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Partecipazione associativa: quando non basta il concorso

La Corte di Cassazione ha annullato con rinvio un’ordinanza di custodia cautelare per il reato di partecipazione associativa a un’organizzazione dedita al narcotraffico. La Corte ha stabilito che il coinvolgimento in singoli episodi di spaccio, pur se ripetuti, e il rapporto sentimentale con il presunto capo non sono di per sé sufficienti a dimostrare un’adesione stabile e consapevole al sodalizio criminale. È necessaria una prova specifica della volontà di far parte dell’associazione e di contribuire ai suoi scopi. Il caso è stato rinviato al Tribunale per una nuova valutazione.

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Pubblicato il 12 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Partecipazione associativa: la Cassazione distingue tra concorso e affiliazione

La recente sentenza della Corte di Cassazione, Sez. 6 Penale, n. 46607/2024, offre un’importante chiave di lettura sulla distinzione tra il semplice concorso in reati di spaccio e la ben più grave accusa di partecipazione associativa a un’organizzazione criminale finalizzata al narcotraffico. La Corte ha stabilito che la mera reiterazione di condotte illecite e i legami personali con i vertici del sodalizio non sono sufficienti, da soli, a provare l’inserimento stabile e consapevole di un soggetto nel gruppo. Questo principio garantisce che l’accusa più grave sia supportata da prove concrete che vadano oltre la semplice contiguità.

I Fatti del Caso: Oltre il Semplice Concorso

Il caso riguardava una donna, compagna del presunto capo di un’associazione dedita al traffico di stupefacenti, accusata sia di partecipazione all’associazione (art. 74 D.P.R. 309/90) sia di diversi episodi di spaccio (art. 73 D.P.R. 309/90). La misura cautelare si fondava principalmente sul suo rapporto di convivenza, sulla sua collaborazione in alcune attività di cessione a terzi e sulla sua presunta conoscenza delle dinamiche associative. In particolare, si dava rilievo a una conversazione successiva all’arresto del compagno, in cui la sorella di quest’ultimo la incaricava di sollecitare un pagamento per le spese legali. Tuttavia, la difesa ha contestato la solidità di questo quadro, sostenendo che tali elementi dimostrassero al più un concorso nei singoli reati, ma non un’adesione all’associazione.

L’Analisi della Corte e la Distinzione sulla Partecipazione Associativa

La Suprema Corte ha accolto il ricorso per quanto riguarda l’accusa di partecipazione associativa. I giudici hanno evidenziato che, al di là della collaborazione nell’attività di spaccio del compagno, non era emerso un rapporto stabile e organico della donna con altri membri del gruppo, né un’attività di raccordo con altre componenti dell’organizzazione. La pluralità delle cessioni, pur potendo integrare la gravità indiziaria per il reato associativo quando commesse con più sodali, nel caso di specie non sembrava andare oltre il concorso con il solo compagno.

La Corte ha ribadito un principio consolidato: la semplice reiterazione delle cessioni di droga non è sufficiente a provare l’appartenenza a un sodalizio. È necessario dimostrare la “coscienza e volontà” del soggetto di far parte dell’associazione e l’intento di contribuire al suo mantenimento e alla realizzazione del fine comune. Nel caso esaminato, la motivazione del Tribunale del riesame è stata giudicata carente su questo punto, non avendo approfondito l’elemento soggettivo dell’imputata.

Le Motivazioni della Decisione

La Cassazione ha ritenuto la motivazione dell’ordinanza impugnata lacunosa in punto di gravi indizi di colpevolezza per il reato associativo. I giudici hanno sottolineato che non vi era prova che la ricorrente si fosse effettivamente attivata per contattare un altro soggetto per il pagamento delle spese legali, né che lo avesse minacciato. Pertanto, la valutazione del Tribunale su questo punto è stata definita ‘assertiva’. Allo stesso modo, un episodio di tentata cessione, utilizzato per dimostrare la sua consapevolezza delle dinamiche del gruppo, è stato ritenuto non decisivo, in quanto l’informazione le era pervenuta indirettamente e l’episodio non le era stato nemmeno contestato.

Al contrario, la Corte ha ritenuto infondate le censure relative ai singoli reati di spaccio. Per questi capi d’imputazione, il quadro indiziario, basato sulla lettura coordinata di intercettazioni e videoriprese, è stato giudicato solido e coerente, dimostrando il contributo concreto dell’indagata nelle consegne di stupefacenti. La sua scaltrezza nel celare la sostanza e nell’avvertire i familiari del rischio di perquisizioni ha ulteriormente rafforzato l’accusa per i reati-fine.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

La decisione in commento ha un’importante valenza pratica: fissa paletti precisi per la configurabilità del reato di partecipazione associativa. Non si può desumere automaticamente l’appartenenza a un’organizzazione criminale dalla commissione di reati-fine, anche se ripetuti, o da legami personali. È onere dell’accusa provare l’esistenza di un vincolo stabile, la consapevolezza del soggetto di essere inserito in una struttura organizzata e la volontà di contribuire al progetto criminale comune. La sentenza ha quindi imposto l’annullamento dell’ordinanza con rinvio al Tribunale, che dovrà procedere a una nuova e più approfondita valutazione sul punto, inclusa la sussistenza dell’aggravante contestata, che l’ordinanza non aveva minimamente affrontato.

Essere il partner del capo di un’associazione criminale e aiutarlo in alcuni reati significa automaticamente far parte dell’associazione?
No, secondo la Cassazione questi elementi non sono di per sé sufficienti. Per configurare la partecipazione associativa, è necessario provare la coscienza e la volontà dell’individuo di far parte stabilmente della struttura criminale e di contribuire al suo programma, non bastando la semplice commissione di singoli reati in concorso con un membro.

La ripetuta commissione di reati di spaccio è sufficiente a dimostrare la partecipazione associativa?
Da sola, no. La Corte specifica che, sebbene la ripetizione di reati-fine possa essere un indizio, non è sufficiente se non viene dimostrato un vincolo preesistente e stabile con gli altri membri dell’organizzazione e l’intenzione di contribuire al mantenimento del sodalizio.

Cosa ha deciso la Corte riguardo alle singole accuse di spaccio contestate alla ricorrente?
La Corte ha respinto le censure relative ai singoli reati di cessione di stupefacenti. Ha ritenuto che il quadro indiziario basato su intercettazioni e videoriprese fosse solido e coerente nel dimostrare il contributo concreto dell’imputata nelle consegne, confermando quindi la gravità indiziaria per tali reati.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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