Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 30001 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 30001 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 19/07/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME, nato a TARANTO il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 02/02/2024 del TRIBUNALE DEL RIESAME D:: LECCE
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME ,COGNOME; sentite le conclusioni del Pubblico ministero, nella persona del sostituto PG NOME COGNOME, il quale ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
uditi i difensori:
AVV_NOTAIO e AVV_NOTAIO, i quali hanno insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
COGNOME NOME ricorre per cassazione, a mezzo del difensore di fiducia, avverso l’ordinanza del Tribunale del riesame di Lecce in data 2/02/2024, con cui è stata confermata la misura della custodia cautelare in carcere allo stesso applicata dal Gip del Tribunale di Lecce, in ordine alla partecipazione al delitto associativo previsto dall’art. 74 d.P.R. n. 309/1990, nonché ad alcuni episodi di illecita detenzione e cessione di cocaina.
1.1. Con il primo motivo t la difesa deduce il vizio di motivazione riguardo alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, tanto in relazione all’ipotesi associativa che ai traffici di droga.
La censura attiene, anzitutto, alla corretta individuazione degli elementi fondanti la condotta di partecipazione, sia sul piano causale che soggettivo, tenuto conto che – seppur rifornendosi il ricorrente dal sodalizio (tramite COGNOME NOME indicato come colui che lo capeggiava) -si era al cospetto dello svolgimento di un’attività autonoma di spaccio. A conferma dell’estraneità dell’indagato al contesto associativo si fa riferimento alle circostanze che questi disponesse di altri canali di approvvigionamento della sostanza (di cui aveva messo al corrente lo stesso COGNOME); che i rapporti intrattenuti con il COGNOME si giustificavano con l’esistenza di vincoli familiari tra i due; che la droga venisse acquistata dal ricorrente allo stess prezzo di quanto a sua volta la pagava il COGNOME e senza alcun margine di guadagno; che fosse lo stesso ricorrente a decidere il prezzo di acquisto della sostanza e che avesse rifiutato di condividere i proventi economici del presunto sodalizio. Né assumeva rilievo decisivo ai fini dell’esclusione della prospettazione difensiva che l’indagato, in alcune occasioni, si fosse reso disponibile a sostenere almeno in parte gli approvvigionamenti di droga che il COGNOME aveva in via di definizione, dovendo la vicenda inquadrarsi nell’ottica del perseguimento di interessi personali e non del gruppo. Peraltro, da una conversazione emergeva pure che fosse il COGNOME a disposizione del ricorrente e non viceversa. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Infine, si lamenta l’omessa motivazione in ordine alla censura svolta sull’assenza di gravità indiziaria con riguardo ai reati fine di violazione della legg stupefacenti, sul rilievo della genericità delle intercettazioni richiamate dal Gip i punto sia di effettivo scambio della droga che della quantità (da ritenersi modesta) di quella scambiata.
1.2. Con il secondo motivo / si lamenta il vizio di motivazione con riferimento alle esigenze cautelari in punto di attualità del pericolo, inteso quale occasione dell’alta probabilità della commissione di reati analoghi. Si deduce, altresì, l’erroneo richiamo della recidiva reiterata e specifica, evidenziandosi come le condanne annoverate dall’indagato fossero state oggetto di provvedimento di cumulo la cui espiazione si è conclusa con l’estinzione delle pene per esito positivo del disposto affidamento in
prova ai servizi sociali. Apparente, infine, era la motivazione resa con riferimento all’attualità delle esigenze cautelari in relazione al tempo trascorso risultando la vicenda circoscritta ad un periodo limitato (da luglio a dicembre 2021).
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
2.1. Dalla lettura dell’ordinanza impugnata risulta che la partecipazione del ricorrente al sodalizio dedito al traffico di stupefacenti che si indica capeggiato dal COGNOME è stata ricavata dalla persistente attività di rifornimentc della droga da tale consesso, dai continui contatti mantenuti con il promotore-organizzatore dell’associazione, dal diretto coinvolgimento in affari del gruppo, per come tratto dagli episodi relativi al pagamento delle forniture di 5 e 6 chilogrammi in cui i ricorrente ha immediatamente offerto piena disponibilità a sostenere una parte dei costi.
Si è, dunque, al cospetto di una persistente sinergia in forza della quale sia il sodalizio che l’indagato ne ricavano reciproci vantaggi, di cui entrambi ne hanno diretta contezza, nell’ambito di un rapporto improntato a reciproca fiducia che si avvale, a tale fine, anche del rapporto familiare con colui che è indicato capeggiare l’associazione.
