Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 7952 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2   Num. 7952  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 01/12/2023
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
 COGNOME NOME NOME a Tradate il DATA_NASCITA
 PARLAPIANO NOME NOME a Palermo il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 16/11/2022 della Corte di Appello di Milano visti gli atti, il provvedimento impugNOME e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
 NOME COGNOME, a mezzo del suo difensore, propone ricorso per cassazione avverso la sentenza del 16 novembre 2022 con la quale la Corte di Appello di Milano ha confermato la sentenza del 21 maggio 2019 con la quale il Tribunale di Busto Arsizio lo ha condanNOME alla pena di anni 1 di reclusione ed euro 300,00 di multa in relazione ai reati di cui ai capi 8) e 17), pena aggiunta a quella irrogata dal Tribunale di Como con sentenza del 18 febbraio 2016.
Il ricorrente COGNOME, con il primo motivo di impugnazione, lamenta la violazione degli artt. 115, 379 e 648 cod. pen. conseguente alla mancata riqualificazione del fatto descritto nel capo 8) nella fattispecie del favoreggiamento reale di cui all’art. 379 cod. pen.
La Corte territoriale, omettendo di motivare in ordine alla richiesta di riqualificazione dedotta in sede di discussione orale, avrebbe fondato la
condanna per il reato di ricettazione esclusivamente sul contenuto dell’intercettazione ambientale riportata a pagina 43 della sentenza impugnata, intercettazione nel corso della quale il COGNOME si limiterebbe a rispondere «si» alla richiesta del COGNOME avanzata nei seguenti termini «se ce li hai già».
Secondo la difesa sarebbe più verosimile affermare che il COGNOME, a conoscenza dell’esistenza della merce di provenienza furtiva nella disponibilità di terzi, intendesse accordarsi con il COGNOME per consentire ai ricettatori di assicurarsi il profitto del reato, anche in considerazione del significativo periodo temporale trascorso dalla data del furto.
Tale proponimento del ricorrente non sarebbe stato portato a termine a causa dell’arresto del COGNOME e del COGNOME avvenuto il giorno stesso in cui era stato raggiunto l’accordo criminoso con conseguente applicabilità dell’art. 115 cod. pen.
Il ricorrente COGNOME, con il secondo motivo di impugnazione, lamenta violazione dell’art. 416 cod. pen. e carenza della motivazione in ordine alla sussistenza degli elementi costitutivi dell’ipotesi associativa nonché in ordine alla partecipazione del ricorrente al sodalizio criminale.
3.1. La motivazione sarebbe del tutto carente in ordine alla dimostrazione dell’esistenza di un accordo stabile finalizzato alla commissione di una serie indeterminata di reati, di una autonoma struttura organizzativa e di un luogo di custodia dei beni di provenienza delittuosa.
La Corte di merito non avrebbe, inoltre, adeguatamente valutato che nessuno dei reati fine contestati è stato posto in essere da tutti e sette i presunti sodali.
3.2. I giudici di appello avrebbero desunto la partecipazione del COGNOME all’associazione a delinquere esclusivamente dalla realizzazione dei reati fine senza tenere contro della mancanza dimostrazione dell’esistenza di rapporti con gli altri associati e del fatto che il ricorrente, nel periodo oggetto di contestazione (2012-2016), sia stato coinvolto in soli due episodi delittuosi, concentrati nel bimestre dicembre 2015 e gennaio 2016.
NOME COGNOME, a mezzo del suo difensore, propone ricorso per cassazione avverso la sentenza del 16 novembre 2022 con la quale la Corte di Appello di Milano lo ha condanNOME alla pena di anni 4, mesi 8 di reclusione ed euro 5.700,00 di multa, previa declaratoria della sopravvenuta prescrizione del reato di cui al capo 4) ed assoluzione dal reato di estorsione aggravata di cui al capo 1) limitatamente alla somma di euro 7.000,00.
 Il ricorrente COGNOME, in via preliminare, lamenta violazione degli artt. 187, 190 cod. proc. pen. e 111 Cost. nonché carenza della motivazione in
ordine al motivo di appello con cui veniva chiesta l’esclusione delle intercettazioni -elencate alla lettera B) della lista depositata dal Pubblico ministero- in quanto irrilevanti e manifestamente superflue e quindi non utilizzabili nel presente giudizio.
La Corte territoriale avrebbe ignorato la censura difensiva con la quale veniva segnalato che dette intercettazioni avrebbero ad oggetto un episodio verificatosi in danno del legale rappresentante della società RAGIONE_SOCIALE che non rientrerebbe nei fatti indicati nel capo di imputazione.
 Il ricorrente COGNOME, con il primo motivo di impugnazione, lamenta violazione dell’art. 416 cod. pen. e carenza della motivazione in ordine alla sussistenza degli elementi costitutivi dell’ipotesi associativa.
La Corte di merito, con motivazione apodittica ed apparente, avrebbe fondato la condanna esclusivamente sulla base di tre intercettazioni, conversazioni che, a giudizio della difesa, non sarebbero idonee a dimostrare l’ipotizzato ruolo di promotore ed organizzatore dell’associazione a delinquere contestato al Parla piano.
Le conversazioni intercettate non dimostrerebbero che il COGNOME impartisse ordini o indicasse gli obiettivi da perseguire agli altri associati né che lo stesso venisse indicato dagli affiliati come capo o promotore del sodalizio o comunque consultato prima della commissione delle condotte delittuose dagli altri affiliati.
