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Partecipazione associativa: quando si è complici?

Un soggetto sottoposto ad arresti domiciliari per associazione finalizzata al traffico di stupefacenti ricorre in Cassazione. La Corte annulla l’ordinanza, chiarendo che la sola commissione di reati di spaccio o la fornitura di droga non bastano a dimostrare la partecipazione associativa. È necessario provare un inserimento stabile e consapevole nella struttura criminale, un elemento che il Tribunale del riesame non aveva adeguatamente motivato. Il caso è stato rinviato per un nuovo giudizio.

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Pubblicato il 10 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Partecipazione Associativa: Oltre il Singolo Reato

La recente sentenza della Corte di Cassazione, Sezione Penale, affronta un tema cruciale nel diritto penale: quali elementi sono necessari per provare la partecipazione associativa a un’organizzazione criminale finalizzata al traffico di stupefacenti? La Corte stabilisce che non è sufficiente dimostrare il coinvolgimento in singoli episodi di spaccio, ma occorre provare un inserimento stabile e consapevole nella struttura del gruppo. Analizziamo insieme questa importante decisione.

Il Caso in Esame: Dalla Misura Cautelare al Ricorso in Cassazione

Il caso origina da un’ordinanza del Tribunale di Roma che, in funzione di giudice del riesame, aveva confermato la misura degli arresti domiciliari a carico di un individuo per il reato di cui all’art. 74 del D.P.R. 309/1990 (associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti).

La difesa ha presentato ricorso in Cassazione, lamentando un difetto di motivazione. In particolare, si contestava che gli elementi a carico del ricorrente (dichiarazioni di collaboratori, intercettazioni) provassero al massimo singoli episodi di acquisto o spaccio di droga, ma non un’effettiva e organica partecipazione al sodalizio criminale. Si sottolineava, inoltre, la mancanza di coinvolgimento nei reati-fine dell’associazione e un ruolo del tutto marginale.

La Prova della Partecipazione Associativa secondo la Cassazione

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, annullando l’ordinanza e rinviando gli atti al Tribunale per un nuovo esame. La decisione si fonda su un’approfondita analisi dei criteri necessari per configurare la partecipazione associativa.

La Corte ribadisce un principio consolidato: il reato associativo è autonomo rispetto ai singoli reati-fine. Pertanto, la commissione di uno o più di questi reati non comporta automaticamente la prova della partecipazione all’associazione. È necessario qualcosa di più: un contributo apprezzabile e consapevole alla vita e agli scopi del gruppo.

Dal Singolo Atto al Rapporto Societario

Il cuore della pronuncia risiede nella distinzione tra un semplice rapporto di fornitura, anche continuativo, e un vero e proprio rapporto societario. La Cassazione chiarisce che la costante disponibilità a fornire sostanze stupefacenti può integrare la partecipazione solo a determinate condizioni. Non basta una mera reiterazione della fornitura.

È necessario che tale rapporto, per stabilità, continuità e rilevanza economica, assuma le connotazioni di una vera e propria “somministrazione” illecita, la cui interruzione provocherebbe un effetto destabilizzante per l’operatività del sodalizio.

Le Motivazioni

La Corte ha ritenuto che l’ordinanza impugnata non avesse fatto buon governo di questi principi. Il Tribunale si era limitato a evidenziare elementi indiziari relativi a un rapporto di acquisto di cocaina e a un’attività di spaccio svolta dal ricorrente. Tuttavia, aveva omesso di argomentare in modo adeguato sulla base di quali indici si potesse desumere la sua partecipazione stabile e consapevole al sodalizio criminale.

In particolare, la motivazione del Tribunale è stata giudicata gravemente insufficiente perché non chiariva quale fosse il ruolo effettivo attribuito all’indagato: un semplice pusher che operava per conto del gruppo o un acquirente stabile di sostanza? In entrambi i casi, mancava la dimostrazione che l’individuo agisse consapevolmente nell’ambito dell’organizzazione e per il perseguimento dei suoi scopi. La Corte ha sottolineato che, nella fase cautelare, è richiesta una “qualificata probabilità” di colpevolezza, che in questo caso non era stata adeguatamente motivata.

Conclusioni

Questa sentenza è di fondamentale importanza pratica. Essa impone ai giudici di merito un onere motivazionale rigoroso quando si tratta di misure cautelari per reati associativi. Non ci si può fermare alla superficie, ovvero alla prova del singolo atto illecito, ma è indispensabile scavare più a fondo per dimostrare l’esistenza del vincolo associativo permanente, la cosiddetta affectio societatis.

Per gli operatori del diritto, la decisione rappresenta un richiamo a distinguere nettamente tra la posizione di chi delinque “con” l’associazione (sfruttandone le capacità per commettere un reato) e chi delinque “per” l’associazione, contribuendo stabilmente alla sua esistenza e al raggiungimento dei suoi fini illeciti. Solo in quest’ultimo caso si può parlare di vera e propria partecipazione associativa.

È sufficiente commettere un reato di spaccio per essere considerati parte di un’associazione a delinquere?
No. Secondo la Corte di Cassazione, la sola commissione dei cosiddetti “reati-fine” (come lo spaccio) non è di per sé una base fattuale idonea a integrare l’esistenza di gravi indizi di partecipazione al reato associativo. È necessario che i rapporti con gli altri soggetti costituiscano forme di interazione nell’ambito di un gruppo organizzato.

Come si può provare la ‘partecipazione associativa’ in un’organizzazione criminale?
La prova può essere data anche mediante “facta concludentia” (fatti concludenti), come contatti continui tra i membri, viaggi per i rifornimenti, utilizzo di basi logistiche, divisione dei compiti e commissione sistematica di reati secondo specifiche modalità operative. È essenziale dimostrare un contributo apprezzabile e consapevole alla realizzazione degli scopi dell’organizzazione.

Un rapporto continuativo di fornitura di droga integra automaticamente la partecipazione a un’associazione?
No, non automaticamente. Un rapporto continuativo di fornitura di stupefacenti può integrare la partecipazione associativa solo a condizione che sussistano specifici elementi fattuali, come la durata dell’accordo, le modalità di approvvigionamento, il contenuto economico delle transazioni e la rilevanza che il fornitore riveste per il sodalizio. Il rapporto deve avere caratteristiche di stabilità e continuità tali da renderlo un elemento destabilizzante per il gruppo in caso di interruzione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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