Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 47578 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 47578 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 03/12/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOMECOGNOME nato a Cosenza il 21/5/1968
avverso l’ordinanza del 6/6/2024 del Tribunale di Catanzaro
Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udita la requisitoria del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo di rigettare il ricorso; udito l’Avv. NOME COGNOME difensore del ricorrente, che ha chiesto di accogliere il ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 6 giugno 2024 il Tribunale di Catanzaro ha confermato il provvedimento emesso il 17 aprile 2024 dal Giudice per le indagini preliminari dello stesso Tribunale, con cui è stata applicata ad NOME COGNOME la misura
cautelare della custodia in carcere per il reato di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990 e per più reati di cui all’art. 73 d.P.R. cit.
Avverso l’anzidetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’indagato, che ha dedotto i motivi di seguito indicati.
2.1. Violazione di legge e vizi della motivazione per essere il ricorrente stato ritenuto partecipe del sodalizio, in difetto di elementi idonei a sottintendere una logica criminale di gruppo o associativa prevalente o assorbente rispetto alle condotte delittuose ex art. 73 d.P.R. n. 309/90, che il ricorrente avrebbe compiuto in proprio, sfruttando più che altro canali consolidati di fornitura di stupefacente e successiva rivendita.
2.2. Contraddittorietà e manifesta e illogicità della motivazione relativa all’attualità delle esigenze cautelari, pur a fronte di un non trascurabile iato di tempo silente della commissione dei fatti e di un lungo periodo di sottoposizione dell’indagato agli arresti domiciliari. Benché dedotti dalla difesa, il Tribunale avrebbe trascurato la risalenza temporale delle condotte delittuose ascritte al ricorrente, il cui ultimo reato fine contestato risale al settembre 2018, e il venir meno del contatto con i correi NOME COGNOME e NOME COGNOME che erano stati i principali interlocutori dell’indagato. La scelta, poi rinnegata, di collaborazione con l’autorità inquirente, attribuibile a COGNOME, significherebbe anche disarticolazione definitiva ed irrimediabile di quel sottogruppo criminale a sé intestato, del quale lo stesso COGNOME era fondatore e reggente. Il ricorrente, inoltre, è sottoposto da settembre 2022 a misura coercitiva custodiale e anche tale circostanza deporrebbe in favore dell’inattualità di ogni rischio cautelare di recidiva nza;
2.3. Inosservanza di norme processuali per essere stata resa dal Giudice per le indagini preliminari, con riguardo alle esigenze cautelari, una motivazione di tipo cumulativo con richiamo per relationem alla richiesta di misura cautelare, in violazione dell’obbligo di autonoma valutazione del giudice per le indagini preliminari.
2.4. Motivazione illogica e contraddittoria nella valutazione di attendibilità dell’unica chiamata di correo a carico del ricorrente, effettuata da NOME COGNOME, e non confermata da riscontri. Il ricorrente non sarebbe stato menzionato neanche da NOME COGNOME che, appartenendo al gruppo degli zingari, avrebbe dovuto conoscere i nomi degli altri associati ammessi a spacciare per conto di un gruppo criminale che, secondo la ricostruzione propugnata dagli atti di indagine, avrebbe lo statuto di una confederazione con suddivisione dei proventi e il loro conferimento in una bacinella comune nell’ambito di una divisione bifasica tra i c.d. italiani e i c.d. zingari. COGNOME non avrebbe menzionato il ricorrente neppure
allorquando gli era stato chiesto di indicare i nominativi di tutti i pusher intranei al gruppo.
2.5. Erronea applicazione della legge penale con riferimento alla ritenuta sussistenza della circostanza aggravante specifica del carattere armato del sodalizio criminale di cui all’art. 74, comma 4, d.P.R. n. 309/90, indistintamente estesa a tutti i compartecipi, senza valutare eventuali coefficienti di colpevolezza individuali. Il Tribunale ha affermato il difetto di interesse del ricorrente a sollevare tale rilievo, ma ciò sarebbe illogico poiché un eventuale annullamento del titolo custodiale in punto di contestazione del carattere armato dell’associazione avrebbe un indubbio impatto favorevole quanto ad alleggerimento della posizione cautelare con tutto quel che ne deriverebbe in termini pratici rispetto a un’eventuale rivisitazione del primigenio quadro cautelare ex art. 299 cod. proc. pen. da parte del giudice procedente.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato.
2. Premessa l’incontestata esistenza dell’associazione capeggiata da NOME COGNOME, il Tribunale ha affermato la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza a carico del ricorrente in relazione al reato associativo di cui al capo 1) sulla base delle dichiarazioni del collaboratore di giustizia NOME COGNOME secondo cui egli, per conto di COGNOME, cedeva sostanza stupefacente all’indagato ai fini della successiva rivendita “per conto del gruppo”.