Se questo è il contesto di fatto descritto dai giudici di merito, correttamente si sono ricondotti nell’alveo della condotta di partecipazione i sistematici contributi assicurati dal ricorrente al sodalizio criminale.
Al riguardo, infatti, la Corte di legittimità ha affermato che l’associazione di cu all’art. 74 d.P.R. n. 309/1990 sussiste non solo nel caso di condotte parallele di persone accomunate dall’identico interesse di realizzazione del profitto societario mediante il commercio di droga, ma anche nell’ipotesi del vincolo che accomuna, in maniera durevole, il fornitore di droga agli acquirenti, che in via continuativa, l ricevono per immetterla al consumo. La diversità di scopo personale non è ostativa, infatti, alla realizzazione del fine comune, che è quello di sviluppare il commercio degli stupefacenti per conseguire sempre maggiori profitti. Né l’associazione criminosa è esclusa dalla diversità dell’utile che i singoli partecipi si propongono di ricavare, o da un contrasto degli interessi economici di essi, posto che né l’una, né l’altro sono di ostacolo alla costituzione ed alla persistenza del vincolo associativo, sol che colui che opera come acquirente sia stabilmente disponibile a ricevere le sostanze, assumendo, così, una funzione continuativa, che trascende il significato negoziale delle singole operazioni, per costituire un elemento della complessa struttura che facilita lo svolgimento dell’intera attività criminale. Ne deriva che è be configurabile, fra venditori e acquirenti di sostanze stupefacenti, l’associazione volta alla commissione di reati nella specifica materia (Sez. 5, n. 10077 del 23/09/1997,
Bruciati, Rv. 208822 – 01; Sez. 4, n. 4497 del 16/12/2015, dep. 2016, Addio, R 265945 – 01).
Nel caso in esame, le connotazioni della condotta dell’agente, consapevolmente servitosi dell’organizzazione per commettere il fatto, ne rivelano, secondo massime di comune esperienza, un ruolo nelle dinamiche operative del gruppo criminale, così dando ragionevolmente atto anche della sussistenza dell’affectio societatis richiesta ai fini dell’integrazione del dolo di partecipazione (Sez. 2, n. 51714 del 23/11/2023, Lauricella, Rv. 285646 – 01).
A fronte di ciò, il ricorso si limita a censurare la ricostruzione operata dal Tribunale mediante una rivalutazione e/o alternativa rilettura delle fonti probatorie, estranea non solo al sindacato di legittimità, ma al contempo priva di decisività in ragione dei decisivi elementi di reciproca congiunzione e vantaggio evidenziati dall’ordinanza impugnata; in sostanza, si ripropongono questioni di mero fatto che implicano una valutazione di merito preclusa in questa sede, a fronte di una motivazione esaustiva e immune da vizi logici.
In tema di misure cautelari personali, allorché sia denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di motivazione del provvedimento emesso dal tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla Corte Suprema spetta, infatti, solo il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizi legittimità e ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dat adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto o meno ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato e di controllare la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie e non il controllo di quelle censure che, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione di circostanze già esaminate dal giudice di merito (ex multis,vedi Sez. 4, n. 26992 del 29/5/2013, Tiana, Rv. 255460 – 01; Sez. 2, n. 26992 del 17/06/2019, Mazzelli, Rv. 276976 – 01).
2.2. Anche il tema relativo alla gravità indiziaria inerente alla contestata violazione della legge stupefacenti di cui ai capi 31), 32), 33) e 72) della rubrica risulta sufficientemente scrutinato dall’ordinanza impugnata.
Al riguardo, infatti, il Tribunale ha richiamato diverse intercettazioni (con l’indicazione per ciascuna del relativo capo di imputazione di diretto riferimento), la cui lettura complessiva, alla luce delle circostanze di tempo e di luogo in cui i dialoghi si collocano e del linguaggio adoperato, danno conto del diretto coinvolgimento dell’indagato nei ripetuti traffici di droga.
