Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 30480 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 30480 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 12/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato in ALBANIA il 06/05/1991
avverso l’ordinanza del 30/12/2024 del TRIB. LIBERTA’ di Bari
Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
sentite le conclusioni del Procuratore Generale che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
udito il difensore, Avvocato NOME del Foro di Bari, in difesa di NOMECOGNOME il quale ha illustrato i motivi di ricorso e ne ha chiesto l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza depositata il 30 dicembre 2024, il Tribunale del Riesame di Bari ha rigettato l’istanza della difesa di NOMECOGNOME confermando il provvedimento cautelare emesso dal Giudice per le Indagini Preliminari presso il Tribunale cittadino in data 27 settembre 2024.
1.1 È stata ribadita la gravità indiziaria in ordine all’esistenza di un’organizzazione criminale dedita all’acquisto, trasporto, deposito e distribuzione di sostanze stupefacenti, caratterizzata da una struttura gerarchica ben definita e da una distribuzione funzionale dei ruoli tra i partecipanti.
Al vertice dell’associazione si collocavano i fratelli albanesi NOME COGNOME e NOME COGNOME i quali, nonostante la loro sottoposizione al regime della detenzione domiciliare per precedenti vicende giudiziarie analoghe, continuavano a dirigere e organizzare l’attività del sodalizio attraverso la figura di NOME COGNOME che fungeva da elemento di raccordo tra i vertici e la base operativa.
NOME COGNOME rivestiva il ruolo di quadro intermedio nell’organizzazione, occupandosi materialmente della direzione e organizzazione delle attività criminose, curando altresì la divisione dei profitti illeciti e l’assistenza legale ed economica degli associati eventualmente tratti in arresto. Accanto a NOME COGNOME operava COGNOME NOME, anch’egli con funzioni di quadro intermedio, il quale partecipava alle attività organizzative del sodalizio, occupandosi della raccolta degli illeciti profitti e delle attività di acquisto, trasporto, deposito e distribuzione delle sostanze stupefacenti.
La base operativa dell’organizzazione era costituita da una pluralità di soggetti, ciascuno dei quali svolgeva ruoli specifici e complementari.
In particolare, NOME rivestiva il ruolo di “corriere” specializzato, con il compito di ricevere e trasportare dai canali di approvvigionamento riconducibili a cittadini albanesi nella provincia di Teramo ingenti quantitativi di sostanze stupefacenti del tipo cocaina, successivamente destinati ai mercati pugliese e napoletano.
1.2 Il Tribunale ha analizzato specificamente la posizione di NOME nell’ambito del sodalizio criminoso, evidenziando che le intercettazioni e il suo arresto in flagranza del 20 aprile 2023 hanno confermato il suo ruolo di “corriere” al servizio dell’organizzazione, risultando organicamente inserito nelle sue maglie e in stretto contatto con più sodali, ma soprattutto con NOME COGNOME
Elemento decisivo per la configurazione dell’appartenenza organica all’associazione è stato individuato nel compenso mensile di euro 5.000 che l’indagato percepiva dall’organizzazione, erogato tramite RAGIONE_SOCIALE, come è emerso dalla conversazione del 15 maggio 2023 nella quale quest’ultimo, parlando con un connazionale e riferendosi al ricorrente con l’appellativo “Lab”, esclamava: “e ha la macchina con il posto nascosto e io lo uso pagandolo 5 mila euro al mese”.
Il Tribunale ha inoltre sottolineato che l’indagato godeva dell’assistenza legale del clan, assicuratagli tramite NOME Ergys, come documentato dalla conversazione del 24 giugno 2023.
Tale circostanza, secondo il Collegio, risulta incompatibile con una collaborazione occasionale e costituisce invece un indice rivelatore dell’ affectio societatis .
Nel valutare i motivi di censura, il Tribunale del Riesame ha dedicato particolare attenzione all’analisi delle fonti indiziarie, con specifico riferimento all’attività tecnica di intercettazione. Richiamando la giurisprudenza di legittimità, il Collegio ha evidenziato che l’esistenza di indizi di colpevolezza possa essere desunta anche dal solo contenuto delle intercettazioni telefoniche quando esse siano affidabili, di sicura provenienza dagli indagati, numerose, concordanti e dal contenuto costantemente pregnante nel senso di riferimento ad attività illecite.
Nel caso concreto, il Tribunale ha rilevato come le conversazioni captate fossero caratterizzate dall’uso di un linguaggio criptico o gergale (come “tre pani” o “pezzi” per intendere i panetti di droga), circostanza che, secondo la comune esperienza giudiziaria, ricorre spesso in contesti criminogeni similari. I sequestri di droga effettuati dopo l’ascolto del linguaggio criptico utilizzato dagli interlocutori hanno consentito di eliminare ogni dubbio sul reale contenuto delle conversazioni, come è accaduto proprio nei confronti di NOMECOGNOME costantemente monitorato e tratto in arresto in flagranza di reato il 20 aprile 2023.
Sono state specificamente confutate le principali eccezioni sollevate dalla difesa.
Quanto all’eccezione relativa alla brevità del periodo di monitoraggio, il Tribunale ha ravvisato elementi sufficienti a delineare il ruolo organico del prevenuto nelle maglie associative, al punto da ricevere un’auto di servizio modificata, uno stipendio mensile e l’assistenza legale dopo la cattura, tutti elementi sintomatici di un vincolo stabile e duraturo.
1.3 Sotto il profilo delle esigenze cautelari, è stata richiamata la vigente formulazione dell’art. 275, comma III, cod. proc. pen., che pone una presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari e di idoneità della misura coercitiva con riferimento ai soggetti indiziati del delitto di adesione ad associazione dedita al narcotraffico ex art. 74 D.P.R. 309/1990.