Il Collegio della cautela ha ritenuto che il menzionato collaboratore fosse una fonte importante, in quanto era risultato fin da subito portatore di un patrimonio conoscitivo assolutamente qualificato, essendo intraneo al sodalizio, ovvero al clan degli italiani, ed avendo perpetrato diverse attività illecite per conto di NOME COGNOME. NOME COGNOME infatti, le cui dichiarazioni relative alle vicende in esame, per nulla generiche, erano state spontanee, in quanto riferibili ai primissimi inizi della collaborazione, coerenti, costanti e precise, aveva indicato fatti direttamente percepiti e circostanze apprese dagli altri sodali, oltre ad essersi autoaccusato de delitti narrati, senza mai accennare una minima reticenza in merito alle sue responsabilità e ciò in un momento in cui il quadro probatorio a suo carico in ordine ad alcune vicende illecite era scarno o addirittura inesistente.
Secondo il Tribunale, le dichiarazioni di NOME COGNOME in ordine alla figura del ricorrente erano riscontrate dalle emergenze intercettive, che avevano delineato più specificamente il ruolo e il contributo reso alla filiera del narcotraffico da parte dell’odierno ricorrente. Nello specifico, emergeva che NOME COGNOME
acquistava stupefacente sia direttamente da NOME COGNOME sia dal luogotenente NOME COGNOME che, per questo, si avvaleva della preziosa collaborazione di NOME COGNOME COGNOME, anche con l’ausilio attivo della sua compagna NOME COGNOME e di sua figlia NOME COGNOME, di NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME che, di fatto, tenevano ed occultavano lo stupefacente per suo conto, riforniva i suoi clienti di stupefacente, in particolare hashish.
Il Tribunale ha evidenziato che ciò che veniva in rilievo dalle intercettazioni, segnatamente dalla conversazione avuta il 5 agosto 2018 con NOME COGNOME era che NOME COGNOME doveva rendere conto del suo operato ai vertici. Egli manifestava infatti in maniera chiara la presenza di altre persone gerarchicamente più in alto di lui, che, in caso di eccessivo ritardo nei pagamenti, non avrebbero avuto difficoltà ad andare da lui per chiedere conto e ragione.
A fronte di tali argomentazioni deve rilevarsi che dalle intercettazioni, richiamate nell’ordinanza impugnata, si evince senza dubbio che il ricorrente vendeva sostanza stupefacente acquistata da soggetti aventi posizioni di rilievo nel sodalizio, come NOME COGNOME
Risultano riscontate, quindi, le dichiarazioni del collaboratore di giustizia NOME COGNOME relative all’attività di spaccio; non altrettanto può dirsi con riguardo all’essere tale attività stata svolta per conto del sodalizio.
La conversazione con NOME COGNOME evidenziata al riguardo dal Tribunale, in cui il ricorrente esterna il suo dovere rendere conto ad altri, può costituire uno spunto in tal senso ma è un riferimento generico, potendo significare soltanto che il ricorrente, a sua volta debitore nei confronti di coloro da cui acquistava lo stupefacente, avrebbe avuto difficoltà con i suoi creditori in caso di inadempimento dei soggetti che acquistavano da lui.
In quanto generico e non univoco, il riferimento alla difficoltà del ricorrente necessitava di essere sorretto da altri dati di fatto o da plausibili argomentazioni ulteriori, perché potesse acquisire quella concludenza significativa idonea a riscontare le dichiarazioni del collaboratore di giustizia e, quindi, un giudizio di gravità indiziaria, intesa come qualificata probabilità di colpevolezza.
Posto, quindi, che ciò che risulta accertato è un’attività di spaccio, continua e con rapporti diretti con NOME COGNOME, giova ricordare che, come questa Corte regolatrice ha più volte affermato, la veste di partecipe ad un’associazione, finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti, può essere fondatamente riconosciuta al soggetto che si renda disponibile a fornire ovvero ad acquistare le sostanze di cui il sodalizio fa traffico, tale da determinare un durevole, ancorché non esclusivo, rapporto (Sez. 6, n. 566 del 29/1/2015 – dep. 2016, COGNOME Rv.
265764 – 01). Non sono, invero, di ostacolo alla costituzione del vincolo associativo e alla realizzazione del fine comune la diversità degli scopi personali, né la diversità dell’utile, né il contrasto tra gli interessi economici che i singoli partecipi propongono di ottenere dallo svolgimento dell’intera attività criminale (ex multis: Sez. 2, n. 51714 del 23/11/2023, COGNOME, Rv. 285646 – 01; Sez. 4, n. 19272 del 12/06/2020, COGNOME, Rv. 279249 – 01; Sez. 6, n. 3509 del 10/01/2012, COGNOME e altri, Rv. 251574 – 01).