La deposizione del teste di p.g. COGNOME e le dichiarazioni rese dai co-imputati dimostrerebbero, inoltre, come il COGNOME abbia intrattenuto rapporti esclusivamente con il COGNOME (amico di infanzia del figlio del ricorrente) con conseguente insussistenza del requisito dell’a ffectio societatis;
Il compendio probatorio escluderebbe il coinvolgimento del ricorrente nella commissione dei reati fine, non avendo il COGNOME fornito alcun apporto causale né alcuno stimolo alle attività criminose dell’ipotizzato consesso associativo.
Le conversazioni intercettate dimostrerebbero, inoltre, che il COGNOME avrebbe chiesto aiuto al COGNOME a titolo personale al solo fine di farsi sostenere economicamente, circostanza che dimostrerebbe l’inesistenza di una cassa comune cui il COGNOME avrebbe potuto accedere in modo automatico.
 Il ricorrente COGNOME, con il secondo motivo di impugnazione, lamenta erronea applicazione degli artt. 56, 626 cod. pen. e 192, 530, 533 cod. proc. pen., violazione del principio dell’oltre ogni ragionevole dubbio nonché carenza della motivazione in ordine alla sussistenza del reato di tentata estorsione aggravata.
I giudici di appello, limitandosi a richiamare la motivazione della sentenza di primo grado e senza analizzare correttamente il compendio probatorio, avrebbero affermato apoditticamente che il COGNOME avrebbe creato un clima di intimidazione per coartare la volontà della persona offesa.
La Corte territoriale avrebbe erroneamente affermato l’assenza di un diritto di credito vantato dal COGNOME nei confronti del COGNOME, senza tenere conto che il COGNOME avrebbe offerto di acquistare l’abitazione del COGNOME elargendo alla persona offesa somme di denaro dal proprio conto corrente, dichiarazioni non smentite da alcun elemento istruttorio.
La motivazione sarebbe carente e presuntiva in ordine alla realizzazione da parte del COGNOME di condotte minacciose e violente; in particolare non sarebbero ravvisabili elementi probatori idonei a dimostrare il coinvolgimento del ricorrente negli attentati incendiari subiti dalla persona offesa.
Parimenti non sarebbe stato dimostrato che il COGNOME abbia subito delle lesioni,stante la mancata produzione di documentazione sanitaria; peraltro il COGNOME avrebbe svolto un ruolo da pacificatore al solo fine di far trovare una soluzione transattiva al COGNOME ed al COGNOME.
Il ricorrente COGNOME, con il terzo motivo di impugnazione, lamenta erronea interpretazione degli artt. 424, 425 cod. pen. e 192, 530, 533 cod. proc. pen., violazione del principio dell’oltre ogni ragionevole dubbio nonché carenza della motivazione in ordine alla penale responsabilità per il reato di cui al capo 5).
La condanna sarebbe fondata su motivazione illogica, congetturale e apodittica basata su elementi indiziari inidonei a superare la soglia dell’oltre ogni ragionevole dubbio; in particolare la Corte di merito avrebbe valorizzato esclusivamente la conversazione intercettata in data 8 gennaio 2016, conversazione che non conterrebbe alcun riferimento agli episodi contestati.
 Il ricorrente COGNOME, con il quarto motivo di impugnazione, lamenta erronea interpretazione dell’art. 648 cod. pen. e 192, 530, 533 cod. proc. pen., violazione del principio dell’oltre ogni ragionevole dubbio nonché manifesta illogicità della motivazione in ordine alla penale responsabilità dell’imputato per il reato di cui al capo 15).
La motivazione sarebbe carente in ordine alla dimostrazione della provenienza illecita dei tablet rinvenuti, non essendo provato che tali tablet fossero quelli oggetto del furto avvenuto presso l’Eurospin.
I giudici di merito non avrebbero argomentato adeguatamente in ordine alla consapevolezza del COGNOME che il tablet regalatogli fosse di provenienza
delittuosa, non potendo desumersi tale consapevolezza dal fatto che l’autore del dono sarebbe un «delinquente» (vedi pag. 15 del ricorso).
Il ricorrente COGNOME, con il quinto motivo di impugnazione, lamenta il vizio di motivazione in ordine al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
La Corte territoriale avrebbe fondato il rigetto esclusivamente in considerazione della assenza di resipiscenza da parte dell’imputato, senza tenere conto degli elementi favorevoli ad una mitigazione della pena dedotti dalla difesa (il COGNOME avrebbe partecipato attivamente al processo, mostrando interesse a provare la propria innocenza).
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono inammissibili per i motivi che seguono.
Conviene trattare, in esordio, alcuni aspetti rilevanti per la decisione di entrambi i ricorsi, fissando i princìpi di diritto che il Collegio intende applicare e, così, evitando inutili ripetizioni, che finirebbero per appesantire la motivazione.
Quanto alle statuizioni oggetto degli odierni ricorsi, si è in presenza di una c.d. doppia conforme con la conseguenza che le due sentenze di merito possono essere lette congiuntamente costituendo un unico corpo decisionale, essendo stato rispettato sia il parametro del richiamo da parte della sentenza d’appello a quella del primo giudice sia l’ulteriore parametro costituito dal fatto che entrambe le decisioni adottano i medesimi criteri nella valutazione delle prove (Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, COGNOME, Rv. 257595, Sez. 2, n. 6560 del 08/10/2020, COGNOME, Rv. 280654 – 01; da ultimo Sez. 2, n. 38963 del 25/05/2023, Arcidiacono, non massimata).