Il Collegio ha escluso la ravvisabilità di elementi idonei a scardinare tale presunzione iuris tantum , essendo risultato il ricorrente inserito organicamente e con ruolo importante nelle maglie del sodalizio dedito al narcotraffico. Nel caso specifico, il Tribunale ha ritenuto sussistente con certezza il pericolo di reiterazione criminosa, alla luce dell’estrema gravità dei fatti monitorati, il cui disvalore appariva accresciuto dalla connotazione associativa del fenomeno e dalla qualificata partecipazione del ricorrente nell’apparato plurisoggettivo.
Avverso l’ordinanza del Tribunale del Riesame, la difesa di NOME propone ricorso per cassazione articolato su due motivi principali.
2.1 Con il primo motivo si lamenta la violazione degli artt. 125, 606 lett. b) ed e) cod. proc. pen. in riferimento agli artt. 192, 285, 546 lett. e), 273 cod. proc. pen. e 74 D.P.R. 309/90.
La censura si articola su molteplici profili, tutti convergenti nella denuncia dell’insufficienza della piattaforma indiziaria e dei vizi di motivazione che inficerebbero l’ordinanza del Tribunale del Riesame.
La difesa denuncia innanzitutto un grave difetto di motivazione, evidenziando che l’ordinanza impugnata si caratterizzerebbe per una “motivazione apparente” che non offre una congrua risposta argomentativa alle specifiche censure articolate nella memoria difensiva depositata in data 28/12/2024.
Il Tribunale del Riesame avrebbe eluso il confronto dialettico con le argomentazioni difensive, limitandosi a una pedissequa riproduzione degli elementi investigativi già valorizzati dal Giudice per le Indagini Preliminari, senza quella autonoma valutazione che costituisce l’essenza della funzione di controllo affidata al giudice del riesame.
Nel dettaglio, il nucleo centrale della censura riguarda la carenza del requisito della permanenza del vincolo associativo, elemento essenziale per la configurazione del delitto di cui all’art. 74 D.P.R. 309/1990. Il ricorso evidenzia che la durata dei rapporti illeciti intercorsi tra il ricorrente e il presunto sodalizio, limitata al breve periodo di un mese, non consentirebbe di configurare quel “carattere della permanenza del vincolo associativo tra i partecipanti” richiesto dalla consolidata giurisprudenza di legittimità.
La difesa richiama specificamente Cass., Sez. VI, 24 aprile 2013, n. 18055, secondo cui è necessaria l’esistenza di “una organizzazione che consenta la realizzazione concreta dello stesso programma criminoso”, evidenziando che nel caso concreto mancherebbe qualsiasi elemento idoneo a dimostrare l’inserimento stabile e duraturo del ricorrente in una struttura associativa preesistente.
In secondo luogo, il ricorso contesta la ricostruzione fornita dal Tribunale in ordine all’esistenza di una struttura organizzativa stabile, lamentando che gli elementi acquisiti dalle indagini non dimostrerebbero l’esistenza di accordi preventivi, di assegnazione di compiti specifici ai singoli associati, di ripartizione delle quote dei proventi e di tenuta di una cassa comune. Si sottolinea che i Giudici del Riesame avrebbero “semplicemente ripercorso la ricostruzione dell’attività investigativa, senza alcuna autonoma e necessaria valutazione”.
Un profilo di particolare approfondimento del ricorso riguarda l’identificazione del ricorrente con il soggetto denominato “Lab” nelle intercettazioni. La difesa contesta tale identificazione sotto molteplici aspetti, deducendo come il termine “Lab” indichi soggetti provenienti dal sud dell’Albania, zona di Valona, mentre NOME risulta originario di Selenice, località situata a nord-est di Valona. Dal punto di vista della riconoscibilità, si eccepisce che nelle conversazioni intercettate Kastrati NOME, nel fare riferimento al soggetto “Lab”, debba sollecitare il proprio interlocutore per farlo ricordare, circostanza che dimostrerebbe come tale soggetto non fosse stabilmente inserito nell’organizzazione.
Il ricorso sviluppa poi una argomentazione volta a dimostrare come COGNOME NOME operasse autonomamente e non come partecipe organico di un’associazione strutturata. Costui si sarebbe limitato ad avere contatti solo con il Kastrati, senza che nessuno degli altri presunti sodali lo conoscesse o l’avesse ha mai incontrato. Il proseguimento dell’attività di traffico ad opera degli altri indagati dopo l’arresto di NOME dimostrerebbe che l’attività del Tahiraj non fosse centrale per l’associazione criminale.
Quanto all’asserita assistenza legale di cui avrebbe beneficiato, elemento sintomatico dell’appartenenza organica all’associazione, si sostiene che dalla conversazione riportata non emergevano elementi per stabilire che il soggetto fosse NOMECOGNOME Inoltre, dai colloqui si evince che le spese legali non sono state garantite dal Kastrati ma dall’altro soggetto rimasto ignoto.
Il ricorso contesta specificamente la ricostruzione dei singoli delitti-fine, evidenziando come in relazione a tutti i reati contestati il Tribunale abbia pedissequamente riproposto le medesime argomentazioni del giudice della misura, senza alcuna autonoma valutazione dei fatti e omettendo ogni motivazione sulle questioni sollevate analiticamente nei motivi nuovi.
2.2 Il secondo motivo prospetta la violazione degli artt. 125, 606 lett. b) ed e) cod. proc. pen. in riferimento agli artt. 192, 546 lett. e) cod. proc. pen. e 274 lett. c) cod. proc. pen.
