Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 23463 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 23463 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 12/04/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto nell’interesse di COGNOME NOME, nato a Melito di Porto Salvo il DATA_NASCITA, contro l’ordinanza del Tribunale di Reggio Calabria dell’1.12.2023;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso; udito l’AVV_NOTAIO, in difesa di NOME COGNOME, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
Con ordinanza dell’1.12.2023 il Tribunale di Reggio Calabria ha respinto l’istanza di riesame che era stata proposta nell’interesse di NOME COGNOME contro il provvedimento con il quale il GIP, ravvisando nei suoi confronti gravi indizi di colpevolezza in ordine al delitto di cui all’art. 416-bis cod. pen. (con riguardo, i particolare, alla partecipazione all’associazione di stampo mafioso denominata RAGIONE_SOCIALE e, specificamente, alla sua articolazione territoriale nei quartieri di Cannavò, Vinco, Sant’Anna, Spirito Santo, San NOME, Gallina, San Giorgio Extra, del centro storico di Reggio Calabria quale collaboratore di NOME COGNOME ed altri esponenti apicali della RAGIONE_SOCIALE) nonché le relative esigenze cautelari non altrimenti fronteggiabili se non con il ricorso alla misura della custodia cautelare in carcere;
ricorre per cassazione NOME AVV_NOTAIO tramite il difensore di fiducia che deduce:
2.1 violazione di legge e vizio di motivazione dell’ordinanza impugnata in relazione all’omessa autonoma valutazione dei gravi indizi di colpevolezza con riferimento alle forme e modalità di individuazione di COGNOME NOME mediante comparazione del timbro vocale: rileva che l’elemento su cui si fonda l’ordinanza impugnata è l’identificazione del ricorrente intervenuta tramite il riascolto d conversazioni intercettate in altri procedimenti, risalenti in parte al 2013 ed i parte al 2018, che avrebbe reso possibile la individuazione dell’interlocutore di NOME COGNOME sul presunto summit del 2018; osserva che l’ordinanza impugnata non ha spiegato per quale ragione, nonostante già nel 2013 fosse noto l’utilizzatore dell’utenza 3496587153, non fisse stato identificato il “NOME” che nel 2018 continuava ad utilizzarla; aggiunge che l’identificazione del COGNOME, come risulta dalla annotazione di PG del NUMERO_DOCUMENTO, ampiamente richiamata nel provvedimento impugnato, era avvenuta anche attraverso la comparazione vocale con altre intercettazioni non confluite nel presente procedimento e le risultanze di un servizio di osservazione ed appostamento di cui, tuttavia, non era stato reperito ed allegato il relativo verbale; segnala, con riguardo al RIT 1189/2013, che nel 2013 era stato possibile associare il COGNOME all’utenza NUMERO_TELEFONO soltanto a partire dal 30.9.2013 all’esito di un servizio di osservazione ed appostamento su cui, tuttavia, nella stessa informativa del 20.9.2013, manca ogni indicazione di tempo, luogo, protagonisti, foto, video o altro laddove l’unico riferimento ad una qualche inflessione dialettale è riferita, nella nota del gennaio del 2014, ad un soggetto diverso dal COGNOME; sottolinea come, con riguardo al presunto riconoscimento del timbro vocale, il metodo soggettivistico, rimesso alle conoscenze degli operanti di PG, sottrae di fatto alla difesa ogni possibilità di interloquire sul meri dell’operazione di riconoscimento laddove soltanto il ricorso ad una perizia
consente il pieno dispiegarsi RAGIONE_SOCIALE facoltà difensive; critica, a tal proposito, la giurisprudenza formatasi sul punto e che ha finito per introdurre nel processo una conoscenza specialistica sottratta, però, alle garanzie proprie dell’accertamento peritale;
2.2 violazione di legge e vizio di motivazione dell’ordinanza impugnata in relazione all’annessa autonoma valutazione dei gravi indizi di colpevolezza quanto agli ulteriori elementi di conferma della identificazione del ricorrente: osserva che l’ordinanza impugnata ha reso una motivazione apparente sulle considerazioni difensive, a partire dal riferimento al nome con cui il soggetto veniva chiamato nelle conversazioni intercettate avendo il NOME sempre negato di essere chiamato abitualmente “NOMENOME; per altro verso, secondo i conversanti, il “NOME” era “quello lungo” ed il COGNOME è alto 1.80, ovvero sostanzialmente normotipo; rileva, ancora, che, il “NOME” di cui si parla sarebbe stato già noto a costoro e, in particolare, a COGNOME che, parlando con lo zio COGNOME, lo aveva indicato come colui con cui si erano visto insieme a COGNOME piuttosto che, come sarebbe stato naturale, come “mio cognato”; evidenzia la illogicità RAGIONE_SOCIALE considerazioni svolte dal Tribunale per superare queste obiezioni e sottolinea, ancora, la illogicità della affermazione relativa alla identificazione del COGNOME nel soggetto che si lamentava RAGIONE_SOCIALE restrizioni legate alla misura di prevenzione che, invero, era stata per due volte applicata al ricorrente tra gli anni ’90 e la prima decade degli anni 2000 risultando tuttavia illogico che costui se ne lamentasse a distanza di vent’anni, con soggetti adusi a ben altre e più importanti misure limitative della propria libertà personale e, in ogni caso, omettendo di contestualizzare la conversazione che, dal suo tenore, è riferita all’attualità e non ad un passato così remoto contenendo un accenno che richiama una misura patrimoniale, mai adottata nei suoi confronti; deduce, inoltre, il carattere congetturale del riferimento operato dal Tribunale al “mezzo parente” del COGNOME che costui avrebbe come tale indicato al COGNOME come la persona che sarebbe stata assunta dall’impresa RAGIONE_SOCIALE, aggiungendo, ancora, che il ricorrente non è mai stato tratto in arresto nel mese di luglio; richiama, ancora, il riferimento al dichiarazioni rese dal collaboratore NOME COGNOME, che il Tribunale ha ritenuto utilizzabili nonostante la ritrattazione operata dal dichiarante e giudicata inidonea, soltanto perché generica, ad inficiare il dato dichiarativo precedente; sottolinea che, nel corso di un riconoscimento fotografico, avrebbe indicato il COGNOME come colui che aveva partecipato ad un incontro con COGNOME, senza collocare l’episodio nel tempo e senza qualificarlo come partecipe del sodalizio; rileva il carattere generico e privo di riscontri individualizzanti del contributo fornito dal collaboratore COGNOME il quale, dal canto suo, aveva accennato ad un solo recente avvicinamento del COGNOME alla RAGIONE_SOCIALE COGNOME; Corte di RAGIONE_SOCIALEzione – copia non ufficiale
