Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 143 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 143 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 19/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nata a NAPOLI il 16/03/1991
avverso l’ordinanza del 23/07/2024 del TRIB. DEL RIESAME di Napoli Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME Udite le conclusioni del Sost Procuratore generale, NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso; udite le conclusioni dell’Avv. NOME COGNOME in sost. Dell’Avv. NOME COGNOME per la ricorrente, che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
L’ordinanza impugnata è stata emessa il 23 luglio 2024 dal Tribunale del riesame di Napoli, che ha respinto l’istanza di riesame presentata nell’interesse di NOME COGNOME avverso l’ordinanza con la quale il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli le aveva applicato la misura cautelare della custodia in carcere, riconoscendola gravemente indiziata dei reati di cui:
all’art. 416-bis, cod. pen., quale partecipe del clan COGNOME, capeggiato da NOME COGNOME e dal padre dell’indagata, NOME COGNOME;
all’art. 377-bis cod. pen. i aggravato dall’agevolazione mafiosa, per avere indotto il cognato NOME COGNOME ad interrompere la collaborazione con la giustizia;
all’art. 648-bis cod. pen. i per avere contribuito all’occultamento della provenienza delittuosa di somme provenienti dal delitto di truffa.
L’indagata ha presentato ricorso a mezzo del proprio difensore di fiducia, che ha formulato due motivi.
2.1. Il primo motivo di ricorso denunzia violazione di legge e vizio di motivazione circa il giudizio di gravità indiziaria relativo al reato associativo, che andrebbe riqualificato in quello di ricettazione, in quanto la COGNOME si era occupata solo del sostentamento dei familiari perché l’unica rimasta libera – e giammai aveva gestito le risorse dell’intero clan né l’ordinanza impugnata avrebbe chiarito come il suo apporto economico ai familiari avesse giovato all’associazione nel suo complesso. La ricorrente sottolinea altresì che le indagini avevano accertato che, nel medesimo periodo in cui ella avrebbe retto le sorti economiche della cosca, era stato identificato altro soggetto (NOME COGNOME) che si occupava di distribuire gli introiti delle attività delittuose del sodalizio. Nel ricorso si altresì che l’affermazione secondo cui era stata la COGNOME a negare il mensile alla moglie del fratello sarebbe errata, in quanto la scelta era stata di NOME COGNOME. NOME COGNOME – prosegue il ricorso non era stata mai attinta da provvedimenti giudiziari né era stata mai indicata dai collaboratori di giustizia come cassiera del clan.
Il ricorso passa, quindi, a contestare la rilevanza indiziaria delle dichiarazioni di NOME COGNOME, soggetto non intraneo alla cosca e dal cui narrato emergerebbe che il denaro detenuto dall’indagata era del padre, che il clan era retto da NOME COGNOME e NOME COGNOME e che NOME COGNOME non conosceva il luogo dove sarebbe custodito il tesoretto che impropriamente – assume la ricorrente – era stato ritenuto ricomprendere soldi della compagine, soldi che in realtà appartenevano alle famiglie COGNOME, COGNOME e COGNOME a seguito della perquisizione del 12 giugno, il nome di NOME COGNOME non era emerso come inserito tra i soggetti beneficiari del denaro.
Il Tribunale -si legge altresì nel ricorso -avrebbe sottovalutato il fatto che NOME COGNOME non era vicino né al clan né a NOME COGNOME, donde non si comprenderebbe come egli avesse appresso le notizie riferite.
2.2. Il secondo motivo di ricorso lamenta vizio di motivazione e violazione di legge quanto allo scrutinio circa la gravità indiziaria per il reato di cui all’ 377-bis cod. pen. ai danni di NOME COGNOME e contesta il significato indiziario attribuito alla lettera inviata da quest’ultimo dal carcere il 24 maggio 2022, da
cui non si evincerebbe il ruolo della ricorrente nella subornazione, ruolo che neanche si trarrebbe dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia NOME COGNOME né dalla relazione di servizio della Polizia penitenziaria o dalle intercettazioni.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso di NOME COGNOME è fondato nei limiti di seguito precisati.
E’ fondato, in particolare, il primo motivo di ricorso, che concerne il vaglio del Tribunale del riesame circa la gravità indiziaria in ordine al reato di partecipazione della COGNOME all’associazione camorristica capeggiata dal padre, allo stato detenuto.
