogni caso, difetta ogni prova della sussistenza del metodo mafioso e della capacità di sopraffazione.
6.2. Con il secondo motivo i medesimi vizi sono stati eccepiti con riguardo alla dimostrazione della partecipazione del ricorrente alla contestata associazione mafiosa.
L’assunto di partenza, per quanto riguarda la specifica posizione di NOME COGNOME è stato individuato nella pregressa condanna nel processo Testamento, definito il 2 luglio 2010, senza considerare, tuttavia, il significativo iato temporale tra quella decisione e quella oggetto di più recente contestazione.
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Peraltro, si tratta di periodi fra i quali si colloca una lunga carcerazione, con la conseguenza che avrebbe dovuto essere fornita una prova rafforzata della nnafiosità dell’imputato, specie a fronte dalla emersione della contraria dimostrazione dell’allontanamento dello stesso dai contesti mafiosi.
I giudici di merito, inoltre, hanno omesso di verificare quale sia stato il contributo offerto dal ricorrente in termini di rafforzamento concreto dell’attività associativa.
Le intercettazioni richiamate in funzione dimostrativa della responsabilità dell’imputato assumono significato inquadrabile nel contesto di rapporti di natura familiare di significato neutro, non già associativa mafiosa.
In tal senso anche una intercettazione nella quale i conversanti si erano limitati ad affermare che NOME COGNOME era uscito dal carcere.
Risulta una mera affermazione, invece, quella per cui Libri avrebbe conseguito vantaggi dall’associazione nel periodo di detenzione.
Il ricorrente ha indicato, inoltre, una serie di passaggi motivazionali reputati apodittici o, addirittura, illogici, come quello in cui si è preteso di attribuire valen accusatoria dimostrativa della partecipazione al sodalizio mafioso di alcune conversazioni nelle quali si dava atto della sostanziale perdita di credibilità dell’imputato.
Sarebbe sostanzialmente mancante, dunque, secondo il ricorrente, la prova dell’apporto concreto ed effettivo del ricorrente al sodalizio mafioso.
6.3. Con il terzo motivo è stata censuata l’affermazione della ricorrenza dell’aggravante di cui all’art. 416-bis, comma quarto, cod. pen., non essendo stata compiutamente descritta la disponibilità di armi da parte del ricorrente ovvero dei suoi sodali.
Si tratta di circostanza operante oggettivamente, ma a prescindere da qualsiasi automatismo applicativo.
6.4. Il quarto motivo riguarda il medesimo vizio riferito all’aggravante di cui all’art. 416-bis, comma sesto, cod. pen.
Da un lato, infatti, l’imputazione della circostanza è avvenuta, anche in questo caso, senza alcun accertamento dell’elemento soggettivo; inoltre, non risulta essere stato verificato (con conseguente carenza di motivazione sul punto) che si sia effettivamente determinato un reimpiego dei proventi dell’attività illecita dell’associazione ai fini dell’acquisizione di attività economiche funzionali a determinare la prevalenza della struttura associativa nel contesto territoriale di operatività del gruppo mafioso.
Nel motivare la ricorrenza dell’aggravante, la sentenza impugnata ha richiamato il procedimento RAGIONE_SOCIALE Roccaforte all’esito del quale, quella stessa aggravante, invece, è stata esclusa.
6.5. Con il quinto motivo la sentenza è stata impugnata in punto di diniego delle circostanze attenuanti generiche, riconoscimento della recidiva, commisurazione della pena e ricorrenza dell’aggravante di cui all’art. 75 d.lgs. n. 159 del 2011.
Con altro ricorso del 21 ottobre 2024 i medesimi difensori, avv.ti COGNOME e COGNOME hanno proposto altro ricorso nell’interesse di NOME COGNOME articolando cinque motivi.
7.1. Con il primo è stata eccepita violazione di legge con riferimento alla configurabilità, in capo al ricorrente, della condotta di partecipazione all’associazione mafiosa.
Richiamati gli arresti in punto di concretezza del contributo offerto all’esistenza o al rafforzamento dell’associazione, è stato evidenziato come siano assenti, nel caso di specie, fonti di accusa a carico dell’imputato; ciò, sia con riferimento a fonti collaborative, che ad intercettazioni.
A proposito di queste ultime, la sentenza ha richiamato captazioni prive di conducenza ai fini della dimostrazione della tesi accusatoria, siccome aventi ad oggetto conversazioni di natura programmatica, suggestiva, affaristica, contraddittoria e, comunque, anche laddove riferite all’assistenza in carcere dei detenuti, generiche.
7.2. Il secondo motivo ha avuto riguardo alla violazione di legge riferita all’aggravante della natura armata dell’associazione e, dunque, alla circostanza aggravante di cui all’art. 416-bis, comma quarto, cod. pen.
Su tale punto la sentenza impugnata avrebbe valorizzato elementi ambigui quali il precedente accertamento contenuto nella sentenza RAGIONE_SOCIALE Roccaforte rispetto al quale, tuttavia, la Corte reggina ha inteso discostarsi con riguardo alla diversa aggravante di cui all’art. 416-bis, comma sesto, cod. pen. con ciò, evidentemente, ritenendo di non condividere totalmente quella diversa decisione.
Inoltre, ha indicato una serie di intercettazioni dalle quali la disponibilità di armi poteva essere ascritta ad alcuni singoli soggetti (anche associati, quali NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME) ma non anche al sodalizio di cui al capo A).
7.3. Con il terzo motivo la violazione di legge è stata eccepita con riferimento alla ritenuta configurabilità dell’aggravante di cui all’art. 416-bis, comma sesto, cod. pen.
In primo luogo, ha rilevato la contraddittorietà della decisione laddove, ponendosi dichiaratamente in linea di continuità e coerenza con i risultati della precedente operazione RAGIONE_SOCIALE Roccaforte, contrariamente a quanto deciso in quella circostanza, è pervenuta alla difforme conclusione della configurabilità dell’aggravante in quella sede negata.
La sussistenza dell’aggravante, peraltro, è stata motivata con richiami a dati non del tutto conferenti e trascurando l’esame di elementi (quali la riferibilità all’associazione delle attività economiche acquisite con i proventi delle imprese delittuose) essenziali ai fini dell’affermazione della configurabilità della circostanza aggravante.
L’incremento di pena, pertanto, si giustifica con la sostanziale alterazione delle regole di mercato che si determinano per effetto dell’impiego delle attività economiche dei proventi derivanti dai delitti.
Nel caso di NOME COGNOME sono state richiamate in sentenza l’attività di noleggio delle macchine per il caffè e la capacità di alterare il mercato per il particolare rispetto nutrito nei suoi confronti dai clienti.
Si tratta di elementi ritenuti, dal ricorrente, privi di pregnanza e conducenza ai fini dell’affermazione dell’aggravante.
7.4. Con il quarto motivo è stata censurata la sentenza in punto di recidiva, dovendosi ravvisare una violazione di legge per essere stato ritenuto sufficiente il precedente penale per associazione mafiosa di cui alla sentenza del 13 febbraio 2013, a fronte della necessità di valutare la pericolosità specifica alla luce di elementi ulteriori a semplice dato formale del precedente.
7.5. Con il quinto motivo sono stati eccepiti, promiscuamente, violazioni di legge sostanziale e processuale e vizi di motivazione per essere stata erroneamente ritenuta l’aggravante di cui all’art. 71 d.lgs. n. 159 del 2011, pur essendo stata commessa una porzione della condotta di partecipazione all’associazione mafiosa in un momento in cui l’imputato non era sottoposto a misura di prevenzione.
Sul punto non è stata offerta alcuna specifica motivazione da parte del giudice di appello che si è limitato ad applicare il correlato aumento senza, peraltro, fornire alcuna giustificazione in ordine alla sua entità.
Nell’interesse della parte civile NOME COGNOME è stata depositata una memoria.
I difensori degli imputati hanno chiesto procedersi a discussione orale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
E’ fondato il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME.
E’ fondato, altresì, il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME nei limiti di seguito illustrati e sono fondati tutti i ricorsi limitatamente all’aggravante di cui all’ 416-bis, comma sesto, cod. pen.
I ricorsi degli imputati COGNOME, COGNOME, COGNOME e COGNOME devono essere complessivamente rigettati nel resto.
Ricorso nell’interesse di NOME COGNOME.
2.1. Il primo motivo riguarda l’affermazione della penale responsabilità per il delitto di partecipazione al sodalizio mafioso di cui all’art. 416-bis cod. pen., nell’ambito del quale il ricorrente non avrebbe fornito alcun contributo apprezzabile.
La censura coglie significative carenze e contraddittorietà motivazionali.
La sentenza ha ricostruito la responsabilità del ricorrente partendo dall’assunto
(errato) secondo cui RAGIONE_SOCIALE è stato titolare di una posizione apicale dell’associazione (pag. 24) che, tuttavia, non risulta, atteso che egli ha riportato condanna per il periodo 2005/2007 come mero partecipe.
Va anche detto che non risulta contestata la cronologia dei successivi coinvolgimenti dell’imputato nei procedimenti penali che hanno avuto ad oggetto il medesimo sodalizio: il ricorrente, infatti, è stato assolto in altri due diversi procedimenti che coprono il periodo che va dal 2007 al giugno 2013.
Nel presente procedimento rileva il periodo 6 giugno 2013 – 31 luglio 2019 durante il quale COGNOME è sempre stato detenuto; la detenzione, dal gennaio 2014, viene eseguita secondo il regime detentivo speciale di cui all’art. 41-bis ord. pen.
Da pag. 24 a pag. 26 la motivazione della sentenza impugnata si diffonde nella indicazione delle ragioni per le quali si ritiene la non sostenibilità della tesi per cui RAGIONE_SOCIALE «in epoca successiva al 5 giugno 2013, e in particolare dopo la sottoposizione al regime di cui all’art. 41-bis ord. pen. all’inizio del 2014, abbia comunicato agli associati alcunché di rilevante per l’attività dell’associazione in contestazione».
Si fa riferimento ai messaggi contenenti richiami religiosi, al contributo ipotizzato, all’inizio delle investigazioni, a carico della moglie, dello stesso avvocato dell’imputato: tutte ipotesi venute meno anche a seguito dei tre annullamenti pronunciati da questa Corte di cassazione su ordinanze del Tribunale della libertà di Reggio Calabria con le quali è stata affermata la sussistenza della gravità indiziaria per il delitto associativo mafioso per il quale si procede in questa sede (si tratta delle sentenze Sez. 2, n. 7870 del 28/01/2020, Caridi, Rv. 277962; Sez. 6, n. 2217 del 24/11/2020, dep. 2021, Caridi, n.m.; Sez. 2, n. 28588 del 24/06/2021, Caridi, n.m.).
Nell’ambito della ricostruzione operata in sentenza, assume spiccato rilievo indiziario la circostanza (reputata credibile) che COGNOME abbia trasferito i poteri tipici del capo del sodalizio mafioso a Sarica che li ha esercitati a partire da agosto 2013.
Tuttavia, COGNOME quei poteri non li ha mai avuti, posto che mai è stato condannato come capo, neppure con la decisione avversata in questa sede.
La motivazione sconta, quindi, un primo profilo di significativa contraddittorietà laddove, da un lato, esclude un ruolo di vertice dell’imputato nel contesto associativo e, dall’altro, sostiene che quel ruolo è stato trasferito proprio da Caridi a Sarica.
La ricostruzione operata nella sentenza di primo grado, infatti, secondo la quale Caridi, invece, aveva ricoperto proprio quel ruolo, non è stata condivisa dalla Corte di appello che, da un lato, ha sostenuto esservi stato quel trasferimento di compiti direttivi da Caridi a Sarica, affermando, in termini generici e decontestualizzati, di non essere in grado di collocare nel tempo il passaggio e spiegare se lo stesso è avvenuto «in epoca successiva a quella coperta da giudicato».
Si tratta, tuttavia, di un punto della motivazione che, in termini probabilistici e incerti, rivaluta in chiave associativa (ipotizzando, tra l’altro, la più grave condotta d
direzione di un’associazione mafiosa) una condotta collocata in una fase temporale per la quale il ricorrente è stato assolto con statuizione coperta dal giudicato.
Ciò benché la Corte di appello reggina abbia mostrato consapevolezza della necessità di individuare condotte successive al giugno 2013 allo scopo di supportare l’affermazione della penale responsabilità dell’imputato per il delitto associativo ascrittogli nella rubrica i m putativa
D’altronde, questa Corte aveva già invitato il giudice della cautela (e a maggior ragione quello della cognizione) alla esatta contestualizzazione temporale del prospettato «passaggio di consegne», poiché, laddove ascrivibile a periodo antecedente al giugno 2013, quella condotta avrebbe dovuto ritenersi priva di significato indiziario nel presente procedimento (Sez. 2, n. 7870 del 2020, cit.).