2.3 violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento agli artt. 273 e 309 comma nono, cod. proc. pen., 110 e 416-bis cod. pen.: rileva che il provvedimento impugnato è sfornito di una motivazione che dia conto della configurabilità del reato associativo in capo al COGNOME, assolto dalla medesima accusa mossa nei suoi confronti nel processo “RAGIONE_SOCIALE Potere” con riguardo alla partecipazione alla RAGIONE_SOCIALE e per la quale nel 2010 era intervenuta l’ordinanza custodiale senza che, sino a quel momento, fossero emersi elementi per porlo in relazione, con un ruolo peraltro di rilievo, con la diversa RAGIONE_SOCIALE COGNOME rileva come la “gravità” degli indizi debba essere letta alla luce del progressivo avvicinamento, rilevato dalla giurisprudenza, del giudizio cautelare a quello di merito e sottolinea come, nel caso in esame, non soltanto non sia certa la individuazione del ricorrente ma, per altro verso, si sia in presenza di elementi tutti suscettibili di una lettura alternativa, con particolare riferimento a quelli avrebbero dovuto comprovare il suo fattivo inserimento nella compagine associativa ed il ruolo che egli avrebbe svolto in quel contesto; segnala come il provvedimento impugnato abbia dato rilievo alle dichiarazioni del collaboratore COGNOME circa la frequentazione del COGNOME con il COGNOME in un periodo caratterizzato dalle rigide restrizioni da COGNOME che rendevano del tutto improbabile il racconto del propalante; sottolinea come gli elementi acquisiti riguardano un ambito temporale di soli tre mesi (dal febbraio al maggio del 2018); richiama la intercettazione del 4.2.2018 segnalandole la sostanziale inconferenza ai fini della prova della partecipazione e, allo stesso tempo, la illogicità RAGIONE_SOCIALE argomentazioni spese dal Tribunale; quanto all’intercettazione del 10.3.2018, osserva che il “NOME” era intervenuto solo sporadicamente emergendo in maniera chiara la sua mancata conoscenza degli argomenti trattati e, in particolare, dei lavori all’RAGIONE_SOCIALE, di quelli eseguiti dai fratelli NOME, a lui sconosciuti; sottolinea, inoltre, la sostanz irrilevanza della conversazione del 22.3.2018 mentre quella del 5.4.2018 sarebbe a suo avviso dimostrativa del fatto che “NOMENOME non potesse essere identificato nell’odierno ricorrente che mai, al contrario dello sconosciuto conversante, era mai stato arrestato nel mese di luglio; aggiunge che nell’occasione il NOME aveva riferito al suo interlocutore del rinvenimento, nel giardino di NOME, di 22 o 23 microspie, circostanza avvenuta ben cinque anni addietro e, pertanto, certamente a conoscenza di chi era partecipe del sodalizio; sottolinea, ancora, la “neutralità” della conversazione del 19.4.2018, riferita a circostanze del tutto indifferenti mentre l’interpretazione di quella del 25.5.2018 risulta viziata dalla apodittica presunzione secondo cui l’unico “NOME” in quel momento libero era NOME COGNOME laddove numerosi erano i soggetti cui tale diminutivo poteva essere egualmente riferito; segnala, ancora, la illogicità RAGIONE_SOCIALE argomentazioni spese dal Tribunale per superare le obiezioni difensive versate nella memoria prodotta al Corte di RAGIONE_SOCIALEzione – copia non ufficiale
Tribunale del Riesame e dove si dava conto della sostanziale assenza di riferimenti al COGNOME da parte di altri partecipi al sodalizio;
2.4 violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla valutazione RAGIONE_SOCIALE esigenze cautelari: stigmatizza la erroneità, anche in diritto, RAGIONE_SOCIALE considerazioni svolte dal Tribunale in ordine alla operatività della presunzione di cui al comma terzo dell’art. 275 cod. proc. pen. rilevando come l’unico elemento a carico del ricorrente sia rappresentato dalla intercettazione del 10.3.2018 i cui interlocutori del COGNOME erano stati tratti in arresto già nel 2020 laddove il ricorre era stato riconosciuto nel 2021 e perciò il COGNOME rimasto in libertà per sei anni dall prima indagine e per tre anni da quanto era stato identificato senza che alcun ulteriore riferimento investigativo lo avesse attinto; ribadisce la natura del riesame come rimedio totalmente devolutivo che consente al Tribunale di riformare il provvedimento impugnato anche alla luce di elementi favorevoli all’indagato sopravvenuti e dedotti dalla difesa; evidenzia, ancora, la necessaria ricorrenza del requisito della attualità RAGIONE_SOCIALE esigenze cautelari certamente assente nel caso di specie e la necessità di tener conto del tempo trascorso dalla commissione del reato;
la Procura AVV_NOTAIO ha trasmesso la requisitoria scritta ai sensi dell’art. 23, comma 8, del DL 137 del 2020 concludendo per l’inammissibilità del ricorso: rileva, infatti, che il Tribunale ha correttamente e coerentemente motivato in ordine ai gravi indizi di colpevolezza, facendo leva sulle indagini in atti, nonché in ordine alle esigenze cautelari, dimostrando con argomentazioni solide la sussistenza RAGIONE_SOCIALE stesse in relazione alla mancata recisione del vincolo associativo ed al pericolo di reiterazione;
la difesa del COGNOME ha trasmesso motivi aggiunti denunziando violazione di legge e vizio di motivazione dell’ordinanza impugnata, in relazione alla omessa autonoma valutazione dei gravi indizi di colpevolezza, con riferimento alle forme e modalità di individuazione di COGNOME NOME: richiama il rilievo operato con il ricorso principale e concernente il contrasto tra il contenuto della conversazione del 5.4.2018 ed il dato, oggettivo, secondo cui il COGNOME non era mai stato tratto in arresto nel mese di luglio, e sottolineando come nessun accertamento fosse stato eseguito sul punto, produce, in allegato, attestazione del DAP su tutti i periodi di custodia cautelari patiti dall’odierno ricorrente da cui emerge come lo stesso non sia mai stato arrestato a luglio.