È, infatti, giurisprudenza pacifica di questa Corte che la sentenza appellata e quella di appello, quando non vi è difformità sui punti denunciati, si integrano vicendevolmente, formando un tutto organico ed inscindibile, una sola entità logico-giuridica, alla quale occorre fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione, integrando e completando con quella adottata dal primo giudice le eventuali carenze di quella di appello (Sez. U, n. 6682 del 04/02/1992, COGNOME, Rv. 191229; Sez. 2, n. 19411 del 12/03/2019, COGNOME, Rv. 276062, in motivazione; Sez. 2, n. 29007 del 09/10/2020, COGNOME, non mass.).
 Tutti i motivi di ricorso presentati nell’interesse degli imputati sono reiterativi di medesime doglianze inerenti alla ricostruzione dei fatti, all’interpretazione del materiale probatorio ed alla determinazione del
trattamento sanzioNOMErio già formulate in sede di appello ed affrontate e disattese dalla Corte di merito in esito ad un adeguato scrutinio, trasfuso in una motivazione priva di aporie e illogicità manifeste.
Deve essere, altresì, sottolineato come le doglianze formulate dai ricorrenti siano dirette – nei casi che verranno specificamente indicati – a contestare, nella sostanza, la ricostruzione del fatto non illogicamente operata dal tessuto motivazionale della sentenza impugnata, in termini sovrapponibili a quelli effettuati nella sentenza di primo grado; ciò senza considerare che, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., non appartengono al controllo di legittimità sulla motivazione: la rilettura degli elementi fattuali posti a fondamento della decisione impugnata, il giudizio sulla rilevanza e attendibilità delle fonti di prova nonché l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito, essendo invece tale controllo circoscritto alla verifica che il provvedimento impugNOME contenga l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo sorreggono, che il discorso giustificativo sia effettivo ed idoneo a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata e, infine, che nella motivazione non siano riscontrabili contraddizioni né illogicità evidenti (Sez. 5, n. 51604 del 19/09/2017, COGNOME, Rv. 271623-01; Sez. 2, n. 39563 dell’08/09/2023, COGNOME, non massimata).
Deve, infine, essere ribadito che, in sede di legittimità, è possibile prospettare un’interpretazione del significato di un’intercettazione diversa da quella proposta dal giudice di merito solo in presenza di travisamento della prova, ossia qualora il decidente ne abbia indicato il contenuto in modo difforme da quello reale e tale difformità risulti decisiva ed incontestabile (Sez. 5, n. 7465 del 28/11/2013, COGNOME, Rv. 259516; Sez. 3, n. 6722 del 21/11/2017, COGNOME, Rv. 272558 e da ultimo Sez. 5, n. 2245 del 14/12/2022, dep. 2023, Vallepiano, non massimata) così da rendere manifesta l’illogicità ed irragionevolezza della motivazione con cui esse sono recepite (Sez. 2, n. 50701 del 04/10/2016, COGNOME, Rv. 268389 – 01; Sez. 3, n. 44938 del 05/10/2021, COGNOME, Rv. 282337 – 01; da ultimo Sez. 1, n. 3019 del 27/09/2022, dep. 2023, Cremona, non massimata).
La valutazione dei contenuti delle conversazioni captate è infatti un apprezzamento di merito che investe il significato e, dunque la capacità dimostrativa della prova, sicché la sua critica è ammessa in sede di legittimità solo ove si rilevi l’illogicità manifesta e decisiva della motivazione o una decisiva
discordanza tra la prova raccolta e quella valutata (Sez. 2, n. 6414 del 23/11/2022, dep. 2023, COGNOME, non massimata).
Nel caso di specie, i ricorrenti non hanno rappresentato divergenze tra il contenuto delle conversazioni trascritte e quelle registrate ma si sono limitati a obiettare circa l’efficacia dimostrativa della penale responsabilità del COGNOME e del COGNOME, della sussistenza del sodalizio e della partecipazione degli e( imputati all’associazione rdiAtal – F14315 -« ThmEdiòsc:3 sicché devono ritenersi non consentite le censure sviluppate nei ricorsi inerenti all’interpretazione delle conversazioni intercettate, stante la mancanza prospettazione di alcun travisamento da parte dei giudici di merito.
Tutto ciò premesso, è possibile passare all’esame dei singoli motivi di ricorso degli imputati
 Il primo motivo dell’impugnazione proposta dal COGNOME è dedotto per motivi non consentiti in sede di legittimità: attraverso il motivo in esame la difesa invoca, infatti, una diversa ed alternativa lettura dei fatti di causa desumibili dalle intercettazioni in atti, che non può trovare ingresso in sede di legittimità a fronte di sentenze di merito congruamente e logicamente motivate in punto di responsabilità del ricorrente in ordine al reato di ricettazione.
Deve essere, in proposito, richiamato quanto in precedenza argomentato (vedi § 4) in ordine ai principi di diritto affermati da questa Corte in materia di interpretazione delle conversazioni intercettate e dei limiti di sindacabilità delle stesse.
Entrambe le sentenze hanno dato adeguatamente conto delle ragioni che hanno indotto i giudici di merito ad affermare che l’imputato abbia commesso il reato di ricettazione di cui al capo 8 a seguito di una valutazione delle conversazioni intercettate che appare rispettosa dei canoni di logica e dei principi di diritto che governano l’apprezzamento delle prove (vedi pagg. da 113 a 116 della sentenza di primo grado e pagg. 42 e 43 della sentenza impugnata), motivazione che non può esser rivalutata, in questa sede, non essendo i giudici di merito incorsi in contraddizioni o manifeste illogicità.
