Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 5714 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 5714 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 04/12/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME NOME COGNOME nato a CATANIA il 08/06/1971
avverso l’ordinanza del 02/08/2024 del TRIBUNALE di CATANIA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Procuratore Generale, nella persona del dott. NOME COGNOME che si è riportato alla propria memoria e ha concluso per il rigetto del ricorso; udito il difensore, avvocato COGNOME che si è riportato ai propri scritti e ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
È impugnata l’ordinanza del 02/08/2024 con la quale il Tribunale del Riesame di Catania ha confermato l’ordinanza del G.I.P. del medesimo Tribunale che ha applicato nei confronti di NOME NOME NOME COGNOME la misura della custodia cautelare in carcere.
Il provvedimento impugnato ha ritenuto l’indagato indiziato del reato di cui all’art. 416 bis cod. pen., quale partecipe di Cosa Nostra catanese, in particolare della famiglia “Santapaola-Ercolano”, valorizzando gli esiti di attività di
captazione evidenzianti un suo ruolo di mediatore richiesto in relazione ad un contrasto insorto fra gli esponenti di altri due clan mafiosi (capo 1); del reato di estorsione aggravata dalla circostanza di cui all’art. 416-bis.1. cod.pen. (capo 3); del reato di cessione di sostanza stupefacente (capo 9).
2. Il ricorso, presentato dal difensore di fiducia, articola unico motivo, con il quale denuncia vizi di violazione della legge penale e manifesta illogicità della motivazione in relazione alla sussistenza di gravi indizi di reità per il delitto d partecipazione ad associazione mafiosa.
Deduce che la motivazione resa dal Tribunale del riesame ha natura apparente, non avendo evidenziato gravi indizi di colpevolezza in relazione al delitto contestato in quanto: la conversazione intercettata, e valorizzata in sede cautelare, non è indicativa di un incarico ricevuto da un qualsiasi membro apicale del clan COGNOME-Ercolano bensì di una mera richiesta di interessamento rivolta al ricorrente da COGNOME NOME, in quanto soggetto legato da parentela con la famiglia Ercolano; il ricorrente non risulta inserito in alcun gruppo territoria della famiglia mafiosa di riferimento e tale circostanza, in uno con la mancanza di un ruolo specifico, costituisce elemento negativo rispetto alla ritenuta partecipazione mafiosa, non essendo sufficiente, di contro, il mero rapporto di parentela con Ercolano Mario; la mera frequentazione di soggetti affiliati per motivi di parentela o di amicizia, o anche sporadici contatti in ristretti contest territoriali, non sono elementi sintomatici di partecipazione ad associazione mafiosa, non suscettibile di essere radicata su un mero status di appartenenza e di potere prescindere da ruolo effettivo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
2. In tema di vizio di motivazione del provvedimento emesso dal Tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, questa Corte, nella sua espressione più autorevole, ha ritenuto che la legge le attribuisca il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizi di legittimità e ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dat adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze
probatorie; di conseguenza la motivazione della decisione del Tribunale del riesame, per la sua natura di pronuncia cautelare, non fondata su prove, ma su indizi, deve essere parametrata all’accertamento non della responsabilità, bensì di una qualificata probabilità di colpevolezza. (Sez. U, n. 11 del 22/03/2000, Audino, Rv. 215828).
La successiva giurisprudenza della Corte, condivisa dal Collegio, è ferma nel ritenere che l’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza ex art. 273 cod. proc. pen. sia rilevabile in cassazione soltanto se si traduca nella violazione di specifiche norme di legge o in mancanza o manifesta illogicità della motivazione, risultante dal testo del provvedimento impugnato; il controllo di legittimità non concerne né la ricostruzione dei fatti, né l’apprezzamento del giudice di merito circa l’attendibilità delle fonti e la rilevanza e concludenza dei dati probatori.
Non sono di conseguenza consentite quelle censure che, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvano nella prospettazione di una diversa valutazione di circostanze già esaminate dal giudice di merito (ex multis: Sez. 2, n. 31553 del 17/05/2017, COGNOME, Rv. 270628; Sez. 4, n. 18795 del 02/03/2017, COGNOME, Rv. 269884; Sez. F, n. 47748 del 11/08/2014, COGNOME, Rv. 261400; Sez. 4, n. 26992 del 29/05/2013, P.M. in proc. COGNOME, Rv. 255460; Sez. 6, n. 11194 del 08/03/2012, COGNOME, Rv. 252178; Sez. 5, n. 46124 del 08/10/2008, COGNOME, Rv. 241997; Sez. 4, n. 22500 del 03/05/2007, Terranova, Rv. 237012).
