Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 16488 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 16488 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 07/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a NAPOLI il 15/02/1995
.
avverso l’ordinanza del 21/10/2024 del TRIB. RAGIONE_SOCIALE‘ di NAPOLI
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni del PG NOME COGNOME che ha chiesto la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
PROCEDIMENTO A TRATTAZIONE SCRITTA.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale del riesame di Napoli ha confermato l’ordinanza del 02/09/2024 del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale della medesima città, che aveva adottato nei confronti di NOME COGNOME il provvedimento restrittivo della libertà personale di massimo rigore, successivamente sostituita con la misura degli arresti domiciliari, ritenendola gravemente indiziata dei reati di partecipazione ad associazione di stampo mafioso (capo 1) ed estorsione tentata e consumata, aggravate ex art. 416-bis.1,cod. pen. (capo 10).
Il Tribunale di Napoli, dopo un’ampia premessa in ordine alla esistenza ed attuale operatività dell’organizzazione di stampo camorristico denominata clan COGNOME NOME COGNOME, stanziata nel quartiere napoletano di Ponticelli e zone limitrofe, richiamando le sentenze definitive e le più recenti ordinanze restrittive emesse dal GIP del tribunale di Napoli, e concernenti l’esistenza e l’operatività, tra il 2017 ed il febbraio 2021, del clan COGNOME/COGNOME/COGNOME/COGNOME/COGNOME, rilevava come l’attuale operatività del clan COGNOME e la successiva ricomposizione del cartello COGNOME COGNOME avesse trovato conferma non solo nei provvedimenti giudiziari, ma anche nelle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia e nelle intercettazioni effettuate nell’ambito del presente procedimento.
A GLYPH NOME COGNOME, GLYPH era in particolare contestato di avere partecipato all’associazione di cui al capo 1), per avere collaborato con il padre NOME – il quale era in diretto contatto con i vertici dell’associazione – nello svolgimento di funzioni operative nei vari settori di operatività del gruppo, ed in particolare nel settore delle estorsioni e della gestione degli alloggi popolari e del servizio di pulizie dei palazzi e nel controllo dei territori; nonché di avere coadiuvato il padre nel compimento delle estorsioni, consumate e tentate, ai danni dei residenti degli stabili del parco Conocal di Ponticelli, finalizzate ad ottenere dalle stesse somme di denaro quale quote estorsive per l’imposizione del servizio di pulizie degli stabili (capo 10).
Il Tribunale ha condiviso la disamina effettuata dal GIP napoletano, rilevando la sussistenza, a carico dell’indagata, di gravi indizi di colpevolezza in ordine alle citate imputazioni, sulla base delle intercettazioni effettuate, specificatamente richiamate in seno all’impugnata ordinanza.
Ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME a mezzo degli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME deducendo tre motivi, che vengono di seguito riassunti entro i limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo, viene denunciata violazione, ex art. 606, comma 1, lett. b) e lett. e) cod. proc. pen., per erronea applicazione degli artt. 273 cod. proc. pen. e
416 bis cod. pen. in relazione alla ritenuta sussistenza della gravità indiziaria in capo a NOME COGNOME del ruolo di partecipe in relazione al delitto di cui al capo 1) della rubrica.
Si evidenzia, in primo luogo, come nessuno dei collaboratori di giustizia, alcuni intranei al sodalizio, abbiano parlato dell’indagata. La stessa ordinanza, poi, tratta in prevalenza della posizione del padre NOME COGNOME, riportando episodi (ad esempio quello riguardante NOME COGNOME) non coinvolgenti la posizione di NOME COGNOME, oppure episodi (l’aggressione ai danni di NOME COGNOME) che, oltre a collocarsi temporalmente in epoca antecedente alle condotte contestate, sono stati ritenuti privi di rilevanza penale, avendo il Tribunale del riesame annullato le ordinanze che riguardavano quell’episodio.
Le intercettazioni riportate dal Tribunale a sostegno della partecipazione all’associazione mafiosa da parte della COGNOME attengono a conversazioni intrattenute dalla donna con famigliari, di contenutotiaffatto chiaro; in particolare non è chiaro il riferimento ad un’arma né nella conversazione progr. 107 del 05/04/2021 né in quella progr. 389 del 11/04/2021.
La ricorrente analizza anche le ulteriori conversazioni riportate nell’impugnata ordinanza, osservando come dal tenore delle stesse non emergesse che tipo di apporto potesse aver dato NOME COGNOME al sodalizio, considerato che il contenuto delle telefonate è generico e senza alcun riferimento a condotte che possano agevolare il sodalizio o a circostanze che facciano desumere che la stessa fosse a conoscenza del programma criminoso e che vi avesse aderito con un apporto tangibile significativo. Si evidenzia anche come, essendo l’indagata figlia di NOME COGNOME e moglie di NOME COGNOME, i contatti con le famiglie COGNOME e COGNOME denotano solo una normale conoscenza familiare.