 Il secondo motivo del ricorso proposto dal COGNOME è in parte non consentito ed in parte fondato.
7.1. La doglianza con la quale il ricorrente lamenta la carenza di motivazione in ordine alla sussistenza dell’associazione a delinquere non rientra tra i motivi dedotti in sede di appello (vedi pag. 5 dell’atto di appello).
Deve essere ribadito che non sono proponibili in cassazione motivi con i quali vengono sollevate per la prima volta questioni che, per non essere state dedotte nei motivi di appello, non potevano essere rilevate dai giudici di
secondo grado, per non essere riconducibili nei limiti degli effetti devolutivi prodotti dall’impugnazione. In tal caso le censure dedotte nel ricorso in cassazione hanno per oggetto «punti della decisione» che hanno acquistato autorità di giudicato in base al principio del tantum devolutum, quantum appellatum (Sez. 4, n. 17891 del 30/03/2022, COGNOME, non massinnata).
7.2. La doglianza con cui il ricorrente lamenta il vizio di motivazione in ordine alla sua partecipazione all’ipotizzata associazione a delinquere è fondata.
La Corte territoriale, con motivazione estremamente sintetica (vedi pag. 46 della sentenza impugnata), ha affermato la partecipazione del ricorrente all’associazione a delinquere capeggiata dal COGNOME esclusivamente in considerazione della commissione da parte del COGNOME dei reati-fine del sodalizio.
Nessuna considerazione la Corte di merito ha riservato agli elementi emersi dall’istruttoria che, secondo la prospettazione difensiva esposta nelle pagine da 4 a 6 dell’atto di appello, dimostrerebbero, in punto di logica, come il COGNOME non abbia partecipato in modo stabile al sodalizio capeggiato dal COGNOME (mancanza di contatti con gli associati ad esclusione del COGNOME, assenza di rapporti con il COGNOME, mancata partecipazione del COGNOME alle conversazioni intercettate inerenti all’attività associativa, commissione di soli due reati-fine).
Il criterio di attribuzione della responsabilità cui ha fatto ricorso il giudice d’appello, aderendo ad analoga impostazione della sentenza di primo grado, si fonda su di un inaccettabile parametro di consistente verosimiglianza, che non corrisponde al canone normativo di indispensabile valutazione della colpevolezza penale.
I giudici di appello si sono fermati al solo dato storico-statico della consumazione dei singoli reati-fine, senza contestualizzare ed analizzare tali episodiche condotte delittuose nella loro proiezione dinamica così da poterle considerare espressione di un rapporto di collaborazione collaudato, stabile, duraturo, destiNOME a produrre effetti ben oltre i singoli episodi delittuosi e dare linfa ad un programma criminale potenzialmente indefinito.
Deve essere, in proposito, ribadito il principio di diritto per il quale l’appartenenza di un soggetto ad una associazione a delinquere può essere desunta dalla partecipazione ai reati fine esclusivamente qualora le modalità dell’azione siano tali da evidenziare la sussistenza del vincolo associativo (Sez. 1, n. 29093 del 24/05/2022, Barillari Rv. 283311-01; Sez. 3, n. 23335 del 28/01/2021, COGNOME, Rv. 281589-01), tematica che non è stata in alcun modo affrontata e valutata dai giudici di appello con conseguente carenza del percorso argomentativo.
Il rispetto del principio dell’oltre ogni ragionevole dubbio sottende una motivazione adeguata, che rifletta una valutazione completa del compendio probatorio, letto anche alla luce del contributo conoscitivo e critico offerto dalla difesa, e dia conto dunque delle criticità emerse, risolvendole sulla base degli elementi che valgono a suffragare l’assunto accusatorio, in assenza di residue ipotesi alternative, adeguatezza motivazionale non riscontrabile nel caso di specie.
In conclusione, deve darsi atto di come la motivazione del provvedimento impugNOME non si riveli coerente al canone dell’oltre ogni ragionevole dubbio, previsto dall’art. 533 cod. proc. pen., con la necessità che i giudici rimodulino le proprie affermazioni circa la responsabilità del ricorrente e si conformino al canone valutativo della responsabilità penale costituzionalmente orientato.
Ne consegue l’annullamento con rinvio del provvedimento impugNOME ‘limitatamente alla ipotesi di cui all’art. 416 cod. pen. e la trasmissione degli atti ad altra sezione della Corte di Appello di Milano, che si pronuncerà sulle criticità esaminate dal Collegio, in piena aderenza ai principi ermeneutici indicati, ma con altrettanta ampia libertà del giudice del rinvio di orientarsi nel senso di riproporre l’esito decisorio già adottato ovvero di discostarsene.
La doglianza preliminare con la quale il COGNOME eccepisce l’inutilizzabilità delle intercettazioni elencate alla lettera B) della lista depositata dal Pubblico è generica e dedotta in carenza di interesse.
Questo Collegio intende dare continuità al principio fissato da questa Corte per il quale, quando si lamenti l’inutilizzabilità di un elemento probatorio, il ricorso deve illustrare, a pena di inammissibilità, l’incidenza dell’eventuale eliminazione ai fini della cosiddetta «prova di resistenza»; gli elementi di prova acquisiti illegittimamente devono incidere, scardinandola, sulla motivazione censurata e compromettere, in modo decisivo, la tenuta logica e l’intera coerenza della motivazione, introducendo profili di radicale incompatibilità all’interno dell’impianto argomentativo del provvedimento impugNOME (Sez. 5, n. 31823 del 06/10/2020, Lucamarini Rv. 279829 – 01; Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, COGNOME, Rv. 269218 – 01).