La doglianza si concentra sulla denuncia dei vizi relativi alla valutazione delle esigenze cautelari, evidenziando come il Tribunale del Riesame abbia applicato acriticamente la presunzione di pericolosità sociale prevista dall’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., senza una concreta verifica dell’effettiva sussistenza di elementi attuali e concreti di pericolosità.
La difesa sottolinea che la motivazione appare illogica e contraddittoria, giacché i giudici di merito hanno assunto valutazioni generiche, senza una concreta e specifica indicazione dei criteri adottati per ritenere attuale e concreto il pericolo di reiterazione di condotte criminose dell’odierno ricorrente.
Si richiama l’innovazione legislativa introdotta dalla L. n. 47/2015, che ha inserito il requisito dell’attualità accanto a quello della concretezza del pericolo di reiterazione del delitto, imponendo al giudice una più complessa valutazione dell’effettiva pericolosità del reo.
Un profilo di particolare rilevanza riguarda il decorso del tempo tra la commissione dei fatti e l’adozione della misura cautelare, circostanza che avrebbe richiesto una motivazione rafforzata, non fornita dal giudicante.
Il ricorso richiama la giurisprudenza di legittimità secondo cui quanto più ci si distacca dal momento di consumazione del reato e dal contesto che lo ha caratterizzato, tanto più è stringente l’esigenza di una motivazione relativa alla permanenza di una concreta ed effettiva attualità del pericolo di reiterazione.
Nel caso concreto, il decorso di oltre un anno tra la commissione dei fatti (marzo-aprile 2023) e l’emissione della misura cautelare (settembre 2024) avrebbe richiesto una specifica motivazione sulla permanenza dell’attualità del pericolo, che il Tribunale non avrebbe fornito, limitandosi a richiamare in modo standardizzato la presunzione legale.
Si contesta infine la valutazione operata dal Tribunale sulla personalità dell’indagato, evidenziando come la deduzione di una personalità deviante dall’oggettiva gravità dei fatti non possa prescindere da una valutazione concreta e individualizzata delle caratteristiche soggettive del ricorrente. Lo stato di incensuratezza dell’indagato non può essere liquidato come pressoché irrilevante, senza una adeguata motivazione.
Il Procuratore Generale ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
La difesa ha illustrato i motivi e ne ha chiesto l’accoglimento.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. All’esame dei motivi di ricorso giova premettere che il sindacato di questa Corte, in tema di misure cautelari personali, si attiene ai consolidati principi secondo cui il ricorso per cassazione deve riguardare esclusivamente la violazione di specifiche norme di legge o la manifesta illogicità della motivazione entro i limiti indicati dalla norma. Ne consegue che il controllo di legittimità non può estendersi alla ricostruzione dei fatti o a censure che, seppure formalmente rivolte alla motivazione, si sostanzino in realtà nella prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze già ponderate dal giudice di merito (Sez. 2, n. 31553 del 17/5/2017, COGNOME, Rv. 270628; Sez. 4, n. 18795 del 2/3/2017, COGNOME, Rv. 269884; Sez. 6, n. 11194 del 8/3/2012, COGNOME, Rv. 252178; Sez. 5, n. 46124 del 8/10/2008, COGNOME, Rv. 241997).
Il controllo del giudice di legittimità non concerne, pertanto, né la ricostruzione dei fatti, né l’apprezzamento del giudice di merito circa l’attendibilità delle fonti, la rilevanza e la concludenza degli elementi probatori, risultando inammissibile, in questa sede, la prospettazione di una valutazione alternativa di circostanze già esaminate dal giudice del merito. Il sindacato rimane circoscritto alla verifica che l’atto impugnato risponda ai due requisiti che lo rendono insindacabile: l’esposizione delle ragioni giuridicamente rilevanti che lo hanno determinato e l’assenza di illogicità manifeste, vale a dire la congruenza delle argomentazioni rispetto alla finalità giustificativa del provvedimento (Sez. 2, Sentenza n. 27866 del 17/6/2019, COGNOME, Rv. 276976; Sez. F, n. 47748 del 11/8/2014, COGNOME, Rv. 261400; Sez. 7, n. 12406 del 19/2/2015, COGNOME, Rv. 262948; Sez. 3, n. 40873 del 21/10/2010, COGNOME, Rv. 248698; Sez. 6, n. 3529 del 12/11/1998 (dep. 1999), COGNOME, Rv. 212565).
Con specifico riguardo all’obbligo motivazionale che grava sui giudici del riesame, la giurisprudenza ha chiarito che tale obbligo può considerarsi adempiuto allorché l’ordinanza richiami per relationem , nell’ambito di una valutazione complessiva destinata a superare implicitamente i motivi dedotti, le argomentazioni contenute nel provvedimento impugnato, purché le deduzioni difensive non siano idonee a disarticolare il ragionamento probatorio proposto nell’ordinanza genetica, non potendo altrimenti la motivazione ” per relationem ” fornire una risposta implicita alle censure formulate (Sez. 6, Sentenza n. 566 del 29/10/2015 (dep. 2016), COGNOME, Rv. 265765; Sez. 1, Sentenza n. 8676 del 15/1/2018, COGNOME, Rv. 272628).