A maggior ragione tale necessità si pone in conseguenza degli annullamenti che hanno riguardato la fase cautelare e che hanno investito anche la valutazione compiuta dal giudice in punto di gravità indiziaria.
Gli elementi ulteriori sono stati individuati in quelli di seguito indicati: il colloquio 7 gennaio 2016 nel corso del quale la moglie di COGNOME ha comunicato al marito che COGNOME stava collaborando e che il ricorrente temeva che il dichiarante potesse riferire circostanze per lui pregiudizievoli; l’intercettazione del 2 luglio 2016 nel corso della quale è stato fatto riferimento a un chiosco per la vendita di frutta successivamente sequestrato, originariamente dato in locazione a soggetto gradito a COGNOME e, una volta dissequestrato, concesso ad un amico di Sarica; la conversazione del 15 aprile 2019 tra NOME COGNOME e NOME COGNOME che hanno discusso del danneggiamento della pizzeria RAGIONE_SOCIALE ed evocato COGNOME come soggetto potente («quando escono si ammazzano perché c’è NOME COGNOME»); la convinzione che COGNOME fruisse del sostengo derivante dalle estorsioni per come desunto da una conversazione del 31 gennaio 2018 tra NOME COGNOME e NOME COGNOME nel corso della quale il primo ha affermato di operare nell’interesse di NOME COGNOME e dello stesso NOME COGNOME; la conversazione del 20 maggio 2014 tra NOME COGNOME e NOME COGNOME dalla quale è emerso che il primo aveva invitato il secondo a recarsi presso un terzo a rivendicare del denaro di spettanza del cugino individuato in NOME COGNOME; il colloquio in carcere tra COGNOME e la figlia del 19 luglio 2021 ancora sulle spese legali.
La vicenda del chiosco si colloca in epoca coperta dal giudicato assolutorio, per come evidenziato dalla stessa sentenza impugnata a pag. 28.
Pertanto, si tratta di elemento non utilizzabile in chiave accusatoria, in base al principio secondo cui «in caso di successione di condotte contestate a titolo di partecipazione o direzione di organizzazione mafiosa la rivalutazione delle prove acquisite e valutate nel corso di un precedente procedimento per il delitto di cui all’art. 416 bis cod.pen., concluso con sentenza assolutoria in relazione ad un differente arco temporale, è subordinato alla circostanza che quegli elementi riguardino comunque il nuovo periodo
temporale oggetto di contestazione e non attengano invece al periodo coperto da giudicato assolutorio. Il rispetto del giudicato assolutorio già pronunciato in via definitiv esclude, quindi, che nel diverso giudizio possano essere valutate prove che in relazione ad un determinato arco temporale abbiano fatto concludere già per l’insussistenza del fatto e cioè abbiano determinato l’esclusione della colpevolezza per un determinato periodo» (Sez. 2, n. 7870 del 2020, cit.).
La Corte di cassazione nella decisione richiamata ha affermato il principio di diritto in base al quale: «in tema di associazione a delinquere di stampo mafioso, la condotta tipica deve essere provata con puntuale riferimento al periodo temporale considerato dall’imputazione, sicché, in caso di successione di condotte contestate a titolo di partecipazione o di direzione dell’organizzazione criminale, la rivalutazione delle prove acquisite e valutate nel corso di un precedente procedimento per il delitto di cui all’art. 461-bis cod. pen., conclusosi con sentenza assolutoria in relazione ad un differente arco temporale, è subordinata alla circostanza che quegli elementi riguardino comunque il nuovo periodo temporale oggetto di contestazione e non attengano, invece, al periodo coperto dal giudicato assolutorio. (In applicazione del principio, la Corte ha affermato che la chiamata in correità, quale elemento di prova principale, deve avere ad oggetto un’accusa relativa al periodo oggetto di successiva contestazione, rispetto al quale vanno, altresì, ricercati i riscontri individualizzanti, e che le intercettazioni attinenti a cond associative comprese nel giudicato assolutorio rilevano solo in quanto siano indicative anche della progettazione di precise condotte future)» (Sez. 2, n. 7870 del 28/01/2020, COGNOME, Rv. 277962 – 01).
La sentenza impugnata non è coerente con tali affermazioni di principio.
In ordine al significato indiziario della conversazione del 31 gennaio 2018 non può che aderirsi alle considerazioni già svolte da questa Corte con sentenza n. 28588 del 2021 ove, a pag. 7, è stata censurata la motivazione tesa ad assegnare valore indiziario alla conversazione, tenuto conto di una sua lettura comprensiva di alcuni passaggi pure trascritti a pag. 29 della sentenza impugnata.
Le medesime considerazioni vanno estese alla conversazione del 20 maggio 2014 rispetto alla quale la stessa sentenza citata al capoverso precedente, a pag. 8, ha svolto considerazioni tese a metterne in dubbio il valore indiziario, che vengono condivise in questa sede e che non risultano essere state superate e prese in considerazione dai giudici di merito nella sentenza impugnata.
Alla luce di una disamina complessiva del materiale istruttorio a disposizione del giudicante, risulta illustrato, quindi, un quadro indiziario che vede COGNOME, ancora negli anni 2018/2019, percepito all’esterno come soggetto dotato di spiccata autorevolezza nel contesto mafioso della cosca Libri.
Non emerge, tuttavia, l’illustrazione di alcun atto, comportamento concreto, messaggio, una iniziativa di qualsiasi tipo, da parte sua, idonei a dimorare la
partecipazione al sodalizio del quale ha fatto parte dal 2005 al 2007, venendo successivamente assolto con decisione definitiva per condotte proseguite fino al giugno 2013
Va, a tale proposito, ribadito l’orientamento, tutt’ora valido, per il quale «in tema di associazione di tipo mafioso, la condotta di partecipazione è riferibile a colui che si trovi in rapporto di stabile e organica compenetrazione con il tessuto organizzativo del sodalizio, tale da implicare, più che uno “status” di appartenenza, un ruolo dinamico e funzionale, in esplicazione del quale l’interessato “prende parte” al fenomeno associativo, rimanendo a disposizione dell’ente per il perseguimento dei comuni fini criminosi. (In motivazione la Corte ha osservato che la partecipazione può essere desunta da indicatori fattuali dai quali, sulla base di attendibili regole di esperienza attinenti propriamente al fenomeno della criminalità di stampo mafioso, possa logicamente inferirsi la appartenenza nel senso indicato, purché si tratti di indizi gravi e precisi – tra i qual esemplificando, i comportamenti tenuti nelle pregresse fasi di “osservazione” e “prova”, l’affiliazione rituale, l’investitura della qualifica di “uomo d’onore”, la commissione d delitti-scopo, oltre a molteplici, e però significativi “facta concludentia” -, idonei sen alcun automatismo probatorio a dare la sicura dimostrazione della costante permanenza del vincolo, con puntuale riferimento, peraltro, allo specifico periodo temporale considerato dall’imputazione)» (Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, COGNOME, Rv. 231670 – 01; conforme Sez. U, n. 36958 del 27/05/2021, COGNOME, Rv. 281889 – 01).
Non risulta, peraltro, nel contesto di un quadro indiziario di tale complessità, che i giudici di merito si siano effettivamente confrontati con la circostanza, pacificamente emersa nel corso del procedimento, della detenzione dell’imputato in regime speciale di cui all’art. 41-bis ord. pen. a partire dal gennaio 2014.
A tale proposito, deve essere ribadito che «ai fini della configurabilità del reato di associazione per delinquere, laddove uno dei sodali abbia patito uno stabile isolamento dal gruppo in forza di detenzione prolungata e senza soluzione di continuità, occorre la prova della permanenza di un contributo oggettivamente apprezzabile alla vita ed all’organizzazione del gruppo stesso, anche se solo a carattere morale (Nella specie, la S.C. ha ritenuto erronea la condanna di un detenuto a carico del quale era emerso il solo dato dell’affidamento in lui riposto da altri sodali non detenuti)» (Sez. 2, n. 6819 del 31/01/2013, COGNOME, Rv. 254503 – 01).
Va, ulteriormente, considerato, il giudicato assolutorio per un lungo periodo immediatamente precedente rispetto a quello che rileva in questo processo, senza che sia emerso un qualche significativo elemento ad indicare un mutamento della situazione personale e criminale del ricorrente.
Altro profilo di contraddittorietà è presente, dunque, nella parte di motivazione in cui si afferma perentoriamente che COGNOME non ha fatto uscire dal carcere alcuna disposi ione relativa alla vita dell’associazione, salvo poi ricostruire un ruolo associativo più c4me
beneficiario dei favori della cosca che come autore di condotte di rilievo che, tuttavia, non vengono esplicitamente descritte.
Da quanto esposto deriva la fondatezza del primo motivo di ricorso.
2.2. Il secondo motivo, riferito all’aggravante di cui all’art. 416-bis, comma sesto cod. pen., è parimenti fondato.
La sentenza impugnata si pone dichiaratamente in continuità con la precedente NOME COGNOME forte della quale richiama la motivazione evidenziandone alcune emergenze in punto di attività economiche riferibili alla cosca o a suoi partecipi.
Senonché quella sentenza, pacificamente, ha escluso la ricorrenza dell’aggravante.
Per giustificarne la configurabilità, dunque, la Corte di appello di Reggio Calabria, oltre a richiamare la precedente, ha ulteriormente aggiunto il riferimento alla emergenze del presente procedimento richiamando le dichiarazioni del collaboratore COGNOME secondo il quale la cosca COGNOME imponeva subappalti e veicolava lavori verso imprenditori collusi o vicini alla cosca (con particolare riferimento alla vicenda dell’impresa COGNOME e alle attività di NOME COGNOME che nell’ambito dell’attività di noleggio di macchine per i caffè imponeva il monopolio obbligando gli esercenti a rifornirsi da lui).
Combinando le risultanze emerse in un procedimento concluso con l’esclusione definitiva dell’aggravante con quelle del procedimento in esame, i giudici di merito hanno ritenuto configurabile l’aggravante.
L’operazione è stata compiuta sommando agli elementi già reputati insufficienti quelli relativi alle vicende dell’impresa COGNOME e all’attività di noleggio di macchine da caffè di NOME COGNOME.
Non risulta, tuttavia, adeguatamente illustrato, in punto di fatto, GLYPH il nucleo dell’aggravante in esame essendo stato, dunque, trascurato il principio di diritto (pure) richiamato in sentenza a mente del quale «ai fini della configurabilità dell’aggravante di cui all’art. 416-bis, comma sesto, cod. pen. – che ricorre quando gli associati intendano assumere il controllo di attività economiche, finanziando l’iniziativa, in tutto o in parte con il prezzo, il prodotto o il profitto di delitti e che ha natura oggettiva dovendo essere riferita all’attività dell’associazione e non alla condotta del singolo partecipe – occorre si un’ intervento in strutture produttive dirette a prevalere, nel territorio di insediamento sulle altre strutture che offrono gli stessi beni o servizi, sia che l’apporto di capita corrisponda a un reinvestimento delle utilità procurate dalle azioni criminose, essendo proprio il collegamento tra azioni delittuose e intenti antisociali a richiedere un più efficace intervento repressivo.(In applicazione del principio, la Corte ha censurato la decisione del giudice di merito che aveva configurato l’aggravante in presenza di investimenti in alcune attività commerciali, senza valutare le dimensioni delle attività economiche acquisite e la loro eventuale prevalenza rispetto alle altre strutture produttive operanti nel territorio di insediamento)» (Sez. 5, n. 9108 del 21/10/2019, dep. 2020, Pg, Rv. 278796 – 01).
Nel caso di specie, non risulta compiuta alcuna analisi, così come non risulta
esplicitata alcuna conclusione, in punto di effettivo reinvestimento delle utilità procurate dalle azioni criminose riferibili all’associazione.
Pur essendosi concentrata la disamina dei giudici di merito sulla «dedizione della cosca alle estorsioni sul territorio», del tutto assertivamente, è stato affermato che «il reimpiego delle risorse illecite in attività produttive (…) si ricollega alla gestione d attività in forma estorsiva, imponendo commesse e ricevendo vantaggi economici da utilizzare nelle imprese», desumendo la configurabilità dell’aggravante dalla sola alterazione delle regole della libera concorrenza ed al conseguente controllo del mercato.