Il ricorso è inammissibile perché articolato con censure manifestamente infondate ovvero non consentite in questa sede.
1 Non è inutile ribadire quali siano i limiti alla sindacabilità, in questa sede dei provvedimenti adottati dal Tribunale del Riesame sulla libertà personale; è infatti consolidato il principio, condiviso dal Collegio, secondo cui, in tema di misure cautelari personali, allorché sia denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di motivazione del provvedimento emesso dal Tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza e RAGIONE_SOCIALE esigenze cautelari, alla Corte spetta il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio legittimità, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto RAGIONE_SOCIALE ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario e della permanenza RAGIONE_SOCIALE esigenze cautelari a carico dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento RAGIONE_SOCIALE risultanze probatorie.
Il ricorso è perciò ammissibile soltanto se con esso venga denunciata la violazione di specifiche norme di legge, ovvero si deduca la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento, secondo i canoni della logica ed i principi di diritto, e non si ci limiti a propone e sviluppare censure che attengono alla ricostruzione dei fatti, ovvero che si risolvono in una diversa valutazione RAGIONE_SOCIALE circostanze esaminate dal giudice di merito (cfr., Sez. 2, n. 31553 del 17/05/2017, Paviglianiti, Rv. 270628; Sez. 6, n. 11194 del 08/03/2012, Lupo, Rv. 252178; Sez. 4, n. 18795 del 02/03/2017, COGNOME, Rv. 269884).
La censura con cui si denunci il vizio di motivazione in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, in altri termini, consente al giudice d legittimità di vagliare la adeguatezza RAGIONE_SOCIALE ragioni addotte rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento RAGIONE_SOCIALE risultanze probatorie non potendo prendere in esame quei rilievi che, pur investendo formalmente la motivazione del provvedimento impugnato, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione di circostanze già esaminate dal giudice di merito (cfr., Sez. 2, n. 27866 del 17/06/2019, COGNOME, Rv. 276976; Sez. 3, Sentenza n. 40873 del 21/10/2010, COGNOME, Rv. 248698; Sez. 4, n. 26992 del 29/05/2013, COGNOME, Rv. 255460; Sez. F, n. 47748 del 11/08/2014, COGNOME, Rv. 261400).
Va anche ricordato che, nella fase cautelare, si richiede non la prova piena del reato contestato (secondo i criteri di cui all’art. 192 cod. proc. pen.) ma solo la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza; questo Collegio, in particolare, condivide la tesi secondo cui “in tema di misure caute/ari personali, la nozione di
gravi indizi di colpevolezza di cui all’art. 273 cod. proc. pen. non si atteggia al stesso modo con cui il termine indizi inteso viene utilizzato quale elemento di prova idoneo a fondare un motivato giudizio finale di colpevolezza. Pertanto, ai fini dell’adozione di una misura cautelare, è sufficiente qualunque elemento probatorio idoneo a fondare un giudizio di qualificata probabilità sulla responsabilità dell’indagato in ordine ai reati addebitatigli e gli indizi non devono essere valutat secondo gli stessi criteri richiesti per il giudizio di merito dall’art. 192 cod. p pen., comma 2, come si desume dall’art. 273 cod. proc. pen., comma This, che richiama i commi terzo e quarto dell’art. 192 cod. proc. pen., ma non il comma 2 dello stesso articolo che richiede una particolare qualificazione degli indizi (non solo gravi ma anche precisi e concordanti)” (cfr., Sez. 5, n. 36079 del 5.6.2012, COGNOME; Sez. 4, n. 6660 del 24.1.2017, COGNOME; Sez. 4, n. 53369 del 9.11.2016, COGNOME; conf., ancora, Sez. 4, n. 17247 del 14.3.2019, COGNOME, in cui la Corte ha ribadito i necessari “gravi indizi di colpevolezza” non corrispondono agli “indizi” intesi quale elementi di prova idonei a fondare un motivato giudizio finale di colpevolezza e non devono, pertanto, essere valutati secondo gli stessi criteri richiesti, per il giudizio di merito, dall’art. 192, comma 2, cod. proc. pen. – che oltre alla gravità, richiede la precisione e la concordanza degli indizi – non richiamato dall’art. 273 comma 1-bis, cod. proc. pen.; conf., sul punto, e tra le altre, Sez. 1, n. 43258 del 22.5.2018, Tantone; Sez. 2, n. 22968 dell’8.3.2017. Carrubba).
Esula, inoltre, dai poteri della Corte di RAGIONE_SOCIALEzione quello di una ‘rilettura’ degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione RAGIONE_SOCIALE risultanze processuali (cfr., Sez. U, n. 6402 del 30.4.1997, COGNOME; Sez. 4, n. 4842 del 2.12.2003, COGNOME; Sez. 6, n. 49153 del 12.11.2015, secondo cui la motivazione del provvedimento che dispone una misura coercitiva è censurabile in sede di legittimità solo quando sia priva dei requisiti minimi di coerenza, completezza e logicità al punto da risultare meramente apparente o assolutamente inidonea a rendere comprensibile il filo logico seguito dal giudice di merito o talmente priva di coordinazione e carente dei necessari passaggi logici da far risultare incomprensibili le ragioni che hanno giustificato l’applicazione della misura).
2.1 I primi due motivi del ricorso attengono alla idoneità degli elementi richiamati dai giudici della cautela a sostegno dell’identificazione dell’odierno ricorrente come partecipe della riunione del 2018 e come il “NOME” cui i soggetti
intercettati facevano variamente riferimento nelle conversazioni captate da investigatori.
Ritiene il collegio che, da questo punto di vista, il provvedimento impugnato sia sorretto da una motivazione congrua ed esaustiva, ancorata agli elementi investigativi di volta in volta puntualmente richiamati ed immune da aspetti di manifesta illogicità o contraddittorietà.