Nondimeno – come si è già condivisibilmente precisato in altri arresti mutamento del rapporto tra fornitore ed acquirente, da relazione di mero reciproco affidamento a vincolo stabile, può ritenersi avvenuto solo qualora risulti che la volontà dei contraenti abbia superato la soglia del rapporto sinallagmatico contrattuale, trasformandosi nell’adesione dell’acquirente al programma criminoso, desumibile dalle modalità dall’approvvigionamento continuativo della sostanza dal gruppo, dal contenuto economico delle transazioni, dalla rilevanza obiettiva che l’acquirente riveste per il sodalizio criminale (Sez. 6, n. 51500 dell’11/10/2018, COGNOME, Rv. 275719 – 01; Sez. 5, n. 32081 del 24/06/2014, COGNOME, Rv. 261747; Sez. 3, n. 21755 del 12/03/2014, COGNOME e altri, Rv. 259881 – 01).
In caso di contestata partecipazione alla consorteria criminale dello stabile fornitore o acquirente di droga, quindi, la ritenuta intraneità al gruppo postula che, nonostante il naturale conflitto d’interessi, sia ravvisabile e, dunque, argomentata la coscienza e volontà del singolo di assicurare, mediante l’approvvigionamento continuativo della sostanza dal gruppo, il proprio stabile contributo alla realizzazione degli scopi e, dunque, alla permanenza in vita della societas sceleris.
Con riferimento all’elemento psicologico, è, inoltre, necessario che tutti i soggetti abbiano la consapevolezza di agire nell’ambito di una organizzazione, nella quale l’attività dei singoli si integrano strumentalmente per la finalità perseguita e che l’acquirente e il rivenditore siano stabilmente disponibili a ricevere/cedere le sostanze stupefacenti con tale continuità da proiettare il singolo atto negoziale oltre la sfera individuale, come elemento della complessiva ed articolata struttura organizzativa.
Nel caso in esame, il Tribunale non ha dato conto degli elementi da cui poteva trarsi che gli episodi di spaccio si inserissero in una più estesa prospettiva associativa, sottesa ad operazioni di stabile vendita di stupefacenti nell’interesse più ampio della consorteria, riportabile a uno schema associativo e non solo concorsuale.
Né il Tribunale ha chiarito perché dai rapporti continui di acquisto emergesse la consapevole adesione del ricorrente al perseguimento del fine comune del sodalizio.
Ne discende che può affermarsi che la figura del ricorrente è stata tratteggiata solo sulla base degli episodi di vendita, senza alcuna precisa analisi del raccordo tra quegli episodi e il quadro delle rispettive consapevolezze in merito al ruolo assunto dal ricorrente, alla volontà del predetto di partecipare alla realizzazione di uno stabile programma e a quella degli altri sodali di avvalersi della sua collaborazione in funzione della realizzazione di un fine comune.
Si impone, pertanto, l’annullamento dell’ordinanza impugnata e, nel giudizio di rinvio, il Collegio calabrese, tenuto conto delle indicate coordinate ermeneutiche, dovrà illustrare gli elementi dimostrativi dell’adesione del ricorrente alla societas RAGIONE_SOCIALE e, specificamente, della possibilità di qualificare la relazione intercorsa fra il medesimo e i suoi venditori di sostanza stupefacente, anziché quale rapporto sinallagmatico contrattuale inter partes, quale consapevole e volontaria attuazione del programma associativo e cooperazione alla permanenza in vita del consorzio criminale.
6. Il pronunciato annullamento rende assorbe ogni altra doglianza, dovendosi comunque sottolineare che i reati fine risalgono al 2018, così che il Tribunale dovrà porsi anche il problema del rilevante lasso di tempo intercorso dai fatti, dato di per sé evocativo, in assenza di elementi idonei a corroborare la valenza della presunzione prevista per il reato contestato al ricorrente, di una perdita di valore della partecipazione sotto il profilo della concretezza e attualità del pericolo.
Deve sul punto richiamarsi quanto più volte affermato da questa Corte secondo cui «è necessario che l’ordinanza cautelare motivi in ordine alla rilevanza del tempo trascorso, indicando specifici elementi di fatto idonei a dimostrare l’attualità delle esigenze cautelari» (Sez. 6, n. 53028 del 6/11/2017, Battaglia, Rv. 271576 – 01; ma per analoghi rilievi, in relazione all’operatività della presunzione , di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., di recente, ex plurimis, Sez. 5, n. 31614 del 13/10/2020, COGNOME, Rv. 279720 – 01; Sez. 6, n. 19863 del 4/5/2021, COGNOME, Rv. 281273 – 01).
Nel caso in esame, la motivazione sul punto si sofferma sulla presunzione di prosecuzione delle attività del sodalizio piuttosto che sulla personale adesione ad essa del ricorrente, pur essendo necessario, invece, dare conto della permanenza del delitto associativo non solo sul versante oggettivo della struttura associativa in sé considerata, ma anche su quello soggettivo della partecipazione ad essa del singolo indagato.
In definitiva, l’ordinanza impugnata deve essere annullata con rinvio al Tribunale di Catanzaro per nuovo esame alla luce dei superiori rilievi.
L’esito del giudizio onera la Cancelleria degli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Catanzaro, competente ai sensi dell’art. 309, comma 7, cod. proc. pen. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 3 dicembre 2024.