In ordine alle deduzioni difensive, deve rammentarsi che non è richiesta, in sede di riesame, la puntuale confutazione degli argomenti di cui sia manifesta l’irrilevanza, giacché l’obbligo motivazionale del giudice deve intendersi limitato all’esame di specifiche allegazioni difensive che risultino oggettivamente contrastanti con gli elementi accusatori. Nella nozione di “elementi
di favore” rientrano soltanto i dati di natura oggettiva dotati di rilievo concludente, mentre ne restano escluse le mere posizioni difensive negatorie o le prospettazioni di tesi interpretative alternative, che sono riassorbite nella complessiva valutazione operata dal giudice del riesame (Sez. 6, n. 3742 del 9/1/2013, COGNOME, Rv. 254216; Sez. 2, n. 13500 del 13/3/2008, Palermniti, Rv. 239760; Sez. 6, n. 13919 del 28/2/2005, COGNOME, Rv. 232033; Sez. 4, n. 34911 del 10/6/2003, Hernandez, Rv. 226289).
Il ricorso proposto dalla difesa di NOME articola una serie di censure che investono sia l’accertamento dei presupposti fattuali della fattispecie associativa, sia la valutazione della sussistenza delle esigenze cautelari, rendendo necessario un approfondimento dei principi giuridici applicabili e dei criteri interpretativi consolidati nella giurisprudenza di legittimità.
L’art. 74 D.P.R. n. 309/1990 delinea un delitto associativo di particolare gravità, connotato da una struttura normativa che esige la sussistenza di specifici elementi costitutivi. Come chiarito dalla consolidata giurisprudenza di legittimità, la configurabilità di un’associazione finalizzata al narcotraffico richiede la compresenza di tre elementi fondamentali: a) l’esistenza di un gruppo composto da almeno tre persone tra loro vincolate da un patto associativo – ancorché sorto in modo informale e non contestuale – avente ad oggetto un programma criminoso di compimento di una serie indeterminata di reati in materia di stupefacenti, da realizzarsi attraverso il coordinamento degli apporti personali; b) la disponibilità da parte del sodalizio, con sufficiente stabilità, di risorse umane e materiali per una credibile attuazione del programma associativo; c) un apporto individuale apprezzabile e non episodico degli associati, consapevoli quantomeno dei tratti essenziali del sodalizio, che integri un contributo alla stabilità dell’unione illecita (Sez. 6, n. 7387 del 03/12/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 258796; Sez. 4, n. 44183 del 02/10/2013, COGNOME, Rv. 257582).
Non è richiesta la presenza di una complessa e articolata organizzazione dotata di cospicue disponibilità economiche, risultando sufficiente l’esistenza di strutture, sia pure rudimentali, deducibili dalla predisposizione di mezzi idonei al perseguimento del fine comune, create in modo da concretizzare un supporto stabile e duraturo alle singole deliberazioni criminose, con il contributo dei singoli associati (Sez. 2, n. 19146 del 20/02/2019, Cicciari, Rv. 275583). L’elemento organizzativo assume peraltro un rilievo secondario, essendo sufficiente anche una struttura minimale perché il reato si perfezioni (Sez. 2, n. 16540 del 27/03/2013, COGNOME, Rv. 255491).
Il giudice può dedurre i requisiti della stabilità del vincolo associativo – trascendente la commissione dei singoli reati-fine – e dell’indeterminatezza del programma criminoso – che segna la distinzione rispetto al concorso di persone – dal susseguirsi ininterrotto, per un apprezzabile lasso di tempo, delle condotte integranti detti reati ad opera di soggetti stabilmente collegati (Sez. 2, n. 53000 del 04/10/2016, Basso, Rv. 268540), proprio perché attraverso di essi si manifesta in concreto l’operatività dell’associazione medesima (Sez. 2, n. 19435 del 31/03/2016, Ficara, Rv. 266670).
L’elemento distintivo del delitto di cui all’art. 74 d.P .R. n. 309 del 1990, rispetto alla fattispecie del concorso di persone nel reato continuato di detenzione e spaccio di stupefacenti, va individuato non soltanto nel carattere dell’accordo criminoso – avente ad oggetto la commissione di una serie non preventivamente determinata di delitti – e nella permanenza del vincolo associativo, ma anche nell’esistenza di un’organizzazione che consenta la realizzazione concreta del programma criminoso (Sez. 6, n. 17467 del 21/11/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 275550).
Il carattere stabile dell’accordo criminoso presuppone la presenza di un reciproco impegno alla commissione di una pluralità di reati e il reato associativo non può ritenersi integrato per la sola frequente commissione di reati da parte degli stessi soggetti nel diverso ruolo di acquirente e venditore, essendo invece necessario che tale reiterazione si collochi nell’ambito dell’esecuzione del programma associativo di commissione di una serie indeterminata di reati (Sez. 6, n. 28252 del 06/04/2017, Di COGNOME, Rv. 270564).
Sul piano probatorio, la giurisprudenza ha cristallizzato il principio secondo cui la prova del vincolo permanente nascente dall’accordo associativo può essere fornita anche mediante l’accertamento di facta concludentia , quali i contatti continui tra gli spacciatori, i frequenti viaggi per i rifornimenti della droga, le basi logistiche, i beni necessari per le operazioni delittuose, le forme organizzative utilizzate – sia di tipo gerarchico che mediante divisione dei compiti tra gli associati -, la commissione di reati rientranti nel programma criminoso e le loro specifiche modalità esecutive (Sez. 3, n. 47291 del 11/06/2021, COGNOME, Rv. 282610).
Particolare rilievo assume il principio secondo cui la prova dell’appartenenza al sodalizio criminoso può essere desunta anche dall’accertamento dell’assistenza legale fornita ad un partecipe e dell’aiuto economico assicurato ai suoi familiari una volta che costui sia tratto in arresto, consistendo in condotte prestate a vantaggio dell’intera consorteria e non solo della persona assistita (Sez. 3, n. 12705 del 15/02/2019, COGNOME, Rv. 275478), giacché ai fini del consolidamento dell’organizzazione criminale assume importanza vitale la circostanza che l’associato abbia consapevolezza di poter contare, in caso di arresto, sulla continuità del vincolo associativo e sul rapporto di solidarietà tra gli associati.