In particolare, il Tribunale ha giudicato “centrale”, nell’economia dell’indagine, l’intercettazione del 10.3.2018 eseguite nel procedimento “Metameria” e confluito nel maxi processo “Epicentro”: gli interlocutori sono stati (pacificamente) individuati in NOME COGNOME e NOME COGNOME, entrambi già riconosciuti responsabili del delitto di cui all’art. 416-bis cod. pen.; conversazione aveva ad oggetto un summit cui avrebbero partecipato anche NOME COGNOME, genero di COGNOME, già condannato nel processo “Epicentro” e divenuto collaboratore di giustizia dopo il suo arresto, e NOME COGNOME, cognato di NOME, condannato nel processo “Epicentro”; tra i partecipi alla riunione era stato indicato anche tale “NOME” che gli investigatori hanno individuato nell’odierno ricorrente NOME COGNOME.
In tal senso, i giudici della cautela hanno richiamato l’annotazione del 2.7.2021 che aveva dato conto del “riascolto” RAGIONE_SOCIALE conversazioni del 2013/2014 intercettate sull’utenza 3496587153 che era risultata intestata ad un inesistente NOME COGNOME ma che si era ritenuto essere in uso al COGNOME il quale si relazionava con NOME COGNOME, i rapporti con il quale erano stati ammessi dal COGNOME in sede di interrogatorio di garanzia avendone egli condiviso la cella tra il 2002 ed il 2003; hanno inoltre fatto riferimento alla nota informativa del 30.9.2013 in cui la identificazione del COGNOME come l’utilizzatore di quell’utenza risultava corroborata dagli esiti dei servizi di osservazione ed appostamento risultando irrilevante l’assenza, in atti, dei relativi verbali.
In ogni caso, il provvedimento impugnato ha congruamente puntualizzato che la comparazione con il contenuto RAGIONE_SOCIALE intercettazioni del 2013/2014 aveva rappresentato un elemento di conforto ed ulteriore rispetto al riconoscimento della voce del ricorrente che gli operanti ben avevano avuto presente ed acquisito dall’ascolto RAGIONE_SOCIALE innumerevoli conversazioni registrate tra il febbraio del 2018 ed il maggio del 2018 con la assidua frequentazione del COGNOME con NOME COGNOME non contestata dalla difesa ed ammessa dall’indagato (cfr., pag. 10 dell’ordinanza impugnata).
Ed è appena il caso di ribadire che, ai fini dell’identificazione degl interlocutori coinvolti in conversazioni intercettate, il giudice ben può utilizzare dichiarazioni degli ufficiali e agenti di polizia giudiziaria che abbiano asserito aver riconosciuto le voci di taluni imputati, così come qualsiasi altra circostanza o
elemento che suffraghi detto riconoscimento, incombendo sulla parte che lo contesti l’onere di allegare oggettivi elementi sintomatici di segno contrario (cfr., Sez. 2, n. 12858 del 27/01/2017, COGNOME, Rv. 269900 – 01; Sez. 6, n. 13085 del 03/10/2013, COGNOME, Rv. 259478 – 01; cfr., anche, Sez. 6 – , n. 27911 del 23/09/2020, COGNOME, Rv. 279623 01; Sez. 5 – , n. 20610 del 09/03/2021, COGNOME, Rv. 281265 – 01, in cui la Corte ha spiegato che, in tema di intercettazioni telefoniche, qualora sia contestata l’identificazione RAGIONE_SOCIALE persone colloquianti, il giudice non deve necessariamente disporre una perizia fonica, ma può trarre il proprio convincimento da altre circostanze – quali i contenuti RAGIONE_SOCIALE conversazioni intercettate; il riconoscimento RAGIONE_SOCIALE voci da parte del personale della polizia giudiziaria; le intestazioni formal RAGIONE_SOCIALE schede telefoniche – elementi tutti che consentano di risalire con certezza all’identità degli interlocutori, mentre incombe sulla parte che contesti i riconoscimento l’onere di allegare oggettivi elementi sintomatici di segno contrario).
L’ordinanza del Tribunale di Reggio Calabria, inoltre, non ha mancato di prendere in esame tutti i rilievi difensivi concernenti, per l’appunto, l identificazione del COGNOME come il protagonista RAGIONE_SOCIALE conversazioni intercettate dagli investigatori: e, così, ha contrastato la considerazione circa il fatto che il “NOME lamentasse la gravosità RAGIONE_SOCIALE misure di prevenzione che gli erano state applicate in tempi assai risalenti (cfr., pag. 11) ritenendo apodittico il rilievo che il conten della conversazione (“… non mi hanno lasciato niente …”) lasciasse intendere che il conversante fosse stato destinatario di una misura patrimoniale invece mai adottata nei confronti del COGNOME.
Non ha mancato nemmeno di prendere in esame (cfr., ivi, pag. 15) il rilievo (reiterato con il ricorso) circa la presunta illogicità del riferimento operato d COGNOME per far comprendere al COGNOME chi fosse il “NOMENOME che intendeva parlargli, fornendo una spiegazione non manifestamente illogica o incongrua RAGIONE_SOCIALE ragioni per le quali il primo avesse evocato il COGNOME indicandolo come quello “alto” (giudicando perciò l’aggettivo utilizzato non improprio rispetto al ricorrente, alto 1.80) e come colui che il suo interlocutore aveva avuto modo di incontrare insieme a COGNOME (piuttosto che far riferimento al rapporto di affinità trattandosi di suo cognato) (cfr., ivi, pag. 16).
In realtà, però, il Tribunale ha puntualmente corroborato il riferimento al COGNOME valorizzando la relazione tra la conversazione del 9 e quella del 10 marzo (cfr., ivi, ancora, pag. 16).
La difesa ha insistito, inoltre, sulla conversazione del 5.4.2018 in cui gli interlocutori sono il COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e colui che si è ritenuto di identificare nel COGNOME e che aveva nell’occasione ricordato di quando era stato arrestato nel mese di luglio: la difesa, infatti, ha sottolineato che ma COGNOME era stato tratto in arresto in luglio, sottolineatura cui il Tribunale ave puntualmente replicato sostenendo che “… trattasi di mera deduzione difensiva non supportata da alcun dato documentale che, in attesa di un eventuale approfondimento sul punto (non espletabile in questa sede) non vale ad inficiare l’individuazione fonica effettuata in termini di certezza dagli operanti” (cfr., i pag. 19).
