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Partecipazione associazione mafiosa: la Cassazione

Una donna accusata di partecipazione associazione mafiosa ed estorsione ha presentato ricorso contro un’ordinanza di custodia cautelare. La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando che le intercettazioni telefoniche possono costituire gravi indizi di colpevolezza sufficienti per una misura cautelare, anche in assenza di dichiarazioni di collaboratori di giustizia. La sentenza ribadisce che il ruolo della Cassazione non è quello di rivalutare i fatti, ma di verificare la legittimità e la logicità della motivazione del provvedimento impugnato.

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Pubblicato il 22 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Partecipazione associazione mafiosa: quando le intercettazioni bastano

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 16488/2025, ha affrontato un caso delicato di partecipazione associazione mafiosa, chiarendo il valore probatorio delle intercettazioni ai fini dell’applicazione di una misura cautelare. La decisione sottolinea come, in fase cautelare, gli elementi raccolti dalle captazioni possano costituire gravi indizi di colpevolezza, anche senza il conforto delle dichiarazioni di collaboratori di giustizia.

I fatti di causa

Il caso riguarda una donna, destinataria di una misura cautelare prima in carcere e poi ai domiciliari, accusata di due gravi reati: partecipazione a un’associazione di stampo camorristico e concorso in estorsione aggravata dal metodo mafioso. Secondo l’accusa, la donna avrebbe attivamente collaborato con il padre, figura di spicco del clan, in diverse attività illecite. In particolare, le veniva contestato di aver partecipato alla riscossione di somme di denaro imposte ai residenti di un complesso residenziale a titolo di ‘servizio di pulizia’, un classico schema estorsivo. Inoltre, avrebbe agito come intermediaria per il padre in altre vicende criminali, inclusa la gestione di armi.

I motivi del ricorso in Cassazione

La difesa dell’indagata ha presentato ricorso alla Corte Suprema basandosi su tre motivi principali:
1. Insufficienza degli indizi per l’associazione mafiosa: Si sosteneva che nessun collaboratore di giustizia avesse mai menzionato il suo coinvolgimento e che le intercettazioni di conversazioni familiari fossero generiche e non dimostrative di un contributo concreto e consapevole al sodalizio criminale.
2. Estraneità al reato di estorsione: La difesa ha argomentato la mancanza di prove dirette del suo coinvolgimento nella raccolta del denaro, suggerendo che il semplice riferimento al suo nome di battesimo in una conversazione non fosse sufficiente a identificarla con certezza.
3. Disparità di trattamento: È stata lamentata una presunta incoerenza nella valutazione degli elementi probatori, che erano stati ritenuti insufficienti per una misura cautelare nei confronti della madre dell’indagata, la cui posizione era considerata analoga.

La valutazione della Corte sulla partecipazione associazione mafiosa

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendolo un tentativo di ottenere una nuova valutazione dei fatti, compito che non rientra nelle sue prerogative. La Corte ha il potere di controllare la violazione di legge e la manifesta illogicità della motivazione, non di riesaminare le prove. Questo principio è fondamentale per comprendere i limiti del giudizio di legittimità.

Le motivazioni

La Suprema Corte ha articolato la sua decisione su alcuni punti cardine della procedura penale in materia di misure cautelari.

In primo luogo, ha ribadito la distinzione tra i ‘gravi indizi di colpevolezza’ richiesti dall’art. 273 c.p.p. per una misura cautelare e le ‘prove’ necessarie per una sentenza di condanna definitiva, che devono essere gravi, precise e concordanti secondo l’art. 192 c.p.p. Per la fase cautelare, è sufficiente un giudizio di qualificata probabilità sulla responsabilità dell’indagato.

Nel merito, la Corte ha ritenuto logica e corretta la valutazione del Tribunale del Riesame. Le intercettazioni, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa, sono state considerate significative. Da esse emergeva che l’indagata:
* Era il tramite attraverso cui una vittima di estorsione cercava protezione dal padre.
* Gestiva l’elenco dei residenti morosi nel pagamento delle quote estorsive.
* Discuteva con la madre della ‘raccolta dei soldi delle scale’.
* Agiva da intermediaria per il padre in affari criminali con altri membri del clan, anche per il recupero di armi.

Questi elementi, nel loro complesso, sono stati giudicati sufficienti a delineare un quadro di grave indizialità sia per il reato di estorsione sia per la partecipazione associazione mafiosa. L’assenza di menzioni da parte dei collaboratori di giustizia è stata considerata irrilevante di fronte a prove dirette come le intercettazioni, che dimostravano un ruolo attivo nel controllo del territorio.

Le conclusioni

La sentenza in esame consolida un principio giurisprudenziale di notevole importanza: ai fini dell’adozione di una misura cautelare per reati gravi come la partecipazione ad associazione mafiosa, le risultanze delle intercettazioni possono essere pienamente sufficienti a configurare i gravi indizi di colpevolezza. Non è indispensabile che tali elementi siano confermati da altre fonti di prova, come le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, soprattutto quando il contenuto delle conversazioni captate è chiaro nel delineare il ruolo e il contributo dell’indagato alle attività del sodalizio criminale. La decisione ribadisce, infine, la natura del giudizio di Cassazione come controllo di legittimità e non come un terzo grado di merito.

Le intercettazioni da sole bastano per una misura cautelare per partecipazione ad associazione mafiosa?
Sì, secondo la sentenza, le risultanze delle intercettazioni possono costituire gravi indizi di colpevolezza sufficienti per l’applicazione di una misura cautelare, anche in assenza di dichiarazioni di collaboratori di giustizia, se dal loro contenuto emerge un quadro probatorio significativo a carico dell’indagato.

Qual è la differenza tra gli indizi necessari per una misura cautelare e le prove per una condanna?
Per una misura cautelare sono richiesti ‘gravi indizi di colpevolezza’, che si basano su un giudizio di alta probabilità della commissione del reato. Per una condanna definitiva, invece, sono necessarie prove che soddisfino i criteri di gravità, precisione e concordanza, raggiungendo un livello di certezza ‘al di là di ogni ragionevole dubbio’.

Il ricorso in Cassazione può servire a riesaminare le prove e i fatti del processo?
No, il ricorso per cassazione non è un terzo grado di giudizio nel merito. La Corte di Cassazione non può riesaminare i fatti o rivalutare le prove, ma ha il compito di verificare che i giudici dei gradi precedenti abbiano applicato correttamente la legge e abbiano fornito una motivazione logica e non contraddittoria.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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