Nel caso di specie, nel ricorso stesso viene affermata la superfluità delle intercettazioni in quanto relative a fatti diversi da quelli contestati al COGNOME, senza peraltro specificare se tali conversazioni siano state utilizzate dai giudici di merito a sfavore dell’imputato con conseguente genericità della doglianza.
Deve essere, inoltre, rimarcato che dalle cadenze motivazionali della sentenza impugnata è enucleabile una ricostruzione dei fatti precisa e circostanziata che non tiene in considerazione le conversazioni intercettate di
cui la difesa eccepisce l’inutilizzabilità e, di conseguenza, la censura difensiva è icto ()cui/ avanzata in carenza di interesse.
Il primo motivo del ricorso del COGNOME è articolato esclusivamente in fatto e, quindi, proposto al di fuori dei limiti del giudizio di legittimità, restand estranei ai poteri della Corte di RAGIONE_SOCIALEzione quello di una rilettura degli elementi probatori posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti.
Il motivo è, al contempo, aspecifico in quanto reiterativo di medesime doglianze inerenti alla ricostruzione dei fatti e all’interpretazione del materiale probatorio già espresse in sede di appello ed affrontate in termini precisi e concludenti dalla Corte territoriale.
9.1. Il ricorrente, pur lamentando formalmente motivazione manifestamente illogica e contraddittoria, contesta in realtà la concreta ricostruzione in fatto resa dalla Corte territoriale. E ciò a fronte di un iter argomentativo coerente con le emergenze investigative e scevro da vizi logici, il quale valorizza una serie di elementi fattuali attestanti la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della sussistenza del reato associativo di cui al capo 17).
Entrambe le motivazioni ricostruiscono in modo ineccepibile dal punto di vista logico-giuridico gli elementi da cui dedurre la sussistenza degli elementi costitutivi del reato di cui all’art. 416 cod. pen.; i giudici di merito hanno evidenziato, con motivazione conforme alle risultanze processuali e priva di illogicità manifeste, gli elementi logico-fattuali -desumibili dalle conversazioni intercettate- attestanti l’esistenza dell’associazione a delinquere (numero dei partecipanti, costanza e stabilità dei rapporti intercorrenti tra gli associati nel periodo in cui si sono svolte le attività di captazione, organizzazione del sodalizio secondo criteri gerarchici, interazione delle condotte preordinate alla realizzazione di una pluralità di reati eterogenei, predisposizione di luoghi destinati agli incontri tra i sodali ed al deposito della refurtiva, disponibilità strumentazione di vario genere da utilizzare in occasione della consumazione dei reati-fine, disponibilità di un significativo numero di utenze telefoniche adoperate per mantenere i contatti tra gli associati, previsione di un sistema di mutuo soccorso in favore dei sodali detenuti).
I giudici di merito, peraltro, hanno desunto la prova dell’esistenza dell’associazione a delinquere non solo dal dato storico della reiterata consumazione di reati-fine in concorso, ma dall’esistenza di rapporti collaudati di collaborazione tra gli imputati, con studiata predeterminazione dei compiti di ciascuno, in maniera destinata a produrre effetti ben oltre il singolo episodio delittuoso. Nella organicità della relativa programmazione, e nella sua
esecuzione professionale coinvolgente a vario titolo gli imputati, sono stati ragionevolmente colti i necessari segnali non solo di manifestazione dell’associazione ma anche di intraneità ad essa del COGNOME.
Deve quindi ritenersi corretta la valutazione della Corte territoriale laddove ha ritenuto la sussistenza del contestato reato associativo, avendo fatto applicazione della giurisprudenza consolidata sulla base di una ricostruzione dei fatti conforme al parametro normativo ed insindacabile in sede di legittimità.
9.2. Le doglianze difensive si incentrano, inoltre, sul fatto che i giudici di merito hanno valorizzato un numero limitato di intercettazioni, peraltro ritenute dalla difesa generiche e non idonee a dimostrare il ruolo apicale ricoperto dal COGNOME. Il ricorso, pur cogliendo un aspetto oggettivo non contestabile e cioè il limitato numero di captazioni poste a fondamento della decisione, non si confronta adeguatamente con il contenuto delle stesse.
I giudici di merito, a differenza di quanto affermato nel ricorso, hanno adeguatamente valutato le conversazioni intercettate da cui hanno desunto il ruolo apicale del COGNOME all’interno dell’associazione a delinquere di cui al capo 17. La sentenza impugnata ha dato adeguatamente conto delle ragioni alla base della decisione sul punto, a seguito di una valutazione degli elementi probatori che appare congrua e rispettosa dei canoni della logica e dei principi di diritto che governano l’apprezzamento delle prove.
Quale decisiva conferma del ruolo direttivo del COGNOME, i giudici di primo e secondo grado hanno, in particolare, valorizzato gli ordini che lo stesso impartiva agli altri associati e le modalità con cui si sono esplicate le condotte delittuose in danno del COGNOME; elementi considerati, con argomentazioni logiche, coerenti e prive di aporie, manifestazione dell’attività di controllo e direzione svolta dal ricorrente all’interno del sodalizio criminale oggetto di giudizio (vedi pagg. da 130i a 143 della sentenza di primo grado e pagg. 45 e 46 della sentenza impugnata).