Soltanto con memoria trasmessa in prossimità dell’udienza, la difesa ha prodotto una attestazione del DAP su tutti i periodi di custodia cautelare e di detenzione patiti dall’odierno ricorrente a conforto della tesi secondo cui mai egli sarebbe stato tratto in arresto in luglio.
Si tratta, tuttavia, di una produzione inammissibile in questa fase, attenendo ad un profilo già noto al momento della presentazione dell’istanza di riesame e, comunque, del ricorso in cassazione, su cui la difesa avrebbe avuto la possibilità di interloquire anche attraverso la documentazione prodotta soltanto con la memoria del 26.3.2024: nel giudizio di legittimità possono essere prodotti esclusivamente i documenti che l’interessato non sia stato in grado di esibire nei precedenti gradi di giudizio, sempre che essi non costituiscano nuova prova e non comportino un’attività di apprezzamento circa la loro validità formale e la loro efficacia nel contesto RAGIONE_SOCIALE prove già raccolte e valutate dai giudici di merito (cfr in tal senso, Sez. 3, n. 5722 del 07/01/2016, COGNOME, Rv. 266390 – 01, relativa ad un ricorso proposto contro una ordinanza di rigetto del riesame di un sequestro preventivo, in cui la Corte ha ritenuto inammissibile la produzione di perizia redatta in data successiva alla decisione del tribunale e di documentazione non esibita nei precedenti gradi cautelari; conf., Sez. 2 – , n. 42052 del 19/06/2019, COGNOME, Rv. 277609 – 01; Sez. 2, n. 1417 del 11/10/2012, dep. 11/01/2013, COGNOME, Rv. 254302 – 01). Corte di RAGIONE_SOCIALEzione – copia non ufficiale
Sotto altro profilo, incensurabile è la valutazione operata dal Tribunale circa la “ritrattazione” di NOME COGNOME, conforme al costante orientamento di questa Corte secondo cui la ritrattazione non costituisce elemento in grado di escludere l’attendibilità intrinseca del chiamante in correità, purché il giudice di merito, co congrua motivazione, dia conto del mutamento della posizione del dichiarante ovvero allorché risulti l’assoluta inattendibilità RAGIONE_SOCIALE “controdichiarazioni” (cfr. tal senso, Sez. 6 – , n. 35680 del 30/05/2019, COGNOME, Rv. 276693 – 01; Sez. 1, n. 41585 del 20/06/2017, Maggi, Rv. 271252 01; Sez. 6, n. 7627 del 31/01/1996, COGNOME, Rv. 206583 – 01).
I giudici della cautela hanno d’altra parte confermato la assidua frequentazione tra il COGNOME ed il COGNOME, su cui aveva sia pur sinteticamente riferi NOME COGNOME.
2.2 II terzo motivo del ricorso ha riguardo alla idoneità degli elementi fattuali valorizzati dai giudici della cautela configurare, sia pure in questa fase, sussistenza dei presupposti per ipotizzare l’organico inserimento del ricorrente nella compagine associativa delineata nella provvisoria incolpazione che vede il COGNOME partecipe “… dell’articolazione territoriale della ‘RAGIONE_SOCIALE nota come RAGIONE_SOCIALE, storicamente egemone, in particolare, nei territori di Cannavò, Vinco, Sant’Anna, Spirito Santo, San NOME, Gallina, San Giorgio Extra, centro storico di Reggio Calabria e territori limitrofi; collaboratore di COGNOME NOME e degli al esponenti apicali della RAGIONE_SOCIALE nell’imposizione estorsiva, nella riscossione dei relativi proventi, nell’aggiudicazione di subappalti e nel condizionamento degli imprenditori in rapporti di subordinazione o contiguità con l’organizzazione RAGIONE_SOCIALE; manteneva i rapporti con gli esponenti di altre articolazioni di ‘RAGIONE_SOCIALE, anche in funzione del rigido rispetto dei confini territoriali RAGIONE_SOCIALE zon di rispettiva competenza; veicolava messaggi ed ambasciate tra gli associati e tra costoro e i rappresentanti della altre ‘ndrine”.
Rileva perciò il collegio come sia opportuno ripercorrere, sia pure brevemente, i principi di recente riaffermati dalle SS.UU nella nota (e da talune difese evocata) sentenza “Modaffari”.
In quella occasione, infatti, sono state passate in rassegna le diverse impostazioni ermeneutiche proposte dalla dottrina e, soprattutto, rilevabili nella giurisprudenza: a partire dalla teoria c.d. “organizzatoria” che, tuttavia, a lor avviso “… mostra tutti i suoi limiti nel momento in cui collega la fattispec criminosa all’acquisizione della qualifica formale di associato, ritenendo sufficiente ai fini dell’integrazione del reato l’ingresso nel sodalizio e finendo per ritener irrilevante l’attivazione o meno dei partecipe a favore della RAGIONE_SOCIALE” (cfr., pag. 34 della sentenza).
Si è segnalato, tuttavia, che nemmeno la teoria c.d. “causale” può essere nella sua assolutezza condivisa: in particolare, le SS.UU. Modaffari hanno spiegato che “… la maggiore criticità involge necessariamente la riconosciuta teorica possibilità di sovrapposizione di due categorie dogmatiche (concorso esterno e partecipazione) del tutto autonome e con profonde caratterizzazioni differenziali” mentre “… la aprioristica svalutazione della condotta di messa a disposizione RAGIONE_SOCIALE energie del singolo a favore del gruppo non tiene conto della possibile autonoma rilevanza probatoria del fatto in sé considerato alla stregua degli indicatori evidenziati dalla sentenza COGNOME” ma, anche, “… con riferimento al rilievo operato dalla sentenza COGNOME in relazione al riconosciuto effetto di attivazione in favore dell’associazione conseguente all’acquisizione della «qualità di uomo
d’onore», al pari della dimostrata progressione nelle doti, introducendo una conoscenza appartenente al piano storico ed esperienziale, finisce per elevare a massima d’esperienza generalizzata una specifica realtà processuale” (cfr., ivi, pagg. 34-35).