Tanto premesso in diritto, deve procedersi all’esame delle censure articolate dalla difesa. Rileva il Collegio che le censure formulate nei motivi in disamina si caratterizzano, sostanzialmente, per considerazioni volte a prospettare una lettura alternativa delle emergenze indiziarie valorizzate dal Tribunale
Il primo motivo denuncia un difetto di motivazione, sostenendo che l’ordinanza impugnata, pur nella significativa sua estensione, si caratterizzerebbe per una “motivazione apparente” che non offrirebbe congrua risposta argomentativa alle specifiche censure articolate nella memoria difensiva depositata il 28/12/2024.
La censura non coglie nel segno, per la completezza e congruità delle risposte date dall’ordinanza ai motivi di gravame.
Si rammenta che l’omessa valutazione di memorie difensive non può essere fatta valere come causa di nullità del provvedimento impugnato, non trattandosi di ipotesi prevista dalla legge, ma può influire sulla congruità e correttezza logico-giuridica della motivazione che definisce la fase o il grado nel cui ambito siano state espresse le ragioni difensive, le quali devono essere attentamente considerate dal giudice cui sono rivolte (Sez. 3, n. 23097 del 08/05/2019, Rv. 276199 – 03). Inoltre, la parte che deduce l’omessa valutazione di memorie difensive ha l’onere di indicare, pena la genericità del motivo di impugnazione, l’argomento decisivo per la ricostruzione del fatto contenuto nelle memorie e non valutato dal giudice nel provvedimento impugnato. (Sez. 5, n. 24437 del 17/01/2019, Rv. 276511).
Alla luce dei richiamati principi, la censura non coglie nel segno, per la completezza e congruità delle risposte date dall’ordinanza ai motivi di gravame.
Va premesso che, in materia cautelare, così come la motivazione del Tribunale del riesame può integrare e completare la motivazione elaborata dal giudice che ha emesso il provvedimento restrittivo, quest’ultima può, a sua volta, essere utilizzata per colmare le eventuali lacune del successivo provvedimento. Infatti, trattandosi di ordinanze complementari e strettamente collegate, esse, vicendevolmente e nel loro insieme, connotano l’unitario giudizio di sussistenza in ordine ai presupposti di applicabilità della misura cautelare (Sez. 2, n. 672 del 23/01/1998, dep. 1999, COGNOME, Rv. 212768-01).
Nel caso concreto, il Tribunale del Riesame ha raggiunto le medesime conclusioni del G.I.P. mediante autonoma valutazione, legittimamente integrando la propria motivazione con il richiamo per relationem alla dettagliata ricostruzione già operata in ordine a tutti i punti oggetto di censura.
3.1 In particolare, la difesa contesta sotto molteplici profili l’identificazione del ricorrente con il soggetto denominato “Lab” nelle intercettazioni, sottolineando alcune contraddizioni relative a aspetti geografici (provenienza da zone diverse dell’Albania), temporali (uso del verbo al passato), relazionali (necessità di sollecitazioni per il riconoscimento).
Si tratta, tuttavia, di una censura che non tiene conto dei consolidati principi giurisprudenziali in materia e che si risolve, in ultima analisi, nella prospettazione di una diversa valutazione di elementi già apprezzati dal giudice del merito.
Il provvedimento impugnato ha correttamente evidenziato come l’identificazione del ricorrente con il soggetto “RAGIONE_SOCIALE” trovasse riscontro non soltanto nelle caratteristiche fisiche descritte (altezza di circa 1,90 metri) ma anche nelle modalità operative documentate e nella consequenzialità dei sequestri effettuati.
I sequestri di droga realizzati dopo l’ascolto del linguaggio criptico utilizzato dagli interlocutori hanno consentito di eliminare ogni dubbio sul reale contenuto delle conversazioni e sulla individuazione degli interlocutori, come accaduto specificamente nei confronti di NOMECOGNOME costantemente monitorato e tratto in arresto in flagranza di reato il 20 aprile 2023.
Ugualmente destituita di fondamento si rivela la censura volta a dimostrare che NOME operasse autonomamente e non quale partecipe organico di un’associazione strutturata,
adducendo che l’indagato si sarebbe limitato ad avere contatti soltanto con NOME COGNOME e che nessuno degli altri presunti sodali conoscerebbe NOME o avrebbe mai avuto rapporti con lui.
L’ordinanza si conforma pienamente al principio consolidato secondo cui non è richiesta la conoscenza reciproca fra tutti gli associati, risultando sufficiente la consapevolezza e la volontà di partecipare, assieme ad almeno altre due persone aventi la medesima consapevolezza e volontà, ad una società criminosa strutturata e finalizzata secondo lo schema legale (Sez. 6, n. 50133 del 21/11/2013, Casoria, Rv. 258645; Sez. 6, n. 11733 del 16/02/2012, Abboubi, Rv. 252232).
Il giudice del riesame ha logicamente ritenuto che il “giro vorticoso di denaro” impiegato per gli acquisti, gli elevati quantitativi di droga movimentati, la disponibilità di autovetture modificate e di utenze telefoniche di servizio, l’intervento di terzi per sostenere le spese legali degli arrestati, il numero elevato di delitti-fine monitorati non consentissero di ritenere artefice di simile protocollo antigiuridico una sola persona, né di presumere che NOME non potesse avere contezza dell’organizzazione al cui servizio operava. Tale valutazione, fondata su elementi obiettivi e convergenti, non presenta alcun profilo di illogicità sindacabile in questa sede.