2.2. Con il secondo motivo, viene denunciata violazione, ex art. 606, comma 1, lett. b) e lett. e) cod. proc. pen. cod. proc. pen., per erronea applicazione degli artt. 273 cod. proc. pen. e 629 cod. pen. in relazione alla ritenuta sussistenza della gravità indiziaria in capo alla COGNOME del ruolo di partecipe in relazione al delitto di cui al capo 10) della rubrica.
Il coinvolgimento di NOME COGNOME nei fatti di cui al capo 10) dell’imputazione non è supportato da alcun riscontro diretto, anzi l’esame della piattaforma probatoria induce a valutazione opposta a quella dei Giudici della cautela, emergendo l’estraneità della donna,rai fatti così come contestati.
Innanzitutto il Tribunale ha riportato le dichiarazioni del collaboratore di giustizia 411(c NOME COGNOME il quale ha ricostruito il quadro inerent9e estorsioni nelle scale del quartiere Ponticelli, fornendo indicazioni sulle varie zone di competenza dei sodalizi sì , I I e successioni nella gestione e dei soggetti incaricati alla gestione per ogni cartello, e nello specifico analizzando l’area di competenza del gruppo COGNOME; ebbene mai
il predetto COGNOME menziona NOME COGNOME analogamente il collaboratore di giustizia COGNOME (neppure menzionato dal Tribunale del riesame) non ha mai riferito di alcuna condotta di NOME COGNOME o in merito ad un suo coinvolgimento.
L’unica conversazione da cui trarre elementi a carico dell’indagata sarebbe quella del 03/09/2021, nel corso della quale NOME COGNOME chiede a NOME COGNOME se stesse raccogliendo i soldi e quest’ultima rispondeva che mancava una decina di tt, persone che NOME ne aveva l’elenco. Osserva tuttavia la ricorrente come il mero riferimento al nome di battesimo NOME non è idoneo ad individuare con certezza il soggetto menzionato nella conversazione in NOME COGNOME. In ogni caso, dal tenore della conversazione non emergono elementi indizianti, potendosi solo desumere che la NOME menzionata avesse solo annotato quanto riferitole da NOME, che era appunto l’addetta alla riscossione ed alla rendicontazione.
2.3. Con il terzo motivo, viene denunciata violazione ex art. 606, comma 1, lett. b) cod. proc. pen.cod. proc. pen per erronea applicazione degli artt. 273 cod. proc. pen. e 416 -bis e 629 cod. pen., in ordine alla sussistenza di un ruolo partecipativo della COGNOME NOME al sodalizio criminoso di cui al capo 1) della rubrica e relativamente al capo 10), anche in ragione dell’annullamento del titolo cautelare in relazione alla Di NOME, soggetto la cui posizione è speculare a quella della ricorrente.
Si duole la difesa del fatto che gli stessi elementi ritenuti indizianti per NOME COGNOME siano stati valutati come insufficienti a ritenere la gravità indiziaria in capo alla madre NOME COGNOME.
Nella requisitoria scritta, il sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME conclude per l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile e sconta la sua natura fattuale e confutativa delle argomentazioni espresse nell’impugnata ordinanza, con la quale peraltro non si confronta compiutamente.
La disamina delle censure articolate deve essere compiuta seguendo il solco tracciato da diversi principi di diritto, così brevemente riassumibili.
In tema di misure cautelari personali, il giudizio di legittimità relativo alla verifica della sussistenza o meno dei gravi indizi di colpevolezza (ex art. 273 cod. proc. pen.), oltre che delle esigenze cautelari (ex art. 274 cod. proc. pen.), deve riscontrare – entro il perimetro circoscritto dalla devoluzione – la violazione di specifiche norme di legge o la mancanza o manifesta illogicità della motivazione, risultante dal testo del provvedimento impugnato. Essa, dunque, non può intervenire
nella ricostruzione dei fatti, né sostituire l’apprezzamento del giudice di merito circa l’attendibilità delle fonti e la rilevanza dei dati probatori, bensì deve dirigersi a controllare se il giudice di merito abbia dato adeguato conto delle ragioni che l’hanno convinto della sussistenza o meno della gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato e a verificare la congruenza della motivazione riguardante lo scrutinio degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che devono governare l’apprezzamento delle risultanze analizzate (si vedano, sull’argomento, Sez. U, n. 11 del 22/03/2000, Audino, Rv. 215828 – 01 e le successive, Sez. 2, n. 27866 del 17/06/2019, COGNOME, Rv. 276976 – 01; Sez. 4, n. 26992 del 29/05/2013, COGNOME, Rv. 255460 – 01).