Giova anche richiamare il principale passaggio della motivazione della sentenza delle Sezioni Unite n. 25191 del 27/02/2014, COGNOME, Rv. 259589, con riguardo al punto qui rilevante. In particolare, il massimo organo nomofilattico ha avuto modo di affermare quanto segue: «L’aggravante di cui all’art. 416-bis, sesto comma , cod. pen. ricorre quando gli associati cercano di penetrare in un determinato settore della vita economica e si pongono nelle condizioni di influire sul mercato finanziario e sulle regole della concorrenza, finanziando, in tutto o in parte, le attività con il prezzo, il prodotto o profitto di delitti. L’aggravante in esame stabilisce una precisa correlazione logico-causale tra le diverse finalità indicate nel terzo comma dell’art. 416-bis cod. pen., colte nella loro proiezione dinamico-strutturale, essendo delineato un chiaro nesso funzionale tra la consumazione di delitti, la gestione di attività imprenditoriali, la realizzazione di vantaggi ingiusti, intesi o quale derivazione da attività economiche sanzionate come contravvenzione o quali aspetti complementari al controllo delle attività economiche. L’apporto di capitale deve corrispondere ad un reinvestimento delle utilità procurate dalle azioni delittuose. Il riferimento all’attività economiche è da intendere come intervento in strutture produttive dirette a prevalere, nel territorio di insediamento, sulle altre struttu che offrano beni e servizi. La ratio di tale previsione è da ravvisare nella necessità di introdurre uno strumento normativo in grado di colpire più efficacemente l’inserimento delle associazioni mafiose nei circuiti dell’economia legale grazie alla maggiore liquidità derivante da delitti, costituenti una sostanziale progressione criminosa rispetto al reatobase, così concretizzando una più articolata e incisiva offesa degli interessi protetti. Come si desume dal chiaro tenore letterale dell’art. 416-bis, sesto comma, cod. pen., ai fini della configurabilità dell’aggravante non è necessario che l’attività imprenditoriale mafiosa venga finanziata interamente con fondi provenienti da delitto: la norma stabilisce espressamente, infatti, che deve ritenersi configurata l’aggravante anche se il finanziamento è di tipo misto, ossia è alimentato, in parte, dagli utili della gestione formalmente lecita e, in parte, dai proventi delittuosi. L’interpretazione letterale del sesto comma, la sua lettura logico-sistematica nel contesto complessivo dell’art. 416-bis cod. pen. e la sua ragione giustificativa inducono a ritenere che la previsione normativa si applichi esclusivamente alle ipotesi di reimpiego in attività economiche e non io altre Corte di Cassazione – copia non ufficiale
finalità programmatiche dell’associazione. Sotto questo profilo non appare, quindi, condivisibile quell’orientamento dottrinale che, valorizzando l’assenza di distinzione in ordine alla liceità formale delle attività finanziate, ritiene che la circostanza aggravante sussista anche quando il finanziamento di origine delittuosa interessi attività economiche di per sé penalmente illecite».
Il passaggio che più rileva in questa sede è quello con il quale è stato precisato che «la lettura coordinata dei commi terzo e sesto dell’art. 416-bis cod. pen., la chiara distinzione, presente nel terzo comma, tra “delitti” e “attività economiche”, il riferimento specifico alla provenienza da “delitti” del prezzo, del prodotto o del profitto, destinate a finanziare, almeno in parte, le attività economiche, portano ad escludere l’applicabilità dell’aggravante di cui al sesto comma al caso in cui i componenti dell’associazione mafiosa reinnpieghino in ulteriori attività economiche gli utili provenienti dalle attivi imprenditoriali, costituenti l’espressione della seconda finalità descritta dal terzo comma (c.d. finalità di monopolio)».
Le Sezioni Unite hanno, altresì, affermato che «l’aggravante, che appartiene al novero di quelle speciali, ha natura oggettiva (art. 70 cod. pen.), poiché il perseguimento della finalità descritta nell’art. 416-bis, sesto comma, cod. pen. mediante i proventi dei delitti, costituisce una connotazione obiettiva dell’associazione e ne qualifica la pericolosità al pari del suo carattere armato. In coerenza con tale natura dell’aggravante è da ritenere che essa vada riferita all’attività dell’associazione in quanto tale e non necessariamente alla condotta del singolo partecipe (Sez. 5, n. 12251 del 25/01/2012, Monti, Rv. 252172; Sez. 6, n. 6547 del 10/10/2011, Panzeca, Rv. 252114; Sez. 6, n. 42385 del 15/10/2009, Ganci, Rv. 244904; Sez. 6, n. 17249 del 26/01/2004, Rv. 228111; Sez. 2, n. 5343 del 28/01/2000, COGNOME, Rv. 215908). Ne consegue che, ai fini della sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 416- bis, sesto comma , cod. pen., non è necessario che il singolo associato s’interessi personalmente di finanziare, con i proventi dei delitti, le attività economiche, di cui i partecipi dell’associazione mafiosa intendano assumere o mantenere il controllo (Sez. 1, n. 4375 del 25/06/1996, COGNOME, Rv. 205497). La natura oggettiva della circostanza aggravante comporta, in applicazione di quanto stabilito dall’art. 59, secondo comma, cod. pen. (introdotto dalla legge del 7 febbraio 1990, n. 19), che essa sia valutabile a carico di tutti i componenti del sodalizio, sempre che essi siano stati a conoscenza dell’avvenuto reimpiego di profitti delittuosi, ovvero l’abbiano ignorato per colpa o per errore determinato da colpa. Peraltro, qualora sia in concreto accertata la normalità e frequenza del reimpiego di profitti delittuosi da parte di un determinato sodalizio di tipo mafioso, ciascuno dei membri del sodalizio mafioso deve considerarsi al corrente della relativa circostanza e deve, di regola, ritenersi ascrivibile a colpa l’eventuale ignoranza sul punto da parte di taluno dei componenti».
Va comunque condiviso l’ulteriore arresto in base al quale «in tema di associazione a delinquere di stampo mafioso, aggravata ai sensi dell’art. 416 bis, comma sesto, cod.
pen., si ha reinvestimento delle utilità procurate dalle azioni delittuose anche quando al soggetto passivo viene imposto, con violenza o minaccia, di far assegnare lavori in appalto ad imprese colluse o di cedere attività commerciali in favore di prestanome mafiosi, atteso che, in tali ipotesi, il profitto ingiusto del delitto estorsivo è costituito remunerazione dei lavori e dei servizi svolti dall’impresa mafiosa, che si giova dell’imposizione criminale, ovvero dai proventi derivanti dall’acquisizione dell’attività commerciale altrui, ed il reimpiego si attua attraverso l’investimento di tale profitto nelle attività della medesima impresa mafiosa» (Sez. 2, n. 21460 del 19/03/2019, COGNOME, Rv. 275586 – 02).
Tuttavia, risulta carente, nel caso di specie, la motivazione circa la provenienza da delitti dei compendi utilizzati per il reimpiego, sia sotto il profilo della dimostrazione del provenienza dei compendi da attività criminose e non imprenditoriali, sia sotto il profilo della riferibilità dell’aggravante all’associazione e non ai singoli componenti della stessa.
Da quanto esposto consegue l’accoglimento anche del motivo di ricorso in esame.
3. Ricorso nell’interesse di NOME COGNOME.
3.1. Il primo motivo riguarda l’attribuzione a COGNOME del ruolo di capo e promotore dell’associazione mafiosa Libri.
La censura è fondata in quanto coglie le carenze motivazionali eccepite.
Nella ricostruzione del ruolo associativo del ricorrente, la sentenza impugnata ha valorizzato, in primo luogo, le dichiarazioni del collaboratore COGNOME
Si tratta degli interrogatori del 20 settembre e del 30 novembre 2014: sulle relative dichiarazioni la sentenza si è soffermata motivando in termini corretti e non manifestamente illogici, l’attendibilità, anche nella parte in cui ha spiegato che COGNOME rivendicava per sé il ruolo di principe.
Ha, altresì, dato rilievo a due intercettazioni del 2016 (7 gennaio e 2 luglio) nel corso delle quali è stato fatto riferimento a cointeressenze con COGNOME (all’epoca in carcere) che, sebbene ritenute non del tutto prova di affiliazione criminale dimostrano controllo, influenza e conoscenza del territorio.
Sono state richiamate due conversazioni con NOME COGNOME dell’Il aprile 2014 e del 20 maggio 2014 nel corso delle quali i due hanno discusso di interessi economici in comune e del metodo con il quale riscuotere somme o stabilire autonomamente come restituire i soldi dei quali erano debitori.
I giudici di merito hanno motivato, altresì, su recenti conversazioni con il nuovo capo NOME COGNOME: si tratta delle captazioni del 13 aprile 2018 e del 12 maggio 2018.
In particolare, si è soffermata sulla seconda che, pur nel contesto del disinteresse all’attività estorsiva alla quale si fa riferimento, dimostrata l’abitudine alle consuetudin di ‘ndrangheta e il desiderio o l’auspicio, anche da parte del ricorrente, del rispetto per gli imprenditori amici.
Si tratta di elementi che, incontestatamente, giustificano la ricostruzione del ruolo associativo di NOME COGNOME ma che non costituiscono elementi sufficienti, per come illustrati, per ritenere dimostrato il ruolo apicale ascritto allo stesso.
Invero, da un lato, le argomentazioni della sentenza impugnata con le quali è stato spiegato che detto ruolo deriverebbe dal conferimento del potere direttivo ad opera di NOME COGNOME sono messe in crisi per le ragioni esposte nell’illustrare la posizione di quel coimputato (cfr. par. 2.1.), secondo profili del tutto trascurati dai giudici di merito
La Corte reggina ha, inoltre, segnalato i rapporti intercorrenti tra COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME (questi ultimi esponenti di vertice del sodalizio) rispetto ai qual ha, comunque escluso la configurabilità di un rapporto paritario, descrivendo, piuttosto, una relazione di «supporto» con quegli interlocutori «tanto da dare consigli a COGNOME, da sollecitare l’intervento, da esprimersi in piena autonomia su vicende di ‘ndrangheta quali le fibrillazioni tra gli arcoti ovvero l’estorsione in danno di COGNOME» (pag. 42 dell sentenza).
Senonché, la valorizzazione del descritto comportamento sconta un evidente profilo di genericità se solo si considera che, poco prima del passaggio della motivazione sopra riportato, la Corte di appello ha evidenziato l’interesse di Sarica per quella vicenda estorsiva posta in essere in danno di un soggetto vicino alla cosca Libri, senza, tuttavia, evidenziare alcun aspetto concreto dal quale desumere la circostanza che quell’interesse fosse espresso in quanto esponente del sodalizio dotato di compiti e funzioni di organizzazione e direzione.
Parimenti generico e privo di effettiva conducenza rispetto al tema di interesse, inoltre, è il riferimento all’intercettazione del 27 febbraio 2017 nel corso della quale COGNOME, parlando con NOME COGNOME, afferma di essere convinto che l’attentato in danno del negozio dello stesso COGNOME gli sarebbe stato «accollato» in ragione della sua fama criminale nel rione.
Non risulta osservato, pertanto, il principio per cui «in tema di associazione per delinquere di tipo mafioso, ai fini dell’attribuzione della qualifica di capo è necessaria la verifica dell’effettivo esercizio del ruolo di vertice che lo renda riconoscibile, sia pure sott l’aspetto sintomatico, sia all’esterno, che nell’ambito del sodalizio, realizzando un effettivo risultato di assoggettamento interno» (Sez. 6, n. 40530 del 31/05/2017, P.g. in proc. abbinante e altri, Rv. 271482 – 01).
Né rileva che il soggetto sia stato percepito come esponente di vertice della cosca o che egli stesso ritenesse di ricoprire quel ruolo, in quanto ciò che assume significato è che la posizione di vertice sia stata concretamente esercitata (Sez. 6, n. 19191 del 07/02/2013, P.g. in proc. COGNOME e altri, Rv. 255132 – 01; Sez. 1, n. 3137 del 19/12/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 262487 – 01).
Gli elementi illustrati in sentenza, infatti, sono compatibili anche con il ruolo d semplice partecipe del sodalizio, né risulta decisiva la circostanza della ideazione Øeli
episodi estorsivi di cui ai capi L) ed N) che confermano la collocazione del ricorrente nella compagine associativa mafiosa, ma non anche che COGNOME ricoprisse un ruolo di vertice di quello stesso sodalizio.
3.2. E’ fondato il secondo motivo riferito all’aggravante di cui all’art. 416-bis, comma sesto cod. pen.
A tale proposito, si richiamano le considerazioni esposte al par. 2.2.
3.3. Il terzo motivo, con il quale sono state eccepite inosservanza della legge penale e vizi di motivazione con riferimento al delitto di estorsione di cui al capo L) è inammissibile.
3.3.1. Va ribadito che «il sindacato del giudice di legittimità sulla motivazione del provvedimento impugnato deve essere volto a verificare che quest’ultima: a) sia “effettiva”, ovvero realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata; b) non sia “manifestamente illogica”, perché sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell’applicazione delle regole della logica; c) non sia internamente “contraddittoria”, ovvero esente da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche tra le affermazioni in essa contenute; d) non risulti logicamente “incompatibile” con “altri atti del processo” (indicati in termini specifici ed esaustivi dal ricorrente nei motivi posti sostegno del ricorso) in misura tale da risultarne vanificata o radicalmente inficiata sotto il profilo logico» (Sez. 1, n. 41738 del 19/10/2011, COGNOME, Rv. 251516; Sez. 6, n. 10951 del 15/03/2006; COGNOME, Rv. 233708).
