Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 8420 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 8420 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 14/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOME nata a Napoli il 12/05/1969;
avverso la ordinanza del Tribunale di Napoli, in funzione di giudice del riesame, del 22/10/2024;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
letta requisitoria scritta, ai sensi dell’art. 611, comma 1, cod. proc. pen., del Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per la inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la ordinanza in epigrafe il Tribunale di Napoli, decidendo sulla richiesta di riesame ex art. 309 cod. proc. pen. proposta nell’interesse di NOME COGNOME ha confermato il provvedimento del Giudice per le indagini preliminari del medesimo Tribunale in data 2 settembre 2024 con il quale, tra l’altro, era stata disposta la misura cautelare della custodia cautelare in carcere nei confronti della predetta, in quanto gravemente indiziata del delitto di cui all’art. 416-bis, commi primo, secondo, terzo, quarto, quinto e sesto cod. pen., oggetto del capo 1) della imputazione provvisoria.
1.1. In particolare, l’ordinanza genetica aveva ritenuto sussistenti gravi indizi di colpevolezza in ordine alla partecipazione dell’indagata (assieme al marito NOME COGNOME ed al figlio NOME COGNOME) ad una associazione di stampo mafioso, denominata ‘clan COGNOMECOGNOME‘ operante prevalentemente sul territorio di Ponticelli e zone limitrofe, avvalendosi della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento ed omertà che ne deriva per la realizzazione dei seguenti scopi: – affermazione del controllo egemonico sul territorio di Ponticelli, realizzato attraverso azioni di fuoco nei confronti di clan avversari e, in particolare, degli appartenenti al ‘cartello NOME COGNOME/Casella/Aprea’, nonché attraverso l’eliminazione fisica di coloro che si oppongono a tale egemonia; controllo delle piazze di spaccio sui territori di Ponticelli e zone limitrofe; soppressione o, comunque, sistematica intimidazione dei soggetti che a quel controllo si contrappongono e la repressione violenta dei contrasti interni; assicurare impunità agli affiliati, attraverso una capillare e diffusa rete di appoggi e connivenze, finalizzate a prevenire interventi delle forze di polizia e a garantire la latitanza degli esponenti colpiti da provvedimenti giudiziari di cattura; conseguire ulteriori profitti e vantaggi ingiusti, attraverso attività delittuose qual estorsioni, rapine, danneggiamenti, minacce sistematicamente esercitate ai danni di imprenditori pubblici e privati, commercianti, liberi professionisti e comuni cittadini, violazioni in materia di armi e di sostanze stupefacenti. In Napoli dal mese di settembre 2020. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
1.2. Il Tribunale di Napoli COGNOME ha ritenuto infondata la richiesta di riesame proposta dalla indagata, in considerazione dei gravi indizi di colpevolezza esistenti
a suo carico desunti dalle dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia e dalle varie intercettazioni ambientali e telefoniche, che avevano confermato la partecipazione della COGNOME al clan capeggiato dal marito e dai figli, poiché attivamente coinvolta nelle dinamiche del sodalizio affiancando i predetti famigliari nella direzione dello stesso e nella gestione delle varie attività illecit svolte nell’ambito territoriale di riferimento.
Quanto poi alle esigenze di natura cautelare, il giudice del riesame cautelare ha osservato che nel caso in esame vige la c.d. ‘doppia presunzione’ e che dette esigenze trovano fondamento nell’attività di aiuto svolta dall’indagata in favore dei marito e dei figli e nel fatto che la stessa era stata già condannata, con sentenza irrevocabile, per la detenzione di un’arma con l’aggravante di cui all’art.416-bis.1. cod. pen.
Avverso la predetta ordinanza NOME COGNOME per mezzo dell’avv. NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo, di seguito riprodotto nei limiti di cui all’art. 173 disp. att. cod. proc. pen., insistendo per suo annullamento.
La ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., la violazione dell’art. 416-bis cod. pen. ed il vizio di motivazione sostenendo che il Tribunale di Napoli non ha fornito una chiara spiegazione delle ragioni per le quali ha confermato l’ordinanza genetica, non sussistendo alcun elemento idoneo a sostenere l’esistenza di gravi indizi di colpevolezza a suo carico per il delitto di cui al capo 1) della imputazione provvisoria.
