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Partecipazione associazione criminale: i criteri

La Corte di Cassazione ha annullato un’ordinanza di custodia cautelare per il reato di partecipazione ad associazione criminale finalizzata al narcotraffico. La sentenza chiarisce che un singolo episodio di approvvigionamento, o rapporti non continuativi, non sono sufficienti a dimostrare una stabile adesione al sodalizio (societas sceleris). È necessaria la prova di un contributo consapevole e duraturo al programma criminale. La Corte ha invece ritenuto sussistenti i gravi indizi per un singolo reato di spaccio.

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Pubblicato il 1 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Partecipazione associazione criminale: quando il fornitore diventa partecipe?

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 30341/2025, affronta un tema cruciale nel diritto penale: la distinzione tra un semplice fornitore o acquirente di sostanze stupefacenti e un membro effettivo di un’organizzazione criminale. Comprendere i criteri per la partecipazione associazione criminale è fondamentale, poiché le conseguenze legali sono drasticamente diverse. Questa pronuncia offre chiarimenti essenziali su quando un rapporto di fornitura si trasforma in una vera e propria adesione a un sodalizio criminale.

I Fatti del Caso e le Accuse

Il caso riguarda un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa nei confronti di un individuo, indagato per due distinti reati:
1. Associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti (art. 74 D.P.R. 309/90).
2. Un singolo episodio di cessione di sostanza stupefacente (art. 73 D.P.R. 309/90).

Il Tribunale del riesame aveva confermato la misura cautelare, ritenendo sussistenti gravi indizi di colpevolezza per entrambi i capi d’accusa. Secondo i giudici di merito, la partecipazione dell’indagato all’associazione era desumibile da vari elementi, tra cui una presunta cessione di 5 kg di cocaina, frequentazioni con altri indagati e le dichiarazioni di un collaboratore di giustizia.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

La difesa dell’indagato ha presentato ricorso in Cassazione, basandolo su tre motivi principali:

* Violazione del principio del ‘ne bis in idem’: L’indagato era già sottoposto a un altro procedimento per un’associazione criminale ritenuta sovrapponibile.
* Insussistenza di gravi indizi per l’associazione: Secondo la difesa, gli elementi raccolti (una conversazione, frequentazioni) non erano sufficienti a dimostrare un’adesione stabile e consapevole al programma criminale del gruppo. Mancava la prova di un contributo funzionale all’esistenza stessa del sodalizio.
* Insussistenza di gravi indizi per il singolo reato di spaccio: Veniva contestata l’interpretazione di una conversazione intercettata, ritenuta non sufficiente a provare la cessione di stupefacenti.
* Mancata valutazione delle esigenze cautelari: Il lungo tempo trascorso dai fatti e lo stato di quasi incensuratezza dell’indagato non sarebbero stati adeguatamente considerati.

La distinzione della Cassazione sulla partecipazione associazione criminale

La Suprema Corte accoglie parzialmente il ricorso, annullando l’ordinanza limitatamente all’accusa di associazione per delinquere. Il fulcro della decisione risiede nella rigorosa applicazione dei criteri per distinguere un partecipe da un soggetto che interagisce con l’associazione solo per singoli scambi commerciali.

La Corte ribadisce che per configurare una partecipazione associazione criminale non è sufficiente la mera reiterazione di forniture. È necessario che la volontà delle parti superi la soglia del semplice rapporto contrattuale (rapporto sinallagmatico) e si trasformi in una vera e propria adesione al programma criminoso.

Questo salto di qualità deve essere desunto da elementi concreti, quali:

1. Modalità dell’approvvigionamento continuativo.
2. Contenuto economico delle transazioni.
3. Rilevanza obiettiva che l’acquirente/fornitore riveste per il sodalizio.

In sostanza, occorre dimostrare la coscienza e la volontà del singolo di assicurare, tramite il suo operato, un contributo stabile alla realizzazione degli scopi e alla permanenza in vita della societas sceleris.