Giova, altresì, ricordare quanto affermato da Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, F., Rv. 280601 con la quale è stato enunciato il principio per cui «in tema di giudizio di cassazione, sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatt posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito».
Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, COGNOME, Rv. 280747 e Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, 0., Rv. 262965 hanno, altresì, chiarito che «in tema di motivi di ricorso per cassazione, non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo, sicché sono inammissibili tutte le doglianze che “attaccano” la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti
GLYPH
dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento».
Essendosi in presenza, come segnalato, di una, così detta, doppia conforme, relativamente all’imputato la cui posizione è in esame, va ulteriormente precisata un’ulteriore circostanza in ordine ai motivi aventi ad oggetto il percorso motivazionale seguito dal giudice di merito.
È costante il principio per cui, «ai fini del controllo di legittimità sul vizi motivazione, ricorre la cd. “doppia conforme” quando la sentenza di appello, nella sua struttura argomentativa, si salda con quella di primo grado sia attraverso ripetuti richiami a quest’ultima sia adottando gli stessi criteri utilizzati nella valutazione delle prove, con la conseguenza che le due sentenze possono essere lette congiuntamente costituendo un unico complessivo corpo decisionale». (Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218, e altre conformi).
3.3.2. La vicenda di interesse riguarda un’estorsione che si è articolata, secondo l’imputazione e le conformi sentenze di merito, in due fasi ricostruite, in primo luogo, sulla scorta delle dichiarazioni della persona offesa.
La prima si è svolta nel 2014, quando Sarica ha chiesto a NOME COGNOME, titolare dell’esercizio commerciale «RAGIONE_SOCIALE», di eseguire lavori per 1.000 euro, versando 500 euro di acconto.
L’esecuzione dei lavori è stata successivamente sollecitata da NOME COGNOME il quale ha anche richiesto il pagamento della somma di 1.000 euro da destinare ai detenuti.
Al rifiuto di COGNOME hanno fatto seguito le insistenze di COGNOME e l’accordo per compensare l’importo residuo dovuto da COGNOME con il contributo per i detenuti.
Altri lavori sono stati commissionati a Foti da Sarica nel 2016 ma, questa volta, non è stato eseguito alcun pagamento, nonostante le insistenze di COGNOME.
Il 2 gennaio 2017 sono stati esplosi alcuni colpi di arma da fuoco alla saracinesca dell’esercizio commerciale di Foti.
La sentenza ha valorizzato, quali elementi di conferma del narrato di NOME COGNOME alcune conversazioni oggetto di intercettazione.
In particolare, è emerso che il 20 febbraio 2017 COGNOME, parlando con l’avvocato COGNOME, aveva raccontato del danneggiamento e di lavori da egli eseguiti per alcuni personaggi, ascrivendo l’attentato alla richiesta di pagamento avanzata nei loro confronti.
In una conversazione con tale COGNOME del 21 febbraio 2017, COGNOME aveva manifestato il timore di altri danneggiamenti e aveva anche appreso che a sparare era stato NOMECOGNOME
Il 27 febbraio 2017 aveva raccontato di avere ricevuto la visita di Sarica che aveva chiesto di incontrarlo.
In occasione dell’incontro, era presente anche NOME COGNOME (rimasto all’esterno) e COGNOME si era lamentato della voce messa in giro circa il mancato pagamento e dato
alcune giustificazioni riferendosi proprio a COGNOME quale soggetto che, secondo quanto presunto da COGNOME, si era preoccupato di estinguere il debito.
Nelle ricostruzione in fatto risulta che il pagamento per le forniture del 2016 è stato eseguito il 28 febbraio 2017, per come documentato dalla difesa del ricorrente.
La sentenza ha ampiamente motivato sulla natura estorsiva della fattispecie per come emersa, sulla credibilità di COGNOME e sul ruolo di COGNOME, oltre che sul collegamento tra la richiesta e il danneggiamento eseguito con i colpi di pistola (capo M).
Per quanto concerne, in particolare, il ruolo di COGNOME, la sentenza ha richiamato il contenuto della conversazione del 27 febbraio 2017 tra COGNOME e lo stesso COGNOME nel corso della quale il primo ha fatto espresso riferimento proprio al coimputato quale soggetto che si era presentato nel negozio e, con atteggiamento poco educato, si era fatto portavoce delle richieste dello stesso COGNOME che, peraltro, aveva accompagnato all’incontro rimanendo fuori dal negozio.
Ha, inoltre, escluso, che COGNOME, nel riferire a COGNOME che a sparare era stato NOME avesse riportato voci correnti essendo, piuttosto, emersi elementi concreti e specifici per ritenere la configurabilità di stretti rapporti tra lo stesso COGNOME, COGNOME e COGNOME, tal giustificare la conoscenza di particolari di rilievo proprio da parte del predetto COGNOME.
La sentenza impugnata si è soffermata anche sulle contestate aggravanti sotto il profilo del metodo, della finalità, delle persone riunite, dell’appartenenza degli autori all’associazione.
3.3.3. Il motivo è rivalutativo e pretende di rileggere, reinterpretandole, sia le intercettazioni, sia le dichiarazioni della persona offesa sulla cui credibilità, come segnalato, la sentenza ha motivato in termini congrui.
La censura si sofferma su circostanze non decisive (quali la sollecitazione dell’incontro con COGNOME da parte dello stesso COGNOME o il fatto che COGNOME abbia accettato una seconda commessa nel 2016) e profili già esaminati (come il fatto che COGNOME non abbia riferito voci correnti, ma fatti a sua diretta conoscenza).
La pretesa di rivalutare e reinterpretare il contenuto delle captazioni emerge plasticamente dai passaggi di cui a pag. 15 del ricorso ove viene sollecitata una revisione interpretativa dei colloqui tra COGNOME e COGNOME in chiave più favorevole alla tesi difensiva.
La riferibilità dell’esplosione dei colpi alla serranda del negozio di Foti a Sarica risulta ricostruita in termini ineccepibili, mentre manifestamente infondata è la censura riferita alle dichiarazioni di COGNOME, per le ragioni già esposte in sentenza, oltre che per la riferibilità della inutilizzabilità alla testimonianza ex art. 195 cod. proc. pen. e non anche alle informazioni contenute in conversazioni oggetto di intercettazioni.
Del tutto generica, inoltre, la censura riferita alle circostanze aggravanti ritenute dalla Corte di appello, ponendosi la critica contenuta a pag. 18 del ricorso (limitata alle
circostanze aggravanti del metodo e dell’appartenenza dell’imputato all’associazione mafiosa) in termini puramente avversativi.
3.4. E’ inammissibile, quindi, anche il quarto motivo riferito al capo M).
La riferibilità dell’esplosione dei colpi alla vicenda estorsiva di cui al capo L) è pacific e congruamente motivata dalle sentenze di merito che hanno ascritto all’estorsione posta in essere da COGNOME e COGNOME il danneggiamento della serranda del negozio «RAGIONE_SOCIALE».
Il ricorrente lamenta una carenza di motivazione in punto di esatta definizione della condotta ascritta all’imputato e l’omessa indicazione dell’azione materiale riferibile allo stesso, con conseguente riflesso sulla natura del legame con l’arma di cui alla rubrica imputativa rispetto alla quale la consapevolezza del porto non sarebbe stata dimostrata.
La censura è generica laddove omette di considerare che l’intera sequenza della vicenda estorsiva, per come descritta in sentenza, si pone in termini di stretta coerenza con la condotta di porto (non è stata contestata alcuna forma di detenzione) in luogo pubblico dell’arma utilizzata per compiere il danneggiamento strettamente funzionale all’esecuzione della condotta estorsiva che, nel periodo di riferimento, i due imputati COGNOME e COGNOME stavano portando avanti nei confronti di NOME COGNOME.
L’ascrivibilità della condotta consistita nell’esplosione di otto colpi di pistol all’indirizzo dell’esercizio commerciale è stata ricostruita dai giudici di merito in termin ineccepibili anche e soprattutto sulla scorta di quanto riferito da COGNOME (soggetto informato delle dinamiche delinquenziali del territorio, secondo quanto riportato dal giudice di primo grado, pagg. 90 e seguenti Tomo III) allo stesso COGNOME e dal colloquio avuto da quest’ultimo con Sarica il giorno 27 febbraio 2017 (per come congruamente illustrato a pag. 94, Torno III della sentenza di primo grado).
A fronte di tale motivazione, la censura si palesa generica e di natura strettamente esplorativa.
3.5. Le medesime ragioni di diritto illustrate al par. 3.3.3. inducono a ritenere inammissibile anche il quinto motivo sollevato nell’interesse di NOME COGNOME
La vicenda è stata ricostruita dalle sentenze di merito, in primo luogo, mediante le dichiarazioni della persona offesa NOME COGNOME imprenditore edile, che, il 25 ottobre 2019, ha dichiarato che, nel precedente mese di giugno, Sarica e Zindato gli avevano chiesto l’installazione di alcuni infissi e la fornitura di mattonelle.
A seguito della fornitura, non era stato pagato alcun prezzo, né era stato richiesto il pagamento in quanto NOME aveva ritenuto la fornitura sostitutiva del pizzo per il cantiere che aveva aperto in zona.
In sostanza, secondo la sua narrazione, anziché versare soldi, aveva consegnato gli infissi, rinunciando al relativo pagamento.
Il fatto è stato letto in uno con le dichiarazioni del collaboratore COGNOME in punto di piccole vessazioni praticate da Sarica alle imprese che eseguivano lavori nella sua zona.
La sentenza ha motivato sul rigetto dell’eccezione di inutilizzabilità (ai GLYPH nsi dell’art.
63 cod. proc. pen.) delle dichiarazioni di COGNOME accusato da COGNOME e da un altro collaboratore (nel 2014 e nel 2010) di appartenere a una cosca inserita nel contesto della criminalità organizzata reggina.
La sentenza ha motivato sull’attendibilità della persona offesa, sulla natura estorsiva della richiesta proveniente da noti esponenti di una cosca mafiosa operante su quel territorio.
La vittima, nonostante abbia effettuato la fornitura richiesta, non ha richiesto il pagamento del corrispettivo e nessuno gli ha pagato il dovuto.
Precisi riscontri sono stati individuati sia con riferimento alla effettiva esecuzione dei lavori edili in relazione ai quali è stata effettuata la fornitura di materiale da parte Presto (si trattava di lavori di ristrutturazione presso un appartamento di proprietà di NOME COGNOME), sia con riguardo alla presenza di COGNOME su tale cantiere.
Il motivo di ricorso è di natura rivalutativa e contiene un reiterato riferimento alla presunta natura suggestiva delle dichiarazioni della persona offesa e alla mancanza di minacce esplicite da parte degli imputati.
La sentenza, tuttavia, ha fatto corretta applicazione del principio per cui «la minaccia costitutiva del delitto di estorsione, oltre ad essere palese ed esplicita, può essere manifestata anche in maniera implicita ed indiretta, essendo solo necessario che sia idonea ad incutere timore ed a coartare la volontà del soggetto passivo, in relazione alle circostanze concrete, alla personalità dell’agente, alle condizioni soggettive della vittima e alle condizioni ambientali in cui questa opera» (Sez. 2, n. 19724 del 20/05/2010, Pmt in proc. COGNOME, Rv. 247117 – 01).
La spiegazione fornita dai giudici di merito in relazione alla mancata richiesta del pagamento della prestazione anche perché richiesta da due noti appartenenti alla locale criminalità organizzata è del tutto coerente con le dichiarazioni del collaboratore COGNOME che ha definito l’abituale modus operandi in base al quale proprio Sarica era solito taglieggiare i commercianti della zona.
Anche la censura riferita all’aggravante del metodo mafioso non coglie alcuna criticità della motivazione atteso che la Corte di appello ha, in sostanza, fatto corretta applicazione del principio in base al quale «in tema di estorsione, è configurabile l’aggravante del metodo mafioso anche a fronte di un messaggio intimidatorio “silente”, in quanto privo di un’esplicita richiesta, nel caso in cui la consorteria abbia raggiunto una forza intimidatrice tale da rendere superfluo l’avvertimento mafioso, sia pure implicito, ovvero il ricorso a specifici comportamenti violenti o minacciosi» (Sez. 2, n. 51324 del 18/10/2023, COGNOME, Rv. 285669 – 01).
L’incensurabile affermazione della partecipazione, sebbene con ruolo non di vertice (essendo stata annullata la decisione su tale autonoma ipotesi di reato), all’associazione di cui al capo A), rende immune da ogni critica l’affermata ricorrenza dell’aggravante di cui all’art. 628, comma secondo, n. 3, cod. pen. che, pacificamente, concorre con quella
del metodo.