In riferimento ai limiti del sindacato di legittimità in materia di misure cautelari personali, questa Corte è quindi priva di potere di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate e di rivalutazione degli apprezzamenti di merito, rientranti nel compito esclusivo del giudice che ha applicato la misura e del Tribunale del riesame. Il controllo di legittimità, quindi, è limitato all’esame del contenuto dell’atto impugnato e alla verifica delle ragioni giuridicamente significative che lo determinavano e dell’assenza d’illogicità evidente, ossia dell’adeguatezza e della congruenza del tessuto argomentativo riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie (tra le altre, Sez. 4, n. 26992 del 29/05/2013, COGNOME, Rv. 255460; Sez. 4, n. 22500 del 03/05/2007, Terranova, Rv. 237012; Sez. 2, n. 9532 del 22/01/2002, COGNOME, Rv. 221001; Sez. Un., n. 11 del 22/03/2000 , Audino, Rv. 215828 ), senza che possa integrare vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa e, per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze delle indagini (cfr. Sez. 1, n. 6972 del 07/12/1999, COGNOME, Rv. 215331; Sez. 1, n. 1496 dell’11/03/1998, COGNOME, Rv. 211027; Sez. Un., n. 19 del 25/10/1994, COGNOME, Rv. 199391).
Giova sul punto richiamare anche il dictum di Sez. 2, n. 31553 del 17/05/2017, COGNOME, Rv. 270628, secondo cui: «In tema di misure cautelari personali, il ricorso per cassazione che deduca insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, o assenza delle esigenze cautelari, è ammissibile solo se denuncia la violazione di specifiche norme di legge o la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento, ma non anche quando propone censure che riguardano la ricostruzione dei fatti, o che si risolvono in una diversa valutazione degli elementi esaminati dal giudice di merito».
In termini generali, deve anche ribadirsi che ai fini dell’adozione di una misura cautelare personale è sufficiente qualunque elemento probatorio idoneo a fondare un giudizio di qualificata probabilità sulla responsabilità dell’indagato in ordine ai reati addebitatigli, perché i necessari “gravi indizi di colpevolezza” non
corrispondono agli “indizi” intesi quale elemento di prova idoneo a fondare un motivato giudizio finale di colpevolezza e non devono, pertanto, essere valutati secondo gli stessi criteri richiesti, per il giudizio di merito, dall’art. 192, comma 2, cod. proc. pen. – che, oltre alla gravità, richiede la precisione e la concordanza degli indizi – giacché il comma 1-bis dell’art. 273 cod. proc. pen. richiama espressamente i soli commi 3 e 4, ma non il comma 2 del suddetto art. 192 cod. proc. pen. (Sez. 4, n. 27498 del 23/5/2019, COGNOME, Rv. 276704; Sez. 1, n. 43258 del 22/05/2018, COGNOME, Rv. 275805; Sez. 2, n. 22968 del 08/03/2017, COGNOME, Rv. 270172).
Applicando i principi generali al caso in esame, va rilevato che, nella concreta fattispecie sottoposta al vaglio della Corte, l’ordinanza esaminat risulta avere adeguatamente sviscerato tutti gli elementi indiziari gravanti su NOME COGNOME, averli ricondotti ad unità concettuale in coerenza con la loro concordanza e adottando una motivazione del tutto logica – avere ritenuto sussistenti i gravi indizi di colpevolezza a carico della ricorrente.
3.1. Con specifico riferimento alla ritenuta sussistenza di un grave quadro indiziario a carico dell’indagata con riferimento al capo 10), il Tribunale napoletano ha valorizzato le seguenti conversazioni oggetto di captazione:
-nn. 24 e 29 del 01/09/2021, da cui emergeva che NOME COGNOME si era rivolta a NOME COGNOME, cercando di contattarlo per il tramite della figlia NOMECOGNOME per essere tutelata da un’altra richiesta estorsiva -avente diversa provenienza- che si aggiungeva a quella che ella già versava al COGNOME;
n. 203 del 03/09/2021, nel corso della quale NOME COGNOME alla domanda formulatale da NOME COGNOME se avesse riscosso dagli abitanti del Conocal le quote per il servizio di polizia degli edifici, rispondeva di non aver prelevato tutto il denaro in quanto c’erano una decina di persone che non avevano ancora pagato i cui nominativi erano stati annotati dalla figlia NOME; nel proseguio la COGNOME rassicurava COGNOME che in giornata lo avrebbe raggiunto per consegnargli le quote che doveva ancora ritirare;
n. 1116 del 14/09/2021 (pag. 16), nel corso della quale NOME COGNOME e la madre NOME COGNOME discutevano proprio in merito alla «raccolta dei soldi delle scale».
