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Partecipazione associazione criminale: prova e riesame

La Corte di Cassazione ha annullato un’ordinanza del Tribunale del Riesame che aveva revocato la custodia in carcere per un individuo accusato di partecipazione associazione criminale finalizzata al narcotraffico. La Suprema Corte ha stabilito che il Tribunale ha errato nel non considerare prove decisive, come intercettazioni con i vertici del clan e un ingente sequestro di denaro, e ha chiarito che nuove prove a sfavore possono essere prodotte nel procedimento di riesame, purché sia garantito il contraddittorio.

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Pubblicato il 30 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Partecipazione Associazione Criminale: La Cassazione sulla Valutazione degli Indizi nel Riesame

Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 31699/2025, offre importanti chiarimenti sui criteri per valutare la partecipazione associazione criminale e sulla possibilità di utilizzare nuove prove nel procedimento di riesame delle misure cautelari. La Suprema Corte ha annullato la decisione di un Tribunale che aveva scarcerato un indagato, ritenendo la sua valutazione degli indizi frammentaria e illogica.

Il Caso in Analisi

Il procedimento nasce da un’indagine su un’associazione finalizzata al traffico di stupefacenti operante in un noto ‘mandamento’ mafioso di Palermo. Il Giudice per le Indagini Preliminari (GIP) aveva disposto la custodia cautelare in carcere per un soggetto, ritenendolo gravemente indiziato di far parte del sodalizio criminale e di essere coinvolto in episodi di spaccio.

Successivamente, il Tribunale del Riesame, accogliendo il ricorso della difesa, aveva annullato l’ordinanza del GIP. Secondo il Tribunale, mancava la prova (anche a livello di probatio minor) di una stabile e consapevole adesione dell’indagato all’associazione. Le attività di narcotraffico a lui attribuite venivano considerate come iniziative autonome, svolte all’insaputa dei vertici dell’organizzazione, nonostante l’indagato si trovasse agli arresti domiciliari.

Il Ricorso del PM e la questione sulla partecipazione associazione criminale

Il Procuratore della Repubblica ha impugnato la decisione del Riesame davanti alla Corte di Cassazione, lamentando un travisamento e una valutazione parcellizzata delle prove. Secondo l’accusa, il Tribunale aveva ignorato elementi decisivi che dimostravano un ruolo operativo e fiduciario dell’indagato all’interno del clan. Tra questi elementi spiccavano:

* Comunicazioni con i vertici: L’uso di cellulari criptati, riservati ad affiliati di alto livello, per comunicare direttamente con il reggente latitante dell’organizzazione.
* Ruolo vicario: La gestione della rete di spaccio del cognato dopo l’arresto di quest’ultimo, su delega dei responsabili del sodalizio.
* Prove ignorate: I risultati di un sequestro di oltre 300.000 euro in contanti e documentazione contabile presso l’abitazione della suocera, che attestavano il coinvolgimento dell’indagato nel traffico di droga gestito dall’associazione.

La difesa, dal canto suo, aveva eccepito l’inutilizzabilità di queste nuove prove, sostenendo che fossero state trasmesse tardivamente e in violazione del contraddittorio.

Le motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso del Pubblico Ministero, smontando punto per punto la decisione del Tribunale del Riesame.

In primo luogo, ha respinto l’eccezione sull’inutilizzabilità delle nuove prove. La Corte ha ribadito che, ai sensi dell’art. 309, comma 9, cod. proc. pen., il PM ha la facoltà di addurre elementi sopravvenuti anche sfavorevoli all’indagato, a condizione che la difesa sia messa in grado di esercitare pienamente il proprio diritto di replica. In questo caso, i documenti erano stati trasmessi per tempo, e il Tribunale avrebbe dovuto esaminarli.

Nel merito, la Cassazione ha ritenuto la motivazione del Riesame illogica e carente. Secondo gli Ermellini, elementi come l’accesso a canali di comunicazione criptati per interloquire con i vertici latitanti o detenuti costituiscono un indice significativo di un rapporto privilegiato e fiduciario, tipico di un soggetto pienamente inserito nell’organizzazione (intraneus). Una valutazione complessiva e non frammentaria degli indizi (le conversazioni, la successione nel ruolo del cognato, l’ingente somma di denaro) avrebbe dovuto portare a una conclusione differente sulla partecipazione associazione criminale.

Infine, la Corte ha sottolineato che l’eventuale svolgimento di traffici autonomi, persino in violazione delle regole del ‘mandamento’, non è logicamente incompatibile con l’appartenenza al sodalizio. Tale condotta, infatti, potrebbe al massimo esporre il membro a sanzioni interne, ma non ne esclude a priori la partecipazione.

Le conclusioni

La sentenza rappresenta un importante vademecum sulla valutazione della gravità indiziaria in materia di reati associativi. La Corte di Cassazione impone ai giudici del merito di adottare una visione d’insieme, logica e completa di tutti gli elementi a disposizione, senza svalutarne alcuni a favore di una visione atomistica e parziale. Viene inoltre riaffermato un principio cruciale del procedimento di riesame: la dialettica processuale consente l’ingresso di nuove prove, anche a carico, purché sia sempre garantito il diritto di difesa. Il caso è stato quindi rinviato al Tribunale del Riesame di Palermo per un nuovo giudizio che tenga conto di questi principi.

È possibile presentare nuove prove a sfavore dell’indagato durante il riesame di una misura cautelare?
Sì. La Corte di Cassazione ha confermato che, secondo l’articolo 309, comma 9, del codice di procedura penale, il Pubblico Ministero può introdurre nuovi elementi probatori, anche sfavorevoli, durante l’udienza di riesame. L’essenziale è che sia garantito il diritto della difesa di conoscere tali prove e di potersi difendere adeguatamente (principio del contraddittorio).

Comunicare con i vertici di un’associazione criminale tramite telefoni criptati è un indizio di partecipazione?
Sì. Secondo la sentenza, l’accesso e l’utilizzo di canali di comunicazione segreti e criptati per parlare con i capi (detenuti o latitanti) di un’organizzazione criminale è un indice molto significativo di un rapporto privilegiato e fiduciario. Questo suggerisce un ruolo interno all’associazione e non quello di un soggetto esterno.

Svolgere un’attività di spaccio autonoma esclude la partecipazione a un’associazione per delinquere?
No. La Corte ha chiarito che il fatto che un membro svolga traffici di droga in autonomia, anche all’insaputa o in violazione delle regole dell’organizzazione, non è logicamente incompatibile con la sua appartenenza al gruppo. Tale comportamento può, al massimo, esporlo a ritorsioni o sanzioni interne, ma non ne esclude di per sé la partecipazione stabile al sodalizio criminale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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