E’ stato, infatti, affermato che «in tema di estorsione, nel caso in cui il metodo mafioso si concretizzi in una minaccia “silente”, posta in essere da soggetto appartenente ad un’associazione di tipo mafioso ed evocativa della capacità criminale del sodalizio, l’aggravante di cui all’art. 628, comma terzo, n. 3, cod. pen, richiamata dall’art. 629, comma secondo, cod. pen., può concorrere con quella di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen., sotto il profilo dell’utilizzo del metodo mafioso, posto che la prima è volta a punire la maggiore pericolosità dimostrata, in concreto, dall’associato dedito anche alla consumazione di rapine ed estorsioni, mentre la seconda sanziona la maggiore capacità intimidatoria della condotta, realizzabile anche dal non è associato» (Sez. 2, n. 21616 del 18/04/2024, Armenio, Rv. 286433 – 01).
Da quanto esposto, discende l’inammissibilità del motivo di ricorso in esame.
3.6. Preliminare all’analisi del sesto motivo è la disamina della settima censura che riguarda la circostanza aggravante della recidiva reiterata, specifica ed infraquinquennale.
La censura riguarda sia la ritenuta sussistenza della circostanza, rispetto alla quale si lamenta l’omessa motivazione in relazione alla maggiore pericolosità derivante dalla commissione dei reati per i quali si procede in questa sede anche rispetto a quelli per i quali COGNOME ha già riportato condanna.
Altra censura è specificamente riferita alla natura della recidiva che è stata ritenuta dai giudici di merito, ossia reiterata e, soprattutto, infraquinquennale.
Sul punto, il ricorso coglie una lacuna motivazionale laddove evidenzia come la Corte di appello abbia omesso di motivare in relazione alla specifica deduzione difensiva (coincidente con i dati emergenti dal certificato del Casellario) in base alla quale la sentenza di condanna rispetto alla quale la recidiva è stata ritenuta nella forma (ulteriormente) aggravata è divenuta definitiva il 7 ottobre 2024 e non il 20 febbraio 2009 (pag. 26 del ricorso).
Laddove, effettivamente, ricorresse tale circostanza, si renderebbe necessario rivalutare la questione dell’aggravante in esame e valutare, la possibile natura infraquinquennale della recidiva adeguando, eventualmente, il correlato trattamento sanzionatorio.
Compito del giudice di merito, dunque, sarà quello di verificare e motivare sulla natura della recidiva in capo a NOME COGNOME e determinare, conseguentemente, la pena complessiva.
2.7. Alla luce di quanto esposto al paragrafo che precede, deve ritenersi assorbita la censura articolata con il sesto motivo e relativa alla violazione dell’art. 63, comma quarto, cod. pen.
Evidentemente, la verifica della corretta applicazione della norma in esame dipende anche dalla esatta qualificazione della recidiva la cui natura incide sull’applicazione della
citata disposizione.
Ricorso nell’interesse di NOME COGNOME.
4.1. Il primo motivo è inammissibile.
La ricostruzione del ruolo associativo (secondo valutazione concorde di entrambi i giudici di merito) ha preso le mosse dalle dichiarazioni del collaboratore COGNOME che (sin dal 2014) ha indicato COGNOME come autista di NOME COGNOME e come soggetto che, in una occasione, si era recato, con lo stesso collaboratore, presso tale COGNOME per sollecitare la dilazione di un pagamento proprio di COGNOME.
Il riscontro alla frequentazione con COGNOME è stato individuato nel coinvolgimento negli episodi di cui ai capi L), M) ed N), ritenuti di sicura pregnanza anche in funzione della dimostrazione della partecipazione dell’imputato all’associazione mafiosa per la quale si procede.
In particolare, sin dalla sentenza di primo grado (pagg. 107 e seguenti Tomo III) è stata segnalata la finalità dell’azione estorsiva di cui al capo L), ossia quella di reperire fondi da destinare ai detenuti, condotta tipicamente funzionale al perseguimento di obiettivi propri delle associazioni mafiose.
Il collaboratore ha anche dichiarato (nel corso dell’interrogatorio del 5 gennaio 2019) di avere appreso da COGNOME che COGNOME era un vero e proprio affiliato potendosi definire una sorta di braccio armato del gruppo (COGNOME lo ha definito proprio come «uno che spara»).
L’affermazione è stata letta unitamente alla circostanza che, nella vicenda Falduto sopra descritta, COGNOME è intervenuto presentandosi all’appuntamento con una pistola.
A fronte di tale illustrazione delle ragioni della decisione, il motivo di ricorso generico e reiterativo di questioni già decise.
Si sostiene la non credibilità di COGNOME e la sostanziale ascrivibilità della condotta ad un rapporto pressoché esclusivo con COGNOME.
Sul primo aspetto sono state reiterate censure già delibate quali lo scarso livello di conoscenza del collaboratore e la tardività di una parte delle relative dichiarazioni.
Infatti, la Corte di appello (pag. 44) ha escluso qualsiasi oscillazione o incostanza dichiarativa del collaboratore evidenziando come lo stesso abbia riferito, in buona parte, anche episodi ai quali ha personalmente preso parte (vicenda COGNOME).
Le dichiarazioni di COGNOME, peraltro, sono corroborate dagli elementi di riscontro di spiccato rilievo quali il coinvolgimento nelle estorsioni, con particolare riguardo a quella ai danni di COGNOME rispetto alla quale rilevano, come correttamente segnalato dai giudici di merito, le ragioni che l’hanno ispirata (almeno in parte): la raccolta fondi per i detenuti.
La questione della rilevanza di tale condotta è stata già affrontata e decisa da questa Corte con il condiviso e ribadito arresto in base al quale è stato deciso che «riveste efficacia indiziante del reato di partecipazione ad associazione mafiosa, ex art. 416 bis
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cod. pen., la condotta di colui che partecipi ad un fondo di solidarietà (cosiddetta “colletta”) a favore di detenuti inseriti nell’associazione mafiosa» (Sez. 5, n. 35997 del 05/06/2013, COGNOME, Rv. 256947 – 01).
Inoltre, si ricorda che «in tema di applicazione di misure coercitive in relazione al delitto di cui all’art. 416 bis cod. pen., la partecipazione dell’indagato ad episodi di estorsione compiuti nell’ambito di un contesto mafioso costituisce per sé solo elemento gravemente indiziante di partecipazione al gruppo criminale, senza che siano necessarie ulteriori rappresentazioni di frequentazione con altri associati» (Sez. 6, n. 47048 del 10/11/2009, COGNOME, Rv. 245448 – 01).
La rilevanza delle predette condotte, ovviamente, non può essere limitata alla fase cautelare, dovendosi ritenere che anche ai fini dell’affermazione della penale responsabilità per il delitto associativo mafioso, possano assumere rilievo forme di partecipazione ai singoli reati fine.
In tal senso, va ribadito che «in tema di reato associativo, la partecipazione non estemporanea dell’imputato ai reati fine che connotano il programma criminoso dell’associazione costituisce indice sintomatico dell’intraneità dell’agente al sodalizio criminoso. (Fattispecie in tema di associazione di stampo mafioso)». (Sez. 1, n. 29959 del 05/06/2013, COGNOME, Rv. 256200 – 01).
4.2. Il secondo motivo riferito alla qualificazione giuridica della condotta dascritta all’imputato, in concorso con COGNOME, al capo L), èmanifestamente infondato.
E’ pacifico dalla ricostruzione in fatto, per come congruamente valutata dai giudici di merito, che l’adempimento della seconda parte dell’estorsione contestata al capo in esame in danno di COGNOME è avvenuto con ampio ritardo e successivamente alla denuncia sporta dalla persona offesa.
E’ altrettanto pacifico che, invece, il pagamento di una parte della fornitura del 2014 non sia mai avvenuto.
A tale proposito, si ribadisce l’arresto secondo cui «in tema di estorsione, l’altrui danno, avendo necessariamente connotazione patrimoniale, comprende anche la desistenza dal tempestivo esercizio di un’azione giudiziaria finalizzata a tutelare un diritto o un interesse, posto che il patrimonio va inteso come un insieme non di beni materiali, ma di rapporti giuridici attivi e passivi aventi contenuto economico, unificati dalla legge in ragione dell’appartenenza al medesimo soggetto» (Sez. 2, n. 32083 del 12/05/2023, Pmt, Rv. 285002 – 01).
Rileva, inoltre, il principio in base al quale «integra il reato di estorsione l’ottenimento della rinuncia a far valere il credito conseguente all’adempimento di una prestazione contrattuale mediante l’implicita intimidazione esercitata dal debitore che, pur senza compiere atti di violenza o minaccia, abbia già esibito, al momento della costituzione del rapporto, la propria appartenenza ad un’associazione mafiosa» (Sez. 6, n. 40899 del 14/06/2018, C., Rv. 274149 – 01).
4.3. Il terzo motivo, riferito al capo M), deve essere valutato alla luce di quanto già esposto al par. 3.4. relativamente alla posizione di NOME COGNOME
La censura è, dunque, inammissibile in quanto manifestamente infondata, laddove non coglie lacune motivazionali della sentenza impugnata che, letta unitariamente a quella conforme (sul punto) di primo grado ha adeguatamente illustrato le ragioni per le quali la contestazione riferita al porto della pistola con la quale sono stati esplosi i colp all’indirizzo della serranda dell’esercizio commerciale di NOME COGNOME deve ritenersi strettamente connessa e funzionale alla commissione dell’estorsione di cui al capo L) e ascrivibile, con sufficiente grado di certezza, all’imputato e a NOME COGNOME.
4.4. Il quarto motivo è infondato.
In punto di qualificazione della condotta in termini di estorsione e di elemento oggettivo del delitto contestato, si rinvia al par. 3.5. relativo alla posizione di COGNOME.
E’ specificamente riferito alla posizione di COGNOME il motivo di censura che riguarda l’identificazione dell’imputato come uno degli autori del delitto.
La richiesta è stata avanzata da entrambi, riguardava lavori da eseguirsi presso l’abitazione di Sarica e presso questo cantiere lavorava Zindato.
Dall’insieme di tali elementi, in termini congrui e insindacabili, siccome privi di manifeste illogicità, COGNOME è stato identificato come uno degli esecutori della condotta estorsiva.
Si tratta di soggetto noto nel quartiere quale autore di richieste estorsive e figura strettamente collegata a quella di Sarica.
Alcun dubbio può sorgere sul fatto che il soggetto che ha accompagnato il citato COGNOME fosse proprio COGNOME posto che la persona offesa Presto lo ha indicato nominativamente precisando anche di disporre del relativo numero di telefono (pag. 99, Torno III, sentenza di primo grado).
Si tratta di un elemento indiziario di rilievo con il quale il ricorrente ha omesso di confrontarsi.
4.5. E’ infondato il quinto motivo con il quale è stata eccepita l’inutilizzabilità dell dichiarazioni di NOME COGNOME per essere stato sentito lo stesso senza le garanzie previste per i soggetti indagabili, per come sarebbe stato imposto dal fatto che negli anni 2010 e 2014, nei sui confronti, erano state rivolte delle accuse da due collaboratori di giustizia.
Sul punto, per escludere la fondatezza dell’eccezione (sollevata anche nel giudizio di merito), la Corte di appello ha sottolineato come non sia stata dimostrata alcuna interferenza fattuale tra quelle (risalenti) dichiarazioni accusatorie e la vicenda per la quale si procede in questa sede e come sia insufficiente, dunque, la veste sostanziale e non solo formale a prescindere dalla iscrizione nel registro degli indagati e, inoltre, come non sia scaturita l’adizione di alcuna iniziativa procedurale a carico di NOME
Sul punto, la Corte di appello ha richiamato conforme giurisprudenza di legittimità
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che si inserisce nel solco della costante elaborazione operata da questa Corte sull’istituto in rilievo.
Rileva, in primo luogo, il principio per cui «la sanzione di inutilizzabilità “erga omnes” delle dichiarazioni assunte senza garanzie difensive da un soggetto che avrebbe dovuto fin dall’inizio essere sentito in qualità di imputato o persona soggetta alle indagini, postula che a carico dell’interessato siano già acquisiti, prima dell’escussione, indizi non equivoci di reità, come tali conosciuti dall’autorità procedente, non rilevando a tale proposito eventuali sospetti od intuizioni personali dell’interrogante» (Sez. U, n. 23868 del 23/04/2009, COGNOME, Rv. 243417 – 01).