1.1. A questo riguardo non è superfluo ricordare che la partecipazione associativa ex art. 416 -bis cod. pen. deve essere ancorata a dati di fatto, come precisato da Sez. U, n. 36958 del 27/05/2021, COGNOME, Rv. 281889 – 01, secondo cui la condotta di partecipazione ad associazione di tipo mafioso si caratterizza per lo stabile inserimento dell’agente nella struttura organizzativa dell’associazione, idoneo, per le specifiche caratteristiche del caso concreto, ad attestare la sua ‘messa a disposizione’ in favore del sodalizio per il perseguimento dei comuni fini criminosi. Deve trattarsi, come si legge in motivazione, di elementi fattuali che testimonino la «prestazione di un contributo di qualsivoglia genere, purché non occasionale e, in ogni caso, apprezzabile sotto il profilo della rilevanza causale, con riferimento all’esistenza o al rafforzamento dell’associazione». I principi affermati nella sentenza RAGIONE_SOCIALE si pongono nel solco tracciato da Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, COGNOME Rv. 231670 – 01, che aveva sostenuto che «va considerato partecipe dell’organizzazione criminale l’affiliato che “prende parte” attiva al fenomeno associativo» e che dia luogo ad «un’attivazione fattiva a favore della consorteria che attribuisca dinamicità, concretezza e riconoscibilità alla condotta che si sostanzia nel “prendere parte”» fornendo un «contributo, anche in forme atipiche, ma effettivo, concreto e visibile reso dal partecipe alla vita dell’organizzazione criminosa: tale contributo, che può assumere carattere sia materiale che morale, ben potrà essere ricostruito anche In via indiziarla» valutando «un qualsivoglia “apporto concreto”, sia pur minimo, ma in ogni caso riconoscibile, alla vita dell’associazione, tale da far ritenere avvenuto il dato dell’inserimento attivo con carattere di stabilità e consapevolezza oggettiva».
1.2. Riguardata la posizione di NOME COGNOME secondo le coordinate ermeneutiche appena ricordate, il Collegio deve prendere atto che le censure del ricorso colgono nel segno.
Innanzitutto, le critiche difensive appaiono fondate laddove pongono in rilievo che il principale dato esaltato dal Tribunale del riesame a comprova della partecipazione al clan della ricorrente – costituito dal suo ruolo di gestore e dispensatore delle somme necessarie al sostentamento dei familiari, liberi e detenuti – è in realtà equivoco, sì da minare la tenuta logica del costrutto del Collegio della cautela che ha fondato, su questo aspetto, larga parte della propria motivazione.
Quella che emerge dalla rassegna degli elementi indiziari che si deve al provvedimento impugnato è, infatti, l’immagine di un soggetto che distribuisce denari per il sostentamento dei parenti detenuti e liberi, per le loro spese mediche e per quelle legali (anche con un certo grado di autonomia rispetto alle indicazioni paterne); ciò non di meno appare un salto logico ritenere che da ciò possa ricavarsi la dimostrazione, benché in termini di gravità indiziaria, del ruolo che per la ricorrente è stato tratteggiato nei provvedimenti de libertate, vale a dire quello di cassiera del clan. E tale conclusione non cambia riguardando un altro argomento a carico valorizzato nel provvedimento impugnato, vale a dire quello secondo cui la provvista per la distribuzione dei denari ai familiari affidata a NOME COGNOME era alimentata con somme provenienti dalle attività dell’associazione camorristica, giacché questo dato, senza che ad esso si accompagni la dimostrazione di un ruolo concreto della ricorrente all’interno della compagine, funzionale alle esigenze di quest’ultima, non può essere posto a base di un giudizio di gravità indiziaria ex art. 416-bis cod. pen. Non conforta la tenuta dell’ordinanza impugnata neanche il richiamo alle accuse che NOME COGNOME ha mosso alla cognata durante il suo breve periodo di collaborazione con la giustizia, giacché questi ha accennato al ruolo di erogatrice del denaro ai componenti della famiglia di cui già si è detto e al dato, altrettanto non dirimente, della provenienza delle somme dal sistema (la confederazione tra NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME). Né fornisce consistenza logica all’ordinanza avversata l’accenno alle confidenze che NOME COGNOME aveva fatto al cognato circa le sue conoscenze sul “tesoro”, che non si comprende se appartenesse alla confederazione o al solo COGNOME, ma di cui comunque la donna non conosceva neanche l’ubicazione, dato che stride con il ruolo che le viene attribuito. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Per il resto gli ulteriori elementi a carico che sono valorizzati nell’ordinanza impugnata non contribuiscono a sostanziarne la tenuta e a colmare il salto logico-argomentativo che si coglie tra la dimostrata gestione economica
intrafamiliare di NOME COGNOME e la conseguenza che se ne fa discendere in termini di appartenenza associativa.
Il riferimento è al passaggio di pag. 6 del provvedimento impugnato circa il sequestro dei sessantasei foglietti manoscritti trovati nella perquisizione domiciliare di NOME COGNOME e le annotazioni ivi presenti, che, per come il risultato investigativo è illustrato nel provvedimento avversato, non sembrano chiamare in causa la ricorrente, ma solo COGNOME padre e COGNOME figlio.
Neanche pare connettersi al tema della partecipazione alla cosca la questione del garage e dei cavalli ancorché apparentemente intestati a terzi ma in realtà dei COGNOME e la cui gestione faceva comunque capo alla ricorrente, giacché manca l’illustrazione delle ragioni per cui il ruolo svolto da NOME COGNOME in questi campi abbia implicazioni sul giudizio di gravità indiziaria ex art. 416-bis cod. pen.
