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Partecipazione associativa: un solo reato basta?

La Corte di Cassazione ha esaminato il caso di due fratelli accusati di partecipazione associativa in un’organizzazione dedita al narcotraffico. I ricorrenti sostenevano che il coinvolgimento in due episodi di importazione non fosse sufficiente a provare un ruolo stabile. La Corte ha rigettato i ricorsi, stabilendo che anche un singolo reato-fine può dimostrare la partecipazione associativa, a condizione che la condotta dell’agente, valutata secondo massime di comune esperienza, riveli un inserimento stabile e consapevole nelle dinamiche operative del gruppo criminale.

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Pubblicato il 29 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Partecipazione Associativa: Quando un Solo Reato Basta a Provare il Ruolo nel Gruppo?

La recente sentenza della Corte di Cassazione Penale, n. 4637 del 2024, offre un’importante chiave di lettura sul tema della partecipazione associativa. La Suprema Corte ha affrontato un caso di narcotraffico internazionale, chiarendo i confini tra il semplice concorso in un reato e l’effettivo inserimento organico in un’associazione per delinquere. La pronuncia stabilisce che, a determinate condizioni, anche il coinvolgimento in un singolo episodio criminoso può essere sufficiente a dimostrare un vincolo stabile con il sodalizio.

I Fatti di Causa

Il caso riguarda due fratelli destinatari di una misura di arresti domiciliari per il delitto di partecipazione a un’associazione finalizzata al traffico di stupefacenti (art. 74 d.P.R. 309/1990) e per due specifici episodi di importazione di hashish e marijuana dalla Spagna. Secondo l’accusa, i due ricoprivano il ruolo di stabili finanziatori all’interno di un’organizzazione criminale.

I difensori hanno presentato ricorso in Cassazione, sostenendo che la mera partecipazione a due, per quanto rilevanti, operazioni di traffico non fosse sufficiente a configurare la partecipazione associativa. In particolare, si lamentava la mancanza di prove circa l’esistenza di una struttura organizzativa stabile e il fatto che gli indagati non comparissero più nelle intercettazioni successive a tali episodi.

La Questione sulla Partecipazione Associativa

Il nodo centrale della questione giuridica è stabilire quali elementi siano necessari per provare che un soggetto non sia un semplice concorrente esterno in un reato, ma un membro effettivo e stabile di un’organizzazione criminale. La difesa ha tentato di far valere il principio secondo cui la reiterazione dei reati è un elemento fondamentale per dimostrare l’affectio societatis scelerum, ovvero la volontà di far parte del gruppo.

La Corte era chiamata a decidere se la condotta degli indagati, limitata a finanziare specifiche operazioni, rivelasse quella coscienza e volontà di partecipare attivamente, in modo stabile e permanente, al programma delinquenziale del gruppo, che costituisce il dolo specifico del reato associativo.

Le Motivazioni della Cassazione

La Corte di Cassazione ha rigettato i ricorsi, ritenendoli infondati. I giudici hanno ribadito un principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità: anche il coinvolgimento in un singolo reato-fine può integrare l’elemento oggettivo della partecipazione associativa.

Ciò avviene quando le connotazioni della condotta dell’agente, che si è consapevolmente avvalso della struttura organizzativa per commettere il fatto, rivelano, secondo massime di comune esperienza, un ruolo stabile nelle dinamiche operative del gruppo criminale. Il dolo del delitto di associazione a delinquere consiste proprio nella coscienza e volontà di partecipare attivamente e in modo permanente al programma criminoso, e la prova di tale volontà deve essere particolarmente puntuale e rigorosa.

Nel caso specifico, il Tribunale aveva correttamente desunto la gravità indiziaria dalla incontestata partecipazione a due tentativi di importazione dall’estero di ingenti quantitativi di droga. Questa partecipazione, nel contesto di un’organizzazione ben articolata, con una struttura gerarchica e un modus operandi standardizzato, è stata ritenuta sufficiente a dimostrare il ruolo di finanziatori stabili. La Corte ha inoltre specificato che per configurare l’associazione non è richiesta un’organizzazione complessa e dotata di ingenti mezzi, ma è sufficiente l’esistenza di strutture, anche rudimentali, che forniscano un supporto stabile e duraturo alle singole operazioni criminose.

Conclusioni

La sentenza in esame rafforza un orientamento giurisprudenziale cruciale nella lotta alla criminalità organizzata. Si conferma che non è la quantità dei reati commessi a definire un membro di un’associazione, ma la qualità della sua partecipazione. Quando un soggetto agisce non come un semplice ‘cliente’ o ‘collaboratore occasionale’, ma si inserisce nelle dinamiche operative del gruppo, sfruttandone la struttura e contribuendo al suo scopo con un ruolo definito (in questo caso, quello di finanziatore), la partecipazione associativa può essere provata anche sulla base di un singolo, ma significativo, episodio. Questa decisione sottolinea l’importanza di un’analisi approfondita del contesto e delle modalità della condotta individuale per distinguere il concorso di persone nel reato dalla più grave fattispecie associativa.

È sufficiente partecipare a un singolo traffico di droga per essere considerati membri di un’associazione a delinquere?
Sì, secondo la Corte può essere sufficiente. Non è il numero di reati a essere decisivo, ma il modo in cui la condotta si inserisce nella struttura dell’organizzazione. Se il coinvolgimento, anche in un solo episodio, rivela un ruolo stabile e consapevole all’interno delle dinamiche operative del gruppo, allora può essere configurata la partecipazione associativa.

Quali elementi dimostrano la partecipazione associativa stabile in un’organizzazione criminale?
La prova della partecipazione stabile deriva dalle connotazioni della condotta dell’agente. Bisogna dimostrare che l’individuo si è consapevolmente servito dell’organizzazione per commettere il reato e che il suo ruolo (ad esempio, finanziatore, corriere, ecc.) è funzionale e inserito nelle dinamiche operative del gruppo, rivelando una volontà di contribuire in modo permanente al programma criminale.

Perché la Corte ha respinto la richiesta di riqualificare i reati di traffico di stupefacenti?
La Corte ha ritenuto la richiesta inammissibile per carenza di interesse. Ha osservato che le contestazioni provvisorie già specificavano che le sostanze erano hashish e marijuana, il cui traffico è punibile ai sensi del comma 4 dell’art. 73 d.P.R. 309/1990. Pertanto, non vi era necessità di alcuna riqualificazione, essendo il fatto già inquadrato correttamente, seppur aggravato ai sensi dell’art. 80.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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