Nella motivazione di tale fondamentale arresto è stato richiamato l’orientamento secondo cui la condizione di soggetti che sin dall’inizio avrebbero dovuto essere sentiti in qualità di imputati o di persone sottoposte ad indagine «non può automaticamente farsi derivare dal solo fatto che i dichiaranti risultino essere stati in qualche modo coinvolti in vicende potenzialmente suscettibili di dar luogo alla formulazione di addebiti penali a loro carico, occorrendo invece che tali vicende, per come percepite dall’autorità inquirente, presentino connotazioni tali da non poter formare oggetto di ulteriori indagini se non postulando necessariamente l’esistenza di responsabilità penali a carico di tutti i soggetti coinvolti o di taluni di essi» (Sez. 1, n. 8099 del 29/01/2002, COGNOME, Rv. 221327; Sez. 1, n. 4040 del 8/11/2007, dep. 2008, COGNOME, Rv. 239195).
Inoltre, è stato ribadito il precedente delle stesse Sezioni Unite in base al quale gli elementi a carico del dichiarante devono assumere la consistenza dell’indizio, non potendo la sua posizione di persona informata essere mutata dall’esistenza di sospetti o ipotesi investigative; conclusione, questa, ritenuta «coerente con la presunzione di non colpevolezza, con l’onere probatorio dell’accusa e con la strumentalità rispetto all’accertamento della verità materiale, principi cui è improntato l’intero sistema processuale» (Sez. U, n. 21832 del 22/02/2007, COGNOME, Rv. 236370).
Si tratta di impostazione costantemente seguita dalla giurisprudenza di questa Corte successiva alla definizione del principio di diritto delle Sezioni Unite.
In particolare, si segnala Sez. 1, n. 48861 del 11/07/2018, COGNOME, Rv. 280666 con la quale è stato affermato che «l’inutilizzabilità assoluta, ai sensi dell’art. 63, comma 2, cod. proc. pen., delle dichiarazioni rese da soggetti che fin dall’inizio avrebbero dovuto essere sentiti in qualità di imputati o di persone sottoposte ad indagini richiede che a carico degli stessi risulti l’originaria esistenza di precisi, anche se non gravi, indizi di reità e condizione non può automaticamente farsi derivare dal solo fatto che il dichiarante risulti essere stato coinvolto in vicende potenzialmente suscettibili di dar luogo alla formulazione di addebiti penali a suo carico».
Di rilievo anche il principio, citato in termini pertinenti anche dalla Corte reggina, in base al quale «in tema di prova dichiarativa, allorché venga in rilievo la veste che può assumere il dichiarante, spetta al giudice il potere di verificare in termini sostanziali,
quindi al di là del riscontro di indici formali, come l’eventuale già intervenuta iscrizione nominativa nel registro delle notizie di reato, l’attribuibilità allo stesso della qualità indagato nel momento in cui le dichiarazioni stesse vengano rese, e il relativo accertamento si sottrae, se congruamente motivato, al sindacato di legittimità» (Sez. U, n. 15208 del 25/02/2010, Mills, Rv. 246584 – 01; fra le molte conformi Sez. 2, n. 8402 del 17/02/2016, COGNOME, Rv. 267729; Sez. 5, n. 39498 del 25/06/2021, COGNOME, Rv. 282030).
Alla luce di tale consolidato quadro della giurisprudenza di questa Corte, la censura proposta non coglie alcun vizio della decisione.
4.6. Il sesto motivo riguarda le aggravanti del metodo mafioso e delle persone riunite.
L’aggravante dell’appartenenza degli autori dei reati di cui ai capi L), M) ed N) all’associazione mafiosa, benché menzionata in rubrica non ha formato oggetto di censura alcuna.
Con riguardo al metodo mafioso relativamente ai reati relativi all’estorsione COGNOME (capi L) ed M)), la sentenza ha correttamente richiamato le minacce implicite rivolte alla persona offesa e la maggiore capacità di intimidazione derivante dall’appartenenza all’associazione mafiosa, dall’azione di danneggiamento seguita alla richiesta della fornitura di merce.
Inoltre, ha ritenuto sussistente l’aggravante anche sotto il profilo soggettivo del rafforzamento dell’associazione mafiosa, sia per quanto attiene alla finalità intimidatoria generale del messaggio intimidatorio, sia per l’evocazione della necessità di fornire un sostegno ai detenuti.
Le argomentazioni, solo genericamente contestate in ricorso, possono estendersi anche al delitto di cui al capo M) in quanto funzionale alla consumazione dell’estorsione.
Con riferimento al capo N), invece, la configurabilità dell’aggravante del metodo mafioso, è stata correttamente ritenuta pur in presenza di una minaccia sostanzialmente implicita derivante dalla circostanza che fosse nota l’abitudine della cosca che controllava il territorio di richiedere l’esecuzione di lavori senza effettuare il pagamento del corrispettivo dovuto.
Va, a tale proposito, ricordato e ribadito, l’arresto secondo cui «in tema di estorsione, è configurabile l’aggravante del metodo mafioso anche a fronte di un messaggio intimidatorio “silente”, in quanto privo di un’esplicita richiesta, nel caso in cui consorteria abbia raggiunto una forza intimidatrice tale da rendere superfluo l’avvertimento mafioso, sia pure implicito, ovvero il ricorso a specifici comportamenti violenti o minacciosi» (Sez. 2, n. 51324 del 18/10/2023, COGNOME, Rv. 285669 – 01).
Per quanto riguarda l’aggravante delle persone riunite, risulta dal testo delle sentenze dei giudici di merito che la pluralità dei soggetti che hanno effettuato le richieste estorsive è stata nitidamente percepita dalle vittime che hanno descritto la contestual1R 7
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presenza, nelle fasi principali delle stesse, sia di NOME COGNOME che di NOME COGNOME.
Risulta, ad ogni modo, rispettato il principio affermato da Sez. U, n. 21837 del 29/03/2012, COGNOME, Rv. 252518, secondo cui «nel reato di estorsione, la circostanza aggravante speciale delle più persone riunite richiede la simultanea presenza di non meno di due persone nel luogo ed al momento di realizzazione della violenza o della minaccia».
Contrariamente a quanto ritenuto dal ricorrente, dunque, la Corte reggina non ha motivato in termini meramente apparenti, bensì effettivi e specifici.
4.7. Il settimo motivo di ricorso riguarda il passaggio della motivazione riferito alla natura armata dell’associazione e contiene una censura infondata.
Correttamente, i giudici di merito hanno richiamato le risultanze di altri procedimenti che hanno fatto emergere la stessa circostanza, relativamente ad altri periodi per i quali è stata accertata la sussistenza della medesima associazione.
Sono stati richiamati, a tal fine, gli esiti dei procedimenti Olimpia e COGNOME che, avendo avuto ad oggetto il medesimo sodalizio, hanno consentito di affermare, con statuizione definitiva, la disponibilità di armi, da parte della compagine associativa.
Inoltre, è stata richiamato il rinvenimento di armi il 14 gennaio 2014 e il successivo commento di NOME COGNOME che temeva per il possibile ritrovamento di altri armi nella sua disponibilità.
In occasione di altri episodi, fra i quali quello di cui al capo M) del presente procedimento, è emersa la disponibilità di armi.
Sulla scorta di tale piattaforma indiziaria, la Corte distrettuale ha dimostrato di saper fare buon governo del principio di diritto, ripetutamente fissato dalla giurisprudenza di legittimità, a mente del quale – in presenza di una organizzazione di tipo mafioso affinché possa essere configurata la circostanza aggravante del carattere armato, il dettato normativo non postula l’esatta individuazione delle armi stesse, essendo bastevole l’accertamento – in punto di fatto – della disponibilità di un armamento; tale dato può legittimamente esser tratto, ad esempio, dai fatti di sangue riconducibili al gruppo criminale, o anche dal contenuto delle intercettazioni (Sez. 2, n. 22899 del 14/12/2022, dep. 2023, COGNOME, Rv. 284761; Sez. 6, n. 55748 del 14/09/2017, COGNOME, Rv. 271743; Sez. 1, n. 44704 del 05/05/2015, lana, Rv. 265254).
Noto è altresì come – una volta che venga acclarata la disponibilità di armi, da parte dell’associazione per delinquere di stampo mafioso – la mancanza di una diretta disponibilità delle stesse, in capo al singolo partecipe, non possa valere ad escludere la configurabilità della circostanza aggravante a carico dello stesso; è sufficiente, infatti, che il sodalizio – o i singoli aderenti – abbiano la disponibilità di tali strumenti (Sez. 1, 4357 del 25/06/1996, COGNOME, Rv. 205498); trattasi di una forma di manifestazione del reato associativo, quindi, che è configurabile a carico di ciascun partecipe, che risulti
consapevole del possesso di armi ad opera degli associati, ovvero che ignori tale dato per colpa (Sez. 2, n. 50714 del 07/11/2019, COGNOME, Rv. 278010; Sez. 2, n. 31541 del 30/05/2017, COGNOME, Rv. 270467; Sez. 5, n. 52094 del 30/09/2014, COGNOME, Rv. 261334; Sez. 6, n. 42385 del 15/10/2009, COGNOME, Rv. 244904; Sez. 1, n. 13008 del 28/09/1998, COGNOME, Rv. 211901).
Inoltre, rileva il principio per cui «in tema di associazione per delinquere di stampo mafioso, la circostanza aggravante della disponibilità di armi prevista dall’art. 416-bis, comma quarto, cod. pen., è configurabile a carico di ogni partecipe che sia consapevole del possesso di armi da parte degli associati o lo ignori per colpa, per l’accertamento della quale assume rilievo anche il fatto notorio della stabile detenzione di tali strumenti di offesa da parte del sodalizio mafioso» (Sez. 2, n. 50714 del 07/11/2019, COGNOME, Rv. 278010 – 01).
La Corte di appello ha evidenziato la necessaria correlazione, fra il possesso delle armi e il perseguimento degli scopi dell’associazione mafiosa con riguardo ad alcuni reati fine (Sez. 6, n. 15528 del 12/01/2021, COGNOME, Rv. 281212 – 01; Sez. 2, n. 13682 del 08/01/2009, Aveta, Rv. 243948 – 01).
A ciò si aggiunga che si tratta di cosca storicamente radicata nel territorio reggino e oggetto di risalenti e solidi accertamenti giurisdizionali (pag. 179, Torno I sentenza di primo grado).
Si verte, infatti, in tema di perdurante operatività della cosca Libri già protagonista della sanguinosa guerra di mafia a Reggio Calabria, condotta con azioni armate.
4.8. E’ fondato l’ottavo motivo avente ad oggetto l’aggravante di cui all’art. 416-bis, comma sesto, cod. pen.
A tale proposito si richiamano le considerazioni svolte al par. 2.2.
4.9. Il nono motivo è privo di fondamento avendo la Corte di appello, a fronte del motivo di gravame sviluppato sul punto, spiegato per quale ragione la commissione dei reati per i quali è stata ritenuta raggiunta la prova della penale responsabilità dell’imputato, alla luce della sua biografia penale, siano indicativi della maggiore pericolosità sociale.
A tale proposito, in termini insindacabili in questa sede, i giudici di merito hanno valorizzato il contesto associativo in cui sono stati commessi i fatti e la natura del precedente (si tratta di un furto) per il quale COGNOME ha riportato condanna.
Sin dalla sentenza di primo grado (pag. 38, Torno VII), è stato evidenziato come i fatti per i quali si procede segnalino una crescente ed allarmante pericolosità evidenziando una progressione verso condotte devianti sempre più gravi e significative.
La Corte di appello si è, dunque, attenuta al costante principio di diritto affermato da questa Corte di legittimità secondo cui «ai fini della rilevazione della recidiva, intesa quale sintomo di un’accentuata pericolosità sociale dell’imputato e non come mera descrizione dell’esistenza a suo carico di precedenti penali per delitto, la valutazione del giudice non
può fondarsi esclusivamente sulla gravità dei fatti e sull’arco temporale della loro realizzazione, ma deve esaminare in concreto, in base ai criteri di cui all’art. 133 cod. pen., il rapporto esistente tra il fatto per cui si procede e le precedenti condanne, verificando se e in qual misura la pregressa condotta criminosa sia indicativa di una perdurante inclinazione al delitto, che abbia influito quale fattore criminogeno per la commissione del reato “sub iudice”» (Sez. 2, n. 10988 del 07/12/2022, dep. 2023, Rv. 284425 ed altre conformi precedenti).
5. Ricorso nell’interesse di NOME COGNOME.
Il ruolo associativo dell’imputato è stato ricostruito, ancora una volta, prendendo le mosse dalle dichiarazioni del collaboratore COGNOME che ha fatto riferimento a NOME COGNOME nel corso di diversi interrogatori del 2014: 20 settembre, 6 ottobre, 20 ottobre, 1° novembre, 25 novembre.
E’ stato indicato come soggetto che partecipava alle riunioni operative del gruppo, stante la sua intraneità alla cosca Libri e dotato di un rapporto fiduciario con il capo NOME COGNOME.