Ed è proprio con riguardo alla teoria “causale” che, alla luce dei rilievi e RAGIONE_SOCIALE considerazioni sviluppate dalle SS.UU. “Modaffari”, occorre confrontarsi in quanto, come accennato, molti ricorsi tendono a sottolineare come le captazioni e gli elementi acquisiti al processo non siano stati in grado di dimostrare l’esistenza di condotte dei singoli imputati dotate di reale e concreta efficienza causale sulla vita e sulla attività del sodalizio.
Detto questo, e come acutamente osservato dalle SS.UU., occorre soffermare l’attenzione sulle peculiarità della condotta di partecipazione ad associazione di stampo mafioso evitando il rischio di confonderne i tratti distintivi rispetto a quella di concorso esterno e, in particolare, considerare che, come è noto, solo per quest’ultima il presupposto essenziale (come ribadito nelle sentenze COGNOME e COGNOME) ed imprescindibile è rappresentato dalla possibilità di ravvisare un reale ed effettivo apporto causale alla organizzazione che, peraltro, non necessariamente, come si era affermato dalle SS.UU. COGNOME, deve intervenire in momenti di fibrillazione del sodalizio ma che, invece, come avrebbero chiarito le SS.UU., COGNOME, ben può essere essenziale per la vita “ordinaria” della associazione.
Proprio le SS.UU. AVV_NOTAIO hanno spiegato che risponde di concorso esterno “… il soggetto che, non inserito stabilmente nella struttura organizzativ dell’associazione e privo dell’affectio societatis, fornisce un concreto, specifico, consapevole e volontario contributo, sempre che questo esplichi un’effettiva rilevanza causale e quindi si configuri come condizione necessaria per la conservazione o il rafforzamento RAGIONE_SOCIALE capacità operative dell’associazione (o, per quelle operanti su larga scala come “Cosa nostra”, di un suo particolare settore e ramo di attività o articolazione territoriale) e sia diretto alla realizzazione, anc parziale, del programma criminoso della medesima” (cfr., per l’appunto, Sez. U. n. 33748 del 12/7/2005, COGNOME, Rv. 231671).
Tenendo ferme queste coordinate, allora, se la mera “affiliazione” non è di per sé sufficiente ad integrare il paradigma della “partecipazione” alla associazione, quel che occorre verificare è che l’agente abbia effettivamente tenuto comportamenti espressivi ed emblematici di militanza attiva; in tal senso, non è indispensabile che il partecipe si prodighi attivamente ed in termini causalmente efficienti sull’attività e lo sviluppo dell’associazione nei campi di operatività illecita, atteso che il proprium del reato risiede proprio – e, allo stesso tempo, essenzialmente – nella “compenetrazione” con il sodalizio che è l’oggetto RAGIONE_SOCIALE condotte esteriori che lo manifestino.
In tal senso, le SS.UU. Modaffari hanno richiamato le conclusioni della sentenza COGNOME secondo cui “… va considerato partecipe dell’organizzazione criminale l’affiliato che prende parte attiva al fenomeno associativo” tenendo conto che “… la partecipazione non si esaurisce né in una mera manifestazione di volontà unilaterale né in una affermazione di status” ma che “… implica un’attivazione fattiva a favore della RAGIONE_SOCIALE che attribuisca dinamicità, concretezza e riconoscibilità alla condotta che si sostanzia nel prendere parte; in quest’ottica, si è chiarito che “… l’opera di concretizzazione giurisprudenziale del significato della locuzione normativa fa parte di cui all’art. 416-bis, primo comma, cod. pen. non può pertanto lasciare spazio ad ipotesi di identificazione della condotta punibile che risultino del tutto svincolate dalla verifica di un contributo, anche in forme atipiche, ma effettivo, concreto e visibile reso dal partecipe alla vit dell’organizzazione criminosa: tale contributo, che può assumere carattere sia materiale che morale, ben potrà essere ricostruito anche in via indiziaria e ben potrà concretizzarsi solo in un momento successivo (allorquando l’affiliato darà concreto corso alla messa a disposizione) rispetto al formale ingresso nell’associazione” assumendo “… assoluta decisività ai fini della valutazione di appartenenza ad un gruppo criminale avente le caratteristiche sin qui illustrate, la possibilità di attribuire al soggetto la realizzazione di un qualsivoglia apporto concreto, sia pur minimo, ma in ogni caso riconoscibile, alla vita dell’associazione, tale da far ritenere avvenuto il dato dell’inserimento attivo con carattere di stabilit e consapevolezza oggettiva”. Corte di RAGIONE_SOCIALEzione – copia non ufficiale
In definitiva, rileva il collegio che, alla luce RAGIONE_SOCIALE coordinate offerte da elaborazione RAGIONE_SOCIALE SS.UU., il contributo del singolo “partecipe” deve essere riferito ad aspetti che attengano alla vita dell’associazione, ben potendo a tal fine rilevare anche condotte che si esauriscano all’interno del sodalizio ovvero nelle sue’ dinamiche organizzative non richiedendosi, necessariamente, un apporto causale che riguardi la sua concreta operatività e la sua proiezione esterna, ovvero, più in particolare, il compimento di reati-fine essendo sufficienti, ad integrare il delitto esame, comportamenti emblematici del fatto che l’agente faccia “parte” del sodalizio operando al suo interno (o, anche, manifestandosi all’esterno come affiliato) e nella piena consapevolezza della natura della associazione e del legame fideistico e di reciproco riconoscimento che rappresenta, in effetti, il proprium della fattispecie.
Non a caso, sono state ancora una volta le SS.UU. Modaffari a chiarire che la condotta penalmente rilevante (di “messa a disposizione”) si debba esplicitare
in atti “… di conservazione e di potenziale rafforzamento dell’associazione” che non necessariamente, tuttavia, devono tradursi in un “evento” oggettivamente rilevabile alla luce della sua connotazione di immaterialità, sicché “… ai fini del sua valutazione non potrà utilizzarsi il parametro della causalità e si dovrà invece ricorrere a quello della rilevanza in concreto”.