Risulta, pertanto, correttamente affermata, in base alle esaustive e logiche motivazioni della Corte territoriale, l’esistenza di un gruppo criminoso stabile all’interno del quale anche il COGNOME offriva il suo apporto in termini essenziali quale organizzatore e promotore dell’associazione.
9.3. Il convincente iter motivazionale seguito dai giudici di merito non viene in alcun modo scardiNOME dalle doglianze difensive con le quali si sostiene la genericità delle conversazioni intercettate sulla base di una alternativa ricostruzione fattuale delle vicende scrutinate.
La semplice lettura dell’atto di impugnazione esclude, infatti, la presenza di travisamenti COGNOME nelle operazioni COGNOME di  COGNOME interpretazione e valutazione delle
conversazioni intercettate, non emergendo in alcun modo quella palese e non controvertibile difformità tra il senso intrinseco delle conversazioni captate e quello tratto dai giudici di merito, soltanto in presenza della quale si può parlare di travisamento.
Appare sufficiente, pertanto, richiamare quanto in precedenza argomentato (vedi § 4) in ordine ai principi di diritto affermati da questa Corte in materia di interpretazione delle conversazioni intercettate e dei limiti di sindacabilità delle stesse.
10. Il secondo motivo del ricorso proposto dal COGNOME è aspecifico e non consentito.
La motivazione è caratterizzata da un vaglio approfondito ed effettivo degli elementi ritenuti decisivi per la condanna, senza il ricorso a formule stereotipate, e fornisce una esaustiva spiegazione della loro rilevanza ai fini dell’affermazione della penale responsabilità del COGNOME.
I vizi motivazionali lamentati dalla difesa non sono ravvisabili, fornendo la sentenza impugnata la dimostrazione che i giudici dell’appello hanno preso cognizione del contenuto sostanziale delle censure difensive e le hanno meditate, valutate e confutate con argomentazioni ineccepibili in punto di logica.
10.1. La versione dei fatti offerta dalla persona offesa risulta essere stata valutata dai giudici di merito in maniera logica, congrua e lineare, anche in considerazione della portata dei rimanenti elementi di prova che non hanno evidenziato alcun profilo di contrasto significativo con le dichiarazioni rese dal COGNOME né alcun interesse all’accusa da parte del denunciante (vedi pagine da 84 a 91 della sentenza di primo grado e pagine da 33 a 44 della sentenza impugnata).
L’iter argomentativo appare esente da vizi logici, fondandosi su di una compiuta e logica analisi critica delle dichiarazioni del COGNOME in un organico quadro interpretativo, alla luce del quale appare dotata di adeguata plausibilità logica e giuridica l’attribuzione a detti elementi del requisito della gravità, univocità e coerenza, in quanto conducenti all’affermazione di piena credibilità delle asserzioni della persona offesa.
Il ricorrente oblitera le argomentazioni dei giudici di merito in ordine alla completezza ed attendibilità delle propalazioni accusatorie della persona offesa, senza confrontarsi adeguatamente con il percorso argomentativo seguito nelle due sentenze in proposito conformi e proponendo una versione alternativa dei fatti non perseguibile in sede di legittimità.
Deve essere, in proposito, ricordato che le Sezioni Unite hanno affermato che «la valutazione della credibilità della persona offesa dal reato rappresenta una questione di fatto che ha una propria chiave di lettura nel compendio motivazionale fornito dal giudice e non può essere rivalutata in sede di legittimità, salvo che il giudice non sia incorso in manifeste contraddizioni» (Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, COGNOME‘Arte, Rv. 253214; Sez. 4, n. 10153 del 11/02/2020, C., Rv. 278609-01), circostanza non ravvisabile nel caso di specie.
Destituita di fondamento è la doglianza con la quale la difesa lamenta la mancanza di documentazione sanitaria attestante le lesioni subite dalla persona offesa a seguito delle condotte descritte nel capo 1) dell’imputazione. Il ricorrente non tiene conto del principio di diritto affermato dalla Corte di RAGIONE_SOCIALEzione secondo cui le lesioni conseguenti ad una aggressione possono essere dimostrate, per il principio del libero convincimento del giudice, sulla base delle sole dichiarazioni della persona offesa, di cui sia stata positivamente valutata l’attendibilità, anche in mancanza di un referto medico che riscontri le affermazioni della vittima del reato (vedi Sez. 3, n. 43614 del 19/10/2021, F., Rv. 282088 – 01: Sez. 2, n. 3501 del 15/12/2022, Soukratte, non massimata).
10.2. A differenza di quanto apoditticamente sostenuto dal ricorrente, i giudici di merito hanno motivato in ordine al preciso contributo causale al fatto fornito dal COGNOME, affermando che egli ha creato, con l’ausilio del suo luogotenente COGNOME, un clima di intimidazione caratterizzato da reiterate minacce, violenze fisiche ed attentati incendiari al fine di costringere il COGNOME a pagare le somme ingiustamente pretese dal COGNOME (vedi pagg. da 93 a 104 della sentenza di primo grado e pagg. da 37 a 41 della sentenza di appello).