I riscontri alle dichiarazioni del collaboratore sono stati rinvenuti nelle accertate frequentazioni dell’imputato, nelle conversazioni intercettate con COGNOME (in particolare, è stata richiamata quella del 20 febbraio 2014), in altre captazioni dalle quali risultano le acquisizioni di lavori tramite la cosca Libri; nell’intercettazione del 15 aprile 2019 (vicenda RAGIONE_SOCIALE) laddove viene indicato come soggetto incaricato del controllo di una porzione di territorio e, comunque, affidabile; nelle dichiarazioni di NOME e NOME COGNOMEsebbene in una articolata progressione delle relative dichiarazioni, come si desume a pag. 57 della sentenza) che hanno indicato COGNOME come soggetto imposto da COGNOME, da NOME e NOME COGNOME descrivendolo anche come collettore di tangenti.
La smentita a COGNOME da parte di NOME COGNOME in occasione di un interrogatorio del 1° agosto 2019, è stata spiegata a pag. 59 richiamando la circostanza che COGNOME, all’epoca, ancora non aveva tenuto un atteggiamento collaborativo.
Peraltro, pure NOME COGNOME prima di accusare espressamente COGNOME, aveva inizialmente negato ogni suo coinvolgimento.
La Corte ha, altresì, assegnato rilievo pregnante alle cointeressenze tra COGNOME e l’imputato e alla circostanza che, per discutere di questioni con gli imprenditori Berna, il capo ritenesse necessaria (o almeno opportuna) la presenza proprio di Serranò il quale è emerso anche come soggetto imposto dalla cosca per l’esecuzione dei lavori di idraulica in diversi cantieri edili.
5.1. Il primo motivo riguarda, in primo luogo, i criteri di valutazione del collaboratore COGNOME rispetto al quale sia la sentenza di appello che quella di primo grado, alla quale la prima compie sistematico riferimento, hanno offerto una puntuale spiegazione delle ragioni che hanno indotto a valutare come credibili intrinsecamente le relative
dichiarazioni, provenienti, peraltro, da fonte soggettivamente ritenuta attendibile.
In particolare, da pag. 12 a pag. 20 del Torno I della sentenza di primo grado vengono illustrati, in termini tutt’altro che assertivi, i motivi per i quali COGNOME dev ritenersi attendibile e con questi elementi, che, per le ragioni più volte indicate, integrano la motivazione della sentenza di appello, il ricorrente ha omesso di confrontarsi.
Anche la critica (secondo punto del primo motivo) sulla mancata verifica delle ragioni per le quali COGNOME (indicato come una delle fonti dalle quali il collaboratore ha appreso circostanze di rilievo) avrebbe riferito quelle circostanze allo stesso COGNOME, appare di natura avversativa e, comunque, non decisiva ai fini dell’esame delle relative dichiarazioni basate anche su altre fonti di conoscenza, anche diretta.
Anche la verifica delle affermazioni dei Berna (si tratta del terzo sub-motivo) è stata compiuta e risulta priva di illogicità ed evidenti forzature.
Peraltro, una smentita a COGNOME, su vicenda priva, da sola, di profili di decisività, è venuta dal solo NOME COGNOME non anche dagli altri (NOME e NOME), per come ampiamente illustrato alle pagg. 59 e 61 della sentenza impugnata la cui ricostruzione in merito al rapporto privilegiato intrattenuto dall’imputato con NOME COGNOME e alla imposizione della ditta dell’imputato, quale soggetto legato da un rapporto fiduciario con gli esponenti di vertice del sodalizio, non sono stati, in alcun modo, smentiti.
Il primo motivo è, dunque, complessivamente, infondato.
5.2. Il secondo motivo ha ad oggetto l’apporto che avrebbe dato COGNOME all’associazione e, dunque, il contributo offerto dall’imputato alla vita dell’associazione.
In sostanza, ciò che lamenta il ricorrente è la valutazione delle condotte ascritte a Serranò in funzione associativa e non anche, come pure plausibilmente desumibile dal compendio indiziario a disposizione dei giudicanti di merito, espressive del perseguimento di interessi di natura strettamente personale dell’imputato.
La Corte di appello si è posta il problema della definizione delle condotte del ricorrente rilevanti in chiave associativa e le ha elencate a pag. 62 della sentenza impugnata, evidenziando, in particolare, come fra i suoi compiti vi fosse quello di riscuotere le estorsioni, partecipare a riunioni operative, acquisendo commesse di lavori proprio grazie all’aiuto proveniente dal sodalizio.
In ragione dello svolgimento di tali attività, COGNOME appariva, per come emerso delle intercettazioni, come un soggetto organico alla cosca, in coerenza con il suo pieno coinvolgimento nelle attività economiche del gruppo mafioso.
Di certo, tuttavia, la valutazione del ruolo assolto da COGNOME nel contesto del gruppo mafioso di interesse non è stata compiuta mediante il ricorso a massime di esperienza o presunzioni probatorie, essendo emersa tale figura, sin dalla sentenza di primo grado (pagg. 104 e seguenti, Torno V) quale titolare di una vera e propria impresa mafiosa che, proprio grazie al sostegno della cosca e all’intraneità del titolare nel relativo contesto associativo, ha potuto crescere e svilupparsi come vera e propria impresa mafiosa.
Ad ogni modo, va ribadito che il ricorso a massime di esperienza non è del tutto precluso al giudice della cognizione tenuto conto dell’orientamento, qui condiviso, secondo cui «in tema di rilevanza dei risultati di indagini storico-sociologiche ai fini della valutazione, in sede giudiziaria, dei fatti di criminalità di stampo mafioso, il giudice deve tener conto, con prudente apprezzamento e rigida osservanza del dovere di motivazione, anche dei predetti dati come utili strumenti di interpretazione dei risultati probatori, dopo averne vagliato, caso per caso, l’effettiva idoneità ad essere assunti ad attendibili massime di esperienza senza che ciò, peraltro, lo esima dal dovere di ricerca delle prove indispensabili per l’accertamento della fattispecie concreta oggetto del giudizio. (In applicazione di tale principio, la Corte ha ritenuto che il riferimento alla nozione di “imprenditore colluso” – inteso come quello che è entrato in un rapporto sinallagmatico con la cosca tale da produrre vantaggi per entrambi – non elimini la necessità di una rigorosa disamina del materiale probatorio ai fini della qualificazione del fatto come concorso esterno o partecipazione, atteso che la predetta nozione è stata richiamata in relazione ad entrambe le fattispecie)» (Sez. 5, n. 47574 del 07/10/2016, COGNOME, Rv. 268403 – 01).
Gli argomenti posti a fondamento dell’affermazione della penale responsabilità di Serranò, dunque, sono stati esposti, nella sentenza impugnata, in termini lineari e coerenti; non è dato rinvenire, quindi, la carenza motivazionale eccepita con il motivo di ricorso in esame che si rivela, pertanto, infondato.
5.3. Il terzo motivo di ricorso ha ad oggetto l’intercettazione del 15 aprile 2019 tra NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Si tratta di compendio oggetto di disamina nella sentenza al fine di dimostrare la percezione di COGNOME, all’esterno, come soggetto inserito nel contesto mafioso della cosca Libri e ritenuto organico alla stessa.
Il ricorrente deduce l’inaffidabilità del dato informativo derivante dall’intercettazione anche a causa della mancata verifica delle fonti di conoscenza dei conversanti in occasione della captazione, senza che, tuttavia, sia stata evidenziata la decisività del dato indiziario contenuto nella conversazione.
Si tratta, pertanto, di deduzione che sconta un primo profilo di inammissibilità per aspecificità.
La censura, ad ogni modo, sollecita a questa Corte una rivalutazione dell’elemento informativo in termini alternativi a quelli fatti propri dai giudici di merito.
Ad ogni modo, emerge dalla motivazione della sentenza di primo grado, richiamata da quella di appello, che la conversazione in questione è avvenuta tra COGNOME e COGNOME e che il secondo, all’epoca, era indicato come esponente di vertice di una cosca di ndrangheta reggina in stretti rapporti con i Libri e, dunque, perfettamente a conoscenza dei soggetti di rilievo nel gruppo (fra i quali proprio COGNOME) per come espressamente riportato nella prima decisione.
Il motivo di censura, pertanto, è complessivamente infondato.
5.4. Per quanto riguarda il quarto motivo, avente ad oggetto l’aggravante di cui all’art. 416-bis, comma sesto, cod. pen. e da ritenersi fondato, può farsi rinvio al par. 2.2.
5.5. In punto di determinazione della pena e diniego delle circostanze attenuanti generiche (quinto motivo), la censura è inammissibile.
La pena edittale è stata determinata nel minimo, dunque la decisione, sul punto, non è, in alcun modo, censurabile sotto.
Le circostanze attenuanti generiche sono state motivatamente escluse sostenendo l’assenza di elementi positivamente valutabili, tenuto conto della insufficienza, a tal fine, per espresso dettato normativo, della incensuratezza dell’imputato.
Risulta ampiamente illustrata, in fatto, l’estrema gravità dei fatti.
Deve, pertanto, essere ribadito, che «l’applicazione delle circostanze attenuanti generiche non costituisce un diritto conseguente all’assenza di elementi negativi connotanti la personalità del soggetto, ma richiede elementi di segno positivo, dalla cui assenza legittimamente deriva il diniego di concessione delle stesse» (Sez. 3, n. 24128 del 18/03/2021, COGNOME, Rv. 281590; Sez. 1, n. 3529 del 22/09/1993, COGNOME, Rv. 195339).
Inoltre, «il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche può essere legittimamente motivato dal giudice con l’assenza di elementi o circostanze di segno positivo, a maggior ragione dopo la riforma dell’art. 62-bis, disposta con il d.l. 23 maggio 2008, n. 92, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 luglio 2008, n. 125, per effetto della quale, ai fini della concessione della diminuente, non è più sufficiente il solo stato di incensuratezza dell’imputato» (Sez. 4, n. 32872 del 08/06/2022, COGNOME, Rv. 283489; Sez. 3, n. 44071 del 25/09/2014, COGNOME, Rv. 260610; Sez. 1, n. 39566 del 16/02/2017, COGNOME, Rv. 270986).
6. Ricorso nell’interesse di NOME COGNOME.
Si tratta del cognato di NOME COGNOME che è marito di NOME COGNOME, sorella di NOME.
Sono stati plurimi gli elementi valorizzati ai fini dell’affermazione della responsabilità per il delitto associativo.
In primo luogo, rileva il giudicato nel processo Testamento definito con sentenza del 2 luglio 2010; si tratta di precedente con il quale è stata accertata la partecipazione alla cosca Libri.
L’imputato è tornato in libertà il 28 ottobre 2014 e, nell’immediatezza, è stato sottoposto a intercettazioni ambientali.
Cinque captazioni sono state descritte in sentenza limitatamente al periodo 31 ottobre – 10 novembre 2014: in una si discute di un terreno, in altra di un avvenimento conviviale in famiglia, in altra si prospetta la ripresa, in una si discute di un incontro con
un imprenditore, nell’ultima del ruolo di capo assunto da NOME COGNOME
Altre captazioni sono state ritenute conducenti rispetto all’affermazione dell’assistenza prestata da NOME COGNOME (vecchio capo cosca) alla famiglia dell’imputato nel corso della sua detenzione.
In altre ancora si fa riferimento ai rapporti con NOME COGNOME e alle spese legali sostenute da quest’ultimo e sopportate dalla cosca Libri (vi è una conversazione del 4 luglio 2017).
Da altre intercettazioni del dicembre 2017 sono state acquisite informazioni in merito all’attività di noleggio di macchine per il caffè intrapresa da Libri e i timori ingenerati alcuni clienti per il prestigio riconosciuto all’imputato.
In particolare, è stata segnalata una conversazione del 17 maggio 2018 tra Libri e un cugino relativamente ad una controversia insorta con tale NOME COGNOME in merito a forniture di caffè.
Nella stessa si affermano circostanze evocative di un potere di controllo delle attività economiche e commerciali tipiche del contesto mafioso («compare, sapete perché non gli abbiamo fatto saltare il bar…per la famiglia COGNOME che noi l’abbiamo rispettata»).
Tali argomenti, già valorizzati nella sentenza di primo grado, sono stati ulteriormente precisati e illustrati nella decisione di appello che si è ampiamente soffermata sul ruolo di Libri nella cosca omonima a partire dal periodo successivo al 31 luglio 2008 (epoca alla quale si ferma la precedente condanna nel processo Testamento), sul fatto che sono stati evidenziati l’intrinseca attività di controllo del territorio successivamente alla sua scarcerazione mediante incontri con imprenditori amici (quali Frascati) in grado di consentire il perseguimento di interessi mafiosi, mediante la definizione dei pregressi rapporti economici con i componenti della famiglia di origine (in particolare lo zio NOME COGNOME che gli aveva assicurato il sostegno economico in costanza dei detenzione), l’interesse, manifestato in epoca più recente, alla individuazione di una ditta in procinto di aprire un cantiere per inviare una imbasciata (conversazione dell’Il febbraio 2018), la gestione, con le modalità già precisate nella sentenza di primo grado, dell’attività di commercio di macchine da caffè.