Ed in tal senso, le SS.UU. hanno osservato che “… potranno venire in rilievo, oltre all’accertamento della comprovata mafiosità del gruppo associante, la qualità dell’adesione ed il tipo di percorso che l’ha preceduta, la dimostrata affidabilità criminale dell’affiliando, la serietà del contesto ambientale in cui la decisione è maturata, il rispetto RAGIONE_SOCIALE forme rituali anche con riferimento all’accertamento dei poteri di chi sceglie, di chi presenta e di chi officia il rito dei nuovi adepti, la tipologia del reciproco impegno preso, la misura della disponibilità pretesa e/o offerta ed ogni altro elemento di fatto che, sulla base di tutte le font di prova utilizzabili e di comprovate massime di esperienza, costituisca circostanza concreta, capace di rendere inequivoco e certo il contributo attuale dell’associato a favore della RAGIONE_SOCIALE” (cfr., pag. 36 della sentenza).
Di assoluto rilievo, inoltre, è il passaggio in cui le SS.UU., in coerenza con le premesse ricostruttive di cui hanno dato ampiamente conto, hanno chiarito che, ai fini della prova della “partecipazione”, rilevano “… i comportamenti di fatto precedenti e/o successivi al rituale di affiliazione – non necessariamente attuativi RAGIONE_SOCIALE finalità criminali dell’associazione, ma tuttavia capaci di dimostrare i concreto l’adesione … e di rivelare una reciproca vocazione di irrevocabilità (intesa nel senso di una stabile e duratura relazione, potenzialmente permanente) testimoniandosi in fatto e non solo nelle intenzioni il rapporto organico tra singolo e struttura” aggiungendo che “… la messa a disposizione non solo costituisce l’effetto dell’ammissione al gruppo, ma indica un comportamento oggettivo e non solo intenzionale, attuale e non meramente ipotetico, che finisce così per concretizzare e rendere riconoscibile, sotto il profilo dinamico della partecipazione, non potendo questo effetto condizionarsi in negativo e legarsi esclusivamente alla successiva – e, a volte, solo eventuale chiamata per l’esecuzione di un incarico specifico, essendo l’adepto già inglobato nel gruppo e pronto per le necessità attuali o future della RAGIONE_SOCIALE” (cfr., pag. 41 della sentenza).
In altri termini, le SS.UU. hanno insistito sulla necessità di appuntare la attenzione sulla esistenza di fatti e condotte che siano emblematici e rappresentativi della partecipazione al sodalizio, quand’anche non necessariamente manifestatasi nel compimento di reati-fine o di fatti funzionali alla sua attività esterna, ma che siano espressione certa della militanza nella associazione di cui il soggetto è parte manifestando tale partecipazione nel
collaborare al suo funzionamento, alla sua organizzazione, alla conservazione della sua integrità anche sul piano del persistente controllo del territorio nel quale opera ed agisce.
Numerosi ed emblematici sono gli elementi fattuali richiamati dai giudici della cautela a sostegno di una “partecipazione” del COGNOME alla “vita” ed alla attività del sodalizio.
Di rilievo, da questo punto di vista, è stata giudicata la conversazione tra il COGNOME, il COGNOME ed il COGNOME, richiamata a pag. 13, sulla “continuità” della lo affiliazione ad onta dei periodi di detenzione rispettivamente subiti.
Altrettanto emblematiche della operatività del sodalizio sotto il profilo del controllo del territorio sono le conversazioni richiamate alle pagg. 13-14 circa la necessità di conoscere ed avere contezza RAGIONE_SOCIALE attività imprenditoriali e dei lavori eseguiti nel territorio “di competenza”, anche ai fini della suddivisione degli “util che ne potevano trarre.
Risultano rilevanti, in quest’ottica, le conversazioni concernenti i lavori del supermercato RAGIONE_SOCIALE, quelle su NOME COGNOME, sull’attività dell’impresa RAGIONE_SOCIALE, e che erano state tenute sempre con la partecipazione ed il consapevole intervento del COGNOME.
Il Tribunale ha ritenuto che l’episodio del 10.3.2018 fosse di per sé sufficiente a comprovare la piena partecipazione del RAGIONE_SOCIALE al sodalizio richiamando, tuttavia, in termini assolutamente congrui, elementi di conforto e riscontro come, ad esempio, la conversazione del 4.2.2018 che, ad onta del tentativo della difesa di svalutarne la portata, certamente non valutabile in questa sede, dà conto dello stretto legame del RAGIONE_SOCIALE con il COGNOME in un’ottica non personale ma associativa, sottolineando come il ricorrente mostrasse di essere perfettamente a conoscenza RAGIONE_SOCIALE attività criminali di COGNOME NOME quali quelle in danno della ditta RAGIONE_SOCIALE (cfr., pag. 17); ma, anche, la conversazione del 8.2.2018, intercorsa tra il COGNOME ed il COGNOME e vertente sugli equilibri RAGIONE_SOCIALE cosche sul territorio e, in partico sul biasimo del COGNOME nei confronti dei COGNOME (cfr., pag. 17), su cui il Gul aveva espresso il suo parere manifestando piena conoscenza RAGIONE_SOCIALE relative problematiche.
Quanto all’episodio evocato nella conversazione del 25.2.2018, mentre la difesa si è soffermata sulla identificazione del soggetto di cui il COGNOME aveva sollecitato l’assunzione come un lontano parente presso l’impresa RAGIONE_SOCIALE, quel che rileva è ancora una volta la conferma dello stretto rapporto tra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE anche nella “gestione” del territorio laddove, va pur detto, la identificazione dello COGNOME (tramite archivi INPS) aveva consentito, secondo il Tribunale di confermare anche per questa via la sicura identificazione del COGNOME come l’interlocutore del COGNOME (cfr., pag. 18).
Ed ancora, quali manifestazione di condotte “partecipative”, sono state puntualmente e congruamente riportate le conversazioni del 22.3.2018 (in cui il COGNOME aggiornava il COGNOME su diverse questioni associative concernenti, in particolare, a pagamenti per lavori eseguiti sul territorio, manifestando una linea operativa condivisa da COGNOME ed elaborata in un’ottica che necessitava di incontri e intese con esponenti di altre cosche).