3.2 Quanto alla censura relativa alla carenza del requisito della permanenza del vincolo associativo – elemento essenziale per la configurazione del delitto di cui all’art. 74 D.P.R. 309/1990 – la difesa ha sostenuto che la durata dei rapporti illeciti intercorsi tra il ricorrente e il presunto sodalizio, limitata al breve periodo di un mese, osterebbero alla sua configurazione.
Anche tale censura deve essere respinta.
La decisione impugnata si allinea perfettamente al principio giurisprudenziale secondo cui, ai fini della verifica degli elementi costitutivi della partecipazione al sodalizio, ed in particolare dell’ affectio di ciascun aderente ad esso, non rileva la durata del periodo di osservazione delle condotte criminose, che può essere anche breve, purché dagli elementi acquisiti possa inferirsi l’esistenza di un sistema collaudato al quale gli agenti abbiano fatto riferimento anche implicito, benché per un periodo di tempo limitato (Sez. 6, n. 42937 del 23/09/2021, COGNOME, Rv. 282122; Sez. 4, n. 50570 del 26/11/2019, COGNOME, Rv. 278440-02).
Nel caso concreto, il Tribunale ha evidenziato come NOME non si fosse limitato a prestazioni episodiche, ma avesse integrato la propria attività in un contesto organizzato caratterizzato da: predisposizione di mezzi specifici (autovettura modificata), compenso fisso, assistenza legale dell’organizzazione, continuità dei rapporti con i vertici del sodalizio. Tali elementi, nella loro convergenza sistematica, depongono inequivocabilmente per l’esistenza di un vincolo che trascende la mera occasionalità, senza che possa ravvisarsi alcun vizio logico nella valutazione operata.
La decisione ha inoltre correttamente superato la contestazione relativa all’esistenza di una struttura organizzativa stabile, di accordi preventivi, di assegnazione di compiti specifici ai singoli associati, di ripartizione delle quote dei proventi e di tenuta di una cassa comune. L’ordinanza si conforma ai principi consolidati secondo cui anche l’assenza di una c.d. “cassa comune” non osta al riconoscimento dell’associazione, risultando sufficiente, anche nell’ipotesi di una gestione degli
utili non paritaria né condivisa tra i vari sodali, che tra questi sussista un comune e durevole interesse ad immettere nel mercato sostanza stupefacente, nella consapevolezza della dimensione collettiva dell’attività e dell’esistenza di una sia pur minima organizzazione (Sez. 6, n. 2394 del 12/10/2021, dep. 2022, Napoli, Rv. 282677).
E’ stato correttamente attribuito particolare rilievo nella configurazione del vincolo associativo permanente alla elargizione di un compenso di euro 5.000 mensili che l’indagato percepiva dall’organizzazione. Tale circostanza, emersa dalle intercettazioni del 15 maggio 2023, costituisce un indice inequivocabile della natura non episodica del rapporto e della stabilità dell’inserimento nell’organizzazione criminosa, comprovando l’esistenza di un rapporto strutturato che trascende la mera prestazione occasionale di servizi e l’integrazione organica del soggetto nelle dinamiche operative del sodalizio.
3.3 Parimenti infondata si rivela la censura concernente l’interpretazione delle intercettazioni.
È principio consolidato che, in materia di intercettazioni telefoniche, costituisce questione di fatto, rimessa all’esclusiva competenza del giudice di merito, l’interpretazione e la valutazione del contenuto delle conversazioni, il cui apprezzamento non può essere sindacato in sede di legittimità se non nei limiti della manifesta illogicità ed irragionevolezza della motivazione con cui esse sono recepite» (Sez. 2, n. 35181 del 22/05/2013, Vecchio, Rv. 257784-01; si vedano, in senso sostanzialmente conforme, anche Sez. 3, n. 35593 del 17/05/2016, COGNOME, Rv. 26765001; Sez. 1, n. 3643 del 26/05/1997, COGNOME, Rv. 208254-01).
Il giudice del riesame ha valorizzato il tenore univoco delle conversazioni, nelle quali la droga veniva sistematicamente denominata “pane” o “pani”, e gli espliciti riferimenti alle cifre movimentate, peraltro compatibili con i costi di mercato della cocaina, ritenendo confermato il coinvolgimento dell’indagato nelle condotte mercantili riflesse nei capi di imputazione contestati. La logicità dell’interpretazione viene ancorata al puntuale riscontro rappresentato dai sequestri effettuati, che hanno confermato la perfetta corrispondenza tra il linguaggio criptico utilizzato e la reale consistenza dei quantitativi trasportati. Tale valutazione non presenta alcun profilo di manifesta illogicità.
3.4 Il Tribunale del Riesame ha pure correttamente valorizzato i singoli episodi criminosi quali elementi sintomatici dell’operatività dell’associazione, secondo una ricostruzione che si rivela immune da vizi logici o giuridici.
I giudici del merito cautelare, in tal senso, hanno richiamato la vicenda del 13 aprile 2023 in Martinsicuro (TE) e Napoli, sintomatica di un sistema di approvvigionamento e distribuzione di cocaina per un valore di euro 180.000, corrispondente a sei chilogrammi di sostanza stupefacente. Particolarmente significativa è stata ritenuta l’intercettazione che documentava la consistenza del carico (“quanti ne sono?… Sei!… Sei, poiché per sette lo spazio è insufficiente”) che ha trovato puntuale riscontro nel successivo sequestro del 20 aprile 2023, quando i Carabinieri procedevano all’arresto in flagranza di NOME COGNOME rinvenendo sei panetti di cocaina
del peso complessivo di circa sei chilogrammi, occultati nel vano modificato dell’autovettura Volkswagen Passat.