La difesa contesta la consistenza degli elementi indiziari a carico dell’indagato, ritenendoli idonei a supportare un giudizio di mera contiguità rispetto al sodalizio criminale, piuttosto che una condotta suscettibile di sussunzione nel paradigma del reato di cui all’art. 416-bis cod. pen., sostenendo la mera apparenza, nonché illogicità della motivazione.
Le ragioni di ricorso, tuttavia, trascurano di confrontarsi con gli elementi fattuali, individuati dall’ordinanza impugnata quali punti focali dell’ipote indiziaria e con l’interpretazione ad essi fornita.
È incontestato che al ricorrente sia stato richiesto di svolgere una funzione di mediazione fra due contrapposti clan rivali del catanese – il clan dei COGNOME milanesi e quello dei COGNOME– in quanto appartenente ad altra famiglia; è, altresì, incontestato che, a fronte di tale richiesta, il ricorrente, “l dal sostenere di non fare parte dell’altra famiglia e di rifiutare decisamente di interessarsi della pericolosa vicenda, al contrario si dichiarava disponibile a parlarne con i propri referenti”; in effetti così è avvenuto, risultando dall intercettazioni che di tale questione il ricorrente abbia parlato con altri esponenti
di spicco della famiglia COGNOME-Ercolano, in particolare con COGNOME Salvatore, COGNOME NOME e con lo stesso COGNOME NOME (suo cugino).
A fronte di tali evidenze, la motivazione resa dal Tribunale del riesame nel provvedimento impugnato appare lungi dal potere essere configurata come mancante o illogica, essendosi considerato che l’effettivo mancato svolgimento del ruolo di mediazione è dipeso dall’indicazione di non farlo da parte da parte dei responsabili del clan ma che, nonostante ciò, la vicenda, ovvero l’essersi il ricorrente attivato per parlare della questione con i referenti del gruppo mafioso, riveli la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza a suo carico.
La doglianza difensiva- volta a degradare gli elementi emersi a mera frequentazione di soggetti affiliati al sodalizio criminale per motivi di parentela amicizia o rapporti d’affari- oblitera anche gli ulteriori indizi di colpevolez acquisiti in relazione alla condotta di estorsione contestata al capo 3), ancorati alla riscossione di somme versate per il sostentamento di altri sodali arrestati o detenuti- costituente comportamento concludente rispetto alla partecipazione ad associazione mafiosa. In tale complessivo scenario, le censure mosse dalle ragioni di ricorso si rivelano generiche e votate a sollecitare la Corte di legittimit ad una non consentita rivisitazione dei fatti e del materiale indiziario.
Il provvedimento impugnato si colloca nel solco dell’insegnamento di questa Corte secondo cui, in tema di associazione di tipo mafioso, la mera “contiguità compiacente”, così come la “vicinanza” o “disponibilità” nei riguardi di singoli esponenti, anche di spicco, del sodalizio, non costituiscono comportamenti sufficienti ad integrare la condotta di partecipazione all’organizzazione, ove non sia dimostrato che l’asserita vicinanza a soggetti mafiosi si sia tradotta in un vero e proprio contributo, avente effettiva rilevanza causale, ai fini della conservazione o del rafforzamento della consorteria (Sez. 6, n. 40746 del 24/6/2016, COGNOME, Rv. 268325; Sez. 1, n. 25799 del 8/1/2015, COGNOME, Rv. 263935; vedi anche, in tema, Sez. 5, n. 12679 del 24/01/2007, COGNOME, Rv. 235986).
Tale affermazione corrisponde pienamente, infatti, alle indicazioni nomofilattiche impresse dalle Sezioni Unite nella sentenza Sez. U, n. 33748 del 12/7/2005, COGNOME, Rv. 231670, che ha declinato la dimensione della condotta partecipativa mafiosa in chiave dinamico-funzionale e non come statica forma di appartenenza, di talchè la rilevanza penale di una determinata condotta si evidenzia solo quando l’autore “prende parte” al fenomeno associativo, rimanendo a disposizione dell’ente per il perseguimento dei comuni fini criminosi (nello stesso senso Sez. U, n. 36958 del 27/05/2021,Rv. 281889-01).
Il provvedimento impugnato ha fatto buon governo dei principi ermeneutici richiamati, dando risalto ai plurimi elementi acquisiti attraverso l’attivi captativa da cui si evince non solo la disponibilità del ricorrente ad attivarsi, ma anche l’effettiva sua attivazione rispetto ad un ruolo di mediazione richiesto per la composizione di conflitti fra altri gruppi mafiosi: ciò senza considerare, peraltro, anche la valenza dimostrativa insita nel fatto che il medesimo sia stato coinvolto nella vicenda in quanto identificato come membro dell’organizzazione.
In conclusione il ricorso deve essere rigettato con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Vanno adottati gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp.att. cod.proc.pen.
Così deciso il 04/12/2024.