Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 46603 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 46603 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 28/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOME nata a Belvedere Marittimo il 23/10/1970
avverso la ordinanza del 28/05/2024 del Tribunale di Catanzaro visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile;
lette le conclusioni del difensore, avv. NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento dei motivi.
RITENUTO IN FATTO
Con la ordinanza in epigrafe indicata, il Tribunale di Catanzaro confermava, in sede di riesame, l’ordinanza emessa il 17 aprile 2024 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catanzaro, che aveva applicato a NOME COGNOME la misura cautelare della custodia in carcere in relazione al reato di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990 (capo 1).
Secondo la provvisoria imputazione, NOME COGNOME avrebbe fatto parte di un sodalizio dedito al narcotraffico, posto sotto il controllo di NOME COGNOME e che gestiva i traffici illeciti sia per le forniture che per lo smercio delle sostanz stupefacenti, attraverso un sistema di gruppi e sottogruppi capaci di tessere una ragnatela di controllo capillare delle piazze di spaccio e delle cessioni al minuto sull’intero territorio cosentino.
La COGNOME avrebbe fatto parte di uno di questi sottogruppi, nella specie quello facente capo al figlio NOME COGNOME con il ruolo di sostenere il NOME e collaborare nella sua attività, aiutandolo nella tenuta della contabilità, nella gestione di rapporti con i sodali, nella custodia e nella preparazione delle dosi.
Avverso la suddetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’indagata, denunciando i motivi di annullamento, di seguito sintetizzati conformemente al disposto dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 292 cod. proc. pen. e all’eccepita nullità dell’ordinanza genetica per totale assenza di autonoma valutazione dei gravi indizi e delle esigenze cautelari.
Il Giudice per le indagini preliminari ha seguito un percorso motivazionale con operazione di copia-incolla, limitandosi così ad un totale appiattimento sui dati offerti dalla richiesta cautelare, viepiù ritenendoli sufficienti a fondare un giudizio di gravità indiziaria a carico del ricorrente.
La risposta del Tribunale di rigetto dell’eccezione difensiva è viziata in quanto ha applicato i principi di diritti in materia in modo parcellizzato.
La ricorrente aveva precisato, punto per punto, le parti della motivazione affette dal vizio.
In particolare, per la gravità indiziaria, la posizione della ricorrente era affrontata in poche righe e senza alcun vaglio effettivo da parte del Giudice per le indagini preliminari (copia-incolla della richiesta); per le esigenze cautelari, l’ordinanza si limitava una indiscriminata valutazione, priva di riferimenti alla posizione della ricorrente (anzi in palese contraddizione con essa, quanto ai richiami ai reati-fine, alla professionalità delle condotte), ovvero a formule di stile.
2.2. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 273 cod. proc. pen. e 74 d.P.R. n. 309 del 1990.
Il Tribunale ha ritenuto il ruolo partecipativo della ricorrente sulla base delle sole captazioni ambientali effettuate presso l’abitazione del figlio NOME COGNOME che dimostravano al più che la predetta fosse al corrente dell’attività di vendita di stupefacente da parte del figlio.
Quanto all’episodio della mannite, dalla lettura della captazione si ricava l’estemporaneità della condotta (a dispetto di mesi di indagini); che il figlio NOME
NOME fa riferimento a propri debiti e che la sostanza sarà poi reperita da altri. Lo stesso ufficio di procura non ha inoltre contestato alla ricorrente il concorso nell’acquisto dello stupefacente (capo 185), che doveva essere tagliato con la mannite.
In altra captazione, la ricorrente si è limitata a parlare con la compagna del figlio, NOME COGNOME su persone vicine al Bruno e a commentare con lei notizie riferite da altri, tra le quali quella della possibilità che questi fosse oggett di indagini.
Il Tribunale, valorizzando questa captazione, ha confuso la mera conoscenza di eventuali dinamiche anche illecite dell’attività del figlio, dovuta al contesto familiare e al rapporto madre-figlio, con la appartenenza della ricorrente ad esse, non operando il dovuto distinguo tra la connivenza non punibile e la intraneità al gruppo criminale.
In ogni caso, il Tribunale non ha considerato l’estemporaneità di singole condotte.
Il Tribunale ha inoltre travisato l’ipotesi accusatoria del c.d. “sottobanco” che caratterizzava l’associazione operante in territorio cosentino per il traffico di droga, che riguardava i soli canali di approvvigionamento e non lo spaccio.
Il Tribunale ha finito per sostenere il paradossale ragionamento che chiunque acquisti sostanza stupefacente da una associazione dedita al narcotraffico, procedendo poi a rivenderla o avendo un ruolo in questa sequela, faccia parte di tale associazione.
In modo contraddittorio rispetto a questa impostazione di gestione capillare e monopolistica delle piazze di spaccio cosentine, il Tribunale non ha considerato che per la ricorrente difettino propalazioni di collaboratori (non è conosciuta da nessuno).
Il Tribunale non ha motivato poi in ordine all’affectio soci etatis, tenuto conto del rapporto che lega la ricorrente al figlio (non le è stato contestato alcun reato fine).
2.3. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all”aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen.
Il Tribunale ha di fatto omesso di motivare sull’aggravante mafiosa, ritenuta nella duplice declinazione, avendo soltanto riprodotto la motivazione dell’ordinanza genetica sul punto.
In ogni caso, non si rinviene una spiegazione sufficiente e anche corretta sulla sussistenza di detta circostanza.
2.4. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 274 e 275 cod. proc. pen.
Il Tribunale non ha considerato, per il giudizio di resistenza di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., la mancanza di reati-fine in capo alla ricorrente, la sua incensuratezza e la circostanza che la stessa è totalmente sconosciuta ai vertici del sodalizio, la sua marginale posizione (in modo illogico, il Tribunale ha definito il suo ruolo pregnante), nonché la datazione dei fatti che risultano arrestarsi al maggio 2021, nonostante il proseguimento delle investigazioni fino al gennaio 2024, e lo smantellamento della associazione.
Quanto all’adeguatezza della misura carceraria va rilevato che tutte le condotte si svolte al di fuori del suo domicilio.
Disposta la trattazione scritta del procedimento, in mancanza di richiesta nei termini ivi previsti di discussione orale, il Procuratore generale ha depositato conclusioni scritte, come in epigrafe indicate.
La difesa del ricorrente ha depositato una memoria di replica con conclusioni scritte, allegando il dispositivo del 21 novembre 2024 di annullamento senza rinvio per la posizione di NOME COGNOME
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato nei termini di seguito illustrati.
Il primo motivo è generico rispetto alla motivazione della ordinanza impugnata.
Il Tribunale, in primo luogo, ha ritenuto generica l’eccezione sollevata dalla ricorrente in ordine alla nullità della ordinanza genetica per assenza di autonoma valutazione. Rispetto a questa valutazione la ricorrente si è limitata in questa sede ad una contestazione solo in termini meramente assertivi.
3. Fondato è invece il secondo motivo.
Effettivamente la partecipazione della ricorrente al sodalizio criminale si fonda da un lato sulla ritenuta gestione monopolistica da parte dell’associazione criminale delle piazze di spaccio sul territorio cosentino e dall’altro su alcune captazioni dalle quali è stata tratta la gravità indiziaria del ruolo svolto dalla predetta e della sua consapevole adesione al gruppo criminale.
Quanto al primo aspetto, già questa Corte ha già avuto modo di rilevare come risulti del tutto congetturale nella ordinanza genetica la dimostrazione che qualunque episodio di spaccio che si verifichi nel territorio della provincia di Cosenza debba per forza di cose essere sempre riferito all’organizzazione criminale che controlla il mercato illecito degli stupefacenti, con l’ulteriore corollario che tutt
coloro che risultino comunque coinvolti in una qualche attività di spaccio di sostanze stupefacenti in quell’ambito territoriale siano, solo per questa ragione, soggetti che necessariamente fanno parte dell’associazione (Sez. 6, n. 42295 del 02/10/2024).
Si tratta infatti di un ragionamento che assume la valenza di una presunzione astratta in assenza di elementi concreti che consentano di ricollegare la ricorrente all’associazione di cui al capo 1) e, quindi, per dare conto del suo stabile inserimento nell’associazione.
Se quindi esaminiamo la posizione della ricorrente al netto di questa argomentazione, va rilevato che il Tribunale non ha offerto una adeguata motivazione che delinei il quadro di gravità indiziaria per l’ipotesi associativa contestata alla ricorrente.
il Tribunale ha valorizzato infatti un unico episodio (19 aprile 2021) in cui la ricorrente si era prestata a reperire della mannite da taglio per il figlio NOME
Come questa Corte ha già avuto modo di precisare, l’elemento oggettivo del reato di associazione, finalizzata al traffico di stupefacenti, prescinde dal numero di volte in cui il singolo sodale ha personalmente agito, così che il coinvolgimento anche soltanto in un episodio criminoso non è incompatibile con l’affermata partecipazione dell’agente all’organizzazione di cui si è consapevolmente servito per commettere il fatto (Sez. 1, n. 43850 del 3/07/2013, Rv. 257800). Nondimeno, è indispensabile che siffatta condotta, per le sue connotazioni, sia in grado di attestare, secondo massime di comune esperienza, un ruolo specifico della persona, funzionale all’associazione e alle sue dinamiche operative e di crescita criminale, e risulti compiuta con l’immanente coscienza e volontà dell’autore di fare parte dell’organizzazione (Sez. 3, n. 36381 del 9/05/2019, Rv. 276701; Sez. 6, n. 50965 del 2/12/2014, Rv. 261379). Un siffatto accertamento deve essere particolarmente rigoroso quando la prova dell’accordo sia desunta da condotte svolte nell’ambito di uno solo (o di nessun) episodio criminoso o da comportamenti che possono prestarsi ad essere interpretati come il frutto di un aiuto occasionale (così Sez. 5, n. 9457 del 24/09/1997, Rv. 209073).
Il Tribunale non si è attenuto a questi pacifici principi, non spiegando perché questo episodio rivelasse l’adesione dell’indagata all’organizzazione criminosa, tenuto viepiù conto che la ricorrente aveva informato il figlio che la mannite era tenuta da lei e dal suo compagno, COGNOME che spacciava a sua volta, e di non ricordare dove l’avesse reperita e il prezzo (che rivelava la occasionalità della disponibilità della sostanza, come segnalato dalla difesa in sede di riesame).
Nè poteva supplire a questa carenza argomentativa la circostanza che la ricorrente fosse a conoscenza dell’attività svolta del figlio in chiave associata.
In definitiva gli elementi valorizzati dal Tribunale, se possono dirsi dimostrativi della vicinanza personale dell’indagata a un soggetto con un ruolo di vertice del sodalizio e del suo coinvolgimento in un un’attività di narcotraffico, non possono di per sé ritenersi idonei a comprovare – secondo parametri di comune esperienza e ragionevolezza – l’adesione dell’indagata all’organizzazione criminosa e ciò neanche nei termini di gravità indiziaria delineati nell’art. 273 cod. proc. pen.
Quanto all’aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen., la ricorrente non ha illustrato l’interesse alla censura (Sez. 6, n. 5213 del 11/12/2018, dep. 2019, Rv. 275028), non incidendo la stessa né sull’an né sul quomodo della misura.
Sono assorbite dall’accoglimento del secondo motivo le censure versate nell’ultimo motivo relativo alle esigenze cautelari, essendo pregiudiziale una rivalutazione del quadro indiziario con riferimento alla ravvisata partecipazione della ricorrente al reato associativo.
Appare opportuno in ogni caso segnalare come la motivazione del Tribunale sul punto risulti effettivamente viziata.
A fronte della presunzione relativa di esistenza delle esigenze cautelari, il Tribunale non ha considerato il dato emergente dagli atti del notevole lasso di tempo intercorso tra le vicende che vedono impegnata la ricorrente e la emissione della misura cautelare.
Né questo dato può dirsi superato dalle argomentazioni spese dal Tribunale in punto di esigenze cautelari, che appaiono non coerenti con la stessa motivazione là dove ha descritto il ruolo della ricorrente (definito con evidente salto logico come “importante” nel sodalizio).
Conclusivamente sulla base dei rilievi che precedono, la ordinanza impugnata deve essere annullata per un nuovo esame, che si conformi ai principi di diritto sopra indicati e alle lacune motivazionali segnalate.
L’attuale stato cautelare (arresti domiciliari) risultante dagli atti esime la Cancelleria dalle comunicazioni di rito.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Catanzaro, competente ai sensi dell’art. 309, comma 7, cod. proc. pen. Così deciso il 28/11/2024.