Il profilo, pur dedotto dalla difesa, della riconducibilità all’ipotesi del qui comma delle illecite detenzioni e/o cessioni, a prescindere dai rilievi svolti dal giudice
del merito in punto di esclusione di una lettura che riconduca gli scambi a modeste quantità che ridonda in questione di fatto non scrutinabile in questa sede, è comunque manifestamente infondato ai fini della tenuta della motivazione con cui il Tribunale del riesame ha confermato la misura di maggior rigcre, non solo perché nei confronti del ricorrente si è ritenuta la più grave condotta di partecipazione, ma in quanto la necessità di valutare in modo non atomistico “mezzi, modalità e circostanze” di commissione dei singoli reati, ai fini del riconoscimento della lieve entità del fatto ex art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309/1990, impone di valorizzare le peculiarità delle singole condotte, la comunanza di elementi significativi e le loro eventuali reciproche correlazioni al fine di ricostruire una cornice complessiva in concreto idonea ad escludere un giudizio di lieve entità rispetto ai fatti contestati (Sez. U, n. 17 del 21/06/2000, Primavera, Rv. 216668 – 01).
Per quanto sottolineato dai giudici di merito, non si è al cospetto dell’ipotesi del c.d. piccolo spaccio, ma di un’attività illecita che si caratterizza per una complessiva portata dell’attività dello spacciatore e dei suoi eventuali complici, con circolazione di merce e di denaro non affatto ridotta e potenzialità di guadagni non limitati, che ricomprende anche la detenzione di una provvista per la vendita che, comunque, è espressiva di una non elementare e prolungata attività di spaccio, rivolta ad un numero indiscriminato di soggetti.
Riproduttivo dei profili di censura già svolti con l’istanza di riesame risulta motivo dedotto in ordine alle esigenze cautelari.
Anche sotto tale aspetto,la motivazione dell’ordinanza impugnata si sottrae ai vizi di legittimità denunziati.
Il Tribunale del riesame, infatti, lungi dall’aver fatto esclusivo richiam all’operatività della presunzione di cui all’art. 275, comma 3, seconda parte, cod. proc. pen., ha motivatamente dato conto dei molteplici pericula che, da un lato, consentono di escludere che non ricorrano esigenze cautelari e, dall’altro, che tali esigenze possano essere soddisfatte con una misura gradata rispetto a quella più gravosa applicata.
Si è fatto riferimento alle modalità della condotta che, in ragione del carattere persistente e non affatto minimale dei traffici di droga emersi dalle intercettazioni, denota lo svolgimento di un ruolo di primo piano dell’indagato nel settore degli stupefacenti; giudizio di disvalore, peraltro, avvalorato dai sistematici e consolidati contatti con soggetto, quale è indicato il COGNOME, di elevato spessore criminale e risultato al vertice anche di un clan di matrice mafiosa operanl:e nel territorio. In tale contesto, i precedenti penali annoverati – che risultano essere stati riportati dal ricorrente – concorrono a rendere concreto il rischio di recidiva, a nulla valendo la questione concernente la corretta qualificazione della circostanza, trattandosi, per
come correttamente evidenziato dall’ordinanza impugnata, di profilo che attiene al giudizio di merito.
Quanto, poi, al possibile rilievo dell’epoca del commesso reato (accertati in maniera continuativa da luglio a dicembre 2021), va richiamato il principio affermato dalla Corte di legittimità secondo cui, in tema di misure cautelari, la prognosi di pericolosità non si rapporta solo all’operatività dell’associazione ex art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990, né alla data ultima dei reati fine dell’associazione stessa, ma ha ad oggetto la possibile commissione di delitti che siano espressione della medesima professionalità e del medesimo grado di inserimento in circuiti criminali che caratterizzano l’associazione di appartenenza (Sez. 2, n. 19341 del 21/12/2017, dep. 2018, Musumeci, Rv. 273435 – 01).
Dalla ricostruzione della vicenda operata dai giudici della cautela emerge che il pericolo del mantenimento dei rapporti con l’ambiente criminale di riferimento posto che è emerso che l’indagato ha seri contatti anche con altre fonti di approvvigionamento della droga – non sia all,TARGA_VEICOLO sopito, di talché non affatto manifestamente illogico è averne tratto la conclusione che l’attività criminosa potrebbe proseguire anche per interposta persona o avvalendosi di strumenti di comunicazione a distanza, con conseguente giudizio di inidoneità di misure cautelari gradate.
In conclusione, va dichiarata l’inammissibilità del ricorso, con condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa per le ammende, così determinata in ragione dei profili di inammissibilità rilevati (Corte cost., 1 giugno 2000 n. 186).
Non conseguendo dall’adozione del presente provvedimento la rimessione in libertà dell’indagato, deve provvedersi ai sensi dell’art. 94, comma 1 ter, disp. att. cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso, il 19 luglio 2024
u Il Consiglier EPOSITATO IN CANCELLARIA
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