L’operazione del 17-19 aprile 2023 è stata ritenuta rivelatrice di ulteriori dinamiche organizzative, con la partecipazione di NOME COGNOME e il coordinamento delle attività attraverso contatti con “il soggetto di Scutari” (identificato in Kastrati Ergys). La convergenza delle risultanze investigative – intercettazioni, osservazioni dirette, sistema di videosorveglianza del Comune di Martinsicuro – ha delineato un protocollo operativo strutturato che trascende l’occasionalità della singola condotta criminosa.
L’episodio del 28 marzo 2023 in Colonnella (TE), Controguerra (TE) e Barletta, è stato ritenuto comprovante i rapporti tra componenti del sodalizio, desumibili la consegna di un borsone contenente sostanza stupefacente da parte di NOME COGNOME a Tahiraj Admir.
Particolarmente significativa è risultata l’operazione dell’11 aprile 2023, dalla quale è emersa l’uniformità dei prezzi praticati (euro 29.000 al chilogrammo), l’uso sistematico del linguaggio criptico (“pane” o “pani” in sostituzione di “cocaina”) e le modalità operative consolidate che prevedevano il pagamento contestuale alla consegna della sostanza stupefacente.
Gli ulteriori episodi del 15 aprile 2023 in Fasano e del 3 aprile 2023 in Ostuni sono stati considerati ulteriormente esplicativi del quadro probatorio, avendo evidenziato la capillarità della rete distributiva e la conoscenza tra i soggetti, testimoniata dal riferimento a debiti “vecchi” e “nuovi” nelle conversazioni intercettate.
È pur vero che, come precisato dalla giurisprudenza di legittimità, la commissione di ripetuti reati di “spaccio” ex art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990 non può da sola costituire prova dell’integrazione del reato associativo, rappresentando al più indice sintomatico dell’esistenza dell’associazione, che però va accertata con riferimento all’accordo tra i sodali, alla struttura organizzativa ed all’ affectio societatis (Sez. 3, n. 25816 del 27/05/2022, COGNOME, Rv. 283278).
Nel caso concreto, tuttavia, il Tribunale ha efficacemente ritenuto che le descritte modalità degli episodi seriali, la loro inserzione in un contesto organizzato caratterizzato dalla predisposizione di mezzi specifici, dalla definizione di ruoli e competenze, dalla corresponsione di compensi fissi e dalla continuità dei rapporti, abbiano ampiamente evidenziato un quadro probatorio che trascende la mera reiterazione di condotte criminose e si inserisce nell’ambito di un programma associativo strutturato.
Con riferimento al secondo motivo di ricorso, la censura si concentra sulla denuncia dei vizi relativi alla valutazione delle esigenze cautelari, evidenziando come il Tribunale del Riesame avrebbe applicato acriticamente la presunzione di pericolosità sociale prevista dall’art. 275, co. 3, cod. proc. pen. senza una concreta verifica dell’effettiva sussistenza di elementi attuali e concreti di pericolosità.
La censura è manifestamente infondata.
La disamina delle doglianze difensive in ordine alla sussistenza delle esigenze cautelari impone di muovere dall’esegesi dell’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., norma che, anche
all’esito delle modifiche introdotte dalla legge n. 47 del 2015, continua a delineare un’architettura cautelare fondata su una doppia presunzione: “relativa” quanto alla sussistenza delle esigenze cautelari e “assoluta” con riguardo all’adeguatezza della sola misura carceraria. Tale duplice meccanismo presuntivo, lungi dal costituire un automatismo applicativo scevro da verifiche giurisdizionali, configura piuttosto un criterio ermeneutico che orienta il giudice della cautela proprio nelle situazioni connotate da incertezza valutativa.
Come questa Corte di legittimità ha avuto modo di precisare con arresto particolarmente illuminante (Sez. 5, n. 51742 del 13/06/2018, Pergola, Rv. 275255; conf. Sez. 2, n. 19283 del 3/02/2017, COGNOME, Rv. 270062), in presenza di gravi indizi di colpevolezza per il delitto di partecipazione ad un’associazione criminosa ancora operativa – e dunque a fronte di una contestazione cronologicamente “aperta” – il giudice non è gravato dall’obbligo di dimostrare in positivo la ricorrenza dei pericula libertatis , dovendo piuttosto limitarsi ad apprezzare gli eventuali segnali di rescissione del legame del soggetto con il sodalizio criminale, tali da smentire, nel caso concreto, l’operatività della presunzione. Solo in assenza di simili elementi dirimenti, la misura della custodia in carcere si impone quale esito obbligato del percorso valutativo.
Il meccanismo presuntivo delineato dalla norma non si traduce, tuttavia, in una probatio diabolica per l’indagato. La giurisprudenza di legittimità ha infatti elaborato criteri rigorosi ma non impossibili per il superamento della presunzione relativa di pericolosità sociale. Come efficacemente chiarito da Sez. 5, n. 45840/2018, tale presunzione può dirsi superata solo quando dagli elementi a disposizione del giudice – siano essi già presenti agli atti o addotti dalla parte interessata – emerga che l’associato abbia stabilmente rescisso i suoi legami con l’organizzazione criminosa.