Appare evidente che i giudici di merito hanno fatto buon uso del principio di diritto affermato dalla costante giurisprudenza di legittimità secondo cui il contributo causale dei singoli concorrenti nel reato di estorsione può manifestarsi attraverso forme differenziate (agevolazione alla consumazione del delitto, rafforzamento del proposito criminoso dell’autore della richiesta estorsiva, perpetrazione delle condotte violente o miNOMErie) rispetto alla condotta tipica prevista dalla norma incriminatrice (Sez. 2, n. 43067 del 13/10/2021, Taglialatela, Rv. 282295 – 01; Sez. 1, n. 7643 del 28/11/2014, COGNOME, Rv. 262310 – 01).
10.2.1. I giudici di merito, con motivazione coerente con le risultanze istruttorie e priva di manifesta illogicità, hanno ritenuto del tutto indimostrato che le somme pretese dal COGNOME fossero in alcun modo tutelabili in sede civilistica; non essendo emersi dall’istruttoria elementi probatori idonei a
dimostrare che il NOME vantasse l’effettiva titolarità di un diritto alla dazione di tali somme aldilà delle affermazioni degli imputati, dichiarazioni del tutto incompatibili con quanto narrato in modo attendibile e coerente dalla persona offesa (vedi pagg. 100 a 103 della sentenza di primo grado e pagg. da 38 a 41 della sentenza impugnata).
10.2.2. Il ricorrente, mosso da una considerazione atomistica e parcellizzata delle risultanze probatorie, fonda il motivo di ricorso su elementi ipotetici (in ordine al ruolo amicale di “pacificatore” asseritamente svolto dal COGNOME) ed inidonei a confutare la ricostruzione logico-fattuale fornita dai giudici di merito, al fine di prospettare una diversa ed inammissibile ricostruzione di merito, come tale preclusa in questa sede.
10.2.3. La motivazione oggetto di ricorso contiene, in conclusione, una valutazione globale e completa in ordine a tutti gli elementi rilevanti del giudizio; non risultano esservi errori nell’applicazione delle regole della logica né contraddizioni interne tra i diversi momenti di articolazione del giudizio ed appare corretta l’attribuzione di significato dimostrativo agli elementi valorizzati nell’ambito del percorso seguito dai giudici di merito e circa l’assenza di incompatibilità di detto significato con specifici atti del procedimento indicati in sede di ricorso.
Il terzo motivo del ricorso proposto dal COGNOME è al contempo aspecifico e non consentito in sede di legittimità.
11.1. La semplice lettura dell’atto di impugnazione esclude, infatti, la presenza di travisamenti nelle operazioni di interpretazione e valutazione delle conversazioni intercettate, non emergendo in alcun modo quella palese e non controvertibile difformità tra il senso intrinseco delle conversazioni captate e quello tratto dai giudici di merito, soltanto in presenza della quale si può parlare di travisamento.
Deve essere, in proposito, richiamato quanto in precedenza argomentato (vedi § 4) in ordine ai principi di diritto affermati da questa Corte in materia di interpretazione delle conversazioni intercettate e dei limiti di sindacabilità delle stesse.
11.2. I giudici di merito, con motivazione coerente con le risultanze istruttorie ed esente da illogicità manifeste, hanno chiarito che il COGNOME è stato indicato come il mandante del reato di cui al capo 5) in considerazione dell’inequivoco tenore delle conversazioni captate nel corso delle indagini.
Le intercettazioni indicate in sentenza sono state ritenute idonee a dimostrare: l’esposizione debitoria della persona offesa nei confronti del
NOME; il movente che ha indotto il ricorrente a dare incarico al COGNOME ed al COGNOME di dare fuoco all’autolavaggio ed alla vettura di proprietà del COGNOME per costringerlo a pagare le somme pretese dal COGNOME; la pregressa esperienza degli associati nella realizzazione di attentati incendiari; la mancanza di ragioni di attrito tra le persona offesa e soggetti diversi da quelli sottoposti a giudizio; l’assenza di ipotesi fattuali alternative dotate di un minimo di fondamento probatorio (vedi pagg. da 107 a 112 della sentenza di primo grado nonché pagg. 41 e 42 della sentenza impugnata).
11.3. La complessiva ricostruzione del materiale probatorio esposta in motivazione, in nessun modo censurabile sotto il profilo della completezza e della razionalità, è fondata, pertanto, su apprezzamenti di fatto non qualificabili in termini di contraddittorietà o di manifesta illogicità e perciò insindacabili in questa sede.
Il ricorrente limitandosi ad affermare, in modo generico ed apodittico, la carenza ed irragionevolezza della motivazione, non si è confrontato adeguatamente con le argomentazioni della Corte di merito con conseguente aspecificità del motivo.
Il quarto motivo del ricorso proposto dal COGNOME è aspecifico e non consentito in quanto il ricorrente propone argomentazioni assertive e di merito volte ad una rivalutazione del materiale probatorio, senza confrontarsi con la motivazione elaborata sul punto dai giudici di merito.
12.1. La Corte territoriale, con motivazione esaustiva e conforme alle risultanze processuali, che non può esser rivalutata in questa sede, non essendo i giudici di appello incorsi in contraddizioni o illogicità manifeste, ha indicato e valutato approfonditamente la pluralità di intercettazioni ritenute idonee a dimostrare la penale responsabilità del ricorrente in ordine al reato di ricettazione cui al capo 15.
In particolare, i giudici di merito hanno ritenuto le conversazioni intercettate idonee a dimostrare la provenienza delittuosa del tablet in questione, la piena consapevolezza da parte del RAGIONE_SOCIALE di tale derivazione criminale nonché l’inattendibilità della versione prospettata dall’imputato in quanto smentita dal contenuto delle intercettazioni ambientali espressamente indicate dal primo giudice (vedi pagg. 127, 128 e 129 della sentenza di primo grado e pag. 45 della sentenza impugnata).