La Carenza Motivazionale del Tribunale

Nel caso specifico, la Cassazione ha ritenuto che la motivazione del Tribunale fosse carente. I giudici di merito non avevano spiegato adeguatamente perché il coinvolgimento del ricorrente in un singolo episodio di approvvigionamento dovesse essere interpretato in una prospettiva associativa più ampia. Non erano stati indicati gli elementi specifici che dimostrassero una volontà dell’indagato di partecipare stabilmente al programma del gruppo, anziché limitarsi a un singolo affare.

La Conferma degli Indizi per il Singolo Reato di Spaccio

Al contrario, la Corte ha ritenuto infondato il ricorso riguardo al singolo reato di spaccio (art. 73 D.P.R. 309/90). Gli elementi indiziari, tra cui una conversazione intercettata che faceva riferimento a ‘Diego’ e alla consegna di sostanza, uniti ad altre risultanze investigative (rapporti pregressi con altri indagati, dichiarazioni di un collaboratore), sono stati considerati sufficienti a costituire gravi indizi di colpevolezza per questo specifico reato-fine.

Le motivazioni

La motivazione della Cassazione si fonda sulla necessità di distinguere rigorosamente il ruolo di un soggetto che compie un’operazione commerciale illecita, seppur con un’associazione, da quello di chi aderisce stabilmente al patto criminale. Per la configurabilità della partecipazione associativa, non basta essere un cliente o un fornitore abituale; è indispensabile provare che il soggetto abbia agito con la consapevolezza e la volontà di contribuire alla vita e agli scopi del sodalizio. Il Tribunale del riesame, secondo la Corte, non ha fornito una motivazione adeguata su questo punto cruciale, limitandosi a valorizzare elementi che, presi singolarmente o nel loro insieme, non dimostravano in modo univoco l’inserimento stabile dell’indagato nell’organizzazione.

Le conclusioni

La Corte di Cassazione ha annullato l’ordinanza di custodia cautelare per il reato associativo, rinviando gli atti al Tribunale di Lecce per una nuova valutazione che dovrà attenersi ai principi di diritto enunciati. Il nuovo esame dovrà illustrare in modo specifico gli elementi che dimostrino l’adesione del ricorrente alla societas sceleris. La decisione sulle esigenze cautelari è stata assorbita e dovrà essere riconsiderata dal giudice del rinvio, tenendo conto che la presunzione di pericolosità sociale non si applica al solo reato di cui all’art. 73, per il quale gli indizi sono stati invece confermati.

Quando un acquirente o fornitore di droga diventa partecipe di un’associazione criminale?
Secondo la sentenza, un acquirente o fornitore diventa partecipe quando il suo rapporto con l’organizzazione supera il semplice scambio commerciale (anche se reiterato) e si trasforma in un’adesione consapevole e volontaria al programma criminale. È necessario dimostrare che egli fornisce un contributo stabile e funzionale alla vita e agli scopi del sodalizio.

Un singolo episodio di fornitura di droga è sufficiente per provare la partecipazione a un’associazione per delinquere?
No. La sentenza chiarisce che un singolo episodio di approvvigionamento, di per sé, non è sufficiente. La motivazione del giudice deve spiegare perché quell’episodio si inserisce in una più ampia dinamica di relazioni associative e dimostra una consapevole adesione del soggetto al fine comune del gruppo criminale.

Perché la Cassazione ha confermato gli indizi per il reato di spaccio ma ha annullato quelli per l’associazione?
Perché i requisiti probatori sono diversi. Per il singolo reato di spaccio (art. 73 D.P.R. 309/90), la Corte ha ritenuto sufficienti gli indizi raccolti (intercettazioni, dichiarazioni, etc.) per dimostrare la condotta di cessione. Per il reato associativo (art. 74), invece, gli stessi elementi non sono stati ritenuti sufficienti a provare il requisito ulteriore e più stringente della stabile partecipazione al sodalizio criminale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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