Riteneva conclusivamente il Tribunale che le intercettazioni avessero dimostrato l’imposizione da parte di NOME COGNOME del servizio di pulizia negli stabili del rione Conocal, per conto del clan COGNOME COGNOME, e che in tale operazione fosse coinvolta la figlia NOME, con il compito di riscossione dei proventi connessi al servizio di pulizia.
3.2. Con riferimento alla partecipazione nell’associazione camorristica di cui al capo 1), la gravità indiziaria a carico dell’indagata è stata desunta dai Giudici della cautela, oltre che in forza del coinvolgimento di NOME COGNOME nella riscossione dei proventi estorsivi connessi al servizio di pulizia delle scale del rione Conocal, di cui è detto, anche alla luce di ulteriori elementi, sempre evinti dal contenuto di alcune conversazioni intercettate. Si è in particolare evidenziato come dalla conversazione n. 379 del 01/07/2021 fosse emerso che NOME COGNOME si adoperava come intermediaria del padre in affari criminali con i COGNOME.
Ed ancora, il Tribunale richiamava alcune conversazioni (n. 107 de 105/04/2021 e 389 del 11/04/2021) dalle quali emergeva che la COGNOME in alcune occasioni aveva fatto da tramite tra i COGNOME ed il padre per il recupero delle armi da parte dei primi.
Il ricorso è basato su una lettura alternativa dei dati processuali, per cui si risolve nella richiesta di nuovo apprezzamento in fatto, dunque di un tipo di sindacato non consentito in sede di legittimità.
In particolare, quanto al denunciato travisamento delle prove con specifico riferimento al significato ascritto dai Giudici al contenuto delle citate conversazioni, va ricordato che in sede di legittimità è possibile prospettare una interpretazione del significato di una intercettazione diversa da quella proposta dal giudice di merito soltanto in presenza di un travisamento della prova, ovvero nel caso in cui il giudice di merito ne abbia indicato il contenuto in modo difforme da quello reale e sempre che la difformità risulti decisiva e incontestabile (Sez. 2, n. 38915 del 17/10/2007, COGNOME, Rv. 237994 – 01; Sez. 6, n. 11189 del 8/03/2012, COGNOME, Rv. 252190 – 01; Sez. 5, n. 7465 del 28/11/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 259516 – 01; Sez. 3, n. 6722 del 21/11/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 272558 – 01).
Ebbene, nel caso che ci occupa, la Difesa offre un diverso significato del contenuto delle intercettazioni, stimolando la Corte a compiere una operazione che, come già detto, è preclusa in questa sede.
Quanto alla mancata menzione di NOME COGNOME da parte dei collaboratori di giustizia (in particolare di COGNOME e COGNOME, i quali hanno riferito in ordine alle attività di estorsione perpetrata con riferimento alle scale condominiali del quartiere Conocal), il Tribunale ne ha evidenziato l’irrilevanza, atteso che «il suo concorso nell’illecita attività esercitata dal padre sui condomini del rione Conocal risulta dalle intercettazioni, le quali hanno svelato che l’indagata esercitava il controllo sul territorio non solo incassando parte delle quote, ma anche accertando i condomini inadempienti e annotandone i nomi per poi comunicarli al padre» (pag. 25).
3.3. È infine manifestamente infondato l’ultimo motivo di ricorso con il quale si lamenta la diversità di trattamento riservata alla madre dell’indagata, NOME COGNOME che, secondo la difesa, avrebbe avuto una posizione del tutto assimilabile a
quella della figlia e nei riguardi della quale è stata ritenuta insussistente la gravità
indiziaria.
Con detto motivo si chiede a questa Corte di effettuare una valutazione che non può che esserle preclusa, dal momento che, con il ricorso, si è demandato unicamente
di valutare la posizione di NOME COGNOME ed essendo estraneo al perimetro valutativo della Corte di legittimità di operare analisi comparativa con la posizione di
altri indagati.
4. Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186 della Corte
costituzionale e rilevato che – nella fattispecie – non ricorrono elementi che possano indurre a ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella
determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria di inammissibilità non può che conseguire, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna della ricorrente
al pagamento delle spese del procedimento, oltre che al versamento – in favore della
Cassa delle ammende – di una somma che si stima equo fissare in euro tremila.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 07/02/2025