In particolare, l’indagata evidenzia che l’ordinanza impugnata richiama alcune conversazioni intercorse tra lei, il marito ed il figlio NOME, nelle quali s farebbe riferimento criptico ad alcune armi ottenute dal figlio (indicate dagli indagati come ‘macchine’) senza, però, indicare concreti elementi indiziari circa la sua partecipazione all’associazione di stampo mafioso sub 1). Pertanto, il Tribunale avrebbe fondato la conferma dell’ordinanza genetica su elementi privi di qualsiasi valore, valutando in modo del tutto superficiale ed incompleto il materiale indiziario omettendo, altresì, di motivare adeguatamente sul punto.
Il procedimento si è svolto in modalità cartolare non essendo pervenuta, nei termini di legge, richiesta di trattazione in camera di consiglio ai sensi dell’art. 127 del codice di rito.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso (che non investe il profilo delle esigenze cautelari) è manifestamente infondato e, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile.
Anzitutto deve ricordarsi che la verifica che viene compiuta in questa sede non riguarda la ricostruzione dei fatti, né può comportare la sostituzione dell’apprezzamento del giudice di merito circa l’attendibilità delle fonti e la rilevanza dei dati probatori, dovendosi dirigere verso il controllo che il giudice di merito abbia dato adeguato conto delle ragioni che l’hanno convinto della sussistenza o meno della gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato e a verificare la congruenza della motivazione riguardante lo scrutinio degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che devono governare l’apprezzamento delle risultanze analizzate (Sez. U, n. 11 del 22/03/2000, Audino, Rv. 215828 – 01), nel provvedimento genetico, purché le deduzioni difensive non siano potenzialmente tali da disarticolare il ragionamento probatorio proposto nell’ordinanza applicativa della misura cautelare, non potendo in tal caso la motivazione ‘per relationem’ fornire una risposta implicita alle censure formulate.
2.1. Inoltre, al fine dell’adozione della misura cautelare, è sufficiente l’emersione di qualunque elemento probatorio idoneo a fondare “un giudizio di qualificata probabilità” sulla responsabilità dell’indagato» in ordine ai reati addebitati; in altri termini, in sede cautelare gli indizi non devono essere valutati secondo gli stessi criteri richiesti, per il giudizio di merito, dall’art. 192, comma 2, cod. proc. pen.
2.2. Non va poi dimenticato che ai fini della configurabilità dei gravi indizi di colpevolezza necessari per l’applicazione di misure cautelari personali, è illegittima una valutazione frazionata ed atomistica dei singoli dati acquisiti, dovendo invece seguire, alla verifica della gravità e precisione dei singoli elementi indiziari, il loro esame globale ed unitario, che ne chiarisca l’effettiva portata dimostrativa del fatto e la congruenza rispetto al tema di indagine (Sez. 1, n.30415 del 25/09/2020, Rv. 279789 – 01).
3.1. Avuto riguardo ai limiti cognitivi oggettivamente riconnessi alla specifica valenza ‘rebus sic stantibus’ della verifica svolta in sede cautelare, deve altresì rilevarsi come il Tribunale del riesame abbia proceduto ad individuare ulteriori riscontri indiziari, circa la partecipazione della ricorrente all’associazione, nella organizzazione di incontri dei sodali presso la sua abitazione, nel suo coinvolgimento nell’attività di riscossione dei proventi delle estorsioni perpetrate
dal figlio NOME (al quale portava anche i messaggi dell’altro figlio NOME, all’epoca detenuto) e negli atti persecutori compiuti (assieme al marito ed al figlio NOME) in danno di NOME COGNOME, mediante la quotidiana sottrazione forzata alla madre della bimba, nata dalla relazione tra NOME COGNOME e la COGNOME.
3.2 In definitiva, a fronte di un congruo ed esaustivo apprezzamento delle emergenze procedimentali, esposto attraverso un insieme di sequenze motivazionali chiare e prive di vizi logici, la ricorrente si è limitata in modo del tutto generico a contestare la valenza dei sopra indicati elementi indiziari, senza però confrontarsi con il coerente ragionamento logico e giuridico svolto dal giudice a quo per confermare la ordinanza genetica. In sostanza, l’indagata contrappone una lettura alternativa delle risultanze investigative, facendo leva sul diverso apprezzamento di profili di merito già puntualmente vagliati in sede di riesame cautelare, e la cui rivisitazione, evidentemente, non è ammissibile in questa sede.
In conclusione deve essere dichiarata l’inamnnissibilità del ricorso, con conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti a escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento della somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende; la cancelleria curerà gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso in Roma, il 14 febbraio 2025.