6.1. Ricorso avvocato COGNOME
6.1.1. Il primo motivo di ricorso, avente ad oggetto la sussistenza degli elementi sufficienti per affermare l’operatività della cosca Libri, è inammissibile.
A pag. 8 della sentenza impugnata, si legge che «nessuno degli appellanti mette in discussione l’esistenza dell’associazione mafiosa».
Nel riprodurre gli atti di appello, la Corte reggina non ha fatto riferimento alcuna a censure relative alla esistenza del sodalizio.
Deve, pertanto, affermarsi l’inammissibilità della censura in quanto non sottoposta al giudice del gravame di merito.
Né risulta censurata la parte di sentenza che, nel riportare i motivi di appello, non
ha fatto menzione del motivo proposto in questa sede.
Si ricorda e si ribadisce il principio per cui «è inammissibile, per difetto di specificit del motivo, il ricorso per cassazione con cui si deducano violazioni di legge verificatesi nel giudizio di primo grado, se l’atto non procede alla specifica contestazione del riepilogo dei motivi di appello contenuto nella sentenza impugnata, qualora questa abbia omesso di indicare che l’atto di impugnazione proposto avverso la decisione del primo giudice aveva anch’esso già denunciato le medesime violazioni di legge» (Sez. 2, n. 9028 del 05/11/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 259066; Sez. 4, n. 17449 del 02/04/2025, COGNOME, Rv. 288117; Sez. 2, n. 31650 del 03/04/2017, COGNOME, Rv. 270627).
Ad ogni modo, alla luce del pregresso accertamento della esistenza della cosca RAGIONE_SOCIALE in occasione di precedenti processi puntualmente indicati dai giudici di merito e, in particolare, del giudicato formatosi fino al 31 luglio 2018 per effetto della più recente sentenza RAGIONE_SOCIALE Roccaforte, i giudici di merito avrebbero dovuto spiegare non già la costituzione dell’associazione ma la sua prosecuzione fino al 31 luglio 2019.
Da pag. 162 a pag. 178 (Tomo I) della sentenza di primo grado la spiegazione dell’attuale (rileva quella fino al 31 luglio 2019) operatività della cosca è stata illustra ampiamente, senza che sul punto il motivo di ricorso abbia eccepito alcunché di significativo.
Per completezza, peraltro, si osserva che «in materia di associazioni mafiose “storiche”, l’onere di motivazione del giudice è significativamente attenuato in relazione all’esistenza del sodalizio, che trova conferma in decenni di storia giudiziaria, mentre non subisce alcuna incisione in relazione alla partecipazione del singolo alla consorteria, che deve sempre essere dimostrata con i parametri di giudizio tipici della fase: ragionevole probabilità di colpevolezza nella fase cautelare o certezza non incisa dal ragionevole dubbio nella fase di merito» (Sez. 2, n. 28602 del 06/05/2015, COGNOME, Rv. 264138 01).
6.1.2. La censura proposta con il secondo motivo riferito alla partecipazione dell’imputato all’associazione è inammissibile in quanto, in parte, rivalutativa e, in parte, generica.
Da un lato, infatti, viene sollecitata una rilettura del contenuto delle intercettazioni e dei dati informativi acquisiti al processo.
Com’è noto, sul punto, è costante l’arresto della giurisprudenza di legittimità in base al quale «in tema di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, l’interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, la quale, se risulta logica in relazione alle massime di esperienza utilizzate, si sottrae al sindacato di legittimità» (per tutte, si veda Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, COGNOME, Rv. 263715).
Rileva l’ulteriore principio per cui «in materia di intercettazioni telefoniche costituisce questione di fatto, rimessa all’esclusiva competenza del giudice di merito,
l’interpretazione e la valutazione del contenuto delle conversazioni, il cui apprezzamento non può essere sindacato in sede di legittimità se non nei limiti della manifesta illogicità ed irragionevolezza della motivazione con cui esse sono recepite» (Sez. 3, n. 44938 del 05/10/2021, COGNOME, Rv. 282337 – 01 e conformi).
Giova, peraltro, ribadire, che «in tema di ricorso per cassazione, quando la sentenza impugnata abbia interpretato fatti comunicativi, l’individuazione del contesto in cui si è svolto il colloquio e dei riferimenti personali in esso contenuti, onde ricostruire i significato di un’affermazione e identificare le persone alle quali abbiano fatto riferimento i colloquianti, costituisce attività propria del giudizio di merito, censurabile in sede legittimità solo quando si sia fondata su criteri inaccettabili o abbia applicato tali crite in modo scorretto. (Fattispecie relativa a soggetto chiamato in correità nel corso di conversazioni dei coimputati sottoposte ad intercettazione, nella quale la Corte ha ritenuto incensurabile l’identificazione del ricorrente, adeguatamente motivata dai giudici di merito mediante la valorizzazione dei riferimenti soggettivi – a fisionomia, soprannome e situazioni familiari – operati dai colloquianti)» (Sez. 1, n. 25939 del 29/04/2024, L., Rv. 286599 – 01 e conformi).
Inammissibili si rivelano, pertanto, quelle critiche volte ad evidenziare come le conversazioni valorizzate in chiave associativa abbiano, piuttosto, ad oggetto vicende di natura familiare prive di incidenza sulla dimostrazione dell’inserimento dell’imputato nel contesto del sodalizio mafioso.
Si presta al medesimo rilievo di inammissibilità il tentativo di individuare in una finalità meramente solidaristica i rapporti economici con lo zio NOME COGNOME mediante la reiterazione, peraltro, di argomenti già spesi nella fase di merito e smentiti dalla Corte di appello che ha operato una lettura complessiva delle captazioni in una prospettiva coordinata delle diverse emergenze.
Le finalità indicate in sentenza sono certamente solidaristiche ma funzionali al perseguimento non già di obiettivi leciti ordinariamente propri dei contesti familiari, bensì, per come si desume da una interpretazione sinergica delle intercettazioni, di contesti mafiosi e specificamente ndranghetisti.
Appena uscito dal carcere, secondo i giudici di merito, COGNOME ha tentato di recuperare il controllo del territorio, senza alcuna soluzione di continuità con il periodo di detenzione pure subito.
La ricostruzione si è basata su elementi concreti, espressioni, frasi, comportamenti e rapporti intessuti con il contesto imprenditoriale del territorio di pertinenza, senza che abbia assunto rilievo esclusivo l’esito del precedente procedimento penale.
La decisione si pone in termini di piena coerenza con l’arresto in base al quale «in tema di associazione di tipo mafioso, la condotta di partecipazione deve essere provata con puntuale riferimento al periodo temporale considerato dall’imputazione, sicché l’esistenza di una sentenza di condanna passata in giudicato per lo stesso delitt in
relazione ad un precedente periodo può rilevare solo quale elemento significativo di un più ampio compendio probatorio, da valutarsi nel nuovo procedimento unitamente ad altri elementi di prova dimostrativi della permanenza all’interno della associazione criminale» (Sez. 1, n. 19703 del 14/11/2023, dep. 2024, Salto, Rv. 286395 – 01)
Il motivo di ricorso, è, pertanto, inammissibile.
6.1.3. Per il terzo e il quarto motivo di ricorso, relativi, rispettivamente, alla natur armata dell’associazione e all’aggravante di cui all’art. 416-bis, comma sesto, cod. pen., va compiuto rinvio ai parr. 4.7 e 2.2.
6.1.4. Il quinto motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Per quanto riguarda la recidiva, la Corte di appello, in conformità agli arresti della giurisprudenza di questa Corte di legittimità sul punto (cfr. par. 4.9.) ha motivato sulla emersione di profili di aumentata pericolosità in rapporto alle pregresse condanne riportate da Libri, anche in considerazione della natura dei reati per i quali è gravato dai precedenti.
Inoltre, con riferimento al trattamento sanzionatorio, ha motivato l’applicazione della pena leggermente superiore al minimo edittale in ragione delle modalità e delle circostanze relative al delitto in esame.
Sul punto, va richiamato il principio per il quale «il giudice può negare la concessione delle attenuanti generiche e, contemporaneamente, ritenere la recidiva, valorizzando per entrambe le valutazioni il riferimento ai precedenti penali dell’imputato, in quanto il principio del “ne bis in idem” sostanziale non preclude la possibilità di utilizzare più volte lo stesso fattore per giustificare scelte relative ad istituti giuridici diversi» (Sez. 6 57565 del 15/11/2018, COGNOME, Rv. 274783 – 01).
La contestazione avente ad oggetto l’aggravante di cui all’art. 71 d.lgs. n. 159 del 2011 è meramente oppositiva e formulata in termini del tutto generici.
6.2. Ricorso avvocato lana.
6.2.1. Il primo motivo riguarda la condotta di partecipazione all’associazione e si fonda, essenzialmente, su una istanza di reinterpretazione dei dati captativi.
Il dato intercettativo è stato sostanzialmente richiamato e analizzato minuziosamente evidenziando una serie di possibili interpretazioni alternative rispetto a quelle fatte proprie dai giudici di merito.
Così, sono state indicate quelle captazioni aventi, in tesi, un significato meramente programmatico, piuttosto che suggestivo o di contenuto affaristico o, ancora, idonee, semmai, a dimostrare elementi appartenenti al notorio, come il sostentamento in carcere degli associati o dal contenuto contraddittorio.
Si tratta, evidentemente di una sollecitazione (non consentita) a reinterpretare le intercettazioni.
6.2.2. Per quanto riguarda il secondo e il terzo motivo (sulla natura armata dell’associazione e sull’aggravante di cui all’art. 416-bis, comma sesto, cod. pen.)
possono essere richiamate le considerazioni svolte altrove (par. 6.1.3. che, a sua volta, richiama i parr. 4.7. e 2.2.).
6.2.3. Anche con riguardo alla recidiva (quarto motivo di ricorso) deve farsi richiamo al par. 6.1.5. nel quale è stata trattata l’analoga censura, relativa allo stesso imputato, sollevata dal codifensore con separato ricorso.
6.2.4. Il quinto motivo è inammissibile.
Esso riguarda l’aggravante di cui all’art. 71 d.lgs. n. 159 del 2011 e si fonda sulla circostanza che solo una parte della condotta sarebbe stata commessa nel periodo di applicazione della misura di prevenzione.
Il motivo di ricorso è aspecifico in quanto omette di precisare quando il ricorrente è stato sottoposto alla misura di prevenzione in maniera tale da potere apprezzare l’eventuale rilevanza della questione in funzione della durata della condotta associativa ascritta all’imputato.
Ad ogni modo, la censura è manifestamente infondata atteso che la circostanza che solo una parte della condotta sarebbe stata commessa nel periodo di applicazione della misura di prevenzione non impedisce l’applicabilità dell’aggravante di cui all’art. 71 d.lgs. n. 159 del 2011, stante il tenore testuale della norma.
Da quanto esposto, discende l’annullamento integrale con rinvio della sentenza impugnata nei confronti di NOME COGNOME limitatamente alla condizione di promotore, dirigente ed organizzatore per quanto riguarda NOME COGNOME e, per tutti gli imputati, in ordine alla circostanza di cui all’art. 416-bis, comma sesto, cod. pen.
I ricorsi di COGNOME, COGNOME, COGNOME e COGNOME devono essere rigettati, nel resto.
Il giudice di rinvio, da individuarsi in altra Sezione della Corte di appello di Reggio Calabria, provvederà anche alla liquidazione delle spese processuali in favore delle parti civili RAGIONE_SOCIALE – Federazione delle RAGIONE_SOCIALE, ANCE Reggio Calabria, Città Metropolitana di Reggio Calabria.
Gli imputati COGNOME e COGNOME devono essere condannati alla rifusione delle spese processuali sostenute dalla parte civile NOME COGNOME nella misura quantificata in dispositivo.
A tale ultimo fine si evidenzia che il disposto annullamento sull’aggravante di cui all’art. 416-bis, comma sesto, cod. pen. non assume rilievo in relazione ai rapporti personali intercorsi tra gli imputati e la parte civile.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti: di COGNOME NOME; di COGNOME NOME per quest’ultimo limitatamente alla condizione di promotore, dirigente ed organizzatore dell’associazione di stampo mafioso ed alla recidiva infraquinquennale; di tutti gli imputati
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in ordine alla circostanza aggravante di cui all’art. 416-bis, comma 6 cod. pen. con rinvio per nuovo giudizio sui predetti capi e punti ad altra Sezione della Corte di appello di Reggio Calabria.
Rigetta nel resto i ricorsi di COGNOME, COGNOME, COGNOME e COGNOME.
Condanna, inoltre, gli imputati COGNOME e COGNOME alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile NOME NOMECOGNOME che liquida in complessivi euro 4.500,00, oltre accessori di legge.
Così deciso il 27/05/2025