Resta il dato dell’attivismo della COGNOME nel dissuadere il cognato NOME COGNOME dal proseguire la collaborazione con la giustizia (attivismo che ha dato luogo all’imputazione ex art. 377-bis cod. pen.), ma anche tale ruolo si presta ad un’interpretazione non univoca circa la funzionalizzazione della condotta agli interessi dell’aggregato camorristico piuttosto che a quelli della famiglia in senso stretto, laddove le accuse del congiunto neopentito avrebbero potuto compromettere la posizione degli altri familiari.
In definitiva manca, nel provvedimento impugnato, una costruzione organica che, sulla base di dati di fatto, superi l’ambivalenza della collocazione familiare della COGNOME e del contributo che ella presta nei confronti dei membri della sua famiglia, anche di quelli decisamente implicati nelle vicende associative, sgomberando il campo dall’idea che l’attività svolta, quand’anche utilizzando i denari del sistema (da cui potrebbero derivare altre ipotesi di reato), sia funzionale non già agli interessi del clan, ma solo a quelli dei membri della sua famiglia.
1.3. Si è appena accennato all’ambivalenza della posizione familiare di NOME COGNOME.
A questo riguardo, il Collegio non ignora che diversi arresti di questa Corte hanno attribuito valore indiziante più o meno intenso di partecipazione associativa alla collocazione familiare dell’indagato, quando sia accertato che il sodalizio – sia comune che mafioso – sia gestito, appunto, su base familiare (Sez. 2, n. 2159 del 24/11/2023, dep. 2024, Casannonica, Rv. 285908 – 03; Sez. 3, n. 48568 del 25/02/2016, COGNOME, Rv. 268184 – 01; Sez. 2, n. 49007 del 16/09/2014, lussi e altri, Rv. 261426 – 01; Sez. 2, n. 19177 del 15/03/2013, Vallelonga, Rv. 255828 – 01). Si tratta, tuttavia, di un dato che va valutato con estrema cautela, al fine di escludere che quella medesima vicinanza familiare sia
fonte di una comunanza di interessi economici e anche solidaristici, che prescindono dalla volontà di partecipare al sodalizio e di contribuire alla sua esistenza e operatività. In questa direzione sembra collocarsi il precedente evocato nel ricorso, Sez. 6, n. 7491 del 2021, che ha svalutato il ruolo svolto dall’allora ricorrente – analogo a quella della COGNOME, di distribuzione del profitt illeciti tra i congiunti – quale indicatore di appartenenza associativa.
In conclusione, l’ordinanza impugnata va, in parte qua, annullata al fine di consentire al Tribunale del riesame di vagliare nuovamente l’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari quanto al tema dell’appartenenza associativa di NOME COGNOME tenendo presenti i riferimenti esegetici sopra accennati ed evitando di incorrere nei vizi motivazionali che il Collegio ha rilevato, ma con pieni poteri di cognizione e senza la necessità di soffermarsi sui soli punti oggetto della pronunzia rescindente (Sez. 5, n. 33847 del 19/04/2018, COGNOME e altri, Rv. 273628; Sez. 5, n. 34016 del 22/06/2010, COGNOME, Rv. 248413).
Diversa sorte deve avere il secondo motivo di ricorso – che lamenta vizio di motivazione e violazione di legge quanto allo scrutinio circa la gravità indiziaria per il reato di cui all’art. 377-bis cod. pen. ai danni di NOME COGNOME in quanto esso si compone di poche frasi ed è del tutto versato in fatto, sostanziandosi in una generica e sbrigativa contestazione della rilevanza indiziaria degli elementi valorizzati dal Tribunale del riesame; contestazione che tuttavia non da conto delle ragioni per cui la composizione ragionata degli elementi raccolti nelle indagini (le missive di COGNOME e quella in particolare in cui parlava delle minacce di NOME COGNOME e del marito, le dichiarazioni del collaboratore di giustizia COGNOME e la relazione del personale della polizia penitenziaria circa l’avvicinamento di COGNOME in carcere) non potesse costituire la base necessaria e sufficiente per ritenere che vi fosse stata una complessiva attività di coartazione di cui si era macchiata anche NOME COGNOME, attività che aveva poi ottenuto lo scopo di dissuadere COGNOME dal protrarre il suo percorso collaborativo.
Giacché dal presente provvedimento non discende la rimessione in libertà della detenuta, si dispone che la Cancelleria effettui gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Annulla l’ordinanza impugnata nei confronti di COGNOME COGNOME limitatamente all’imputazione provvisoria di partecipazione ad associazione mafiosa e rinvia per
nuovo giudizio al Tribunale di Napoli – sezione riesame. Rigetta nel resto il ricorso. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma Iter, disp. att. cod. proc. pen. Così è deciso, 19/11/2024
Il Consigliere estensore
NOME COGNOME
Il Presidente
NOME COGNOME()
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1 –
CORTE DI CASSAZIONE V SEZIONE PENALE