È significativo, in questa prospettiva, il principio affermato da Sez. 2, n. 19341 del 21/12/2017, Rv. 273434, secondo cui, ai fini della prova contraria alla presunzione, occorrono elementi idonei ad escludere la sussistenza di ragionevoli dubbi, posto che la presunzione detta un criterio da applicarsi proprio in caso di incertezza. Ne deriva che, per giungere al superamento di tale presunzione, ogni elemento dedotto – sia esso il tempo trascorso tra i fatti per cui si procede e l’esecuzione della misura, sia la condotta processuale dell’indagato – deve essere tale da consentire il definitivo superamento della situazione di dubbio.
L’intensità dell’obbligo motivazionale del giudice della cautela si calibra, peraltro, in funzione dell’apporto difensivo: come precisato da questa Sez. 4, n. 21086 del 6.4.2018, COGNOME, che richiama le conformi Sez. 1, n. 30734 del 09/01/2013, COGNOME, Rv. 25638801 e Sez. 1, n. 29530 del 27/06/2013, COGNOME, Rv. 25663401, un più intenso obbligo di motivazione sul punto grava sul giudice solo quando l’indagato abbia dedotto elementi idonei a dimostrare l’insussistenza di esigenze cautelari o la possibilità di tutelare le stesse con misure meno afflittive.
Nel caso che occupa il Collegio, il Tribunale del riesame ha operato un governo consapevole dei principi sopra enunciati, fornendo una motivazione che, pur nella sua sinteticità, si rivela immune da vizi logici e giuridici.
Il primo profilo meritevole di disamina concerne la rilevanza del decorso temporale intercorso tra la commissione dei fatti (marzo-aprile 2023) e l’emissione della misura cautelare (settembre 2024). Come questa Corte ha avuto modo di chiarire (Sez. 2, n. 6593 del 25/01/2022, COGNOME, Rv. 282767), il requisito dell’attualità del pericolo di recidiva sta ad indicare la continuità del periculum libertatis nella sua dimensione temporale, che va apprezzata sulla base della vicinanza ai fatti in cui si è manifestata la potenzialità criminale dell’indagato ovvero della presenza di elementi indicativi recenti, idonei a dar conto dell’effettività del pericolo di concretizzazione dei rischi che la misura cautelare è chiamata a neutralizzare.
Sebbene il periodo considerato non presenti un’estensione temporale particolarmente significativa, il Tribunale ha correttamente evidenziato come l’interruzione del programma associativo fosse intervenuta non per autonoma e spontanea decisione dell’indagato -circostanza che avrebbe potuto assumere valenza sintomatica di un’effettiva rescissione del vincolo associativo – ma per l’intervenuto arresto, elemento esterno e coattivo che nulla dice circa la dissoluzione dei legami con il sodalizio criminoso.
Tale valutazione si inscrive perfettamente nel solco tracciato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui la presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari prevista dall’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. non è superata per il solo effetto del decorso di un tempo considerevole tra l’emissione della misura e i fatti contestati, qualora risultino accertate la consolidata esistenza dell’associazione, la pregressa partecipazione alla stessa dell’indagato e la sua perdurante adesione ai valori del sodalizio (Sez. 6, n. 19787 del 26/3/2019, COGNOME, Rv. 275681).
Decisamente rilevante appare poi l’analisi condotta dal Tribunale in ordine alla personalità dell’indagato, che – nonostante lo stato di formale incensuratezza – emerge connotata in senso marcatamente deviante dalla oggettiva gravità dei fatti, dalle accurate modalità di predisposizione del protocollo antigiuridico, dall’intensità del dolo e dall’assenza di qualsivoglia sintomo di resipiscenza.
Il giudice del gravame ha correttamente valorizzato il ruolo di rilievo assunto dall’indagato nel contesto associativo, l’elevatissimo numero di reati-fine scoperti nel pur breve arco temporale oggetto di indagine, nonché l’ingente quantitativo di stupefacenti trattati. Tali elementi, nella loro convergente univocità, delineano un quadro di perdurante adesione ai disvalori del sodalizio criminoso che non può dirsi scalfito dalla condotta medio tempore tenuta senza censure, circostanza questa che, isolatamente considerata, è stata ritenuta, a buona ragione, inidonea a dimostrare l’avvenuta rescissione del vincolo associativo.
Come efficacemente precisato dalla giurisprudenza di legittimità, tale requisito dell’attualità non è equiparabile all’imminenza di specifiche opportunità di ricaduta nel delitto, richiedendo invece una valutazione prognostica sulla possibilità di condotte reiterative, alla stregua di un’analisi accurata della fattispecie concreta che tenga conto delle modalità realizzative della condotta, della personalità del soggetto e del contesto socio-ambientale, valutazione che deve essere tanto più approfondita quanto maggiore sia la distanza temporale dai fatti (Sez. 3, n.
9041 del 15/02/2022, COGNOME, Rv. 282891; Sez. 5, n. 12869 del 20/01/2022, COGNOME, Rv. 282991).
Immune da profili di illogicità appare pertanto la valutazione espressa dal Tribunale del riesame in ordine alla presunzione relativa di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., non essendo stati neppure prospettati elementi idonei a scardinarla secondo quel criterio di superamento del ragionevole dubbio che la norma stessa impone quale soglia probatoria per vincere la presunzione
5. All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Rilevato che non sussistono elementi per ritenere che il ricorrente non versasse in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, deve essere disposto a carico del medesimo, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere di versare la somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende, somma così determinata in considerazione delle ragioni di inammissibilità.
Deve essere disposto, inoltre, che copia del presente provvedimento sia trasmessa al direttore dell’istituto penitenziario competente, perché provveda a quanto stabilito dall’art. 94, comma 1-ter disp. att. cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così è deciso, 12/06/2025
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME