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Partecipazione associazione criminale e vincolo familiare

La Corte di Cassazione ha confermato la misura della custodia cautelare per una donna accusata di partecipazione ad un’associazione criminale dedita al traffico di droga e gestita dalla sua famiglia. L’imputata sosteneva di aver agito per sottomissione nei confronti del marito dispotico. La Corte ha rigettato il ricorso, stabilendo che la collaborazione stabile e continuativa, anche dopo l’arresto del coniuge, dimostra la piena partecipazione all’associazione, rendendo irrilevante la dinamica di sudditanza psicologica in assenza di minacce concrete.

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Pubblicato il 14 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ruolo nel Traffico di Droga Familiare: Sottomissione e Partecipazione ad Associazione Criminale

La recente sentenza della Corte di Cassazione, n. 45279 del 2024, affronta un tema complesso e delicato: la linea di demarcazione tra la sottomissione psicologica all’interno di un rapporto familiare e la consapevole partecipazione a un’associazione criminale. Il caso riguarda una donna coinvolta in un’organizzazione dedita al traffico di stupefacenti gestita dal marito e da altri parenti stretti. La Corte ha fornito chiarimenti cruciali su come valutare la responsabilità penale quando i legami familiari si intrecciano con le attività illecite.

I Fatti del Caso

Il Tribunale di Catania, in sede di riesame, aveva disposto la custodia cautelare in carcere per una donna, riformando una precedente decisione del Giudice per le indagini preliminari che aveva rigettato la richiesta. L’accusa era duplice: partecipazione a un’associazione finalizzata al traffico di cocaina e marijuana (capo 1) e concorso in plurime cessioni di sostanze stupefacenti (capo 2).
L’associazione criminale era gestita su base familiare, con a capo il marito dell’imputata. Secondo l’accusa, la donna svolgeva un ruolo attivo, occupandosi di indirizzare i clienti secondo le direttive del marito e gestendo la contabilità del gruppo.

I Motivi del Ricorso e la Partecipazione all’Associazione Criminale

La difesa dell’imputata ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su due argomenti principali:

1. Violazione di legge e vizio di motivazione: Si sosteneva l’insussistenza di gravi indizi di colpevolezza per la partecipazione all’associazione criminale. La collaborazione prestata al marito non sarebbe derivata da una volontà di associarsi (affectio societatis), ma da una posizione di subalternità e soggezione, in quanto vittima di un coniuge dispotico. A prova di ciò, veniva citata un’intercettazione di una violenta lite familiare. Inoltre, si affermava che non vi fosse prova di un suo coinvolgimento diretto nello spaccio o nella gestione del denaro.

2. Violazione di legge sulle esigenze cautelari: La difesa contestava l’applicazione della misura cautelare basata sulla presunzione di pericolosità legata al reato associativo, senza un’adeguata valutazione del tempo trascorso dall’ultimo episodio contestato (aprile 2022).

Le motivazioni della Corte

La Corte di Cassazione ha ritenuto il ricorso infondato in ogni sua parte, confermando l’ordinanza del Tribunale del riesame.

Sul primo punto, i giudici hanno stabilito che la motivazione del Tribunale era logica e ben fondata sulle risultanze investigative, che includevano numerose intercettazioni telefoniche e ambientali. Da queste emergeva chiaramente il ruolo attivo e non meramente passivo della donna. La sua collaborazione non si limitava al rapporto con il marito, ma si estendeva agli altri membri del gruppo per organizzare turni di lavoro, contare i guadagni e nascondere la droga. Un elemento decisivo è stato il fatto che la sua attività è proseguita anche dopo l’arresto del marito, assumendo un ruolo di supplenza per garantire la continuità dell’attività illecita.
La Corte ha precisato che la condizione di sudditanza psicologica, pur se esistente, non costituisce di per sé una causa di esclusione della colpevolezza, a meno che non si concretizzi in minacce tali da integrare uno stato di pericolo per sé o per altri, cosa non dimostrata nel caso di specie. La ricostruzione difensiva è stata considerata una mera ‘ipotesi alternativa’ non in grado di dimostrare la ‘manifesta illogicità’ della decisione impugnata.

Sul secondo punto, relativo alle esigenze cautelari, la Cassazione ha affermato che il pericolo di reiterazione del reato era concreto e attuale. Tale pericolo è stato desunto non solo dalla gravità dei fatti, ma soprattutto dalla comprovata capacità del gruppo di riorganizzarsi, proprio grazie al ruolo svolto dall’imputata. Il tempo trascorso, pertanto, non era sufficiente a escludere la prognosi di una futura commissione di delitti analoghi, soprattutto considerando che lo spaccio avveniva anche presso il domicilio della donna, rendendo inadeguata la misura degli arresti domiciliari.

Le conclusioni

La sentenza ribadisce un principio fondamentale: in materia di partecipazione ad associazione criminale, la presenza di un forte legame familiare o di una dinamica di sottomissione psicologica non esclude automaticamente la responsabilità penale. Ciò che conta è la valutazione del contributo concreto, stabile e continuativo fornito al sodalizio. Quando un soggetto, pur in un contesto di dipendenza, compie azioni funzionali agli scopi dell’associazione in modo sistematico, dimostra di aver aderito al patto criminale. La decisione sottolinea come il vincolo familiare, anziché indebolire, possa in certi contesti rafforzare la coesione e l’operatività di un gruppo criminale.

Una posizione di sottomissione psicologica verso il coniuge può escludere la responsabilità per partecipazione ad un’associazione criminale?
No. Secondo la sentenza, la mera posizione di dipendenza o sottomissione nei rapporti coniugali non costituisce una scusante, a meno che non vi siano minacce tali da configurare uno stato di pericolo per sé o per altri. Ciò che conta ai fini della responsabilità è la stabilità e la continuità della collaborazione prestata all’associazione.

Come viene valutata la pericolosità sociale per applicare una misura cautelare se è passato molto tempo dai fatti?
La Corte ha stabilito che il tempo trascorso non esclude di per sé l’attualità del pericolo di reiterazione del reato. Questo pericolo viene valutato non come imminenza di nuovi crimini, ma come una prognosi basata sulla gravità dei fatti, sulle modalità dell’azione e sulla capacità dimostrata dal gruppo criminale di riorganizzarsi, come avvenuto nel caso di specie.

Il legame familiare tra i membri di un’associazione a delinquere è considerato un’attenuante?
No, in questo caso il legame familiare è stato considerato un elemento che ha rafforzato il vincolo criminale e garantito l’operatività del gruppo. La base familiare dell’organizzazione è stata vista come un fattore di coesione dell’associazione dedita al traffico di stupefacenti, non come una circostanza attenuante.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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