Tali deduzioni non si presentano manifestamente illogiche, soprattutto in assenza di concludenti emergenze specifiche di segno contrario, e di conseguenza la motivazione è priva di vizi logici, coerente con le indicazioni
ermeneutiche di legittimità e con le emergenze processuali, sottraendosi, pertanto, ad ogni censura in questa sede.
Va, in proposito, ricordato che non è compito del giudice di legittimità stabilire se la decisione di merito proponga o meno la migliore ricostruzione dei fatti né condividerne la giustificazione, dovendo limitarsi a verificare se questa giustificazione sia, come nel caso di specie, compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento.
12.2. In particolare, entrambi i giudici di merito, con motivazione priva di illogicità e conforme alle prove raccolte, hanno ritenuto la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato di cui all’art. 648 cod. pen. in considerazione della natura del bene ricettato e delle modalità di ricezione del tablet che risultavano indicative della provenienza illecita del bene unitamente al fatto che l’imputato non sia riuscito a fornire una giustificazione attendibile in ordine alla legittima provenienza del tablet di cui al capo 15.
Tale valutazione, non rivedibile nel merito in questa sede, è coerente con l’insegnamento di questa Corte secondo cui ricorre il dolo di ricettazione nella forma eventuale quando l’agente ha consapevolmente accettato il rischio che la cosa acquistata o ricevuta fosse di illecita provenienza (Sez. 2, n. 25439 del 21/04/2017, Sarr, Rv. 270179 – 01, Sez. 2, n. 29702 del 4/5/2022, Memishaj, non massimata).
Deve essere ribadito che non si richiede all’imputato di provare la provenienza del possesso delle cose, ma soltanto di fornire una attendibile spiegazione dell’origine di tale possesso, assolvendo non ad un onere probatorio, bensì ad un onere di allegazione di elementi, che potrebbero costituire l’indicazione di un tema di prova per le parti e per il giudice o che comunque possano essere valutati da parte del giudice di merito secondo i comuni principi del libero convincimento (in tal senso, Sez. U, n. 35535 del 12/07/2007, COGNOME, in motivazione, Rv. 236914 – 01; Sez. 2, n. 53017 del 22/11/2016, COGNOME, Rv. 268713 – 01; da ultimo Sez. 2, n. 6682 del 12/01/2023, COGNOME, non massimata).
12.3. Deve aggiungersi, infine, che le conversazioni poste a fondamento della decisione, alla luce dei principi costantemente affermati dalla giurisprudenza di legittimità in materia di interpretazione e valutazione dei contenuti intercettati, risultano correttamente apprezzate dai giudici di merito in assenza di profili di illogicità o irragionevolezza ed in mancanza di travisamenti del loro contenuto.
Il ricorrente, peraltro, non ha rappresentato effettive divergenze tra il contenuto delle conversazioni trascritte e quelle registrate ma si è limitato a
obiettare circa l’efficacia dimostrativa in ordine alla sussistenza degli elementi costitutivi del reato di ricettazione ed a proporre interpretazioni alternative delle conversazioni intercettate, sicché devono ritenersi inammissibili le censure sviluppate nel ricorso inerenti alla presunta illogicità della motivazione, stante l’assenza di travisamento del contenuto delle captazioni da parte dei giudici di merito.
 Il quinto motivo del ricorso proposto dal COGNOME è aspecifico, non risultando adeguatamente enunciati e argomentati rilievi critici rispetto alle ragioni poste a fondamento del mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
I giudici di appello, con motivazione sintetica ma conforme alle risultanze processuali, che riprende le argomentazioni dal Giudice di primo grado come è fisiologico in presenza di una doppia conforme, hanno correttamente valorizzato, ai fini del diniego, la mancanza di resipiscenza ovvero di altri elementi favorevoli alla mitigazione della pena (vedi pag. 47 della sentenza impugnata).
Deve esser, peraltro, ribadito il principio affermato da questa Corte secondo cui non è necessario che il giudice di merito, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che, come nel caso di specie, la motivazione faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (Sez. 3, n. 2233 del 17/06/2021, COGNOME, Rv. 282693 – 01; Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, COGNOME, Rv. 279549 – 02).
Peraltro, già il primo giudice aveva escluso l’applicabilità delle attenuanti generiche in considerazione dell’assenza di elementi favorevoli ad una maggiore mitigazione della pena, della particolare gravità dei fatti, dell’intensità dell’offesa arrecata e dei precedenti penali dell’imputato (vedi pag. 150 della sentenza di primo grado); elementi con i quali l’atto di appello non si era adeguatamente confrontato, limitandosi ad affermare, in modo apodittico, la marginalità delle condotte poste in essere dal COGNOME, l’irrilevanza dei precedenti penali istante la loro risalenza nel tempo i e la parziale ammissione di responsabilità da parte dell’imputato.
 All’inammissibilità del ricorso di NOME COGNOME consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della cassa delle ammende della somma di euro tremila, così equitativamente fissata.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME NOME limitatamente al reato di cui all’art. 416 cod. pen. con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di Appello di Milano. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso di COGNOME NOME. Dichiara inammissibile il ricorso di COGNOME NOME e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e dellaisomma di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE delle Ammende.
Così deciso il 01 dicembre 2023
Il C,ons,iglfere – estensore
La Presidente