Nella medesima direzione, ha spiegato il Tribunale, milita la conversazione del 19.4.2018 in cui il COGNOME ed il COGNOME discutevano della suddivisione di una somma di non comprovata lecita provenienza (cfr., pag. 21); ma, anche, le conversazioni riportata a pag. 23 una RAGIONE_SOCIALE quali significativamente relativa alla necessità di sostenere le spese legali per NOME COGNOME, detenuto.
Secondo il Tribunale, poi, la difesa non aveva sollevato alcun rilievo sulla ritenuta partecipazione del COGNOME all’evento conviviale del 4.3.2018 cui avevano preso parte COGNOME, NOME COGNOME, il boss NOME COGNOME cl. DATA_NASCITA (“Arciprete”), esponente apicale della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di Roccaforte del Greco (come da condanna definitiva); sempre secondo quanto riportato nel provvedimento impugnato, pacifica, perché ammessa dal COGNOME, era inoltre la pregressa conoscenza del COGNOME con il COGNOME perché anch’egli originario di Roccaforte tanto da rivendicare, nel corso della riunione, la propria origine nei luoghi in cui il NOME COGNOME aveva trascorso lunghi periodi di latitanza; il Tribunale, oltre a valorizzare la conversazione in termini di “partecipazione” al sodalizio ha colto ancora una volta l’occasione per individuare un ulteriore elemento di identificazione certa del soggetto parlante con l’odierno ricorrente NOME COGNOME.
L’episodio è stato per altro verso giudicato evidentemente emblematico della “intraneità” del COGNOME al sodalizio, testimoniata dagli argomenti trattati n corso RAGIONE_SOCIALE conversazioni intercorse nell’occasione e relative a vicende riferite ad equilibri di ‘RAGIONE_SOCIALE (cfr., pag. 24); non indifferenti erano stati i riferiment periodo di detenzione del COGNOME che non gli avrebbero impedito di continuare a dirigere gli affari della RAGIONE_SOCIALE (cfr., ivi, pag. 24).
In tal modo, dunque, il Tribunale ha potuto desumere, dagli elementi investigativi disponibili, i tratti essenziali e caratteristici di condotte “partecipa conformi alle direttive ermeneutiche delineate dalle SS.UU. “Modaffari” di cui si è detto in precedenza; ha spiegato, inoltre, come tali condotte non potessero ritenersi temporalmente limitate al periodo febbraio-giugno 2018 collocando, in questo contesto, le parole del collaboratore NOME COGNOME (cfr., pag. 25-26), di cui la difesa ha sostenuto la inattendibilità perché riguardanti una frequentazione tra COGNOME e COGNOME che si sarebbe manifestata nella primavera del 2020, ovvero in un periodo in cui erano vigenti le restrizioni adottate per la
emergenza da COGNOME; i giudici della cautela, con argomentazione non manifestamente illogica, hanno tuttavia sottolineato come il COGNOME avesse riferito di cose apprese direttamente non rilevando, perciò, che il collaboratore non avesse dato conto della “fonte” RAGIONE_SOCIALE sue conoscenze.
Il Tribunale, ancora, non avendo trascurato alcun rilievo difensivo, ha fornito una spiegazione non incongrua RAGIONE_SOCIALE ragioni per le quali la figura del COGNOME non fosse emersa nelle intercettazioni relative altri esponenti della criminalità reggina quali NOME COGNOME e NOME COGNOME (cfr., pag. 26) come in quelle intercorse tra NOME COGNOME e NOME COGNOME (cfr., ivi).
2.4 Il quarto motivo del ricorso è manifestamente infondato.
Il Tribunale, infatti, ha correttamente richiamato la presunzione di cui all’art. 275, comma terzo, cod. proc. pen. e ritenuto la mancanza di elementi deponenti per la interruzione del vincolo anche all’esito del suo trasferimento all’estero che, difatti, non aveva impedito di mantenere contatti con esponenti del gruppo quantomeno sino al 2020.
In tal modo, dunque, i giudici della cautela si sono conformati al principio, dal quale il collegio non ritiene di doversi discostare, secondo cui, in tema di custodia cautelare in carcere disposta per il reato di cui all’art. 416-bis cod. pen., la presunzione di sussistenza RAGIONE_SOCIALE esigenze cautelari di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. può essere superata solo con il recesso dell’indagato dall’associazione o con l’esaurimento dell’attività associativa, mentre il cd. “tempo silente” (ossia il decorso di un apprezzabile lasso di tempo tra l’emissione della misura e i fatti contestati) non può, da solo, costituire prova dell’irreversibi allontanamento dell’indagato dal sodalizio, potendo essere valutato esclusivamente in via residuale, quale uno dei possibili elementi volto a fornire la dimostrazione, in modo obiettivo e concreto, di una situazione indicativa dell’assenza di esigenze cautelari (cfr., Sez. 2 – , n. 38848 del 14/07/2021, Giardino, Rv. 282131 – 01; Sez. 2 – , n. 7837 del 12/02/2021, Manzo, Rv. 280889 – 01).
Una volta ravvisata l’esistenza di esigenze cautelari relativamente al delitto associativo non vi era evidentemente alcuna possibilità di applicare una misura gradata, alla luce della presunzione di adeguatezza di quella di massimo rigore, già peraltro oggetto di plurimi vagli anche sul piano della legittimità costituzionale (cfr., per tutte, Corte Cost., n. 136 del 2017, che ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., censurato dalla Corte d’appello di Torino – in riferimento agli artt. 3, 13, primo comma, e 27, secondo comma, Cost. – nella parte in cui, nell’imporre l’applicazione della misura della custodia cautelare in carcere quando sussistono
gravi indizi di colpevolezza in ordine al delitto di cui all’art. 416-bis cod. pen., salva solo l’ipotesi in cui siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussiston esigenze cautelari, e non anche quella in cui siano acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure).
L’inammissibilità del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali e, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., della somma, che si stima equa, di euro 3.000, in favore della RAGIONE_SOCIALE, non ravvisandosi ragione alcuna d’esonero.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali e della somma di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1 -ter, disp. att. cod. proc. pen..
Così deciso in Roma, il 12.4.2024